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L'Irak:
prima battaglia
Di
Maurizio Blondet - dal sito www.effedieffe.com
"Quella
in Irak è stata solo la prima campagna di una guerra molto più
vasta". L'ha detto chiaro John Pike, parlando a un giornalista del
Guardian (1): "quella non è stata una guerra: è stata una
battaglia". John Pike è il direttore di Globalsecurity.org, uno
dei gruppi di ricerca politico-militare dei neoconservatori americani.
Non è il più importante. E' l'American Enterprise di Washington il
centro di pensiero dove la nuova politica imperiale è stata elaborata,
insieme al Project for the New American Century; è il Jewish Institute
for National Security Affairs (JINSA) l'istituto privato che ha saldato
negli anni un'alleanza profonda fra le gerarchie militari Usa e le
industrie d'armamento americane e israeliane, imponendo come fatale il
concetto che gli interessi degli Usa e quelli di Israele sono identici e
convergenti.
E' infine il Defence Policy Board, capeggiato da Richard Perle, ad
attuare la nuova politica imperiale dall'interno del Pentagono, dove
agisce - inaudito - come semplice gruppo di "consulenti a titolo
gratuito" e tuttavia guida palesemente la politica estera
americana. L'azione di questi centri l'abbiamo esaminata altrove (2), e
dovremo riparlarne per prevedere in tempo gli eventi futuri: perché
sono loro che li decidono.
Al
confronto di questi centri, Globalsecurity.org e il suo direttore
svolgono il ruolo subalterno di diffondere all'opinione pubblica, per
prepararla, il verbo elaborato più in alto. In qualche modo, è da
orecchiante della strategia elaborata dagli iniziati che John Pike ha
indicato al Guardian le nuove fasi, le ulteriori "battaglie"
della "guerra" in corso. Proprio nei giorni della guerra all'Irak,
fu James Woolsey a dichiarare - parlava agli studenti della UCLA, la
principale università di Los Angeles - che era cominciata la Quarta
Guerra Mondiale. Woolsey, già capo della Cia, è un membro importante
sia del Council on Foreign Relations, sia del Defense Policy Board, e
intimo di Richard Perle il "consulente" del Pentagono, e di
Paul Wolfowitz, viceministro della Difesa.
Egli precisò che la guerra non sarebbe finita con l'Irak. Aggiunse: la
Quarta Guerra Mondiale durerà più della prima, e più della seconda.
Poco dopo, dai centri del potere neoconservatore venne indicato lo scopo
strategico: "portare la democrazia" nei paesi musulmani, allo
stesso modo in cui l'America, con la seconda guerra mondiale, aveva
"dato la democrazia" a Germania e Giappone.
Grande compito. Che implica decenni di conflitti "per la democrazia". Contro chi? John Pike, nella sua intervista del 20 maggio 2003, ha avvertito minacciosamente: la nuova dottrina della guerra preventiva, elaborata dall'Amministrazione Bush, non è una posa. "E' una politica operativa". L'America ha "una predisposizione all'intervento militare unilaterale", frutto di una dottrina militare che deriva dalla "coerente interpretazione degli ultimi 60 anni di pianificazione del rischio" (contingency planning) (3), ma esaltata dalla irripetibile situazione militare in cui si trovano gli Usa: la superpotenza dispone di armamenti convenzionali che sono "avanti di una generazione" a qualunque altra forza armata nel globo, e presto avrà armi avanti "di una generazione ancora"; il che la rende "imbattibile sul campo di battaglia convenzionale".
Vero che i neoconservatori del Pentagono stanno premendo per la produzione di "mini-bombe atomiche": nella nuova dottrina strategica, si tratta di rendere l'arma nucleare - l'arma totale e perciò teorica della passata stagione, quella della deterrenza - utilizzabile "in realistiche strategie belliche". John Pike ha anche indicato i bersagli prossimi. Sconfitto Saddam, ha detto, la Siria è "salita più in alto" nella lista dei regimi malvagi da cambiare. Ma anche l'Iran è "nel mirino", per via del suo programma nucleare che minaccia Israele; e secondo lui è probabile che la guerra all'Iran "per la democrazia" sarà sferrata, per questo, con "il supporto attivo" di Israele. Per soprammercato, ha assicurato che la Casa Bianca accrescerà la sua attività contro la guerriglia in Colombia ("La Cia ha visto aumentare il suo budget del 50% negli ultimi due anni") e che presto, prenderà di mira "Cuba e il regime di Fidel Castro".
Ma proprio questa lista indica che John Pike è un subalterno, un orecchiante. Vi manca, ed è una lacuna notevole, l'Arabia Saudita. Invece è proprio il reame familiare e miliardario, che concentra sotto le sue sabbie le massime riserve petrolifere globali, ad essere "nel mirino" degli iniziati con la più alta priorità. L'Arabia Saudita, formale alleato degli Usa, ma anche luogo natale di Osama Bin Laden, l'arcinemico islamista, il "Nemico Perfetto" - ossia introvabile - . Essa - è già stato deciso - sta per subire un mutamento profondo e rivoluzionario. Lo dichiariamo qui in anticipo. L'Arabia Saudita sarà balcanizzata. Essa sarò smembrata in due o forse tre sultanati. Uno, ad Occidente, manterrà indisturbato il possesso della Mecca e di Medina, i luoghi santi islamici, magari in mano a un regime quanto più fanatico possibile; ma sarà privato del petrolio. Il petrolio, i cui giacimenti sono concentrati nella zona orientale della penisola arabica, sarà nelle mani di un sultanato "democratizzato", filo-occidentale, o più precisamente filo-americano.
di
Maurizio Blondet
Note:
[1]
Iraq 'first battle of a wider US war', di Richard Norton Taylor sul
Guardian, 20 maggio 2003.
[2] Maurizio Blondet, Chi
comanda in America, Effedieffe, Milano, 2002.
[3] L'allusione è al Committee for the Present Danger, circolo che
durante la guerra fredda analizzava il "rischio" posto
dall'Unione Sovietica. Il Committee era capeggiato da Donald Rumsfeld,
attuale ministro della Difesa, al punto che finì per essere chiamato
Commissione Rumsfeld. Sotto l'impulso di costui, il Committee predicò
(per allora inascoltato) la preparazione alla guerra preventiva, e di
conseguenza l'ostilità ad ogni trattato per la riduzione concertata
degli armamenti. Più tardi, Rumsfeld passò a presiedere la RAND
Corporation, una fondazione "culturale" pagata dalle ditte di
armamento, e perciò nido di falchi propugnatori di una politica di
difesa aggressiva anziché di contenimento, mirante alla superiorità
assoluta.