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Le
peregrinazioni di San Toro
di Carlo Bertani - 15 ottobre
2008
Sinceramente,
non pensavo che si potesse giungere così in basso: mi riferisco alla
puntata di “Anno zero” del 10 Ottobre del 2008, Venerdì scorso. Ne
parliamo non tanto per lanciare strali contro l’informazione di
sistema – ce ne mancherebbe, lo sappiamo da tempo – ma per
analizzare meglio i rapporti fra il media in declino, la TV, e quello in
ascesa, il Web.
Ricordiamo, a margine, che la raccolta pubblicitaria nel
Perché è aumentata?
Da
un lato – saremmo stolti a non riconoscerlo – per gli iperbolici
costi della pubblicità tradizionale, a fronte dei risultati, ma non
possiamo nascondere che, se Internet viene (modestamente, in valori
assoluti) premiato per la raccolta pubblicitaria, è perché il mondo
del Web comincia a proporre una modalità di circolazione
dell’informazione – e dunque della cultura, del consenso e del
dissenso, ecc – che inizia a far breccia.
Questa
situazione è per lo più indotta da una enorme mole di lavoro
volontario che tanti scrittori dedicano al Web – privilegiando,
spesso, la circolazione dell’informazione gratuita ai contratti
editoriali – perché, in fin dei conti, reputano questa loro attività
quasi come un dovere sociale.
Non neghiamo che gli scrittori del Web (siti o blog, poco importa) non
ne ricevano delle ricadute individuali, ma riflettiamo che – senza il
loro apporto – il Web italiano si ridurrebbe a delle semplici
traduzioni da siti esteri – che sono certamente importanti – le
quali, però, finiscono per fornire un’informazione poco adatta ad
essere interiorizzata (non “compresa”, attenzione!) da un pubblico
latino.
Conosciamo anche le ragioni della grande espansione dell’informazione
di radice anglosassone: una delle più estese pratiche per evitare gli
incrementi di tassazione – in quei paesi – è la donazione alle
fondazioni. In altre parole, chi supera certi livelli di reddito, può
decidere di devolvere una parte dei suoi guadagni ad una fondazione –
dove lavorano, ben protetti – scrittori e giornalisti.
Domandiamoci,
date le premesse: possiamo attenderci da queste persone indipendenza di
giudizio ed una limpida etica professionale? In alcuni casi sì, in
altri…in ogni modo, ciò comporta l’inevitabile innalzamento delle
capacità critiche del lettore, perché quelle analisi giungono da un
mondo assai diverso dal nostro. E, i traduttori, sono anch’essi in
gran parte dei volontari che compiono un lavoro encomiabile.
L’informazione di sistema, invece, propone “pacchetti” informativi
già preformati (i cosiddetti “format”, appunto) nei quali la
certezza dei dati e la correttezza delle analisi viene fornita dai
titoli di chi è invitato a partecipare alle “kermesse” televisive.
Anche qui, però, possiamo rilevare un vulnus:
quanti di questi “esperti” affidano parte delle loro fortune in
campo accademico al successo che ricavano da queste
“partecipazioni”? Ed è ovvio che non desiderino essere intralciati
da concorrenti, ancor più se non santificati dal crisma
dell’informazione di sistema.
La
vicenda di questa puntata di “Anno zero” assume maggiore importanza
per l’argomento trattato – la crisi finanziaria internazionale –
la quale rischia seriamente d’incidere, in futuro, non su marginali
spostamenti di reddito, bensì di far precipitare sulle nostre spalle
(ossia sull’economia reale, sui redditi, sul lavoro, sul welfare…) i
frutti delle alchimie finanziarie di un sistema marcio fino al midollo.
Era quindi importante – a nostro avviso – fornire la più ampia
informazione sull’argomento – a “vasto spettro” – poiché è
oramai chiaro a tutti che le istituzioni internazionali preposte stanno
balbettando sull’argomento, ed anche i tanto conclamati “piani di
salvataggio” non sembrano cancellare il dubbio che stiamo utilizzando
strumenti spuntati per una crisi che va oltre le emergenze dei listini
di Borsa.
Se
la politica annaspa, e l’informazione fatica a reggere oramai il
confronto con il Web, non mi stupì la comunicazione – che ricevetti
dalla mailing listi di Arianna Editrice – che Eugenio Benetazzo
sarebbe stato fra gli ospiti della puntata.
Finalmente, mi dissi! Vuoi vedere che, a fronte oramai della loro
conclamata incapacità a spiegare agli italiani cosa sta succedendo,
invitano uno che è in grado di farlo?
Potevano essere Benetazzo o Saba, oppure Della Luna o altri ancora: poco
importa – mi dissi – perché la cosa importante è che parli
qualcuno che – finalmente! – adoperi un nuovo linguaggio, che
dipinga un quadro partendo da presupposti radicalmente diversi.
Ovviamente – come gli utenti del Web ben sanno – non avevo certo
bisogno d’ascoltare Eugenio ad “Anno zero”, poiché basta cercarlo
su Youtube per trovare tutto ciò che si desidera. L’importante, per
me, era lo “sdoganamento” di Benetazzo, il riconoscere (almeno!) che
esistono altre forme e nuovi modi per spiegare alla gente come sia
possibile che, a forza di “creatività” in economia, si giunga a
creare un apocalisse.
Sicché, inforcai gli occhiali e mi sedetti di fronte al video, che
frequento oramai di rado.
Il
primo stupore (la trasmissione era già iniziata) fu constatare che il
“parterre” era occupato dai soliti “analisti”
dell’informazione ufficiale: ogni tanto un collegamento esterno con
altrettanti “esperti”. Dov’era Eugenio?
Passano i minuti, le interruzioni pubblicitarie, e tutto tace.
Finalmente, verso il termine della trasmissione – introdotto dalla
“new entry” Margherita Granbassi – viene presentato un “analista
e saggista” che “opera su Internet e fa conferenze”: poco è
mancato che lo definissero un povero orfanello. Io non l’ho udito, ma
non mi è parso che sia stato nemmeno presentato con il suo nome, né
esso è comparso in sovrimpressione.
Date le premesse, a questo punto Benetazzo doveva spiegare il
“mondo” in circa un minuto: ci ha provato, poveraccio, ma era
impossibile farlo in così breve tempo. Il commento di Santoro –
caustico e di sufficienza – è stato: “Ci ha fatto il riassunto
della trasmissione”.
Vogliamo
sottolineare che stessa sorte era precedentemente toccata ad una giovane
economista (o studentessa d’economia) islamica, la quale avrebbe
dovuto spiegare i fondamenti della finanza islamica. La ragazza –
niente veli, buona pronuncia italiana, evidente competenza
sull’argomento, ecc – ha tentato di farlo ma, a quel punto, sono
intervenuti più volte i soliti tromboni del parterre per dire qui,
ricordare là…ma, era chiedere troppo lasciare che spiegasse? Dopo,
ciascuno avrebbe potuto fare i rilievi ed i commenti che desiderava.
Cercando
d’andare un po’ più a fondo nella questione, potremo suddividere le
nostre impressioni in due estese categorie: chi ha da tempo messo una
pietra sopra all’informazione di sistema – e ritiene che la cosa non
lo riguardi più – e chi la segue, anche saltuariamente.
Nel
primo caso, ci troveremo di fronte a persone che, per lo più, si
affidano al Web ed utilizzano perciò un media di tipo bi-direzionale,
senz’altro più flessibile, ampio ed esaustivo della TV. Queste
persone giudicheranno irrilevante ciò che è accaduto, ma sottovalutano
che – se loro riescono a “nutrirsi” con fonti più esaurienti –
per tanti così non è. Gli altri, siccome ogni media dovrebbe fornire
il più ampio spettro d’informazione, vengono semplicemente scippati
di un loro diritto, quello d’essere informati con una vasta gamma
d’espressioni.
Ovviamente, il frutto di questa pratica saranno opinioni create avendo a
disposizione poco materiale e, spesso, inquinato da pareri spacciati per
dogmi: vorrei sapere, a fronte della copiosa informazione che c’è sul
Web, quanti sanno che la moneta non ha più relazione con l’oro. Se
potessimo fare una rilevazione, sarebbe sicuramente una sorpresa: per
questa ragione il problema tocca anche quelli che dell’informazione di
sistema fanno a meno. Quando si va “alla conta” – oppure per la
semplice formazione d’opinioni – lo scenario è completamente
falsato.
Il
pericolo è grave soprattutto per i “format” che si definiscono
“alternativi” di “opposizione” di “libera informazione” e
via discorrendo: non si può certo applicare il paragone ai teatrini di
Bruno Vespa, laddove il “format” – spiccatamente nazional-popolare
– è costruito apposta per accalappiare coloro i quali credono nei
miracoli di San Silvio e di San Romano, ma anche per escludere a priori
tutti gli altri.
Ho voluto fare una prova su me stesso, per verificare la mia
“tenuta” a “Porta a porta”: i risultati sono stati deludenti, 7
minuti una sera, ben 11 un’altra (c’era però una tizia con un bel
paio di cosce al vento, il che falsa la rilevazione), mentre non riesco
a sopportare la vista di Mannheimer, come per le scene troppo violente
di sangue ed orrore. Dovrebbero vietarlo ai minori.
Tutto sommato, speravo di riuscire a far di meglio: fidavo sulla mia
antica predisposizione per l’immersione in apnea, ma con “Porta a
porta” nemmeno il grande Maiorca ce la potrebbe fare.
Invece,
il “format” modello Santoro è più pericoloso, perché accattiva
con una sorta di presentazione “in jeans”, mentre – gratta gratta
– salta fuori la medesima impostazione. Cambierà il colore delle
sedie, la simpatia dei giornalisti (ed anche la bravura, pensiamo a
Jacona) ma se non ci lasciano ascoltare cos’è la finanza islamica o
perché Benetazzo aveva previsto con largo anticipo quel che sta
accadendo, di tutto quel carrozzone non sappiamo che farcene.
Viene allora da chiedersi quale sia il gioco di Santoro.
Il “personaggio” Santoro fa parte di un sistema politico incentrato
su un unico assioma “Berlusconi sì, Berlusconi no”. Non ce la
sentiamo nemmeno di concedere un “Berlusconi forse”: insomma, il
solito giochetto del berlusconismo/anti-berlusconismo. Fu premiato – a
fronte di uno squallido intervento di censura da parte di Berlusconi,
una sorta di diktat in pieno stile staliniano, quando fu estromesso
dalla RAI – con un posto da parlamentare europeo, non dimentichiamolo.
Si tratta quindi, pur riconoscendo le sue ottime qualità professionali,
di un giornalista organico al sistema.
Vorrei
ricordare che fui fra i primi a denunciare questo limite nella
partecipazione di bravi giornalisti – Travaglio ne è un esempio,
nessuno lo mette in dubbio – ai programmi televisivi. Hanno forse il
pregio di farli conoscere al grande pubblico ma, se questa
“presentazione” avviene con tanti crismi, c’è da insospettirsi.
Lo denunciai ad una delle prime puntate di “Anno zero”: come si può
ridurre la vicenda afgana con una semplice “Letterina al mullah
Omar”?
Comprendiamo che la satira possa aprire qualche breccia, che la parola
tagliente ma calata con garbo possa valicare le inevitabili censure del
video ma, in fin dei conti, qual è il discrimine?
Che si riesca, mediante la satira od altro, a non concedere nessuna
ritrattazione, anche marginale, rispetto alle argomentazioni che si
desiderano esporre. Possono oggi, gli italiani, sentirsi soddisfatti di
simili spiegazioni?
Perché – liberi o prigionieri siano il mullah Omar o Ayman al
Zavahiri, morto o vivo Saddam, altrettanto Osama bin Laden – la
“guerra infinita” in Oriente continua a mietere vittime ed a non
mostrare nessuna soluzione?
Sarà,
forse, perché le motivazioni di quella guerra sono di natura
geopolitica, e coinvolgono dunque le strategie delle grandi potenze e
poco o nulla quelle di questi minuscoli attori?
E se, a fronte di questa constatazione – della quale tutti dovrebbero
riconoscere l’evidenza – si usa la satira non per mostrare le vere
ragioni di quelle guerre, bensì si opera una “reductio
ad minimum” – trattando questi scenari come se fossero
l’avanspettacolo del “Bagaglino”, che finisce per fuorviare
completamente la natura stessa del messaggio – si compie il proprio
dovere d’informare?
Qualcuno ribatte: le capacità di comprensione e d’elaborazione del
vasto pubblico non giungono a queste “vette”. Premesso che non ci
credo, possiamo rispondere: continuiamo, allora, a raccontare favole e
metafore?
Ancora
ricordo la “fulgida” spiegazione di un giornalista italiano per la
guerra in Iraq del 1991: l’Iraq aveva scippato il Kuwait come uno
zingarello ruba una mela da un banco del mercato. Non è forse giusto
farsela restituire?
Osserviamo, oggi, il credere a queste veloci “semplificazioni” dove
ci ha condotti: la metafora è utile, ma – suvvia – chi scrive
dovrebbe conoscerne i limiti. Ovviamente, chi scrive con onestà
intellettuale.
Il
“format” televisivo, quindi, ha una duplice funzione: carpire dal
Web un mare d’informazione a costo zero (lo fanno, lo fanno…) per
poi riappropriarsi del primato “massacrando” in diretta gli
antagonisti. Chi ricorda la trasmissione (se ben ricordo, Matrix) nella
quale furono invitati Blondet e Chiesa per parlare dei “misteri”
dell’11 Settembre, rammenterà bene quale fu il “canovaccio” della
serata.
Mentre
sul Web il dibattito andava avanti oramai da mesi – e, qui, ci sarebbe
da approfondire anche la diversa scansione temporale dei due media – i
due “malcapitati” furono precipitati in uno studio televisivo come
due gladiatori al Colosseo.
Bastarono due “scartini” della politica italiana per rendere
all’ascoltatore un semplice messaggio: osservate quanto siamo
democratici…invitiamo anche questi due sognatori irresponsabili e li
ascoltiamo, siamo noi stessi a proporveli! Come siamo magnanimi! E li
facciamo a pezzi senza che nemmeno ve ne rendiate conto.
Identica sorte sarebbe capitata al sottoscritto, se avesse accettato di
partecipare in diretta ad una trasmissione del canale satellitare RAI
sul traffico d’organi: essendo stato il primo scrittore italiano che
ha trattato l’argomento in un libro, giunsero a me con una semplice
ricerca su Google.
A quel punto, in studio, era pronto lo Stato Maggiore della Sanità
italiana per farmi a pezzi! Accettai soltanto di fare un breve
intervento in audio, poi li lasciai ai loro soliloqui.
Non conta quanto tu sia bravo, corretto nella verifica delle fonti,
attento alle “bufale”: per l’informazione di sistema, esiste il
solo parametro della fedeltà al sistema stesso.
Perciò…lasciate
ogni speranza voi ch’entrate…verrebbe da dire perché, a fronte di
qualche rara buona pagina di giornalismo, il resto è soltanto un
teatrino che entra nelle nostre case per sostenere il sistema.
Fatto più grave, quando si è nel bel mezzo di una crisi finanziaria
che mette in discussione le stesse basi dell’economia – di questa
economia, dell’unica che ci presentano come scienza economia esistente
– ridurla ad un mero teatrino del déjà vu, triturando citazioni e
sentenze per riempire il tempo, senza concedere ad altri la possibilità
di spiegare e d’esplorare nuovi scenari.
Di certo – cambiano i tempi e le modalità espressive – la RAI pare
aver trovato, per il futuro, un buon rimpiazzo per Bruno Vespa: come
sono lontani i tempi di Samarcanda, quando la gente poteva ancora
parlare in televisione!
Con
buona pace di chi ancora prega San Toro.
Carlo
Bertani articoli@carlobertani.it
www.carlobertani.it
http://carlobertani.blogspot.com/
[1] Dati Nielsen comunicati dall’ANSA il 28 aprile 2007.