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Maledetto
petrolio
di Carlo Bertani
Lucio Anneo Seneca
E’
quasi impossibile trascorrere un solo giorno senza sbattere contro
l’evidenza della realtà energetica italiana: eppure, quel che tiene
banco è il penoso teatrino delle intercettazioni telefoniche, delle
“veline”, delle leggi ad personam, dei magistrati da assolvere o
condannare, dei ministri-ombra di se stessi…
In mezzo a tutto questo bailamme, nessuno parla quasi più
dell’evidenza – lampante – che stiamo diventando sempre più
poveri per il costo dell’energia.
Come ogni anno, viene pubblicata[1]
la classifica delle principali holding planetarie:
1)
Exxon Mobil (USA);
2) PetroChina (Cina);
3) General Electric (USA);
4) Gazprom (Russia);
5) China Mobile (Hong Kong);
6) Bank of China (Cina);
7) Microsoft (USA);
8) AT&T (USA);
9) Royal Dutch Shell (UK);
10) Procter & Gamble (USA);
...
36) ENI;
69) Intesa Sanpaolo;
70) Unicredit;
100) ENEL;
…
316) FIAT.
Nelle
prime dieci posizioni troviamo ben quattro corporation del petrolio, ed
una (General Electric) che fornisce servizi all’industria petrolifera.
Se cerchiamo aziende italiane, la prima è ENI (petrolio, 36° posto) ed
al 100° troviamo ENEL (energia), mentre FIAT occupa solo la 316°
posizione.
Rispetto all’anno precedente, i movimenti “a salire” sono stati
tutti delle imprese energetiche, mentre le banche hanno perso terreno: i
subprime hanno chiesto dazio.
Tornando alle prime posizioni, è curioso notare che le prime quattro
sono occupate da petrolio & affini, mentre la grande Microsoft è
solo al settimo posto: senza energia, anche i veloci processori perdono
terreno.
Niente di nuovo sotto il sole – verrebbe da dire – e invece qualcosa
di nuovo c’è o, almeno, qualcosa che sarebbe meglio meditare.
Si
cercano ipotesi fra le più disparate per non riconoscere l’evidenza
più limpida: un bene divenuto essenziale, presente in quantità finita
nel pianeta e con una domanda in forte crescita (Cina), logicamente,
aumenta di prezzo.
E’ pur vero che non tutto l’aumento è reale (riflettiamo sul
precipitare del dollaro), ma è altrettanto evidente che anche messer
euro non riesce a tener testa al vero bene primario del pianeta, al
signor oro nero che ha preso il posto dell’oro giallo nel definire i
valori delle monete. Potremmo quasi misurare il valore relativo di euro
e dollaro valutandoli sul barile di petrolio.
Il
prezzo del greggio[2],
dall’estate del 2005 ad oggi, è passato da 60 $/barile agli attuali
140 circa: l’euro, nel medesimo periodo, è passato da 1,2 ad 1,6 sul
dollaro (approx)[3]:
un barile di petrolio del 2005 costava 50 euro, oggi ne costa quasi 90.
Ecco perché la benzina aumenta nonostante l’apprezzamento della
moneta europea.
Il prezzo dei carburanti sarebbe dovuto salire dell’80% circa:
consideriamo, però, che l’aumento del prezzo va ad incidere sulla
parte “industriale” del costo dei carburanti, che è circa la metà
perché il resto sono imposte.
Se riflettiamo che la benzina è passata – sempre negli ultimi tre
anni – da 1 euro ad 1,5 euro (incremento del 50%), i conti –
pressappoco – tornano. Per
il gasolio il problema è diverso: siccome il rapporto fra benzina e
gasolio, nella distillazione frazionata del greggio, varia poco – e
parallelamente è aumentata la richiesta per l’alto numero d’auto a
ciclo Diesel in circolazione – l’aumento del prezzo incorpora
maggiori costi industriali per soddisfare la domanda.
A
margine, notiamo che circolano sul Web storie fantasiose su un
fraudolento aumento del greggio, le quali basano queste ipotesi su un
prezzo del greggio – nel 2000 – di 60 $/barile, il che è
tragicamente falso.
Il prezzo del greggio, nel 2000, oscillò intorno ad un valore medio di
circa 25-30 $/barile[4],
valore raggiunto rapidamente, dopo aver toccato il minimo degli ultimi
vent’anni il 16 febbraio 1999, con un prezzo di 9,82 $/barile[5].
Non
cerchiamo quindi lontano dal buon senso ipotesi fantasiose: stiamo
vivendo la parabola calante dell’Evo Petrolifero. Qualcuno afferma che
il famoso “Picco di Hubbert” è già avvenuto, oppure è prossimo:
poco importa, se valutiamo l’andamento del mercato.
Altri affermano che il petrolio è abbondante perché non ha origine
biologica (ipotesi che non spiega la presenza di colesterolo nel
greggio, la rifrazione della luce polarizzata e la preponderanza
d’idrocarburi con atomi di Carbonio dispari, tutte caratteristiche
delle molecole di derivazione organica). Se così fosse, basterebbe
rivelare dove si trovano i fantomatici ed immensi giacimenti di petrolio
d’origine inorganica.
Ultima trovata è la speculazione: vero, verissimo che sui future del
greggio si specula a piene mani, ma solo perché la richiesta è in
continuo aumento e tale da non guardare troppo in faccia ai prezzi.
PetroChina, nell’anno appena trascorso, ha comprato a man bassa
diritti d’estrazione in Africa senza badare troppo al prezzo, giacché
è più importante garantire energia al colossale apparato industriale
cinese che spilluzzicare sui centesimi. La speculazione, dunque, nasce e
prospera perché è il mercato stesso a garantirne il successo: provate
a speculare sui future dei carri da buoi.
Che
ci piaccia o non ci piaccia, dunque, la situazione è di una semplicità
disarmante: qualche decennio d’estrazione – a costi sempre maggiori,
dovuti anche al progressivo esaurimento dei giacimenti meno profondi ed
ai maggiori costi di raffinazione per le sezioni più profonde e dense
del prodotto – e poi…carbone a volontà! Per un altro secolo, forse[6].
Dopo esserci immersi nell’universo petrolifero, torniamo agli affari
di casa nostra, ovvero a cosa stanno facendo i nostri politici per
tentare di trovare soluzione al problema: niente.
Il
precedente governo, per non rischiare di commettere errori, decise
semplicemente di non far nulla o quasi: l’unico intervento – che
segnaliamo più per correttezza che per incisività del provvedimento
– è stata l’incentivazione che ha riguardato e riguarda il solare
termico, gli impianti per l’acqua sanitaria.
Provvedimento di per sé accettabile, se non fosse che gli italiani che
possono sborsare 4-6000 euro per un impianto non sono tantissimi: i più,
cercano più che altro di non farsi sbattere fuori di casa per non aver
pagato il mutuo. Oppure, vagano negli hard discount alla ricerca del
prezzo più basso. Altro che le elucubrazioni di un ambiental-chic come
Pecoraro.
L’attuale
governo, invece, ha scelto la via del decisionismo: ottimo, verrebbe da
dire. Sì, se non avessero “deciso” di prendere la strada sbagliata.
La barzelletta del nucleare italiano è l’ultima trovata di patron
Berlusconi e del suo ministro Scajola. Udite udite, popolo, e pascetevi.
Fino al 2013, ci sarà la fase di “identificazione” dei siti dove
dovrebbero sorgere le famose quattro centrali nucleari: poi, si dovrebbe
passare alla costruzione. Sotto controllo militare (!).
Se tutto dovesse filare liscio – cosa assai rara nello Stivale – per
il 2020 ci sarebbe il primo KW di produzione nucleare.
Nel
frattempo, non sappiamo a quanto potrà arrivare il prezzo dell’Uranio
(che sale come un’iperbole, poiché è una fonte non rinnovabile) e
non sappiamo nemmeno chi caccerà i soldi per una simile, ciclopica
impresa: inizino a scovare i quattrini per Alitalia, come avevano
strombazzato. Altrimenti, di tante “cordate”, rimarrà solo la corda
per impiccare i lavoratori.
Senza considerare i costi della conservazione delle scorie: se qualcuno
ha ancora dei dubbi sulla non convenienza economica del nucleare, legga
il mio “Vattelapesca forever” e si faccia un’idea.
Perché tanta sicumera senza senso? Perché ignorano, non sanno,
sono…insomma…non mi va d’usare il participio presente di quel
verbo…
Uno
dei principali ostacoli allo sfruttamento delle energie rinnovabili,
riguarda il falso concetto che abbiamo di rivoluzione industriale. Per
molti (tantissimi fra coloro che ci governano), la rivoluzione
industriale fu quella cosa che nacque in Europa alla metà del
Settecento. Prima, regnava il nulla.
Complici gli Illuministi – che ebbero buon gioco nel mostrarsi i veri
progressisti dell’epoca – ciò che avvenne prima, sotto il profilo
tecnologico, era considerato irrilevante.
In qualche modo corresponsabili dello sciagurato inghippo, furono tanti
storici che – del Medio Evo – studiarono più il pensiero filosofico
e religioso e poco quello scientifico e tecnologico. Insomma, per i più,
il Medio Evo (e parte del successivo Evo Moderno) erano privi di
tecnologia.
Ci
ha un poco salvati da questa pericolosa impasse la scuola storica
francese[7],
che iniziò a studiare e catalogare con pazienza le miniature, i rari
testi, i quadri…insomma, tutto ciò che poteva in qualche modo
squarciare il velo imposto dall’ingombrante pensiero filosofico
medievale, e farci osservare come viveva la gente all’epoca.
Ricordiamo anche Carlo Maria Cipolla ed il suo (fra i tanti) Uomini,
tecniche, economie.
Insomma,
cosa raccontano questi storici?
Narrano un mondo povero d’energia, se lo paragoniamo agli attuali
consumi, che però riusciva a sfruttare tutto ciò che aveva a
disposizione per risolvere la penuria d’energia e migliorare le
condizioni di vita delle popolazioni. Riflettiamo che, all’avvento
della propulsione a carbone sulle navi, l’intero pianeta era già
stato esplorato. A vela.
Tutti
sanno che gli olandesi riuscirono a vivere in una terra paludosa
prosciugando i polders mediante i mulini a vento: non tutti
sapranno quale meraviglia della tecnica erano quei mulini. La potenza
non era alta – 10-20 kW al massimo – ed era regolata mediante
sistemi di governo delle pale che erano stati mediati dalle attrezzature
veliche navali. Anche l’invenzione del pennone girevole su un estremo
(boma) fu olandese, quando dovettero risolvere il problema
d’utilizzare piccoli velieri, molto maneggevoli, per la sorveglianza
delle coste.
Il mulino a vento olandese, oltre che come pompa idraulica, era usato
per macinare cereali e spezie (ricordiamo l’importanza della compagnia
olandese delle Indie) e per segare il legname. Era, in qualche modo, una
“centrale energetica polivalente” dell’epoca, che funzionò a
meraviglia per secoli.
Sarebbe
interessante valutare – ma le fonti sono purtroppo scarse – il
“risparmio energetico”, inteso come forza muscolare economizzata,
operato per secoli dagli olandesi mediante i loro mulini. I quali – è
bene ricordarlo – non sorsero solo nelle Zeven Provinzen, ma
dalla Galizia alla Danimarca.
E dove non c’era vento?
Qui,
la pittura è stata d’aiuto agli storici: scorci di fiumi dove
sorgevano serie di mulini ad acqua disposti “in cascata”, oppure
canali d’alimentazione per i mulini, ruote, macine, ecc. Siccome il
mulino ad acqua – in epoca medievale – era spesso privilegio delle
famiglie nobili o degli ecclesiastici, qualche fonte scritta è stata
ritrovata negli archivi.
Ciò che emerge dalle loro analisi – come un’immagine che prende
forma in un bagno fotografico – è un mondo che preannuncia e già
riproduce lo schema della rivoluzione industriale: macine per i cereali,
ma anche magli per la metallurgia e telai mossi dalla forza
dell’acqua. Insomma: l’avvento dei combustibili fossili si “adagiò”
su un modello che era già formato!
Essere
inconsapevoli di quei fenomeni, che ci sembrano lontani e quindi
ininfluenti, è ciò che porta a concludere – come usa fare Franco
Battaglia – che le energie naturali sono “energie vecchie” perché
già usate dall’uomo in tempi lontani. A parte l’errore di metodo
che Battaglia compie quando afferma che l’energia solare è
anch’essa “vecchia” – l’uomo non ha mai trasformato
l’energia solare in energia meccanica: la usò, ma passando sempre
attraverso la fotosintesi vegetale (legname, cereali, ecc) – non si
comprende perché quantità d’energia presenti ed abbondanti nel
Pianeta debbano essere trascurate soltanto perché – a suo dire –
“vecchie”.
Forse perché il simpatico professore emiliano ha studiato
Tutto
ciò, è soltanto la classica “immersione” nella Storia?
No, perché chi ha oggi superato la cinquantina, ha ancora visto con i
suoi occhi le ultime immagini di quel tempo, gli estremi afflati di
quell’epoca.
Non dobbiamo andare troppo lontano: fino a pochi anni or sono, mi recavo
ad acquistare la farina in un vecchio mulino ad acqua nell’entroterra
ligure. Nell’azienda dove lavorò per molti anni mio padre,
l’energia era tratta da una ruota ad acqua collegata ad un alternatore
che forniva 40 KWh. 40 KWh non sono proprio niente: possono far ruotare
una decina di torni.
Presso la casa dove abitavo da bambino, scorreva una roggia con forte
pendenza che alimentava piccole turbine per la produzione idroelettrica
e qualche mulino: oggi, la roggia è secca perché nessuno ha più
provveduto alla manutenzione.
Mia
madre – che durante
Molti fra noi, scavando un poco nei ricordi familiari, troveranno
identici racconti: se non basta, ricordiamo Bacchelli ed i suoi mulini
del Po, migliaia di mulini, dalla sorgente al delta.
Insomma, non dovremmo – se vogliamo trovare soluzioni al problema
energetico – scervellarci in chissà quali elucubrazioni: potremmo
iniziare a ricordare.
Quando è terminato quel mondo?
Fornire
delle date è cosa ardua, ma di certo la nazionalizzazione della
fornitura elettrica (ENEL) del 1960-61 diede un colpo mortale alla
produzione diffusa d’energia elettrica. Ci furono ovviamente dei
benefici: la razionalizzazione della distribuzione, che condusse a dei
risparmi, ma quello era un altro mondo, per costi, consumi e classe
politica.
La nazionalizzazione pose fine all’attività di piccoli e medi
produttori (che furono indennizzati) ed inaugurò il metodo della
produzione centralizzata, appannaggio di un solo ente statale.
Oggi, si parla di privatizzare il settore elettrico (decreto Bersani del
1999), ma questa “privatizzazione” non parla il linguaggio della
produzione diffusa sul territorio: ossia, la ammette, ma solo per
impianti di “media taglia”.
Quel
“media taglia” significa potenze troppo elevate per una produzione
veramente diffusa sul territorio: in pratica, parliamo di decine di MW
invece di decine di KW.
Ovviamente, non c’è nulla di male ad installare parchi eolici in
località ventose ed isolate (oppure in mare, off-shore) per
ottenere cospicui volumi energetici, come non sarebbe male seguire
l’esempio spagnolo, che prevede la costruzione di ben 28 centrali
termodinamiche (paradossalmente, l’invenzione ed i primi sviluppi sono
italiani, di Rubbia e dell’ENEA!). Per farlo, è però necessario
“muovere” cospicue risorse e realizzare complessi accordi per i
finanziamenti. Eppure, non credo che risolveremmo il problema.
Stabilito
che c’è molto da fare per attuare un serio risparmio energetico, che
passa per mille canali: dalle lampadine agli elettrodomestici, ai
climatizzatori, ecc, la produzione elettrica sarebbe incrementabile solo
se fosse veramente diffusa.
La diffusione sul territorio, inoltre, sarebbe un antidoto ai
“picchi” di produzione d’alcuni sistemi (come l’eolico), dei
quali s’è lamentato il gestore della rete elettrica. Più la
“base” è larga e diffusa, più la media tende ad essere costante.
Cosa
impedisce il grande passo di un doppio contatore in ogni casa (per chi
lo desidera, ovviamente), con un “conto energia” generalizzato?
Due fattori: il primo, già citato, è una sorta di pessimismo di fondo
legato ad un’errata valutazione della storia energetica dell’Europa.
Il secondo, che quasi ne discende, è la ferrea convinzione che il
controllo centralizzato sia la panacea per tutti i mali. Inoltre,
garantisce il controllo politico dell’energia e – chi controlla
l’energia – oggi controlla la tua vita. Prova a far funzionare il
tuo PC a pedali.
Vogliamo ipotizzare alcuni scenari?
Il
cosiddetto “micro-idroelettrico” consiste nel produrre poche decine
di kWh da rogge, piccoli canali, torrenti, addirittura sfruttando la
caduta degli acquedotti. Qualcuno – facendo lo slalom fra le mille
pastoie burocratiche – ci è riuscito: il caso di Varese Ligure, che
ha vinto il premio “The best 100% Communities Renewable Energy
Partnesrship Rural Communities”, indetto dall'UE, come “migliore
comunità rurale dell'UE per aver attuato il progetto più completo ed
originale di sviluppo sostenibile”, è conosciuto ma scientemente
ignorato.
Oltre agli aerogeneratori ed ai pannelli fotovoltaici, gli
amministratori del comune hanno installato una turbina sulla conduttura
dell’acquedotto, che ha una caduta di
A
poche decine di metri dal mio studio, sorge un mulino d’origine
medievale che sfrutta un canale di prelievo a monte sul fiume Bormida:
da anni, non aziona più le macine direttamente con l’acqua, bensì
produce energia elettrica (30 kWh) che vende all’ENEL, per poi
acquistarla quando deve azionare i macchinari. Insomma, un semplice
conto energia.
A conti fatti, la piccola roggia che alimenta la turbina – la si
attraversa con un salto – porta ogni mese nelle casse pressappoco 1500
euro[8],
senza far altro che lasciarla girare.
Quante situazioni, potenzialmente simili, ci sono nel Bel Paese? Decine
di migliaia? Centinaia di migliaia?
Aggiungiamo la possibilità di sfruttare la corrente lenta dei grandi
fiumi con mulini galleggianti, oppure le cadute d’acqua delle chiuse
(se si decidesse, finalmente, di metter mano al trasporto fluviale!),
gli acquedotti, ecc: insomma, la produzione idroelettrica non è
confinata ai soli grandi impianti. Inoltre, la possibilità di consumo
“in loco” o nelle vicinanze, ridurrebbe le perdite del trasporto in
rete.
Basterebbe
richiedere ai comuni il censimento delle cadute d’acqua disponibili,
compresi i diritti ancora (eventualmente) esistenti di proprietari
d’immobili che godevano della servitù di un corso d’acqua (i
discendenti dei mugnai, ad esempio).
Potremmo, a quel punto, avere un quadro d’insieme delle risorse
disponibili ed attuare piani per lo sfruttamento. Come?
Prendiamo
a paragone la legge che concede incentivi per il solare termico: il
cittadino dovrebbe investire 4-6000 euro (ricevendo lo sgravio fiscale
del 55%) per risparmiare energia elettrica o gas per gli usi
dell’acqua sanitaria.
Per prima cosa, non tutti sono nelle condizioni di ricevere lo sgravio
fiscale: un dipendente, a tempo determinato o saltuario, è già
tagliato fuori. In altre parole, sono provvedimenti destinati a chi è
già garantito.
Inoltre, gli impianti – per essere utilizzati anche nella stagione
invernale – sono sovradimensionati e, d’estate, l’acqua viene
conservata addirittura sotto pressione a temperature di 180 gradi. Il
tutto, per risparmiare sull’acqua calda.
Proviamo
invece ad immaginare un investimento simile, che non conduca solo al
risparmio sulla bolletta energetica, ma che porti anche un guadagno: se
il consumo medio di un’abitazione è di circa un kWh, un piccolo
impianto da 10 kWh ne renderebbe 9 all’ENEL, e ci farebbe incassare
– al netto dei nostri consumi – 500 euro il mese circa. A quel
punto, chiunque capirebbe che l’offerta è vantaggiosa e potrebbe
anche accendere un piccolo mutuo per diventare produttore: un
investimento che si ripagherebbe in breve tempo ed in assoluta
sicurezza, tanto che lo Stato potrebbe tranquillamente esserne garante[9].
Oppure, immaginiamo una serie d’impianti da gestire: sarebbe
conveniente – per tutti, cittadini e Stato – investire in formazione
(sul modello tedesco) per chi perde il lavoro e volesse diventare
gestore di piccoli impianti pubblici. Cinque impianti da 30 KWh, ad
esempio, fornirebbero un gettito superiore ai 7.000 euro mensili, che
consentirebbero di pagare il gestore, i costi d’investimento ed
ottenere anche un gettito nelle casse statali.
Identico
modello potrebbe essere seguito per il micro-eolico, laddove con
investimenti della stessa grandezza si potrebbero installare
aerogeneratori con potenze di picco inferiori ai 20 kW, e diametri dei
rotori inferiori ai
E dove non c’è né vento e né acqua?
C’è
pur sempre il sole e, se tali provvedimenti fossero attuati, siamo certi
che l’industria saprebbe produrre impianti termodinamici di piccola
taglia, considerando – come ebbe a dire lo stesso Carlo Rubbia – che
“oggi, cioè in fase preindustriale, il costo complessivo
dell’impianto oscilla tra i 100 e i 150 euro a metro quadrato. E da un
metro quadrato si ricava ogni anno un’energia equivalente a quella di
un barile di petrolio[10]”.
La previsioni di costo del kW di fonte termodinamica – per il 2020 –
è di circa 6 centesimi di euro, contro i 10-11 circa della fase
pre-industriale[11].
Altro che le centrali nucleari di Berlusconi.
E
per chi abita in città e non ha a disposizione nulla?
Bene: vuoi investire nell’energia? Lo Stato emette dei “bond
energia” – con interesse a tasso fisso e garantito – che
serviranno per incentivare chi è nelle condizioni di produrla. Con
l’iperbolico aumento dei prezzi, sarebbe un affare per chi investe e
per chi produce. In alternativa, il sole “picchia” anche sui tetti.
Una
politica attenta al recupero dei grandi numeri delle energie rinnovabili
– già usate in passato, ma nuovamente utilizzabili con le
moderne tecnologie, soprattutto se diffuse sul territorio –
sarebbe la vera salvezza dalle “bollette killer” che gli italiani
ricevono.
La
“bollette energetica” italiana per il 2008 sarà di circa 70
miliardi[12],
e per il 2009 – se il trend dei prezzi si manterrà tale – subirà
ulteriori aumenti: vivremo strangolati, nell’attesa delle fumose
centrali nucleari di Berlusconi del lontano 2020.
Esiste un’alternativa?
Anzitutto,
cambiare radicalmente ed in toto questa classe politica incapace di
pensare al bene collettivo, allo Stato come universale dei cittadini e
non come fonte di guadagni, vantaggi, impunità e prebende.
Infine, torniamo per un attimo alla Storia.
Uno dei fattori – dapprima catalizzante, poi
limitante – allo sviluppo energetico, nel Medio Evo, furono i
privilegi largamente diffusi che assegnavano alla nobiltà ed al clero
lo sfruttamento delle fonti energetiche, soprattutto i mulini ad acqua.
Con l’appannarsi del potere nobiliare ed ecclesiale, e con
l’affermarsi della borghesia come nuovo soggetto economico – che, è
bene ricordarlo, cominciò prima degli eventi politici generalmente
ricordati – avvenne una sorta di “liberalizzazione” ante litteram,
ossia gli impianti si moltiplicarono ed iniziò la cosiddetta
rivoluzione industriale, all’inizio con la sola forza del vento e
dell’acqua.
Ebbene, oggi, non troviamo interessanti parallelismi fra le due
situazioni?
Non
viviamo forse schiacciati da un potere politico che c’impedisce – al
pari della truffa sulla moneta – di creare da soli l’energia che ci
serve? Perché, allora, ci sono decine d’adempimenti burocratici da
espletare ad ogni passo?
Si tratta del semplice corrispettivo di quello che un tempo era il
potere per censo: la nascita ed il nome garantivano la “vita”
economica dell’individuo. Oggi, non sono forse le grandi
“famiglie” dell’economia – unite ai loro lacché politici – ad
impedire qualsiasi riforma che conceda ai cittadini di creare veramente
ricchezza?
Immaginiamo
una riforma semplicissima, che consentisse “conti energia” a tutti,
senza impedirli – di fatto – con le pastoie burocratiche: presento
la documentazione, due mesi di tempo e poi vale il principio del
silenzio assenso.
Pensiamo di raggiungere un semplice 20% di produzione nazionale
(obiettivo caldeggiato, a parole, dall’UE) con mezzi diffusi sul
territorio: significherebbero 14 miliardi di euro che rimarrebbero nelle
tasche degli italiani e non in quelle delle corporation. Lo signori,
invece, s’inventano le Robin tax per gettare un po’ di fumo negli
occhi.
Scommettiamo
che, riformando in questo modo la produzione energetica, molti italiani
tornerebbero ad entrare nei ristoranti senza fare, prima, complessi
calcoli sui prezzi esposti? Io, ci scommetterei una cena.
Carlo
Bertani articoli@carlobertani.it
www.carlobertani.it
http://carlobertani.blogspot.com/
[1]
Fonte: Repubblica, 28 –
6 – 2008.
[2]
Fonte: www.traderlink.it.
[3]
Ibidem.
[4]
Fonte: Bloomberg.
[5] Fonte : EIA, Energy Information Administration (USA).
[6]
Il metano segue, all’incirca, l’andamento dei prezzi e le
previsioni d’esaurimento del petrolio.
[7]
Ricordiamo, ad esempio, la rivista "Annales"
e gli storici Lucien Febvre e Marc Bloch.
[8]
Considerando un prezzo medio di vendita del kWh, nelle 24 ore, di
0,07 euro, dato tratto dalla “Borsa elettrica”.
[9]
Perché, se lo Stato si fa garante per circa 3 miliardi di euro nei
confronti degli investitori privati per la costruzione del Ponte di
Messina, non potrebbe fare la stessa cosa per un investimento
sicuramente più redditizio e solido?
[10]
Fonte: intervista concessa a Repubblica
da Carlo Rubbia nel 2004.
[11]
Fonte: dati forniti nel Giugno del 2007 da Carlo Rubbia ad Agor@
Magazine, citando le previsioni della Banca Mondiale, del
Dipartimento per l’Energia americano e della IEA (International
Energy Agency).
[12]
Fonte: Ansa da Nomisma Energia, 10 Maggio 2008.