|
|
Meteotron:
crea le nuvole e guida i fulmini
Tratto da «Scienza e Vita» nr.181
febbraio 1964
Fisici di ventidue Paesi hanno assistito agli straordinari esperimenti eseguiti in Francia con il «meteotron» del professor Dessens.
Dai
cento bruciatori del «meteotron», piantati come pali sul circuito di
un esagono regolare, cento fiamme scaturiscono contemporaneamente, al
segnale del professor Dessens. Sono bastati trenta secondi perché
all’interno di questo esagono, 3200 metri quadrati di lato si
trasformassero in un braciere.
Il fuoco crepita furiosamente nei turbini di fumo nero. Poi,
rapidissime, le fiamme alte quattro metri decrescono e ricadono rasente
i cespugli rosseggianti. E’ la fine dell’incendio, e, per gli
specialisti francesi e stranieri che assistono alla dimostrazione (sono
circa sessanta fisici provenienti da dodici Paesi), è il momento della
verità: là in alto, al di sopra delle fumate che chiudono ancora
l’orizzonte dei Pirenei, nel cielo fino a quel momento perfettamente
limpido, si sta formando una nuvola, un cumulo. Il tutto in meno di
cinque minuti.
«Io
non fabbrico pioggia…». Il professor Dessens non vuole che lo si
confonda con quegli specialisti di pioggia provocata che sono così
numerosi negli Stati Uniti.
Egli infatti non si contenta di «seminare le nubi»; le crea.
A prima vista, niente dovrebbe essere più facile che sciogliere una
nuvola. In effetti, un cumulo-nembo di uragano può racchiudere sino a
200.000 tonnellate di acqua! Ma queste enormi masse liquide sono
depositate sotto forma di piccole gocce che hanno un diametro di 30
micron; e per formare una sola goccia di pioggia se ne devono saldare
insieme 300.000. Come provocare artificialmente tali agglomerati?
Questo era il problema per i fabbricanti di pioggia. La soluzione è
venuta da un fisico norvegese, Tor Bergeron, che ha dimostrato come se
la cava, in questo caso, la natura stessa.
Teoricamente, spiega lo scienziato norvegese, le goccioline sospese
nelle nuvole non dovrebbero mai incontrarsi: la legge fondamentale
dell’elettrostatica glielo vieta, dato che esse sono cariche di una
elettricità dello stesso segno. E tuttavia la pioggia esiste. Che cosa
accade dunque? Semplicemente, che talune di queste goccioline sono a
sopraffusione (a –5°, per esempio, esse restano liquide) ed altre si
trasformano in minuscoli cristalli di ghiaccio. Ora, l’esperienza
c’insegna che un pezzo si ghiaccio messo in presenza di un’acqua
sopraffusa non tarda ad assorbirla. E’ così che si formano i fiocchi
di neve. All’origine, infatti, ogni pioggia è neve la quale poi si
scioglie per effetto del riscaldamento nell’atmosfera.
Da questo momento, la via dei fabbricanti di pioggia era tracciata: per
provocare la caduta di pioggia bastava loro favorire la formazione di
cristalli di ghiaccio nelle nuvole introducendovi degli appositi germi.
Un metodo vecchio di quindici anni e che ha dato prova di sé.
Tuttavia…
«Nel
1954 – ci fa notare il professore Dessens – si voleva far piovere
sulla Beauce, e invece piovve sulla Germania…»
Ma
c’è un’obiezione più grave. I fabbricanti di pioggia non
incontrerebbero certamente alcuna difficoltà a «seminare» il cielo
italiano o quello francese. Ma come «seminare», ad esempio, il cielo
del Sahara, dove manca la materia prima e cioè la nuvola? Bisognava
dunque studiare il problema più a fondo, come ha fatto il professor
Dessens, non al livello della formazione delle piogge, ma a quello della
formazione delle nuvole.
Tutto è cominciato nel 1955. In quell’anno, il professor Dessens,
invitato dai piantatori di cacao di Lukolela, compiva un viaggio di
studio in Congo. Quivi egli osservò per la prima volta una pratica
corrente, a quanto strana, in Africa, quella cioè di accendere dei
fuochi di boscaglia per «far piovere». Il professore sapeva che non si
trattava di un semplice rito di magia. Egli stesso, qualche anno prima,
aveva proposto alle autorità belghe di utilizzare razionalmente i
fuochi di boscaglia per modificare la piovosità del Congo.
Ma come si creano le false nuvole, vuoi con il fuoco di boscaglia, vuoi
con il «meteotron»? Bisogna prima di tutto capire come si formano le
nuvole vere. Tutti sanno che l’evaporazione dei mari, dei laghi e dei
fiumi, carica l’aria nelle vicinanze del suolo, di immense quantità
di vapore acqueo. Ma perché si formi la nuvola occorre anche che il
vapore si condensi in goccioline. Ora,
questa condensazione è possibile solo se l’aria si raffredda. E per
raffreddarsi – ecco il primo paradosso – è necessario che essa
prima si riscaldi. Sotto l’azione del Sole, in effetti, la sua
pressione aumenta: è la condizione necessaria perché l’aria si
innalzi in corrente ascendente trascinando i vapore acqueo verso regioni
sempre più fredde. La quantità massima di vapore acqueo che un litro
d’aria può racchiudere varia rapidamente in funzione della
temperatura: è di 20g a 25°, appena di 11g a 10°. Viene dunque un
momento in cui l’acqua contenuta nell’aria non può più restare
allo stato di vapore e deve condensarsi.
Ed ecco un secondo paradosso: alcuni fisici hanno dimostrato che le
molecole di vapore acqueo, aprendosi un passaggio attraverso le molecole
di ossigeno e di azoto, che si urtano a vicenda senza mai unirsi,
dovrebbero, in linea di principio, comportarsi alla stessa maniera: non
condensarsi mai. Se di fatto esse si condensano, malgrado questa teorica
impossibilità, è perché incontrano costantemente sui loro percorsi
delle «trappole a molecole d’acqua»: grani di polvere, elementi
impalpabili di fumo e, soprattutto, minuscoli cristalli di sale marino
strappati alle onde.
Due sono dunque le condizioni perché si possa formare una nuvola: una
corrente ascendente d’aria clada che trascini il vapore acqueo verso
le altezze in cui esse si condensano in goccioline; un’atmosfera
carica di «trappole a molecole», vale a dire, in termini scientifici,
di «germi di condensazione». Di queste due condizioni, la prima è la
più importante. Ma bisogna precisare bene: una corrente d’aria calda.
Il calore in se stesso non conta, altrimenti il Sahara sarebbe coperto
di nuvole! Ciò che importa è il riscaldamento differenziale, detto
anche riscaldamento di una zona limitata al di sopra della quale si
produce un vero e proprio «tiraggio» come in un camino.
I cento bruciatori del «meteotron» che sviluppano una potenza termica
di 700.000 kilowatts, non hanno difficoltà a creare un camino stabile
per trasportare le correnti ascendenti. Senza contare che le faville e
le polveri sprigionate dal fumo costituiscono delle eccellenti «trappole
a molecole».
Dal punto di vista del diritto internazionale, il «meteotron»
appartiene al Presidente della Repubblica del Congo, Kasavubu che, in
base agli accordi intervenuti con la passata amministrazione belga,
potrebbe reclamarlo in qualsiasi momento. Il «meteotron» era stato in
effetti concepito per il Congo. Nel 1960, un voluminoso materiale –
motori diesel, pompe, bruciatori - stava per essere imbarcato, quando fu
proclamata l’indipendenza del Congo. Durante diversi mesi,
l’apparecchio restò bloccato sui moli di Marsiglia, poi, essendo
chiaro che i congolesi vi avevano rinunciato, il ministero
dell’Educazione nazionale francese ne decise l’installazione a
Lannemezan.
Da allora sono passati tre anni, tre anni di esperimenti durante i quali
il «meteotron» ha rivelato sempre nuove possibilità. In un minuto, il
«meteotron» può aspirare ricadute nucleari diffuse nell’aria e
disperderle nell’atmosfera a più di mille metri di altezza. Molti
specialisti, senza disconoscere i rischi della «ricaduta», ritengono
che il «meteotron» potrebbe essere un mezzo, in caso di accidente
grave, per scongiurare i pericoli più immediati di un inquinamento
atomico dell’atmosfera e ridurne gli effetti catastrofici.
Altra utilizzazione inaspettata del «meteotron» è quella di «guida-fulmini».
Operando con tempo sereno, il professor Dessens e i suoi collaboratori
hanno osservato più di una volta che ottenevano non soltanto dei cumuli
piovosi ma anche delle vere e proprie trombe di grandine, dal diametro
di una dozzina di metri, che univano la nuvola al suolo come un immenso
pilastro attorcigliato. In tempo di uragano, nell’asse fortemente
ionizzato della tromba si producono violente scariche di elettricità.
Forse un giorno sarà possibile osservarvi quella varietà di fulmine
chiamato «globulare», un litro del quale, secondo calcoli del fisico
sovietico Kapitza, contiene più energia nucleare che una esplosione
atomica.
Il
Pentagono mostra perciò molto interesse per il «meteotron». Ma per il
momento, e per altri lunghi anni ancora, senza dubbio, il professor
Dessens darà la precedenza alle utilizzazioni pacifiche del suo
strumento, concepito per realizzare un vecchio sogno dell’uomo:
modificare e correggere il clima.