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Italian
Metal Jacket
Andrea
Barolini e Emanuele Isonio -
mensile “Valori” nr. 7 marzo 2007 - www.valori.it
UN EXPORT CHE SUPERA 1600 MILIONI DI EURO ALL'ANNO. Un
volume di operazioni finanziarie quantificato in oltre un miliardo e
cento milioni di euro. E’ il triste piazzamento (al settimo posto)
nella classifica mondiale dei Paesi che ne fabbricano di più. E’ la
fotografia dell'Italia che produce. Purtroppo, però, si tratta di armi.
~ un'industria fiorente, quella che sforna pistole, mitra e kalashnikov
in tutto il mondo: si stima che la spesa militare complessiva abbia
superato di quindici volte quella destinata ogni anno agli aiuti
umanitari. Un mercato globale che coinvolge ormai ogni continente: se
Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Germania coprono l'82 per
cento delle esportazioni mondiali, fanno ormai parte dell'elenco delle
prime cento industrie armiere del pianeta aziende brasiliane,
sud-coreane, indiane, sudafricane e di Singapore. Complessivamente,
alla fine di quest'anno, la spesa militare raggiungerà la cifra senza
precedenti di oltre 1000 miliardi di dollari. Superiore perfino a
quella (record) registrata negli anni 1977-
I dieci più grandi produttori di armi. Italia è al decimo posto con Finmeccanica
Pistole Beretta in
Iraq (per legge)
Una montagna di denaro che fa gola a molti. Anche in
Italia. D'altra parte, il nostro Paese è da sempre un grande produttore
di armi. Ma ha anche, storicamente, una delle legislazioni più avanzate
in tema di traffico di armi. 0 forse l'aveva e non l'ha più? Già,
perché l'Italia - un anno fa - ha modificato la propria legislazione in
materia di commercio di armi sul territorio nazionale.
Nella legge n'49 del 21 febbraio 2006 (che disponeva
"misure urgenti per garantire
la sicurezza e i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali di
Torino") il governo Berlusconi fece inserire, infatti, una
norma che modificava un vecchio regio decreto del 1931, nel quale si
vieta la raccolta e la detenzione senza licenza ministeriale di armi da
guerra, munizioni, uniformi militari e altro equipaggiamento analogo.
Oggi, recita la legge, "con
la licenza di fabbricazione sono consentite le attività commerciali
connesse e la riparazione delle armi prodotte". Tradotto: la
licenza di fabbricazione non consente solo di produrre le armi, ma anche
di venderle e ripararle se di seconda mano.
Una piccola
rivoluzione per gli industriali armieri, tanto che alcune tra le più
importanti aziende del settore - compreso il colosso austriaco Glock -
starebbero ipotizzando di aprire proprie "filiali italiane”. Un
bel regalo, però anche per Ugo
Gussalli Beretta, proprietario dell'omonima azienda di Gardone Val
Trompia. Il maggior produttore italiano di pistole e il fornitore della
stragrande maggioranza delle armi in dotazione alla Polizia di Stato. Un
amico personale di Silvio Berlusconi e un fervente sostenitore di Forza
Italia che da qualche anno si deve difendere dall'accusa di aver
contribuito a foraggiare la guerriglia irachena.
Le indagini della
magistratura
Secondo i pm di Brescia che indagano sulla vicenda, le cose
sono andate così: nel febbraio del 2003 il ministero dell'Interno aveva
ceduto alla fabbrica bresciana 44.926 pistole Beretta 92S (classificate
come "fuori uso" ma spesso perfettamente funzionanti). Una
vera e propria svendita a prezzi stracciati: 10 euro al pezzo.
Giustificazione ufficiale: "Sono rotte”. La ditta di Gardone
Valtrompia le avrebbe invece risistemate facilmente e rese nuovamente
funzionanti, nonostante dal 2002 non possedesse più la licenza per
riparare armi.
Come?
Il trucco per aggirare la legge sarebbe stato quello di vendere parte
degli armamenti ad una celebre ditta britannica,
Fatto
sta che 45mila pistole sono arrivate in breve nella terra che fu di Saddam
Hussein. E, fatto ancora più grave, le rivoltelle tricolori non
sono andate solo alla polizia irachena, ma sono state trovate in mano ai
guerriglieri di Al Zarqawi. I
magistrati, inoltre, nel corso delle indagini hanno verificato numerose
altre irregolarità. Il 6 dicembre del 2004, viene arrestata una
dipendente della Beretta mentre tenta di portare una calibro nove fuori
dalla fabbrica. E’ un'impiegata addetta al magazzino, inizialmente
accusata di aver asportato illegalmente 152 pistole. Successivamente,
La
nuova tranche di pistole dirette in Iraq, dunque, è stata bloccata. Ma
ora, con la nuova legge, si potrebbe arrivare all'assurdo di rendere non
punibile la commercializzazione da parte di chi ha una generica licenza
di detenzione e vendita di armi, di pistole e fucili provento di furto.
Una “toppa” perfetta non solo per il comportamento della Beretta, ma
anche per il ministero allora diretto da Giuseppe
Pisanu, che vendette migliaia di pistole come "fuori uso",
quando bastava un po' di grasso per permettere loro di ricominciare a
sparare.
Il Parlamento
distratto
Il tutto senza che nessuno, in Parlamento, se ne sia
accorto. Possibile? Pare di sì. Il decreto "Olimpiadi
invernali" emanato alla fine del 2005 dal governo Berlusconi non
menzionava minimamente questioni relative al commercio di armi. La norma
è stata aggiunta infatti in sede di conversione, in gennaio, presso la
commissione Affari costituzionali del Senato, attraverso un emendamento
(a firma di Gabriele Boscetto, Forza Italia, avvocato penalista, relatore del
disegno di legge in commissione) che sarebbe stato poi riscritto tre
volte per venire incontro alle richieste del governo (sottosegretario Alfredo
Mantovano, Alleanza Nazionale, in testa). E che è stato poi
inserito nel maxiemendamento presentato dal governo che sostituiva il
testo precedente del disegno di legge, sul quale il governo pose la
fiducia sia a Palazzo Madama che a Montecitorio.
Insomma, la norma era di fatto "nascosta" all'interno di una
legge che aveva tutt'altro oggetto.
E anche a leggerla con attenzione, a
saltare agli occhi era piuttosto la contestatissima normativa in tema di
droga. A parziale discolpa, ma non a giustificazione, di chi non si è
premurato di leggere ogni parola della legge. Conseguenza immediata è
stato il fatto che durante il dibattito in Commissione e in Aula - sia
al Senato che alla Camera - nessuno dei parlamentari intervenuti, sia di
maggioranza sia di opposizione, ha sollevato né accennato
all'introduzione della norma sul commercio di armi di seconda mano.
Tutti si sono concentrati sulle norme in materia di droga. E il
provvedimento è passato totalmente sotto silenzio.
Downing Street
Ad accorgersi che qualcosa non quadrava, invece, è stata
la stampa inglese, insospettita da alcuni comportamenti del governo
britannico. Sarebbero stati infatti proprio gli uffici di Downing Street
a fungere da tramite essenziale per far arrivare in Iraq le pistole
della Beretta. Secondo il settimanale The Observer, l'anno scorso il
ministero dell'Industria e del Commercio britannico si accordò per la
consegna di queste armi alla polizia irachena. Non c'è traccia -
aggiunge il giornale - che siano stati previsti anche sistemi di
controllo necessari per evitare che le armi potessero finire nelle mani
della guerriglia.
Il Guardian, inoltre, ricostruisce il
cammino che ha portato le armi in Iraq. In data non precisata il governo
Usa avrebbe chiesto alle Taos
Industries (una delle società che procura le armi al Pentagono), di
trovare pistole e altre armi per la polizia irachena.
Destinazione aeroporto di Stansted e, da lì, fino a giungere in una
base militare di Baghdad. Quindi, nel febbraio 2005 vengono consegnate
all'autorità provvisoria irachena.
Un
giro ben più tortuoso e difficile da seguire rispetto a qualsiasi altro
bene importato o esportato. «Conosciamo
la provenienza di una singola fettina di carne o di un qualsiasi bene di
consumo e non abbiamo invece idea di dove finiscano le armi che noi
stessi produciamo - sottolinea in questo senso Francesco
Vignarca della Segreteria della Rete Disarmo - con
il rischio di vederle un giorno anche nelle nostre città a dare man
forte alla criminalità, come già successo in altri paesi europei».
Una situazione, quella italiana, che ha destato anche la preoccupazione di numerose Ong. Già in passato le associazioni riunite nella Rete italiana per il disarmo "ControllArmi" avevano più volte denunciato la vicenda. Nei giorni scorsi, insieme ad una delegazione dell'Ong inglese Global Witness, hanno incontrato parlamentari e membri del governo italiano proprio per sottolineare l'urgenza di una modifica legislativa. Quanti onorevoli cadranno dalle nuvole?