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Lettera
a 10.000 sindaci
di Carlo
Bertani
All’opposto, lo stupido riesce
contemporaneamente a danneggiare sé stesso e gli altri.
Carlo
Maria Cipolla – Allegro ma non troppo
Le notizie che corrono lungo le reti telematiche avvertono
che il petrolio sta compiendo un nuovo balzo: dai 65-70$ dello scorso
anno stiamo oramai veleggiando verso i 75-85, che sarà probabilmente la
quotazione dei “future” per il prossimo inverno.
Gli 80$/barile s’avvicinano ai massimi storici in termini reali (ossia
tenendo conto del mutato valore del dollaro), ossia ai 35$ “toccati”
per breve tempo durante la crisi petrolifera degli anni ’70, quando
l’economia mondiale s’inchinò per la prima volta di fronte al
barile di petrolio.
Le ragioni sono note: la crescita non è dovuta alla speculazione
internazionale ma al semplice esaurirsi delle risorse, con in aggiunta
la sempre maggior richiesta di petrolio da parte delle economie
emergenti, principalmente Cina ed India.
Il problema è reso ancor più complicato dalla natura
delle riserve stimate, nelle quali viene conteggiato tutto il petrolio
che sappiamo ancora esistere nelle viscere della terra, senza
considerare però la qualità del greggio.
Il petrolio non è tutto uguale, così come il vino od il grano: la
qualità del greggio – parametro mai preso in considerazione dai media
– diventerà nei prossimi anni uno dei principali fattori
d’instabilità del mercato.
Un giacimento petrolifero non è molto diverso da una damigiana di vino
che – come tutti sanno – nell’invecchiamento produce il cosiddetto
“fondo”, ossia un deposito solido che è naturalmente prodotto
durante l’invecchiamento.
Il petrolio è un materiale d’origine organica molto
antico: di conseguenza, le reazioni biochimiche – nello scorrere di
milioni d’anni – non hanno cessato di modificare l’enorme massa di
depositi organici.
In sostanza, il “fondo” di un giacimento petrolifero giunge quasi
alla metà del giacimento stesso, e la parte più bassa è ovviamente
quella di minor valore: più si va in profondità e più crescono le
spese di trivellazione e d’estrazione e, per giunta, si ricava un
prodotto di minor valore.
Nel secolo appena trascorso – il secolo dell’oro nero per eccellenza
– abbiamo estratto soltanto le sezioni superiori dei giacimenti,
ovvero la parte più facile da estrarre e di maggior valore economico.
Ora, ci rimane il “fondo”.
Per estrarre anche le sezioni più profonde dei giacimenti
la tecnologia cambia: sono necessari enormi investimenti poiché il
fluido è più denso mentre – nella sezione estrema – è contenuto
nei cosiddetti “scisti bituminosi”, ossia sabbie e ghiaie intrise di
petrolio.
Alcune stime di massima – stilate dalle compagnie petrolifere –
riportavano la cifra di 18.000 miliardi di dollari per riorganizzare
l’apparato mondiale d’estrazione petrolifera: la
“ristrutturazione” dell’industria petrolifera costerebbe una cifra
pari a circa una volta e mezza il PIL USA!
Nessuno, per ora, si sta muovendo in questa direzione: probabilmente
s’attendono prezzi del barile ancora più elevati – superiori ai
100$/barile – per intervenire, ma è incerto che anche con simili
prezzi sia conveniente passare all’estrazione delle sezioni profonde
dei giacimenti.
Questa è una delle principali ragioni dell’attuale
crisi: l’estrazione è ai massimi storici e per aumentarla sarebbero
necessari gli investimenti sopraccitati.
Un fatto assai curioso e sinistro è però che nelle stime sul petrolio
che ancora rimane vengono incluse anche le sezioni più basse: da questa
considerazione nacque la sentenza lanciata dallo sceicco Yamani (ex
ministro del petrolio saudita) che “l’età della pietra non era
certo finita per la mancanza di pietre, così come l’evo del petrolio
potrebbe non terminare con l’esaurimento delle riserve”.
Ho definito “sinistro” questo strano modo di valutare le riserve
giacché è evidente che, se si conteggia anche ciò che non si sa se
sarà possibile o conveniente estrarre, si prende in giro l’opinione
pubblica. Non i mercati, però, che salutano ogni anno che passa con un
aumento di circa 10$: i mercati e gli investitori sanno che quel
petrolio è puramente virtuale e basano i prezzi su ciò che realmente
rimane, ossia molto di meno dei 40 anni che raccontano.
Da questa evidenza cresce d’importanza il gas (che non ha
questi problemi) ed addirittura il carbone: il che, sposta
l’attenzione geopolitica verso
Questa – a grandi linee – la situazione mondiale: cosa attende un
paese privo di risorse energetiche fossili come l’Italia?
La bella addormentata
La “bolletta” energetica del 2005 è stata di 21,6
miliardi di euro, mentre quella del 2006 si stima che supererà i 251.
E’ del tutto evidente che è impossibile riportare in pareggio la
bilancia commerciale con simili squilibri: è pur vero che l’industria
italiana deve promuovere grandi investimenti in ricerca per conquistare
nuovi mercati, ma è come cercare di svuotare il mare con un secchio.
Con un incremento d’oltre 4 miliardi di euro l’anno d’esborso per
i prodotti energetici, quale nuova tecnologia potrà riequilibrare la
bilancia commerciale?
Dopo aver perso l’elettronica con De Benedetti e la
chimica con Gardini non ci sono settori dove possiamo aspettarci
favolosi guadagni, tali da compensare l’esborso per l’energia. A
meno di combattere la causa stessa, ossia intervenire proprio nel
settore per arrestare l’emorragia di denaro che va all’estero.
L’Italia – per una naturale indolenza ad affrontare i
problemi – da almeno un decennio non vuole riflettere sul problema
energetico: si dibatte se costruire centrali nucleari (che inizierebbero
a risolvere il problema nel 2020, anni troppo lontani per giustificare
un simile investimento), oppure ci si culla nell’infinita diatriba
sulle rinnovabili, per decidere se è conveniente oppure no affidarsi ad
esse. Nel frattempo – chiacchierando di meno – altri almeno ci
provano, e con discreti risultati.
Germania, Spagna, Danimarca ed Islanda sono
all’avanguardia in questi settori, ma anche altre nazioni (
Ciò che serve nel Bel Paese è una vigorosa scossa: il risveglio da un
sogno d’energia a buon mercato che non è più attuale. A chi affidare
il compito del classico principe azzurro che risveglierà l’amata?
Partiamo dal basso
Nella legislatura appena terminata si è consumato un
interminabile dissidio fra il governo centrale e le amministrazioni
locali sull’installazione degli aerogeneratori per la produzione
d’energia elettrica. Clamoroso il caso della Sardegna, che ha
rifiutato gran parte delle nuove installazioni perché avrebbero causato
il cosiddetto “inquinamento ambientale” a scapito delle mire
turistiche della regione.
Non entriamo nel merito delle decisioni prese dalle amministrazioni
locali – anche se, a margine, dobbiamo notare che a forza di dire di
no all’eolico, al solare, al carbone, al nucleare ed
all’idroelettrico – finiremo per dover dire di no anche al forno a
microonde ed al computer.
Parallelamente, però, non si può sorvolare su un aspetto
importante: il metodo fin qui seguito ha assai poco di veramente
democratico, ossia non coinvolge in pieno le amministrazioni locali, che
si vedono “appioppare” dall’alto la richiesta d’installare gli
aerogeneratori soltanto perché le condizioni di vento in quelle aree
sono favorevoli.
Consideriamo inoltre un secondo aspetto: le regioni più adatte per
sfruttare la risorsa eolica sono
Il nocciolo del problema è tutto qui, nasce proprio dalla parola
“appetibile”. Cosa può rendere “appetibile” l’installazione
di un impianto eolico? Può esistere un diverso approccio fra il
Governo, l’ENEL, i privati e le amministrazioni locali per risolvere
il problema?
Il primo passo da compiere è sgombrare il campo da
impostazioni autoritarie – della serie: io comando e tu obbedisci,
come per
Un diverso approccio è invece quello di coinvolgere le popolazioni ed i
rappresentanti a loro più vicini, ossia i sindaci: come si può attuare
questo metodo?
Ma quanto mi costi?
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La soluzione del problema risiede proprio nella
straordinaria opportunità economica che l’aumento dei prezzi
dell’energia ci presenta su di un piatto d’argento. Con il petrolio
a 10$/barile non conveniva costruire mulini a vento ed impianti solari,
mentre con il petrolio ad 80$ conviene, eccome se conviene!
Diamo un’occhiata ai due grafici di riferimento (entrambi di fonte
ENEL) che rappresentano l’uno (a sinistra) i consumi elettrici di un
giorno qualsiasi (22 aprile 2006), l’altro (quello a destra) il prezzo
pagato dall’ENEL ai fornitori d’energia: la cosiddetta “Borsa
elettrica” per il 21 aprile 2006.
Nel grafico a sinistra sono indicati i consumi (in MW/h) evidenziati per
fasce orarie, mentre in quello di destra sono indicati i prezzi
d’acquisto di un MW/h da parte dell’ENEL, sempre per fasce orarie.
Ovviamente – per la semplice legge della domanda e dell’offerta –
il prezzo di un MW/h d’energia (pari a mille KW/h) è correlato alla
domanda: più sale la domanda e più l’ENEL è disposta a pagare
l’energia. Le due curve, anche se non uguali, mostrano la tendenza del
prezzo a salire in presenza d’alte richieste e, all’opposto, a
scendere.
Se analizziamo la curva dei prezzi (a destra) notiamo che
per otto ore il giorno l’ENEL acquista l’energia a prezzi inferiori
ai 60 euro per MW/h, mentre per le rimanenti 16 ore paga cifre
superiori. Il prezzo pagato non scende mai sotto i 30 euro e giunge ad
un massimo di circa 150 euro.
I costi di produzione di un MW/h con i tradizionali metodi –
termoelettrico, idroelettrico e nucleare – sono di circa 45 euro/MW/h
per il carbone, 60-70 per gas e petrolio, 60 per il nucleare e 80 per
l’idroelettrico2.
Considerando una media fra i vari valori pari a circa 60
euro/MW/h, notiamo che le aziende produttrici lavorano in perdita per
circa otto ore il giorno mentre accumulano profitti per le rimanenti 16:
le buone “performance” dei bilanci delle industrie energetiche
derivano in gran parte da queste considerazioni.
Le fonti fossili scontano inoltre altri aggravi (come la
“carbon-tax” europea sul carbone) per le emissioni di gas serra, che
creano problemi per soddisfare le richieste del Protocollo di Kyoto, ma
non complichiamo ulteriormente (a danno dei fossili!) il problema per
non perdere di vista l’obiettivo.
L’obiettivo sul quale puntare – non dimentichiamo –
è come produrre energia pulita, conveniente e senza scontentare
nessuno.
Quali sono gli attuali costi di produzione di un MW/h con l’eolico e
con il solare termodinamico?
I valori comunemente accettati (e vedremo perché) dell’eolico sono
intorno ai 35 MW/h, mentre per il solare termodinamico l’ENEA3
afferma che sono di circa 45 MW/h, entrambi ben inferiori a quel dato
medio di 60 MW/h e quindi appetibili e convenienti.
Una tavola ben
imbandita mette tutti d’accordo
Quanto costa produrre un MW/h con il sistema eolico? Il
valore comunemente accettato è di circa 35 euro: vediamo da dove nasce
questa stima. Il costo d’acquisto, installazione e manutenzione
(compresi gli interessi bancari) è stimato all’incirca in 1 milione
di euro per MW di potenza di picco installata. Un aerogeneratore con
potenza di picco di 1 MW costa quindi un milione di euro e produce (in
condizioni ottimali) 1 MW/h. Le “condizioni ottimali”, ovviamente,
variano da luogo a luogo ma per l’Italia si assume in 1051 ore/anno il
periodo di produzione alla massima potenza (ossia alla potenza di
picco). Un aerogeneratore da 1 MW fornirà quindi, in un anno, 1051 MW/h
al costo di 36.785 euro. Questi 36.785 euro annui – in venticinque
anni – assommano a 919.625 euro: pressappoco il milione di euro del
quale parlavamo poc’anzi. Ovviamente non è possibile essere più
precisi in questa analisi, giacché se s’installano più
aerogeneratori in uno stesso sito – e di maggiore potenza specifica
– il rendimento sale ed i costi scendono.
In Germania, oramai, non s’installano più aerogeneratori
con potenze inferiori ai 2 MW, ed il “record” è stato raggiunto con
l’installazione di un singolo rotore da 4,5 MW: questo per ridurre le
spese d’installazione e d’esercizio per singolo MW/h prodotto.
Se facciamo un raffronto grezzo fra i costi di produzione fra eolico e
carboelettrico, l’eolico comporta un “risparmio” di 10 euro per
MW/h, ossia l’ENEL potrebbe acquistare quel MW/h al prezzo di quello
prodotto con il carbone che, oltretutto, non comporta altri
“grattacapi” per rimanere all’interno dei parametri di Kyoto.
Notiamo inoltre che con un costo di 35 euro MW/h siamo molto vicini al
prezzo minimo (30 euro) e lontanissimi da quello massimo (150 euro): la
differenza sul valore medio delle altre fonti (60 euro) è di ben 25
euro/MW/h, ma limitiamoci nel confronto con la fonte più economica,
ossia il carbone a 45 euro/MW/h.
Ebbene, quei miseri 10 euro di differenza fra il costo di
produzione e quello di vendita – all’incirca il costo di un paio di
pizze – comportano, per un impianto di 1 MW che funzioni 1051
ore/anno, un guadagno (al lordo della tassazione) di 10.510 euro. Un
impianto eolico di una ventina di rotori d’ultima generazione (3 MW di
picco) produce un utile di 630.600 euro l’anno, sempre al lordo della
tassazione. Bisogna precisare che l’energia proveniente da fonti
rinnovabili gode di un regime fiscale molto favorevole, ma assegniamo
un’aliquota del 23% come quella dell’IRPEF. Ebbene, sottraendo la
tassazione (che non è e non deve essere così alta, perché chi produce
energia senza inquinare compie un’opera meritoria per il pianeta),
quei 630.600 euro si riducono a 485.562 euro l’anno.
Immaginiamo ora cosa significa per un piccolo comune che
non ha introiti turistici poter conteggiare a bilancio simili cifre: non
tutto finirebbe nelle casse comunali (giacché bisognerebbe compensare i
proprietari del sito) ma supponiamo che 400.000 euro l’anno entrassero
nelle casse comunali.
Con 400.000 euro l’anno un comune potrebbe permettersi d’abolire sua
sponte l’ICI sulla prima casa, fornire servizi per i cittadini e
soccorso per i meno abbienti: tutto ciò che oggi appare una chimera.
400.000 euro nelle casse comunali corrispondono:
all’acquisto di 10 scuolabus;
a fornire a 100 famiglie in difficoltà un sussidio di 350 euro mensili
per un intero anno;
alla costruzione di una palazzina d’edilizia popolare;
al costo di 10 dipendenti;
alla costruzione di una piscina;
al restauro di una residenza d’interesse storico;
…
Ogni anno, ogni anno che passa quel comune dovrebbe solo
scegliere come investire il denaro per il benessere degli abitanti, per
creare opportunità, per aiutare chi è in difficoltà, ecc.
E poi, perché un solo sito? In Danimarca ci sono famiglie che non
svolgono nessuna attività lavorativa: guardano semplicemente ruotare
l’aerogeneratore che hanno installato e si godono i frutti.
Dove trovare i soldi? Gli investitori sono ansiosi di trovare mercati
d’investimento sicuri (senza esporsi al mutar del vento di una
qualsiasi “Tigre asiatica”) e dai rendimenti sensibilmente superiori
rispetto al mercato obbligazionario. Fra l’altro, visto che la domanda
è certa e costantemente in crescita, lo Stato potrebbe fornire anche
una garanzia per gli investimenti, giacché non c’è nulla di più
sicuro di un mulino a vento che produce energia (con contratto
assicurativo e di manutenzione compresi nel costo d’installazione).
Se è vero che l’appetito vien mangiando, in pochi anni
amministratori dotati d’intelligenza e lungimiranza saprebbero ben
sfruttare la magnifica occasione che l’aumento iperbolico dei costi
dell’energia fornisce loro: milioni di euro che non prenderebbero più
la via del Golfo Persico, della Russia o del Nord Africa, ma che
rimarrebbero nelle tasche dei cittadini di quel comune. Questo
significa saper vedere il bicchiere mezzo pieno, anche quando tutti
urlano “al lupo” e maledicono gli effendi del petrolio in
caffettano.
Vediamo chi ha il
coraggio di chiamarsi fuori
Chi non ha intenzione di partecipare lo dica, lo dica
forte: io preferisco non ricevere quei 400.000 euro l’anno che entrano
nelle casse del mio comune senza produrre un solo grammo
d’inquinamento, non mi piace, non mi va perché temo di perdere gli
introiti turistici.
Vista la mia decisione, sottoporrò da domani al consiglio comunale un
piano d’intervento che preveda un’espansione turistica tale che –
dalle tasse comunali – potrò ricevere ugualmente quella cifra.
Inoltre, proporrò di costruire da qualche parte (non sul
mio territorio, perché qui vogliamo il turismo!) una centrale a carbone
“pulito”, che se poi così “pulito” non è non me ne frega un
accidente: basta che la costruiscano lontano da casa mia e dalle mie
spiagge.
Se sarà necessario darò il mio assenso alla costruzione (sempre da
qualche altra parte, però) di una bella centrale nucleare, che non
produce anidride carbonica e che tutti desiderano veder prender forma
accanto alle proprie case.
Se nessuna di queste idee vi piace – concludo – siete degli
irragionevoli sognatori che non sanno guardare in faccia all’unica
realtà, ossia la mia. Punto.
Le prospettive che si
aprono
L’installazione d’aerogeneratori è una splendida
occasione per finanziare le casse degli Enti Locali, per avere reali
risorse “dal basso” che possano essere investite in loco.
L’altra faccia della medaglia è che con i soli aerogeneratori non
riusciremo a risolvere il problema energetico, perché
Rimanendo nel campo di ciò che è stato sperimentato con successo,
l’alternativa più economica e fattibile è il solare termodinamico,
ossia le centrali a specchi che riflettono la radiazione solare in
speciali collettori: il fluido ad alta temperatura e pressione generato
aziona poi una turbina come nel sistema termoelettrico.
L’ENEA ha recentemente comunicato i dati sperimentali
forniti dall’impianto della Casaccia (nei pressi di Roma): si può
ipotizzare un costo di 45 euro per MW/h prodotto – con una tendenza a
scendere, man mano che le tecnologie dei materiali si perfezionano –
al contrario dei fossili, per i quali sono previsti aggravi di costi e
di tassazione (dovuti all’adesione al Protocollo di Kyoto).
La quantità d’energia che si ricava con questo metodo è pari a
31.500 TEP4
annui per Km2 di superficie: visto che il fabbisogno annuo
italiano d’energia è di circa 190 milioni di TEP, secondo i dati
forniti dall’ENEA con 6.000 Km2 destinati alle centrali
avremmo captato tutta l’energia necessaria per il nostro paese. Un
quadrato con il lato di circa
Il solare termodinamico, inoltre, aumenta d’efficienza
man mano che si scende di latitudine, per semplici questioni
astronomiche legate all’insolazione, e non dimentichiamo che in Nord
Africa ci sono amplissime aree desertiche o semi-desertiche che
potrebbero essere utilizzate all’uopo5.
Per ora è meglio lasciar lavorare in pace i ricercatori dell’ENEA –
anche se sono oramai vicinissimi agli obiettivi, e ben presto
consegneranno al nostro paese una tecnologia completamente made in Italy
per risolvere il problema energetico – e dedicarci a ciò che potremmo
iniziare a realizzare già domani.
Cosa manca?
La prima cosa che manca, la più importante, è la volontà
di risolvere i problemi: per questa ragione è basilare che ci sia
quella “spinta dal basso” che solo gli amministratori locali possono
imprimere, giacché con la produzione d’energia affidata agli Enti
Locali si “devierebbe” il flusso di denaro che va all’estero verso
la finanza locale. Un buon argomento per iniziare a cambiare il sistema
d’approvvigionamento energetico, un argomento “ricco” di milioni
di euro.
Le altre cose che ancora mancano sono un Testo Unico che definisca con
chiarezza i limiti delle aree che possono essere destinate alla
captazione energetica. Se è del tutto evidente che non s’installerà
mai un aerogeneratore dentro al Colosseo, è altrettanto vero che non si
può negare l’installazione dello stesso aerogeneratore se a cinque
chilometri di distanza c’è una cappella votiva.
Il Governo centrale potrebbe – vista l’importanza del
problema energetico – creare un apposito dicastero per riunire alcune
competenze che oggi sono appannaggio dei Ministeri delle Attività
Produttive (o Industria) e dell’Ambiente. Il nuovo dicastero dovrebbe
provvedere a stilare accordi con l’ENEL ed il Gestore della Rete, al
fine d’ottimizzare gli interventi.
Dato che le aziende produttrici d’aerogeneratori sono principalmente
tedesche e danesi – qualora un serio ed esteso piano avesse inizio –
sarebbe auspicabile che una o più grandi aziende meccaniche italiane
acquistassero almeno la licenza di produzione, oppure (meglio)
avviassero la produzione in proprio.
Siccome il sindaco di un piccolo paese potrebbe avere difficoltà
d’accesso al credito, sarebbe auspicabile la creazione di un apposito
consorzio bancario destinato allo scopo, stabilendo eventualmente una
scansione temporale degli investimenti e garanzie serie per gli
investitori.
Il Governo dovrebbe creare infine un’apposita agenzia per
controllare sia l’attuazione dei programmi da parte dei comuni (e
scoraggiare eventuali “furbi”), sia il rispetto degli accordi dal
punto di vista ambientale.
Comunque la pensiate, queste mi sembrano argomentazioni degne d’essere
dibattute ed approfondite: la cosa migliore che chiunque di noi può
fare – se abbiamo a cuore la salute del nostro disastrato pianeta ed
anche, perché no, quella dei conti pubblici – è far circolare questo
documento. Ovviamente, se ne condividete i contenuti.
Basterà farlo girare sul Web o stamparlo e portarlo sulla scrivania di
un sindaco di nostra conoscenza, di un assessore all’Ambiente, di
chiunque può essere interessato ad incrementare le entrate di un Ente
Locale creando energia pulita. Di più non possiamo fare, ma la nostra
coscienza non avrà nulla di cui rimproverarci.
Carlo Bertani bertani137@libero.it
www.carlobertani.it
1
Fonte: Tg3 del 15 aprile 2006, confermata dai dati apparsi su Televideo.
2
Per la valutazione dei costi mi sono avvalso di varie fonti: ENEA, MIT,
Politecnico di Milano. I valori non vanno presi alla lettera, giacché
un aumento del prezzo del petrolio o del gas che avviene mentre sto
scrivendo cambia il quadro di riferimento. Sono comunque indicativi di
una tendenza e della differenza fra le varie fonti.
3
Fonte: Il programma ENEA sull’energia solare a concentrazione ad
alta temperatura – 2005 – (csp.pdf).
4
TEP: Tonnellata di Petrolio Equivalente, ossia la quantità d’energia
contenuta in una tonnellata di petrolio, che corrisponde all’incirca a
7 barili.
5
Avevo già espresso e documentato questo concetto nel mio libro: C.
Bertani – Energia, natura e civiltà: un futuro possibile? –
Giunti – 2003 per il sistema fotovoltaico. E’ altrettanto evidente
che un simile approccio presuppone rapporti politici e diplomatici ben
diversi rispetto agli attuali, e quindi ciò che dal punto di vista
tecnologico sarebbe ottimale è molto difficile che possa essere
realizzato, almeno fin quando non ci saranno solidi e duraturi accordi
di cooperazione nell’area mediterranea.