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Mattioli
e Cuccia
Tratto da http://www.doncurzionitoglia.com/mattiolcuccia.htm
Prologo
Occorre adesso introdurre un lungo discorso su Enrico
Cuccia, per studiare le diverse strade che imboccarono lui e Mattioli, e
scandagliare meglio le loro personalità.
Mattioli era un fautore del “capitalismo ordinato”, come lo chiama
Galli, Cuccia invece era fautore di un capitalismo “proteso verso la
rivincita”.
Sia Mediobanca (Cuccia) che Comit (Mattioli) dipendono dall’IRI, vale
a dire dallo Stato. “Senonchè mentre a Mattioli ciò sta bene, a
Cuccia no. E gli sforzi che fa per sottrarsi alla sua tutela sono
incessanti (...).
Cuccia riesce a portare nel suo “salotto” oltre al fior fiore
dell’imprenditorialità italiana (dagli Agnelli ai Pirelli) la
potentissima Banque Lazard che opera lungo l’asse Parigi-Londra-New
York, mettendo a profitto l’amicizia che ha stretto durante la famosa
missione del ‘42 con il grande banchiere ebreo Andrè Meyer. Da quel
momento Mediobanca è, nei fatti, ben più “internazionale” della
Comit. Una connotazione che si farà sentire. Quando, negli anni
Ottanta, alcuni politici tenteranno di estromettere Enrico Cuccia da
Mediobanca, a differenza di quanto si verificò con Mattioli, scendono
in campo a suo sostegno i potentati esteri oltre che quelli
nostrani. E i politici sono obbligati a ripiegare, accettando
successivamente (1988) la “privatizzazione” di Mediobanca. Perchè
gli “amici” di Cuccia si chiamano Lazard e Deutsche Bank” (35).
Mattioli e Cuccia sono agli antipodi per quanto riguarda la
loro attitudine nei confronti delle grandi famiglie imprenditoriali.
Mattioli (il dominus della Comit) restò sempre un “servitore
dello Stato”, mentre Cuccia (il dominus di Mediobanca) si
schierò subito in loro favore. Così durante il regno dell’“ultimo
Mattioli” i capitalisti “vanno a Cuccia”... o meglio ancora da
Cuccia, poichè il Quartier Generale della finanza italiana ha cambiato
indirizzo e timoniere.
Mattioli è costretto a ripiegarsi sui suoi libri e sulla sua cultura.
“Tuttavia i segni lasciati da don Raffaele non vengono scalfiti nè
dal tempo, nè dalle mode. E almeno su un punto tutti concordano:
nessuno era riuscito, come lui, a mantenere
Il Galli scrive: “Enrico Cuccia è stato di volta in volta dipinto
come un angelo o un demonio. Probabilmente in lui albergano entrambe le
anime” (37). Il capitalismo internazionale gli ha affidato pieni
poteri per la “provincia Italia” “e pertanto quel poco di
internazionalità e di capitalismo che ancora esiste sotto i nostri
cieli, lo dobbiamo a lui” (38).
La vita
Cuccia nasce a Roma il 24 novembre 1907. La sua famiglia ha
origini greco-albanesi, ma è perfettamente integrata nella buona
borghesia di Palermo. Un amico di famiglia “Guido Jung, classe 1876,
gocce di sangue ebraicotriestino... suggerisce a papà Beniamino
Cuccia... di trasferirsi in Roma... agevolandolo nell’assunzione al
Ministero delle finanze.
Per questa coincidenza che si rivelerà propizia, Enrico viene alla luce
a Roma anzichè a Palermo. Con un padrino illustre come Jung. (...) La
carriera finanziaria di Cuccia inizia col piede giusto: nel 1932 alla
Banca d’Italia, portatovi da Guido Jung che nel frattempo ha percorso
molti gradini lungo le scalinate del potere.
(...) Tanti incarichi preludono alla nomina a ministro delle Finanze.
È il 20 giugno del 1932. Nemmeno tre mesi dopo, il 12
ottobre, Enrico Cuccia entra in Banca d’Italia. …è il pupillo...
del potentissimo ministro, che agli occhi del duce ha il merito
d’intrattenere buone relazioni con la business-community internazionale,
rapporti cui Mussolini... tiene moltissimo” (39).
Occorre sapere che Jung era filoamericano, e Cuccia imparò molto dal
filoamericanesimo di Jung, e soprattutto due cose: “1°) un modo per
aggirare, se necessario, l’arcigna… oligarchia economico finanziaria
continentale; 2°) il riconoscimento (o l’intuizione?) che i nuovi
centri del potere sono in via di migrazione dall’Europa all’altra
sponda dell’Atlantico” (40). Cosa che Mattioli non aveva voluto
ammettere e che gli costò cara!
Nel giugno del 1934, Guido Jung trasferisce Cuccia all’IRI, gestito da
Alberto Beneduce. “Se Jung proviene dalle schiere liberali Beneduce ha
alle spalle un passato socialriformista, corroborate da alte cariche
nella massoneria… Il napoletano Beneduce è il massimo, e sempre
ascoltato, consigliere economico del duce che lo riceve quotidianamente.
Ministro delle Finanze (Jung n.d.r.) e presidente dell’IRI (Beneduce
n.d.r.) viaggiano comunque in perfetta sintonia (...).
È sicuramente velleitario, eppure non irreale, il
tentativo dell’Italia dei primi anni Trenta di stabilire un rapporto
privilegiato con gli USA… A farsene carico non è il governo, bensì
quell’establishement economico che ha messo le sue competenze
al servizio del fascismo, pur non condividendone l’ideologia
antiliberale. Se Jung ha da rassicurare i circoli finanziari dove forte
è l’influenza ebraica, a Beneduce toccano i massoni” (41).
Galli ha scritto: “[Cuccia] crede in Dio, è osservante; ma la sua
fede è laica, calvinista, lontana anni luce da ogni forma di
clericalismo e d’ingerenza della Chiesa nei pubblici affari: nessun
prete-trafficante varcherà mai la soglia di via Filodrammatici” (42).
E ancora: “Cuccia è un cattolico ultraosservante, con messa e
comunione quotidiane..., ma il suo è un cattolicesimo particolare. È
un giansenista... E per un giansenista, rigoroso quanto elitario, gli
“altri” cattolici sono populisti...” (43).
Cuccia, la massoneria
e
Se si prescinde dalla possibile influenza del suocero
Alberto Beneduce, che massone lo era certamente, testimonianze serie
sull’appartenenza di Cuccia alla massoneria ci vengono da Michele
Sindona e dalla vedova di Roberto Calvi, la signora Clara.
Galli scrive: “In un incontro all’Hotel Pierre di New York,
nell’estate 1976, Sindona mi disse: “Mattioli ha creato Mediobanca
per togliersi dai piedi Cuccia che è persona pericolosa… lavora per
portare la finanza italiana sotto il dominio della Grande loggia”.
Innanzi alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia
massonica P2, Clara
Calvi ha dichiarato: «Quando gli (al marito Roberto n.d.a.)
domandavo perchè Cuccia e Sindona, pur essendo massoni, non andavano
d’accordo, mi rispondeva: “Appartengono a due logge diverse”»
(44).
Nel 1938, con le leggi razziali, le cose si mettono male per Jung, che
essendo ebreo viene emarginato. Beneduce invece che è soltanto…
massone resta in sella e deve intervenire rendendo ufficiale il
fidanzamento tra Enrico Cuccia e sua figlia, che si chiama Libera Idea
Socialista [non è uno scherzo… è veramente un nome di…
battesimo!]. Egli
Carlo Bombieri, collaboratore di Cuccia alla Comit, dice
che Cuccia aveva “un’ambizione senza confini, spietata,
incontenibile. Qualche volta, a quattr’occhi, non esitava a
manifestarla: l’aspirazione al potere da realizzare con il maneggio
del denaro, in quanto nei confronti della politica nutriva un assoluto
disprezzo intellettuale, generalmente non si sbilanciava; (...)
detestava il fascismo ma teneva in rispetto il concetto di autorità.
Aveva una concezione castale della società, retta da un “uomo
forte”. Con un’eccezione: il Papato di Roma non gli andava a
genio” (46).
Maurizio Mattioli, il figlio di don Raffaele, ha detto al Galli:
“Quando le discussioni politiche si facevano più aspre... l’ho
sentito esclamare con rabbia: “ci vorrebbe un Clemenceau”... Un
riferimento al Clemenceau… radicale, massone legato al Grand Orient
de France, che aveva chiesto ai fratelli la “discesa
nell’arena” per affermare, nella società e nella politica, i
“valori” delle logge?” (47).
La missione a Lisbona
La missione di Cuccia a Lisbona rappresenta il momento
decisivo e se si vuole “magico” della sua vita.
Nel 1942, mentre il Giappone dilaga nel Pacifico, l’asse
Roma-Berlino-Tokio sta vincendo la sua ultima, effimera, battaglia,
prima di perdere la guerra. La vittoria sembra arridere all’Asse,
“C’è però chi, in Italia, convinto del contrario, si prepara al
dopo. Non irenicamente, ma agendo. È la nascita del Partito d’azione,
laico, progressista (ma oppositore del modello comunista) ed elitario:
nella convinzione che a “scrivere la storia” siano gli ideali e gli
interessi di pochi illuminati. Il popolo… non potrà che seguirli”
(48).
Gli azionisti (
Cuccia deve far giungere un messaggio al conte Sforza, che
sta cercando di farsi accreditare in America come il più genuino
antifascista. Cuccia porta il messaggio a Lisbona e lo consegna a George
Kennan, il quale s’imbarca per l’America e lo recapita a Carlo
Sforza.
“Alcune confidenze strappate a Guido Carli, Cesare Merzagora e
Giovanni Malagodi [conversazioni informali con l’autore Giancarlo
Galli fra il 1989 e il 1991]… consentono di abbozzare un ben più
complesso… scenario. Probabilmente Enrico Cuccia non fu semplice
“postino” e… non esitò ad andar oltre (...) intuì che muovendosi
con scaltra intelligenza poteva trasformarsi da comparsa in protagonista
di una nuova fase… del capitalismo italiano” (49).
A Lisbona un finanziere ebreo-francese Andrè Meyer aspetta Cuccia.
Meyer è un partner della Banque Lazard, che nel
Cuccia, Meyer e
Andrè Meyer nacque sulla fine dell’Ottocento, da una
famiglia ebraica di modeste condizioni; libero pensatore, autodidatta,
lavora come fattorino presso un agente di cambio ebreo; divenuto
procacciatore d’affari, viene notato da David Weill della Banca Lazard,
ma Andrè non vuole essere soltanto assunto, pretende di essere
“associato”. Lo trattano da pazzo, ma qualche mese dopo ci
ripensano. “Nella potente quanto riservata Banque Lazard, Meyer
assumerà presto un ruolo da protagonista. (...)
“Cinico e assetato di danaro” giudica con severità Carlo Bombieri…
Non so come e quando Cuccia lo abbia conosciuto. Nel momento in cui me
lo presentò, era tuttavia chiaro che si conoscevano bene, e che Enrico
lo idolatrava… Spiegava spudoratamente che per lui arricchirsi era un
culto, e i mezzi non gli importavano...”.
Quello dei Lazard è un mondo particolarissimo. “Banchieri di
sinistra, radicalsocialisti, patrioti, anticlericali, visceralmente
anticomunisti”, li ha dipinti Anne Sabouret (50).
Cuccia
“azionista”
Ritornato a Milano, Cuccia è promosso codirettore
centrale, e all’assemblea del 31 marzo 1943 il suo nome compare
nell’organigramma del top-management Comit. Subito dopo il 25
luglio, Cuccia si ritira con Mattioli nella fattoria toscana di Nozzole,
dove li coglie l’8 settembre. Alla notizia dell’armistizio
raggiungono Roma, sicuri di un imminente arrivo degli americani. «Nella
Roma occupata, Enrico Cuccia è l’ombra di Raffaele Mattioli. “Papà
stava praticamente rinchiuso assieme a Cuccia nella sede della Comit in
piazza Santi Apostoli, dispensando ogni sorta di consigli e aiuti”,
afferma il figlio Maurizio» (51).
Gli americani entrano in Roma il 5 giugno 1944. Mattioli si è già
formato un progetto politico: salvare casa Savoia facendo dimettere
Vittorio Emanuele III e anche Umberto II, per promuovere il giovanissimo
Vittorio Emanuele IV, affidando nel frattempo la reggenza a Maria Josè,
affiancata da un consiglio di reggenza che sarebbe stato composto di: De
Gasperi, Einaudi, Togliatti, Croce e Mattioli stesso.
Cuccia non è d’accordo, (è repubblicano convinto) e si
dedica a un’iniziativa più specifica: la creazione di una banca
d’affari.
“Carlo Bombieri… ricorda: “Mattioli voleva dar vita a uno
strumento per compiere operazioni, allora non consentite dalla legge
bancaria assai restrittiva, ma indispensabile allo sviluppo di
un’Italia moderna. Cuccia era portatore di un altro concetto: una
banca d’affari elitaria, alla cui guida implicitamente si
candidava”.
Per Raffaele Mattioli gestire una grande banca... è un’incombenza
faticosa e persino ingrata. Per lui, legato alla cultura classica, il
denaro è semplicemente un mezzo (e nemmeno troppo nobile) per
realizzare delle cose. Ai suoi occhi, i soldi non hanno un’anima…
ama l’Italia e gli italiani, e lo proclama ad alta voce. Per Enrico
Cuccia, il danaro è numero, e nei numeri risiede la geometria cosmica
del potere… il concetto di patria lo lascia freddo, ciò che conta
sono le classi superiori...” (52).
La seconda missione
in America
Nell’autunno del 1944 il governo di Ivanoe Bonomi invia
una delegazione negli USA. La formazione della missione fu opera
dell’allora sottosegretario agli esteri Visconti Venosta che scelse i
due membri principali del gruppo: Quintino Quintieri, già ministro
delle Finanze del governo Badoglio a Salerno, e Raffaele Mattioli,
allora amministratore delegato della Banca commerciale italiana che portò
con sè Enrico Cuccia. “La scelta di Cuccia dipendeva dal fatto che si
trattava, in quel periodo, dell’unico italiano in qualche modo
accreditato presso gli americani.
L’ambasciatore George Kennan aveva conosciuto lui, non altri; Andrè
Meyer magnificava le doti del giovane finanziere italiano, non di altri
(...).
Siamo alla vigilia della Conferenza di Yalta… nel corso della quale
Churchill, Roosvelt e Stalin si spartiranno il mondo. Il premier
britannico vorrebbe rimettere in sella le monarchie di Grecia, Italia,
Jugoslavia. Gli USA no. E in modo identico la penseranno i successori:
Harry Truman e Dwigth Eisenhower. Cuccia, strenuo repubblicano, è in
pratica l’unico membro della delegazione a trovarsi in sintonia con i
vertici politici americani. Nonchè con l’arcivescovo di New York,
Joseph Spellman, col sindaco, Fiorello
La nascita di
Mediobanca (10 aprile 1946): La grande svolta dell’economia italiana
Cuccia, come lui stesso ama sostenere, “s’identifica”
con Mediobanca, perciò la storia delle sue gesta, non più in qualità
di eminenza grigia ma di banchiere a pieno titolo, prende il via dalla
fondazione dell’istituto, il 10 aprile 1946, che coincide anche con la
sua nomina a direttore generale.
Cuccia ha soltanto trentanove anni. “Perchè proprio lui? (...) Ciò
che oggi sappiamo della lunga strada percorsa all’ombra di Beneduce e
Jung, dei rapporti vieppiù stretti con Andrè Meyer, delle missioni
delicate, dell’impegno nel Partito d’azione, allora era noto a
pochissimi. Ci si accontentava di considerarlo un fedele discepolo di
Raffaele Mattioli, e questo rassicurava e garantiva. È proprio alla
scomparsa del banchiere di piazza Scala che i veli cominciano ad
aprirsi, per merito di Eugenio Scalfari: “Niente di più lontano da
lui [Mattioli] di un Cuccia, di un Rockefeller o d’un Abs [il ministro
delle Finanze di Hitler] (...). Questi uomini hanno portato nel loro
mestiere un che di puritano e d’esclusivo, ...relegando al margine
della loro giornata quanto non fosse banca. Il contrario di Mattioli...”
(L’Espresso 5 agosto 1973).
Toccherà ancora a Scalfari andare oltre, un anno più
tardi: “Enrico Cuccia… veniva dalla covata Comit (...) Mattioli lo
stimava… ma capì presto che, alla lunga, non sarebbero andati
d’accordo… Cuccia era un banchiere quanto Mattioli e forse di più,
e questo l’ottimo don Raffaele non lo sopportava, almeno sotto lo
stesso tetto di casa. Perciò quando si autorizzò Mediobanca, il
candidato naturale c’era già.
Da quel momento, Enrico Cuccia avrebbe fatto corpo con la sua creatura
(...) ebbe l’ambizione di costruire… una banca d’affari con
rapporti internazionali. L’assillo di questo siciliano trapiantato a
Milano è sempre stato quello di sprovincializzare l’economia
italiana… Questa tendenza verso il cosmopolitismo, il fascino
esercitato su di lui dalla grande finanza internazionale… hanno
costruito a Cuccia un piedistallo di superiorità indiscutibile...”
(E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona, Feltrinelli, Milano, 1974,
p. 159 e segg.)” (54).
Cuccia rassicurava l’intero arco costituzionale: gli
americani, dato il suo passato resistenzial-azionista, i comunisti che
lo ritengono una longa manus di Mattioli,
“L’unico a cui non piaceva era Mario Scelba, (...)
“ossessionato” dalle ombre massoniche aleggianti nel mondo
finanziario e in particolar modo su coloro che avevano gravitato nel
Partito d’azione.
Dopo aver cercato di opporsi alla riconferma di Mattioli alla Comit,
Scelba s’esercitò anche nel boicottare Cuccia-Mediobanca; ma subì un
altro smacco, anche per l’intervento di… don Luigi Sturzo, che aveva
trovato un alleato nel giovane finanziere nella lotta che s’andava
profilando con Enrico Mattei… aedo dello statalismo economico.
La “guerra perduta” di Mario Scelba… non impedì che attorno alla
Comit e ancor più a Mediobanca continuasse ad aleggiare… l’alone
massonico” (55).
Mattei per Cuccia era il nemico numero uno, perchè Cuccia
era convinto che Mattei potesse vincere la sua battaglia che è fatta di
ostilità agli USA, di solidarietà verso le nazioni emergenti, che
esige una presenza attiva dello Stato nell’economia, che ha come punto
di riferimento De Gaulle: “combattente, cattolico, autoritario,
nazionalista, allergico agli americani” (56).
Mattei fu ucciso, al colmo della sua potenza, il 27 ottobre 1962. Il
Galli scrive: «Qualunque sia stata la causa della sua morte, fra i
“nemici” si collocava, in primissima fila, lo gnomo di via
Filodrammatici. – E continua - Fu a cena da Enrico Mattei... che
sentii per la prima volta nominare Enrico Cuccia… disse Mattei: “È
molto bravo, sa dove vuole andare, e bisognerà fare i conti con lui. Se
passa ci distrugge... Qui stanno le divisioni di Cuccia: i francesi, gli
americani, i tedeschi, gli ebrei...” Baldacci [direttore del
“Giorno”] fece presente che “è uomo di Mattioli, un amico”; al
che Mattei scosse la testa, con un “ne riparleremo” pieno
d’irritazione” » (57).
Cesare Merzagora
Merzagora nato a Milano nel 1898 e diplomatosi in
ragioneria, viene accolto alla Comit di Toeplitz che lo invia
nell’allora importante sede di Sofia in Bulgaria, ove fonda un
giornale antifascista.
Richiamato in Italia, rifiuta la tessera del PNF e Mattioli (succeduto a
Toeplitz), per evitargli guai, lo manda in missione in Francia, Marocco
e nei Balcani. Nel 1938 i Pirelli gli offrono la carica di direttore
generale. Durante la guerra civile, entra nei gruppi clandestini
liberali (il Partito d’azione lo lascia perplesso). Ai primi del
maggio 1945, proposto dagli anglo-americani e col consenso dei
comunisti, diventa “alto commissario” alla Pirelli. Ma convintosi
che l’Italia abbia una classe borghese marcia, pianta
Il “ragionier Cesarino” si rimbarca per
Viene eletto il 18 aprile del 1948 (riconfermato nel 1953 e nel 1958)
nelle liste democristiane come “indipendente”. Infatti è laico o
meglio laicista e liberale “allergico ad incenso e candele” - scrive
il Galli - “ma ciò non gli impedisce di trovarsi in sintonia con De
Gasperi… nemmeno gli è sgradito Enrico Mattei, almeno sin a quel
drammatico 1955, quando Mattei gli sbarra la strada al Quirinale per
favorire Giovanni Gronchi. Nell’occasione… il boss dell’ENI aveva
fatto correre la voce che Cesarino fosse in odore di Massoneria” (58).
L’elezione di Gronchi, con l’appoggio del PCI, lo rese
insofferente, quasi ribaldo e così, pian piano, perde amici per strada:
Mattioli, Carli, Andreotti, Colombo, Malagodi,
Negli anni Settanta Cuccia crede ancora nel capitalismo puro e duro.
“Convince gli Agnelli a rinunciare alla smobilitazione e al
trasferimento in USA: nella prospettiva del PCI al governo, Ugo
Bisogna chiedersi che ne sarebbe stato
dell’imprenditorialità privata italiana senza
Com’è riuscito Cuccia a salvare l’esercito dell’impreditoria
italiana, in rotta negli anni di piombo, quando gli stessi generali
meditavano la fuga? “Enrico Cuccia allargava le braccia, bisbigliando
“C’est le hasard...”. Diabolicamente abile, lasciava gli
interlocutori sulla brace. “Le hasard” può essere il Caso o,
per straordinaria assonanza, l’onnipotente Lazard!” (61).
Cuccia, Sindona,
Calvi, Gelli e
Verso la fine degli anni Sessanta inizio Settanta,
assistiamo ad un altro scontro: quello tra Cuccia da una parte e
Sindona, e quindi indirettamente anche Roberto Calvi, dall’altra. Sono
gli anni in cui agiscono Gelli e
Michele Sindona nasce a Patti (Messina) l’8 maggio 1920 da famiglia
povera e riesce a laurearsi (105/110).
Vedendo che la guerra prende una cattiva piega e che la
situazione di Mussolini si fa precaria, comincia a studiare l’inglese
per “ammanicarsi” con gli Americani; nel dopoguerra si avvicina alla
DC. Nel 1950 può già permettersi di acquistare una società del
Liechtestein,
Sino alla metà degli anni Cinquanta, Cuccia e Sindona si
erano ignorati «sino a far nascere l’impressione di un’assurda
gelosia fra siciliani... L’incontro del disgelo avviene in
Mediobanca... poi ricambiato in via Turati... A Sindona viene offerto di
“collaborare”; e lui risolve magistralmente un problema fiscale
della Fidia... È solo una breve parentesi di pace: la rissa riesplode
quando Marinotti propone di cooptare Sindona nel consiglio di
amministrazione della SNIA Viscosa dopo aver ottenuto il beneplacito di
Tino (...).
Cuccia avrebbe voluto attribuirsi la paternità della
nomina, e Sindona gli ribattè che c’era già stato il gradimento di
Tino. Al che, secondo Sindona, Cuccia avrebbe replicato con tono
alterato: “Dovresti sapere che in Mediobanca sono solo io a prendere
decisioni” » (63). Ma il guaio grosso scoppia quando Sindona tenta di
“bidonare”
Meyer, indignato, dopo aver sottoposto Sindona a una sorta
di processo presso
Tuttavia si dissociano sia i Lehman sia gli Hambro, ed anche alcuni
esponenti della Continental Illinois. Tra i consulenti legali di questa
cordata anti-Meyer vi è Richard Nixon.
“Si tratta di avvenimenti importanti, che dimostrano l’inesistenza,
almeno in questa fase, di qualunque demarcazione tra “finanza laica”
(Mediobanca) e “finanza cattolica” (Sindona). C’è piuttosto uno
scontro tra Meyer-Lazard e il “resto degli gnomi”, che però è
estremamente disarticolato (...).
Per quasi un decennio nè
D’altra parte ...Michele Sindona... affascinava...
spadroneggiava nei salotti milanesi... dicendo peste e corna di Cuccia,
ma anche facendo sfoggio di cultura; da Nietzsche allo Spengler del Tramonto
dell’Occidente... Cuccia appare in difficoltà. Lui che non
frequenta i salotti, quando gli riferiscono dell’esibizionismo del
rivale, si limita a ribattere... in inglese: Unreliable,
inaffidabile. Per chi conosce la fraseologia degli gnomi, nessuna accusa
a un finanziere può suonare altrettanto nefasta. Ma perchè si cominci
a prenderne atto occorre che Sindona scivoli sulla sua stessa
arroganza” (65).
Sindona, a partire dal 1967 cerca di espugnare le due roccaforti del
potere economico italiano: l’Italcementi del cattolico
ultraconservatore Carlo Pesenti, e
A questo punto inizia la partita attorno alla Bastogi,
l’offerta di pubblico acquisto (Opa) sindoniana scatta il 13 settembre
1971. “Per quattro giorni è una pioggia di adesioni e un coro di
approvazioni. Ma al quinto giorno le adesioni si bloccano, per il
boicottaggio dei grandi azionisti. Cuccia ha fatto intervenire Andrè
Meyer. Sindona corre in Roma-Capitale, ma può solo registrare che
persino Emilio Colombo, …sul quale faceva pieno affidamento, s’è
schierato con Cuccia-La Malfa (...).
Sostenere che… Sindona fosse l’espressione della “finanza
bianca” è dunque, almeno fino a questo punto, ...una distorsione
della realtà (...) “Sindona, ma dopo lui anche Roberto Calvi,
rovinarono a causa di erronee, spericolate operazioni sul mercato dei
cambi”, ha confermato Guido Carli (...).
La rottura definitiva tra Cuccia e Sindona si consuma in un salottino
riservato del “Club 44”… Qui pranza, solitamente il venerdì, la
compagnia… Sindona..., Cuccia..., Cefis. Finchè un venerdì Sindona
si ritrova… solo… Pochi minuti prima, in Mediobanca, Cuccia ha detto
a Cefis che si è stancato di sedersi col diavolo” (67).
Sindona capisce che lo scontro è arrivato ad un punto di
non ritorno, può contare oramai solo su Giulio Andreotti, su Anna
Bonomi e su Gaetano Stammati (iscritto alla P2).
“Sconfitto, e pur costretto a riparare in America, Sindona non
s’arrende… Le prime iniziative volte a coinvolgere personalmente…
Cuccia risalgono alla primavera 1977, passano attraverso la minaccia di
far rapire il figlio di Cuccia (...). Sindona considera il presidente di
Mediobanca come uno dei peggiori nemici (...). Le cronache dell’affare
Sindona (a partire dagli inizi degli anni Settanta sino alla morte,
causata da una tazzina di caffè avvelenato, nel supercarcere di Voghera
nel marzo 1986) restano… tuttora avvolte in una pesante coltre di
nebbia. Esattamente come era accaduto per “l’incidente” aereo di
Enrico Mattei, e come accadrà per l’impiccagione di Roberto Calvi…
Resta la considerazione che il destino ha sempre assegnato ai “grandi
nemici” di Enrico Cuccia una tragica uscita dalla scena di questo
mondo” (68).
Il tramonto del
keynesismo e il ritorno al capitalismo puro e duro
“Nei decenni Settanta-Ottanta, il disegno di “ritorno
al capitalismo” di Enrico Cuccia cessa di essere un’utopia. I
modelli keynesiani dell’economia sono in piena crisi, al pari del
socialismo reale. Nel mondo anglosassone si affermano le teorie
iperliberiste (“tutto va privatizzato”) dei Chicago-boys, un gruppo
di economisti [capitanati dall’economista ebreo Milton Friedman,
secondo il quale tutto va liberalizzato… anche la droga, l’aborto e
il suicidio] che ha condotto i suoi primi esperimenti nel Cile di
Pinochet [aiutato nel suo golpe anche dal Mossad]; e a loro si ispirano
Margaret Thatcher... e Ronald Reagan... In Italia Cuccia è fra i
pochissimi, forse l’unico ad avere previsto” (69).
“Il primo exploit Mediobanca lo realizza a Torino,
portando danaro fresco agli Agnelli superindebitati.
In Libia è al potere, ricco di petroldollari, ...il colonnello...
Gheddafi (...). È grazie al... presupposto adottato da Cuccia - trovare
i soldi dove ci sono, senza sottilizzare sulle origini, quindi metterli
a disposizione delle grandi famiglie - che si verifica l’ingresso dei
libici in FIAT. Le trattative cominciano nel 1975 (...). A propiziarlo
è Andrè Meyer (...).
Cuccia e Romiti
“Nel 1979, dopo l’assassinio da parte dei terroristi
rossi di Carlo Ghiglieno, ...gli Agnelli decidono di abbandonare i
passati, prudenti atteggiamenti, e di muoversi in controtendenza
rispetto al diffuso clima di rassegnazione, per riportare ordine ed
efficenza nelle fabbriche. I pieni poteri vengono affidati a Cesare
Romiti, su indicazione di don Enrico che lo aveva portato in FIAT un
lustro prima, nutrendo per lui incondizionata fiducia. Sessantuno
dipendenti in odore di terrorismo vengono licenziati… don Enrico
reputa indispensabile per il risano aziendale la “messa fuori
organico” (in pratica, il licenziamento) di 23.000 dipendenti (...).
In quei giorni roventi [1980], quando Gianni e Umberto, sottoposti a
molteplici pressioni, potrebbero barcollare, lo gnomoconfessore monta la
guardia. Sprona gli Agnelli… aizza Romiti… E
“Gli esami non
finiscono mai...”
La potenza di Cuccia-Madiobanca sembra essere allo zenit.
Gli imprenditori italiani sono unanimi: “Entri in Mediobanca e ne
riesci rassicurato, perchè c’è un uomo che ha la bacchetta
magica...”.
Il Galli narra un episodio illuminante sulla personalità di Cuccia tale
e quale lo ha sentito da un aristocratico milanese: Ambrogio Cesa
Bianchi, nel 24 luglio 1992: “La nostra famiglia, sul finire degli
anni Sessanta, fu oggetto di un tentativo di scalata alla Milano
Assicurazioni - narra il Cesa Bianchi - ... Moi fratello Ariberto era un
tipo strano… ma con amicizie importanti. Mio padre sospettava fosse
massone, e che per questo riuscisse a restare a galla nonostante i
comportamenti a dir poco bizzarri... assicurò che avrebbe pensato lui a
sistemare la questione (...). Ci portò a Torino, da Camillo De
Benedetti, che suggerì di rivolgerci a Cuccia (...). Finalmente
arrivammo in via Filodrammatici... Cuccia salutò con calore mio
fratello, e la cosa mi stupì. Se lo conosceva, come poteva avere
fiducia? Sull’affare, Cuccia mostrò lucidità e idee ferme: noi
rappresentavamo la tradizione, gli altri erano usurpatori. Aggiunse che
per lui era ...un onore dare il suo appoggio ad un’antica famiglia
(...). Ne ricavai una forte impressione, anche perchè tutto andò per
il meglio: agiva come fosse depositario di un potere occulto,
incontrastabile...” (72).
Eppure anche per Cuccia “gli esami non finiscono mai”,
come per qualsiasi mortale al quale verrà chiesto il Redde rationem
villicationis tuae, come insegna il Vangelo.
Il 1982 è per lui un anno delicatissimo, essendo arrivato alla soglia
dei settantacinque anni. Mediobanca dipende dall’IRI, nel cui statuto
la carica che ricopre Cuccia ha un termine anagrafico. In verità Cuccia
ha oltrepassato l’età della pensione già da un lustro, ma nessuno ci
aveva fatto caso. Però ora a Roma lo scenario politico è cambiato,
emergono Craxi e De Mita, i quali, sebbene siano rivali, sono
d’accordo nel ritenere che l’economia e la finanza italiane non
possano venir gestite dal solo Cuccia; mandano in avanscoperta Clelio
Darida, avvicinatosi ad Andreotti, che conserva un po’ di rancore
verso Cuccia per l’affare Sindona.
Darida, in quel tempo ministro di Grazia e giustizia, cerca
di portare dalla sua parte il presidente dell’IRI, Romano Prodi e
Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, i quali hanno una gran
voglia di mettere un freno al potere di Cuccia, mista ad un certo timore
reverenziale, più che giustificato. Cuccia fiuta la manovra, tuttavia
Per Cuccia… tutto ha da cambiare affinchè nulla cambi. Trasformatosi
in “consigliere anziano”, mantiene gli stessi poteri...” (73).
Frattanto Cuccia cerca di privatizzare Mediobanca, ma “lo
gnomo che credeva di giocare di sorpresa, si trova smascherato da un
articolo di Cesare Merzagora, su “
La vittoria di Cuccia
Nell’autunno 1985, Darida attacca, sostenuto da De Mita;
Craxi non muove un dito. “Entra a questo punto in scena...Gianni
Agnelli, dichiarando di rinunciare alla carica di consigliere in favore
di Cuccia. De Mita giudica la proposta una provocazione...Darida…
rifiuta il baratto, mandando deserta l’assemblea di Mediobanca del 28
ottobre. (...) Cuccia, spazientito, vola a Parigi. Breve riunione alla
Lazard, col consigliere Jean Guyot che firma la sua lettera di
dimissioni a favore di Cuccia, che pertanto continuerà a sedere in via
Filodrammatici per conto della banca francese cui spetta… una
poltrona. Con quella lettera in mano… lo gnomo inaffondabile può
celebrare in serenità il suo settantottesimo compleanno” (76).
Contemporaneamente inizia la graduale privatizzazione di Mediobanca.
La finanza italiana è stata ceduta così al “proconsole” (Cuccia)
degli “stranieri” (i Lazard).
L’economista Sergio Ricossa ha scritto: “Mediobanca è quasi tutto
nella finanza privata italiana, è quasi nulla nella finanza
internazionale” (77).
La privatizzazione di
Mediobanca
Cuccia nel 1986 sta cercando un nuovo presidente per
Mediobanca; la scelta cade su Antonio Maccanico, nato ad Avellino nel
1924, cresciuto in una famiglia antifascista e di “liberi
pensatori”. Il 6 febbraio 1987 Maccanico accetta la presidenza di
Mediobanca, dopo aver ottenuto l’assicurazione che si tratta di un
incarico effettivo e non di “facciata”.
Galli commenta: “I politici, l’IRI, ritengono di aver ingabbiato
Cuccia... “
Con la privatizzazione, il primato di Mediobanca è fuori pericolo.
Cuccia si è imposto. Tuttavia occorre rammentare che se in Italia
Cuccia è “il padrone dei padroni”, all’estero è un esecutore di
ordini dei Lazard, un “proconsole”, come lo chiama il Galli, in
breve colui che deve realizzare in Italia il piano consegnatogli dalla Banque
Lazard e da Andrè Meyer, oramai defunto, ma ben rimpiazzato.
La morte della Prima
Repubblica e la “eviternità” di Cuccia
Il 24 maggio 1990, l’ottantatreenne Cuccia convoca
Francesco Cingano, presidente effettivo di Mediobanca: Cuccia deve farsi
ricoverare per un intervento chirurgico alla prostata, come Mattioli...
Il 31 maggio a piazza degli Affari a Milano lo si dà per morto. I
titoli di Mediobanca flettono. Ma Cuccia ricompare, diafano, in via
Filodrammatici il 4 giugno. Tuttavia Mediobanca continua a cedere! Si
sostiene che potrebbe frantumarsi e che Cuccia non sia più in grado di
dirigere la situazione, qualcuno trama contro lui. Cuccia allora vola a
Roma e s’incontra con Craxi, lo convince a lasciare le cose come
stanno, nell’interesse di tutti. Nessuno dei politici si sente di
aggredire a viso scoperto Cuccia.
“Ristabilita la situazione a suo vantaggio, Enrico Cuccia si reca
venerdì 27 luglio all’abbazia di Chiaravalle per la messa in ricordo
di Raffaele Mattioli” (79).
Guglielmina la boema
Nacque nel 1210 da Costanza d’Ungheria e dal re di Boemia
Premislao I.
Tra il 1260-70 arrivò a Milano ove morrà nel 1281.
Guglielmina si considerava... Dio.
«Lo Spirito Santo era presente ed incarnato in lei» (80).
Tale dottrina ereticale creduta in segreto da Guglielma, fu insegnata da
Andrea Saramita, un gioachimita millenarista. Essa può essere ruassunta
così :
Guglielma è Dio Spirito Santo incarnato;
essa è venuta a portare la salvezza a coloro che sono fuori della
Chiesa, specialmente gli Ebrei, (oltre i musulmani), indipendentemente
dalla Mediazione di Cristo.
Se la prima tesi può essere attribuita, in senso stretto, solo al
Saramita (mentre Guglielma non la professava pubblicamente, ma la
lasciava circolare) ; la seconda (salvezza dei non cristiani,
specialmente dei non ebrei) è attribuita direttamente a Guglielma.
Dopo la morte di Guglielma (incarnazione femminile dello Spirito Santo,
che avrebbe dovuto risuscitare, come Gesù), i guglielmiti furono
guidati da due maestri:
Andrea Saramita:
il “teologo” gioachimita e millenarista.
Suor Maifreda (o Manfreda) da Pirovano: (delle suore Umiliate),
imparentata ai visconti.
Suor Maifreda «benedisse delle ostie che erano state deposte sul
sepolcro di Guglielma, e le distribuì ai presenti» (81). Il culto
della divinità di Guglielma era tenuto segreto e si svolgeva
discretamente nell’Abbazia di Chiaravalle dei cistercensi milanesi,
ove Guglielmina era stata sepolta e donde avrebbe dovuto risorgere.
Suor Maifreda era il capo religioso dei guglielmiti (i credenti nella
divinità di Guglielma).
Maifreda insegnava magisterialmente e amministrava i sacramenti. Essa
era il vicario di Guglielma, come Pietro (o il Papa) lo è di Cristo.
Papa Bonifacio VIII condannò il guglielmismo, sia dottrinalmente che
moralmente (a causa delle orge sessuali che vi si praticavano).
Nel 1300 (il 10 aprile) suor Manfreda celebrò messa «assistita da
diaconi e suddiaconi, rivestì gli abiti sacerdotali» (82).
Maifreda «prima del 1284 [data del primo processo inquisitoriale, nda]
credeva che Guglielma fosse la terza persona della SS. Trinità, venuta
in terra a liberare gli ebrei» (83).
Naturalmente - secondo i guglielmiti – Guglielmina, essendo Dio, era
superiore alla Madonna.
Secondo alcune fonti storiche Guglielma conviveva “more uxorio” con
Andrea Saramita, essi vivevano in una sinagoga sotterranea (84), ove si
abbandonavano a disordini sessuali con i loro seguaci, secondo
l’aspirazione dei fratelli del Libero Spirito (85).
Altri autori non ritengono storicamente fondata questa notizia. Comunque
è certo che Guglielma, Spirito Santo incarnato, ha scelto come sua
“papessa” Maifreda e che «il Papato, con la curia romana, devono
cedere la loro autorità a Maifreda, la quale deve battezzare gli
ebrei… e tutti gli altri… che sono fuori dalla Chiesa» (86).
Inoltre «attraverso Guglielma dovevano venire alla fede e alla salvezza
ebrei e musulmani» (87).
Infatti «il Sacrificio di Cristo non è bastato; una parte
dell’umanità è rimasta simbolicamente “incarcerata”. Ebrei e
musulmani sono il simbolo di tutto quello che rimane sulla terra… di
“non libero” (88).
Qualche storico vede un legame tra il Saramita, i francescani
millenaristi e il movimento del “Libero Spirito”.
Questa squallida vicenda si concluse nel 1300, quando l’inquisitore
Guido da Cocconato «successore di S. Pietro Martire» aprì un processo
contro i guglielmiti e mandò al rogo il Saramita, Maifreda assieme al
cadavere dissotterrato di Guglielmina:
Quel che colpisce è che Raffaele Mattioli abbia scelto come sua tomba
il sepolcro che aveva occupato per nove anni circa Guglielmina.
Ma il millenarismo è duro a morire, vi è un filo conduttore che da
gioachino da Fiore sino ad oggi spera in una terza èra dello Spirito
Santo, èra di libertà assoluta e di ecumenismo universale.
Il capitalismo
italiano nella tempesta
L’attacco di Saddam Hussein al Kuwait crea difficoltà
sui mercati. La recessione può rivelarsi catastrofica per l’Italia.
Giovanni Agnelli, Carlo De Benedetti, Raul Gardini e Leopoldo Pirelli
invocano Cuccia. “Con la tempesta Cuccia torna indispensabile. I
problemi della FIAT… sono enormi… quelli dell’Olivetti…
angosciosi. Leopoldo Pirelli arranca (...). Ma la patata che veramente
scotta è l’Enimont. Lì sembra in gioco la struttura stessa del
capitalismo italiano (...).
Cuccia ha ...una duplice preoccupazione: evitare l’auto affondamento
del “sistema” e non rimettere in discussione il principio delle
privatizzazioni” (89).
Il giorno dell’ottantatreesimo compleanno (24 novembre 1990) di
Cuccia, esce un’intervista velenosa contro Mediobanca che Carlo
Bombieri ha rilasciato al “Corriere della Sera”. L’ex collega di
Cuccia “mastica amaro” per essere stato emarginato e il suo
insistere sul fatto che Mediobanca ha preso “una strada assai diversa
da quella che avrebbe voluto Mattioli” tradisce una certa nostalgia
del passato.
“[Cuccia] sa benissimo di non aver seguito le orme del
maestro, ma se lo avesse fatto, non avrebbe cavato un ragno dal buco: il
mitico maestro venne impallinato dai politici a settantasette anni,
mentre lui è ancora al suo posto, con buone possibilità di restarci a
lungo” (90).
Nel 1991 Cuccia riesce a salvare
Cuccia, defilatissimo, riuscirà a fatica a reincollare i cocci, facendo
in modo che Giovanni Agnelli e Michel David Weill, il “patron” della
Lazard, tornino a stringersi la mano (...).
Tante sono… le spine per Cuccia ma la più dolorosa si chiama
Salvatore Ligresti” (91).
Ligresti:
un’amicizia pericolosa
Ligresti è accusato di rapporti con la mafia e per la sua
supposta pericolosità, i giudici hanno ottenuto una proroga della sua
detenzione preventiva. “Nulla emergerà in proposito, ma a Milano,
nell’occasione c’è chi ha la lingua molto sciolta. Come Piero
Bassetti...: “Vorrei… ricordare che il primo a dire che il capo dei
mafiosi era Cuccia, sono
“Ma perchè Enrico Cuccia difende con tanto accanimento, oltre
all’amico Ligresti, il Ligresti-consigliere? Per solidarietà
interessata, viene spontaneo supporre. In carcere, don Salvatore…
mantiene il riserbo...” (92).
Mediobanca “in
politica”
Cuccia non ha mai stimato i politici italiani. Desiderava
un uomo forte, ma non giungeva. Era stato colpito, inizialmente, da
Craxi, però ben presto ne fu deluso. Così cominciò a lavorare da sè
perchè le cose cambiassero. Andò di persona al “Giornale” di
Montanelli, con il quale era in buoni rapporti sino alla rottura della
primavera 1994, ad apporre la firma per il referendum Segni (che avrebbe
visto bene come primo ministro) sulla preferenza unica. Poi aveva
incitato Giorgio
Conclusione
A partire dalla “morte” di Enrico Mattei (1962) sembra
che in Italia regni un’assenza di strategie economico-finanziarie
alternative a Mediobanca. Chi ci ha provato (Sindona, Calvi) è stato…
“sconfitto”...
“Di finanza, da trent’anni almeno, ne esiste una sola: quella di
Cuccia” (94). Tuttavia anche Cuccia è un uomo, speciale sì, ma non
onnipotente ed eterno!
Il Galli ammette: «Anche a Enrico Cuccia... il tentativo di portare
l’imprenditorialità in Europa è riuscito solo parzialmente…
Nonostante [ciò], Cuccia resta fra i pochissimi, forse l’unico [in
Italia], a disporre di una strategia (...).
L’ultima volta che ho stretto la mano ad Enrico Cuccia è stato il...
27 luglio 1995, nell’abituale scenario dall’Abbazia cistercense di
Chiaravalle, per il ricordo di Raffaele Mattioli. È arrivato puntuale
come al solito... a testimoniare una dimensione umana che... il cinismo
professionale, non ha intaccato. Era in splendida forma fisica, e
dimostrava almeno vent’anni in meno... Gliel’ho detto, e mi ha
sorriso: “Sì, la forma c’è. Come potrei, altrimenti,
continuare?”» (95).
Nonostante abbia compiuto novant’anni, il 24 novembre
1997, Cuccia è lucido e conta ancora.
“La dimostrazione, eloquente, c’è stata proprio ieri, quando
Antoine Bernheim, potente presidente delle Generali [di Trieste], si è
recato di prima mattina in Mediobanca per avere da lui la benedizione
prima di proporre in consiglio la sua strategia per conquistare il
colosso francese Agf. Il consiglio e il potere di Cuccia, insomma,
contano ancora (...).
Difficilmente, senza l’opera di Cuccia, l’Italia potrebbe oggi
presentarsi in Europa con imprese private di un certo peso... E questo
perchè è stato lui ad aver eretto, grazie alla sua tela di alleanze
italiane e internazionali, un bastione inespugnabile per la
partitocrazia” (96).
NOTE:
[G. GALLI, Il banchiere eretico. La singolare vita di Raffaele Mattioli, Rusconi, Milano, 1998]
35) Ibid., pagg. 215-216.
36) Ibid., pag. 217.
37) G. GALLI, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di
Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti, Milano, 1995, pag.,
9.
38)
Ibid., pag. 9.
39) Ibid., pag. 25.
40) Ibid., pag. 26.
41) Ibid., pag. 27.
42) Ibid., pag. 72.
43) Ibid., pag. 222.
44) Ibid., pag. 30, nota 11.
45) Ibid., pag. 31.
46) Ibid., pag. 32.
47) Ibid., pag. 33.
48) Ibid., pag. 34.
49) Ibid., pag. 35.
50) Ibid., pag. 37.
51) Ibid., pag. 39.
52) Ibid., pag. 41.
53) Ibid., pag. 42.
54) Ibid., pagg., 60-61.
55) Ibid., pag. 63.
56) Ibid., pag. 79.
57) Ibid., pag. 80 e nota 1 alla stessa pagina.
58)
Ibid., pag. 101.
59) Ibid., pag. 101.
60) Ibid., pag. 111.
61) Ibid., pag. 112.
62) Ibid., pag. 117.
63) Ibid., pag. 119.
64) Ibid., pag. 119.
65) Ibid., pagg. 120-121.
66) Ibid., pag. 121.
67) Ibid., pag. 124.
68) Ibid., pagg. 125-126.
69) Ibid., pag. 136.
70) Ibid., pag. 137.
71) Ibid., pag. 140.
72) Ibid., pagg.141-142, nota 6.
73) Ibid., pagg. 142-143.
74) Ibid., pag. 148.
75) Ibid., pag. 150.
76) Ibid., pag. 151.
77) SERGIO RICOSSA, Come si manda in rovina un Paese. Cinquant’anni
di malaeconomia, Rizzoli, Milano, 1995, pag. 236.
78) G. GALLI, op. cit., pag. 159.
79) Ibid., pag. 190.
80) L. MURARO, Guglielma e Maifreda. Storia di un’eresia femminista,
81)
Ibid., pag. 53.
82) Ibid., pag. 69.
83) Ibid. pag. 88.
84) Ibid., pag.125.
85) La setta del “Libero Spirito”
L’eresia del Libero Spirito consiste in un falso misticismo che
esagera la libertà sino a renderla assoluta, negando così ogni freno o
limite all’uomo.
Il fratello del Libero Spirito si riteneva assolutamente perfetto «da
essere incapace di peccato» (N. COHN, I fanatici dell’Apocalisse,
Comunità, Milano, 2000, pag. 182).
Egli riteneva di avere il diritto di fare quanto era comunemente
proibito. Le orge sessuali erano la pratica comune di tale setta (come
di ogni setta).
Per il Libero Spirito «tutti i membri del clero [erano] ingannatori
di anime e strumenti del diavolo» (Ibid., pag.184).
Ognuno di essi si considerava l’incarnazione dello Spirito Santo ed
esercitavano il ruolo di profeta della “Terza Alleanza”
gioachimita.
Oltre la lussuria, costoro si facevano notare per l’ostentazione di
lusso ed eccessiva ricchezza (Ibid., pag. 191).
«Le donne [cfr. Guglielma e Maifreda, nda] svolsero una parte di
rilievo nel movimento del Libero Spirito» (Ibid., pag. 195), assai
diffuso in Boemia.
Il nucleo di tale eresia era più che una teoria, un’aspirazione «l’appassionato
desiderio di superare la condizione umana e diventare Dio»
(Ibid., pag. 213). Anzi essi pretendevano di «aver superato Dio» (ibid.,
pag. 215).
Tali deviazioni sono continuate sino ai nostri giorni, sotto forma di
esoterismo o “metafisica tradizionale” (cfr. Guènon, Evola, Schuon).
86)
Ibid., pag.138.
87) Ibid., pag.154.
88) Ibid., pag. 156.
89) Ibid., pagg. 190-191.
90) Ibid., pag. 197.
91) Ibid., pag. 209.
92) Ibid., pag. 210.
93) Ibid., pag. 211.
94) Ibid., pag. 242.
95) Ibid., pag. 248.
96) “
Recentemente i quotidiani hanno scritto: “Grande finanza... armistizio
Mediobanca-Lazard. Bernheim presidente fino al 2001: “Nessuna ombra
nei rapporti con Cuccia”. Trieste. È scoppiata la pace alle Generali?
(...) I vertici del Leone hanno impiegato energie a profusione per
dimostrare... che non c’è mai stata guerra nè all’interno della
compagnia, nè fra i suoi maggiori azionisti, Mediobanca e Lazard. «Mai
sentito di nessuna guerra”, ha sottolineato... Antoine Bernheim,
presidente confermato del colosso triestino. (...) Bernheim, socio
gerente di Lazard, ha quindi aggiunto che è e resta vicepresidente di
Mediobanca... “Con Enrico Cuccia... sono amico da 35 anni e non c’è
mai stata un’ombra nei nostri rapporti” » (“Il Corriere della
Sera”, 28 giugno 1998, pag. 17).
Cfr. anche “
Inoltre per quanto riguarda le Assicurazioni Generali, occorre sapere
che “Alcune famiglie di vittime dell’olocausto hanno citato in
giudizio sette compagnie di assicurazioni europee - fra le quali le
italiane “Generali”... - accusandole di aver... compiuto irregolarità
su polizze sulla vita contratte tra il 1920 e il 1945. L’azione legale
punta ad ottenere risarcimenti-danni per un ammontare di diversi
miliardi di dollari...”. (“
Conclusione della vertenza: “Il fondo di 12 milioni di dollari
costituito dalla società di assicurazione Generali di Trieste in
memoria dei suoi assicurati scomparsi nell’olocausto è stato
presentato ieri a Gerusalemme nel corso di una cerimonia che si è
svolta alla Knesset...” (“