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La politica dal volto umano del presidente dell’Eni
Petrolio, guerre e amnesie. Mattei, l’antiamericano
A cura di Anna Prato

Sono tempi di paura, incertezze, sgomento, incredulità, rabbia. Sono tempi in cui la memoria dovrebbe prendere il sopravvento sulle amnesie.
1962, anno dei boom economici (per alcuni), dei Beatles, della seicento, dei jukebox ma anche di Cuba, della Baia dei Porci, del rischio di una terza guerra mondiale terribile.
L’atomica aveva causato già i suoi orrori (Hiroshima, Nagasaki.. per mano di chi? Di qualche folle dittatore? O dalla decisione di governi così detti democratici?) Quando il pericolo fu evitato, i più, forse, non se n’erano nemmeno resi conto o non ne furono adeguatamente o sufficientemente informati, forse.
1962, muore Enrico Mattei in un drammatico incidente aereo, un nome, forse, estraneo alle nuove generazioni. Dimenticato, forse, volutamente dalle vecchie generazioni o accantonato dalle imperdonabili amnesie.
Francesco Rosi, regista, nel 1972 realizza un film – dossier “Il caso Mattei”, qualche anno prima incarica Mauro De Mauro, giornalista di un quotidiano palermitano, di ricostruire gli ultimi due giorni trascorsi da Mattei in Sicilia.

Ma chi era Mattei?
Il protagonista: Mattei è il presidente dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi).
Contesti e soggetti: l’Italia, gli americani e le sette sorelle (grandi compagnie petrolifere), i paesi del Medio Oriente e poi il protagonista dei protagonisti “il petrolio”.
Mattei, che tutti chiamano l’Ingegnere, si è prefisso un obiettivo: lo sviluppo del Paese che considera di forti potenzialità; ostacolare il monopolio americano sui pozzi petroliferi in Africa dove gli indigeni vivono in povertà e muoiono di fame, subendo un arrogante sfruttamento e colonizzazione occidentale. Il film di Rosi, che ho avuto il piacere di rivedere dopo trent’anni su Streem, è la memoria di un fatto archiviato fra i così detti misteri di casa nostra.
Rispettato, temuto, minacciato più volte di morte, Mattei è deciso a combattere i “quattro miliardari” che decidono come muovere i fili legati alla sorte di miliardi e miliardi di esseri umani. Li definisce proprio così “quattro miliardari” prepotenti: mi ha sbalordito sentire la sua definizione, riportata magistralmente dall’interpretazione di Gian Maria Volontè, perché sono gli stessi “quattro ometti” citati più volte dalla sottoscritta in precedenti opinioni inviate al giornale molti anni più tardi. Dal 1962 ad oggi sono trascorsi più di quarant’anni, dal film-dossier di Rosi una decina in meno ma ciò che dice Mattei ad un giornalista che lo accompagna fra i pozzi petroliferi africani sembrano parole pronunciate appena, appena pochi giorni fa, più o meno dice così: “Se non sarò io a fermarli (gli alleati d’oltre oceano, dei quali, credo, nessuno ha dimenticato o rinnega l’aiuto nell’ultima guerra, anche se ampiamente compensato, ma ciò non vuol dire divenirne i vassalli e condividere sempre e comunque metodi, comportamenti, regole, criteri) saranno i popoli che camminano su queste terre nel cui ventre scorre l’80% del petrolio mondiale.
"Mattei non impone lo sfruttamento delle risorse, come fanno gli americani, ma applica la politica del fifty-fifty. Ai governanti dell’Iran e dell’Egitto, ad esempio, formula questa proposta: l’Eni si sobbarca tutte le spese per la ricerca petrolifera. Se il petrolio non c’è, voi non ci rimettete nulla. Se invece c’è, il paese produttore diventa socio al 50% dell’Eni, dopo aver pagato la metà del costo di sviluppo del giacimento e aver rimborsato le spese iniziali. In più, al paese produttore, va un altro 50%, cioè la differenza tra costo materiale e il prezzo di vendita del greggio. Ovvio che di fronte a questa ardita proposta i paesi arabi, ricchissimi di petrolio, vedono Mattei come un amico, preferendo trattare con lui piuttosto che con altri".

Quando si scopre il metano nel sottosuolo siciliano, oltre che in quello della Lombardia, Mattei si reca nell’isola ed esorta la gente a far ritornare i propri cari emigrati poiché, da lì a poco, ci sarebbe stato lavoro e sviluppo. Sicuramente l’Ingegnere Mattei amava l’Italia e amava gli italiani, soprattutto amava l’umanità, non a caso uno dei suoi pensieri era di contribuire allo sviluppo dei popoli produttori del così detto “oro nero”, ostacolando la politica (anche italiana) che permetteva benefici solo per i paesi consumatori del petrolio, che, come lui sosteneva, era la causa di tutte le rivoluzioni, guerre, colpi di stato e soprattutto fame e morte per miliardi e miliardi di esseri umani.
Mattei muore, forse, in un incidente. Mauro De Mauro scompare misteriosamente. C’è chi afferma che, forse, è stato ammazzato per il caso Mattei. L’aeroplano, un Morane Saulnier, che avrebbe dovuto riportare l’ingegnere a Milano e da lì a pochi giorni in Algeria per firmare un accordo sulla produzione petrolio scomodo per le “sette sorelle”, si schianta nei cieli della Val Padana e c’è chi dice che è stato sabotato.
2003. Sono tempi in cui soffiano venti di guerra, c’è chi dice che a causarli è il protagonista dei protagonisti “il petrolio” e la prepotenza, mai sopita, di chi ancora crede di poter egemonicamente governare il mondo. Il pensiero e la volontà di Mattei e di uomini come lui, forse, avrebbero ostacolato o cercato di evitare i risultati di questo presente tormentato dagli orrori e dallo stesso pericolo, forse ancor più pericoloso, in cui tutto il mondo fu minacciato nel lontano 1962: la guerra. Saremo capaci di evitarlo per una volta ancora? Sapremo sconfiggere le cause ed i misteri che tormentano gli italiani e l’umanità? Forse.

Certamente l’Italia, come altri paesi, ha avuto i suoi martiri e forse ancora ne avrà. Personalità eccezionali la cui memoria dovrebbe prendere il sopravvento su pericolose amnesie, troppe amnesie. C’è qualcuno in Italia e nel mondo che si ricorda dell’Ingegnere Enrico Mattei? Forse.
Non saranno i troppi “forse” ad aver determinato l’abisso in cui è sprofondato il mondo intero?
Nel lontano 1962, in Sicilia, nel constatare l’accoglienza di grande affetto, rivolta al presidente dell’Eni, il giornalista inglese William Mc Hale che lo accompagnò, poi, nel suo ultimo viaggio, affermò: “Lei, presidente, è molto amato dalla gente...”, “sì”, rispose Mattei, “dalla povera gente si…”.
Enrico Mattei, definito dalla stampa dell’epoca, l’uomo più potente d’Italia dopo Giulio Cesare, muore il 28 ottobre 1962, schiacciato dalla colpa d’aver cercato di contribuire alla costruzione di un mondo più giusto per tutti e nella convinzione che ciò è possibile. Se non in termini assoluti, quanto meno, cercando di avvicinarsi il più possibile eliminando gli orrori, bandendo le arroganze e le prepotenze, senza né-né- o nì-nì, ma con un No fermo, deciso, intelligente, umano. Un criterio, oggi come allora, definito “infantile e utopistico” (Merlo - Corriere della Sera del 3 febbraio u.s.). C’è chi continua, invece, a “giocare” con uno strumento demenziale quanto folle, ritenendolo inevitabile, e preventivo. Uomini come Mattei non hanno avuto niente d’infantile ma sono stati grandi uomini rimanendo “bambini” dopo aver conosciuto l’arroganza dei “grandi” che offende, insulta, mortifica e distrugge il vero significato di definirsi uomini.


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