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l'11 settembre
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Le
lobbies americane alla conquista del mondo, Laterza 2003
Tante luci e poche
ombre nell’ultimo saggio dello storico Franco Cardini, insigne docente
di Storia medievale all’Università di Firenze.
Già il titolo svela il tema principale del libro: il condizionamento
delle lobbies economico-finanziarie nell’operato
dell’amministrazione Bush e il rischio che la politica statunitense
seguita agli attentati dell’11 settembre 2001 conduca il mondo verso
il caos.
Nella prima parte
il Prof. Cardini si sofferma sullo spartiacque decisivo rappresentato
dagli attacchi alle Twin Towers e al Pentagono, divenuti la causa
occasionale che ha consentito agli Stati Uniti di assumere in maniera più
esplicita e decisa il loro ruolo imperiale.
Viene così criticato il noto volume di Samuel Huntington – “Lo
scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale” – considerato
erroneamente un’ innocente analisi geopolitica e non invece “un
forte argomento storico-sociologico” volto a consentire la
legittimazione degli Stati Uniti come potenza guida dell’Occidente.
Spicca soprattutto il distacco di Huntington dalle tesi
“neorealistiche” di Kissinger e Brzezinski(1) su un punto
fondamentale: il cd. “fondamentalismo islamico”, utilizzato fino ad
allora spregiudicatamente da Washington in funzione antirussa, viene
considerato un pericolo per l’Occidente.
Dubbi inquietanti solleva in particolare uno studio del francese Gilles
Kepel, secondo il quale “la presa dei cd. fondamentalisti sulle società
islamiche era andata progressivamente perdendo mordente durante
l’ultimo decennio del secolo XX” e solo un attentato come quello
compiuto l’11 settembre 2001 ne avrebbe potuto risollevare la causa,
provocando per reazione una violenta risposta dell’Occidente
(esattamente quello che è avvenuto con le aggressioni angloamericane
all’Afghanistan e all’Iraq).
Questa crisi ha poi costretto, come argutamente rilevato dal generale
Carlo Jean – un militare non certo sospettabile di antiamericanismo
– l’Unione Europea ad appiattirsi ulteriormente sulle posizioni
statunitensi, proprio come auspicato nel libro di Huntington.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 giungono come una manna
provvidenziale per la Casa Bianca, in un momento in cui l’economia di
Washington – già flagellata da una pesante crisi finanziaria – si
appresta a ricevere il colpo decisivo dalla concorrenza europea,
agevolata dalla decisione irachena di vendere il proprio petrolio in
euro anziché in dollari(2).
Il cambio di
strategia nord-americano viene fatto risalire alla stesura del dossier
noto come NSS (“The National Security Strategy of the United States”),
che azzera decenni di geopolitica statunitense fondata sui concetti di
“deterrenza”, “balance of power” e alleanze stabili (NATO).
Oggi l’unilateralismo contrassegna l’atteggiamento di Washington nel
mondo, forte del suo disprezzo per tutte le norme del diritto
internazionale ma frenato dall’orgogliosa resistenza araba, affatto
incline a subire passivamente l’esportazione della “democrazia”
decisa oltreoceano.
Capofila del nuovo orientamento geopolitico è Robert Kagan, il teorico
neo-conservatore della “guerra preventiva” che assieme ai principali
consiglieri di Bush Jr. – Paul Wolfowitz e Richard Perle – aveva già
da tempo tracciato i piani di attacco all’Iraq.
La nuova concezione neo-cons, elaborata dal team definito “Project for
the New American Century”, viene paragonata da Cardini ai vecchi
aforismi marxiani secondo i quali “il mondo non si contempla ma si
cambia”, così come una forte affinità esiste con le teorie trozkiste
della “rivoluzione permanente”.
Nella seconda
parte del libro, oltre a un parziale elenco dei crimini storici commessi
dagli Stati Uniti nel mondo, viene snocciolata una serie di dati
significativi volti ad attestare il ruolo nefasto giocato dal modello di
sviluppo liberal-capitalista.
Tale modello, sempre più dominato dalle compagnie multinazionali – le
quali ricordiamo sono per l’ 80% in mani statunitensi – sta
conducendo il mondo globalizzato verso una catastrofe
ecologico-finanziaria.
Non vengono poi risparmiate sottolineature sul nesso guerra al
terrorismo-restringimento della democrazia, sulla privatizzazione
accellerata dell’economia e della politica, sul legame delle imprese
statunitensi con i cd. “paradisi
fiscali” e nel
riciclaggio del denaro “sporco”.
Questo quadro desolante è dovuto al ruolo ormai decisivo che le
corporations hanno assunto nelle principali decisioni della Casa Bianca,
al punto che l’attuale amministrazione Bush può essere definita un
“comitato d’affari delle multinazionali”.
Unico punto debole dell’altrimenti ottimo lavoro del professore
fiorentino rimane a nostro giudizio una sorta di volontà
giustificazionista dell’operato statunitense, affiorante qua e là,
quasi che un’originaria e per certi versi legittima politica da grande
potenza condotta in passato da Washington, fosse stata ora travolta
dall’influenza delle compagnie multinazionali, condizionamento che
peraltro riguarda l’Europa stessa.
Un atteggiamento
espresso da Cardini anche in una recente trasmissione televisiva, dove
la sua critica nei confronti dell’amministrazione Bush ha però voluto
prendere le distanze dalle tradizionali forme di antiamericanismo
manifestatesi recentemente in Italia.
Se è vero che taluni momenti storici hanno registrato episodi di
contrasto tra l’imperialismo statunitense e i disegni più sottili
delle lobbies finanziarie mondialiste, ad esempio durante le
amministrazioni Eisenhower e Reagan o per la guerra in Vietnam o con le
recenti critiche dello speculatore George Soros a Bush Jr., rimane un
fatto incontrovertibile il vizio congenito della cultura a stelle
strisce, portatrice di una visione messianica e totalitaria della vita e
del mondo, in particolare per la profonda influenza della dottrina
calvinista.
Lo stesso teorema dei neo-conservatori, l’esportazione della
democrazia per la creazione di un nuovo ordine mondiale, affonda le sue
radici più profonde nel moralismo e nel “destino manifesto” degli
States, con la sua pretesa superiorità e l’atavica predisposizione a
volerla imporre al resto del globo.
Come avrebbe potuto perciò una “weltanschaung” fondata sulla
benevolenza e l’elezione divina nei confronti dei più ricchi fungere
da anticorpo al mondialismo usurocratico ed affamatore delle lobbies
economico-finanziarie, rimane un mistero(3).
Paradossalmente sembra preferibile l’unilateralismo bellicista
dell’amministrazione guidata da Bush Jr. rispetto alle “guerre
umanitarie” combattute dalla presidenza Clinton e dal suo staff
“democratico” in Somalia, Sudan o Jugoslavia, perché maggiormente
suscettibile di provocare reazioni di ostilità in tutto il mondo(4).
Senza fare in conti con il mostro a stelle e strisce, il nostro pianeta
non uscirà mai dal baratro nel quale è stato gettato dal sistema
liberal-capitalista.
Stefano
Vernole
Note
(1)
La cd. scuola “realista” di relazioni internazionali si basa su
alcuni presupposti fondamentali:
a)
Gli Stati nazione sono le unità di gran lunga più importanti e
scarso affidamento viene concesso alle organizzazioni internazionali (la
cui influenza è però stata seriamente presa in considerazione dai
“neorealisti”, cfr. Grieco Joseph, State power and world markets:
the international political economy, Norton 2003);
b)
Gli Stati nazione sono spinti dal proprio egoismo e dal
“dilemma dell’insicurezza” (il timore di perdere la propria
sovranità) a dominare gli altri;
c)
Gli Stati nazione hanno però interesse ad obbedire al diritto
internazionale e ad incoraggiare gli altri a fare altrettanto, fermo
restando che qualsiasi tipo di convergenza fra Stati è solo temporanea,
cfr. Russet-Starr, La politica mondiale, Il Mulino 1997.
(2)
Spaventosi sono i dati del debito nordamericano. Il debito
globale di tutti gli Stati del mondo ammonta a circa 40.000 miliardi di
dollari; di essi oltre 6.000 miliardi corrispondono al debito USA (che
è perciò circa il 20% del totale). Anche per quanto riguarda
l’inquinamento le cifre parlano chiaro: agli Stati Uniti spetta la
responsabilità del 22% delle emissioni di anidride carbonica a livello
mondiale (mentre la percentuale della sua popolazione è del solo 4%
rispetto a quella dell’intero pianeta).
(3)
Pienamente azzeccata in proposito la definizione coniata da John
Kleeves degli “Stati Uniti quali dittatura dell’imprenditoriato”,
cfr. Un paese pericoloso, Barbarossa 1998.
(4)
Emblematiche le parole del Premio Nobel indiano Arundathy Roy:
“Se domani cadesse il regime di Saddam Hussein probabilmente qualcuno
ballerebbe per le strade di Bassora, ma se cadesse quello di Bush si
danzerebbe per le strade di tutto il mondo …”.