Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Inventare
malattie (parte terza)
Adolfo
Di Bella - http://www.dibellainsieme.org/home.do
"Preferisco i malvagi agli imbecilli: almeno i
primi, ogni tanto, si riposano" (A. Dumas figlio).
Iniziamo questa terza parte attingendo alla fresca
cronaca, che segnala come continuino imperturbabili comportamenti e
strategie che abbiamo già passato in rassegna. Stesso copione: un'altra
patologia inventata, col suo bravo acronimo ed il rimedio già
scodellato, in omaggio al curioso costume della "ricerca"
farmaceutica di non attendere che sia lo studio di una malattia a
plasmare il rimedio, ma di sfornare prima il farmaco da produrre (e
vendere), e pensare poi con calma a quale malattia, vera o falsa,
vecchia o nuova, conviene appiccicarlo. Potreste osservare che è
vero sfrigolìo di meningi stare ogni volta a coniare nuove malattie e
costruire il tender dell'acronimo da attaccare alla locomotiva, e che
sarebbe più semplice presentare la nuova gemma del genio farmaceutico
quale rimedio per malattie già conosciute: ma cari amici, laddove la
logica scientifica sembra risentire di uno scambio funzionale tra
cervello e glutei, le uniche ragioni che contano sono quelle del cuore
(di Wall Street). Dove andrebbe a finire la forza d'impatto dell'azione
di marketing? E poi, vogliamo proprio far sprofondare l'Era della
Scienza ai livelli del tempo in cui farneticavano empiriconi come
Pasteur e Koch, e si blaterava di rabbia, carbonchio, tubercolosi?
Ma rientriamo nei binari. Una malattia che suoni il
campanello dei potenziali acquirenti e porga con mano guantata il
proprio biglietto da visita, istoriato da un altisonante "BPCO,
Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva", lascerà a bocca aperta il
buzzurro onorato da cotanto personaggio. Un po' come accadeva qualche
secolo fa, di fronte a personaggi dalle ricche vesti, spadino al fianco,
cappello con piume da far trascolorare d'invidia un pavone e,
soprattutto, una lunga lista di titoli nobiliari che richiedeva lunghi
minuti per essere sciorinata per intero. Volete mettere le borghesuccie
"colite", "ulcera", "emorroidi" con la
sangueblu Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva, che impegna la
pronuncia quasi come la celebre sopra la panca la capra campa/sotto
la panca la capra crepa? E che figurone fa il medico che spara
questa complessa diagnosi con disinvoltura, rapidamente, guardando il
paziente di traverso e con gli occhi semichiusi dal disprezzo, come a
dirgli: "pezzo d'asino! Cosa vuoi capire tu di queste cose,
ignorante come sei?". Il fine di abbindolare il cliente, fargli
credere si tratti di una nuova malattia prima sconosciuta, ma oggi
identificata e curabile grazie ai progressi della ricerca, appare
evidente.
Ed ora la solita domanda da plebeo semianalfabeta: ma
che è ‘sta Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva-BPCO? Coscienti del
nostro abbrutimento culturale, ce lo facciamo spiegare da numi della
scienza: "La BPCO è caratterizzata da mancanza di respiro,
tosse cronica e un'eccessiva produzione di muco. Occasionalmente si
verificano casi di notevole peggioramento dei sintomi, denominati
esacerbazione o crisi polmonare, che possono durare più settimane. La
respirazione viene gravemente compromessa e i pazienti possono avere
bisogno di ricovero ospedaliero. Le esacerbazioni sono eventi
traumatizzanti, che comportano un maggiore stato d'ansia del paziente,
un peggioramento dello stato di salute, un calo della funzionalità
polmonare e un maggior rischio di morte".
Dopo gli scongiuri di rito - i più efficaci dei quali
sono notoriamente quelli localizzati ad hoc - emerge che non si
tratta di una patologia, ma di una serie di sintomi propri di uno stato
di infiammazione la cui genesi (la questione è sempre la solita...) può
essere quanto mai variegata: fumo, malattie professionali, inalazione di
polveri, stati enfisematosi, bronchiti mal curate o cronicizzate da
eccessi antibiotici, e così via. Altro che......esacerbazione
polmonare!
Una delle cose che non pochi medici sembrano ignorare -
approfondiamo l'argomento data la diffusione di patologie bronchiali -
è che sia sulla mucosa nasale che sull'epitelio interno del polmone
sono disseminate cellule ciliate, così denominate per la loro foggia,
pensata da un Tale che prima di creare l'uomo non aveva pubblicato
statistiche truccate né ideato acronimi. Le cellule ciliate, per la
loro stessa struttura, provocano un movimento convettivo dell'aria
inspirata, inducendo un flusso non laminare, ma rotatorio. Forse qualche
farmacologo o luminare istituzionale criticherà il Padreterno per
questa bizzarria, ma il risultato è evidente per tutti coloro la cui
scatola cranica non sia stata svuotata di materia grigia per far posto a
certe benigne elargizioni: basta pensare che un tubo di gomma, poggiato
su una superficie predeterminata, risulterà molto più lungo e
voluminoso se arrotolato su se stesso anziché steso bello dritto.
Questo significa che l'atto inspiratorio fa affluire una quantità
d'ossigeno cospicua, a tutto vantaggio del risparmio nella
frequenza respiratoria e di un minor logorio dei polmoni e delle
strutture dedicate al loro movimento. In breve: si campa di più e
meglio. Pur nella rudimentalità della nostra esposizione, questa,
gentili lettori, è Fisiologia. Gli antibiotici, specie se usati
impropriamente e per tempo prolungato, uccidono le cellule ciliate,
creando col tempo le premesse per un'insufficienza respiratoria e turbe
cardiocircolatorie. Basterebbe non incaponirsi a trattare forme virali
come fossero batteriche ed usare, fin quando possibile, sostanze come
lisozima, vitamina C, vitamina A - totalmente innocue nei dosaggi
consigliati, eutrofiche e non inventate da qualche Sir Girolami, ma da
quel Tale di cui parlavamo sopra - per eliminare buona parte di
situazioni prese golosamente a pretesto per creare la cosiddetta BPCO.
La solita aberrazione - dunque - di confondere (o voler
confondere) manifestazione di un male (sintomo) con malattia.
La tragedia - per i "Girolamini" ed i beneficati dai droghieri
del farmaco - sarebbe che si risalisse alla causa, e si affermasse (o
meglio: si riaffermasse) quella mentalità medico-scientifica,
sapientemente obnubilata negli ultimi decenni, che mira a rimuovere
l'effetto rimuovendo la causa. Infatti, se il medico stacca la spina
dalla cultura che ha il dovere morale di possedere ed arricchire
incessantemente, e come i cavalli che trascinano le poche romantiche
carrozzelle rimaste si riferisce alla limitatissima visuale
consentitagli dal paraocchi delle Linee-Guida, farà gli interessi di
chi dall'interesse soltanto è mosso. In altre parole: il farmaco xy non
risolverà mai la patologia, ma darà (e non sempre) quel po' di
sollievo che basta a farlo acquistare da chi avverte un disturbo; e poi
riacquistare, e così via. Cosa che non accadrebbe se risolvesse la
causa del disturbo. Questa è una delle colonne portanti degli
utili dell'attuale mondo farmaco-medico-sanitario e dello sconfinato
potere abbinato.
Ma è scomponendo l'acronimo che emerge la parola
magica: l'aggettivo "cronico"!! Mai risolvere le
malattie, ma cercare di prolungarle, cronicizzarle, o
farle considerare croniche. Al tempo stesso - attenzione perché
è un punto cruciale - produttori di farmaci e salmerie al seguito faranno
di tutto perché venga tacitato, con le buone o le cattive, chi
parla di cause di determinate patologie, e di tutto farà perché
nessuno possa disporre delle sostanze in grado di risolvere davvero
queste cause, nessuno possa rendere note e praticare acquisizioni
scientifiche ed applicazioni terapeutiche capaci di scronicizzare
i disturbi e guarire (o cercare di guarire) certe patologie. Questa è
la storia della lotta feroce, rabbiosa, da bava alla bocca - lotta di un
Golia vigliacco e tremebondo - condotta contro la Fisiologia, la
corretta concezione di Scienza, la pratica medica "secondo Scienza
e Coscienza", le vitamine, tante sostanze fisiologiche, farmaci
vecchi ma insostituibili ed innocui, e chi basa sulla scienza e non su
editti e linee-guida un moderno approccio a tanti mali che affliggono
l'umanità: in particolare al problema cancro. Ma ne parleremo a
conclusione di questi nostri scritti. Quello che, per ora, ci preme
sottolineare è come tutto l'Apparato attacchi, come fosse un esercito
schierato, con entrambe le ali, ed applichi contemporaneamente due
strategie: una, palese e urlata al megafono, attuata attraverso
l'infiltrazione nei poteri governativi e nella società e diretta a
suffragare un'accezione di scienza che poco con la scienza ha a che
fare, molto col denaro; una seconda, silenziosa, occulta, a quota
periscopica, da novella Santa Inquisizione alla ricerca di eresie ed
eretici, diretta a censurare, impedire, perseguitare, oscurare e, se
qualche cavallo scappasse dal recinto, esecrare, calunniare,
ridicolizzare. Oggi, per giunta, si fatica meno di un tempo: spesso
basta ignorare e far ignorare, attendendo che la gracile logica, la
labile memoria della gente e la seguente alata filosofia facciano il
resto: "ne parla la tv?...ahhhh, allora dev'esser vero";
"non ne parla affatto??? Come pensavamo: era tutta una fola".
Quanto diremo, a chiusura dell'argomento BPCO, ci
sembra comunque segnali difficoltà un tempo più rare, quando non
inesistenti, nella sfilata sotto l'arco di trionfo delle vendite. Di
primo acchito non si scorge alcuna traccia, alcun effetto delle critiche
severe al malcostume farmaceutico sollevate da ricercatori e medici
moralmente integri, ed i tanti articoli o libri di denuncia cui fatto
prima cenno parrebbero sfoghi improduttivi di idealisti che si sono
illusi di poter cambiare il mondo. Ma forse qualcosa sta cambiando
davvero.
Il Roflumilast, specialità Daxas, è stato prodotto
dalla Nycomed per il trattamento della BPCO. Ovviamente - come da
copione - c'è stata la consueta campagna preparatoria, con dati e
statistiche estratti dal cilindro (il 5% degli italiani sarebbe
interessato dalla neosindrome, i morti sarebbero 20.000 all'anno nel
mondo....); gli "studi" sono stati pubblicati sul Lancet
nell'agosto 2009 e comunicati il mese dopo a Vienna al congresso annuale
della ERS (European Respiratory Society). Ma non tutto è andato liscio
come altre volte. Anzi, all'inizio le cose sembravano mettersi maluccio,
dato che il Panel della FDA aveva votato contro l'approvazione del
farmaco. Nycomed è una multinazionale con sede centrale a Zurigo, con
un fatturato di "appena" 3,2 mld. di € nel 2009, ma una gran
voglia di fare meglio. Ha pensato fosse opportuno siglare un accordo con
la Merck (fatturato: $12,1 miliardi) per il Daxas, e di puntare comunque
sul mercato europeo. E qualche maligno potrebbe leggervi un "nuovo
corso", diretto a non indisporre il governo insidiando troppo la
salute degli americani, sempre più sospettosi nei confronti di Big
Pharma, ma propinare le ultime porch... - scusate - i farmaci più
recenti agli indigeni delle colonie che compongono il vecchio
continente: a noi, ascari bianchi. D'altronde la storia insegna
come i nipoti dello zio Sam siano sempre stati bravi a declamare sacri
princìpi ed ancor più ad imporli con la pelle altrui. Sia come sia, il
farmaco alla fine è stato approvato dalla EMA (corrispondente europeo
della FDA), ma con scarso entusiasmo e tutta una serie di
specifiche limitative, dubbi e raccomandazioni, mentre il SMC (Scottish
Medicines Consortium) ne ha sconsigliato l'impiego senza "mi"
e senza "ma". Quanto agli effetti collaterali più comuni
(diarrea, nausea, cefalea, perdita di peso), si ammette che non sono
ristretti a pochi soggetti con criticità peculiari, ma che appaiono più
frequenti del desiderabile.
Tutto qui? Pare di no, dato che nei documenti ufficiali
della EMA si parla di ".. rischio di disturbi psichiatrici
come insonnia, ansietà, depressione nei pazienti che assumono Daxas e
con potenziale rischio di suicidio. Da qui, la necessità di valutare
attentamente il rapporto rischio-beneficio di questo trattamento nei
pazienti con sintomi psichiatrici pre-esistenti o con una storia
di depressione e di informare i pazienti di riportare qualsiasi
cambiamento nel comportamento, nell'umore ed ogni ideazione di suicidio.
Daxas non è quindi raccomandato in pazienti con una storia di
depressione associata a ideazione o comportamento suicidario".
E poco oltre: ".. potenziale rischio di tumori maligni e
la mancanza di esperienza in pazienti con una storia pregressa di
cancro. Il trattamento con Daxas non deve essere iniziato o deve essere
interrotto nei pazienti affetti da cancro (eccetto il carcinoma delle
cellule basali)". Per non tralasciare nulla, occorre
considerare anche il "....potenziale rischio di infezioni:
il trattamento con Daxas non deve essere iniziato, o deve essere
interrotto, nei pazienti con problemi di infezioni acute gravi.
L'esperienza limitata in pazienti con infezioni latenti come la tubercolosi,
l'epatite virale o le infezioni da herpes". Per
non fare torto ad alcun aspetto, si rileva anche come un motivo di
prudenza sia costituito da "...informazioni limitate o mancanti
nei pazienti con insufficienza epatica. Daxas è controindicato
nei pazienti con insufficienza epatica moderata o grave...i dati clinici
sono considerati insufficienti per consigliare un aggiustamento della
dose e quindi bisogna osservare cautela nei pazienti con moderata
insufficienza epatica".
Cari lettori, converrete che la nostra non è polemica
pretestuosa: qui c'è veramente - a sfuggire l'accusa di maschilismo
discriminatorio - da rigirarsi tra le dita quei gingilli comuni nel
Meridione e raffiguranti un gobbetto, indice e mignolo protesi, cilindro
in testa e un corno al posto delle gambe....
Non mancano - doveroso riferirlo per completezza -
elogi del farmaco e minimizzazioni degli effetti collaterali da parte di
augusti cattedratici, anche nostrani. Ma in questo campo ed in simili
ambienti, bisogna meravigliarsi solo di meravigliarsi ancora di
qualcosa.
§ 2. I farmaci blockbuster, affari e malaffari.
Prima di andare a constatare come né la tarda età né
l'infanzia riescano ad innestare rudimenti di scrupolo morale nei
mercanti di pillole, è tempo di parlare dei cosiddetti "farmaci
blockbusters". Con questa terminologia si designano i farmaci
campioni delle vendite: come si trattasse di detersivi, autovetture,
televisori coinvolti in una gara a chi ne piazza di più e più
guadagna. Già questa dichiarata aspirazione al primato la dice lunga su
fini, morale, idealità delle case farmaceutiche e mette di fronte anche
gli ottimisti (spontanei od a cottimo) di fronte ad un'evidenza
incontestabile.
Sostanzialmente questo concetto, accompagnato dalla
relativa terminologia gergale, nasce dai fasti Glaxo dell'era Paul
Girolami ed in particolare dal famoso Zantac: farmaco tutt'altro che
prodigioso e tutt'altro che immune da magagne nascoste. I pareri che
contano nella politica farmaceutica non sono quelli di ricercatori e
scienziati, ma quelli degli analisti finanziari. Dell'immortalato e
nobilitato....Paul, il ricercatore dott. Jack, che aveva abbandonato
schifato la Glaxo sbattendo la porta, disse in un'intervista: "per
parlarci chiaro, quell'uomo non ha la minima considerazione né per i
ricercatori, né per la scienza ed i suoi princìpi. Gli interessa solo
il denaro. Non credo gli importi di lavorare bene".
Se non interessava a Girolami, alla Glaxo ed alle altre multinazionali
produrre farmaci realmente efficaci e necessari, importava ed importa
ancor meno a chi investe per speculare e per governare a bacchetta il
mondo intero. Marc Mayer, esponente della Sandford C. Bernstein &
Co, colse bene come il "nuovo corso" farmaceutico fosse una
miniera d'oro sia per i produttori di farmaci che per l'esercito di jene,
sciacalli, vampiri, zecche, sanguisughe & affini di tutte le borse
del mondo: "...valeva la pena investire grosse cifre in quei
farmaci destinati alla cura di malattie croniche in grado di garantire
un ampio margine di guadagno" dichiarò durante l'intervista
rilasciata nel 1991 alla rivista Fortune. A questo "din" fece
subito eco il "dan" di un'altra mignatta della finanza,
analista di Morgan Stanley: "il farmaco che negli anni '70
valeva 50 milioni di dollari all'anno, nel decennio successivo garantiva
un ritorno dieci volte maggiore". Come nota la Petersen,
"..si venne così a delineare a poco a poco una serie di
strategie di vendita che gli addetti ai lavori definirono ‘modello
blockbuster'. La ricetta era più o meno questa: concentrare gli
investimenti finanziari e le attività di marketing sui farmaci
destinati a curare malattie croniche o problemi come bruciori di
stomaco, colesterolo alto e depressione".
La ricetta - pubblicità a tutto campo+malattie
croniche (o rese croniche) - è stata la carta vincente per i giganti
del farmaco, la carta perdente per la salute dell'umanità. I numeri,
del resto, parlano chiaro: Pfitzer nel 1947 dedicava alle spese
promozionali e amministrative il 6% degli incassi, cinquant'anni dopo il 40%.
Ma un altro è il punto fondamentale, il più
importante di tutti, perché consente di comprendere l'anima nera
della medicina contemporanea e la sua filosofia mercantilistica.
Scrive l'autrice (pag. 180): "le medicine che garantivano un
migliore ritorno economico erano quelle che non guarivano da
nessuna malattia, limitandosi a curarne i sintomi. Il paziente
che comprava questi medicinali si trasformava né più né meno in una sicura
fonte di reddito, proprio come il fumatore o l'amante del caffè
espresso lo erano per la tabaccheria e il bar, contribuendo a garantire
anni di considerevoli guadagni alla società produttrice".
Torniamo ad avvertire il lettore: questa è la chiave
di volta e la spiegazione di linee guida, farmaci imposti, farmaci e
sostanze censurate, ricerche consentite, ricerche proibite, programmi di
studio universitari, stage e master di aggiornamento, commissioni
ministeriali, comitati etici e di tutta la costellazione di entità che
oggi possono imporre e vietare, soffocando, insieme alla civiltà
scientifica, l'aspirazione dell'umanità alla salute ed al benessere.
Tanto per intenderci, un farmaco blockbuster, al tempo
del conio di questo neologismo, doveva vendere almeno 500 milioni di
dollari l'anno. Ora si parte da 1 miliardo di dollari (cifra che, per
avere un metro di misura immediato, significa duemila miliardi delle
vecchie lire), per puntare a multipli. Quindi, un blockbuster che si
rispetti realizza almeno il fatturato della Ferrari auto (€1,9 mld.
Nel 2010).
I fatturati delle sette e più sorelle del farmaco
raggiungono livelli inimmaginabili. Ray Moynihan e Alan Cassels, nel
loro "Farmaci che ammalano", parlano di un fatturato USA di
500 miliardi di dollari (circa 1 milione di miliardi di lire), superiore
al PIL (Prodotto Interno Lordo) di parecchie nazioni, con un crescendo
non solo ininterrotto, ma anche logaritmico. Dell'utile netto - senza
confronti nei riguardi di qualsiasi attività economica umana - si è già
parlato. Ci limitiamo ad osservare che, se da una parte il pur titanico
profitto sarebbe doppio senza il costo di capillari ed endemiche
corruzioni, dall'altra ungere significa investire, e non soltanto
spendere, in quanto:
- assicura una vivificante rete commerciale di corrotti
(cattedratici, medici, politici, imbrattacarte mediatici, testimonial ecc.);
- presidia il sistematico progresso del giro d'affari;
- toglie di mezzo la concorrenza della vera ricerca,
della vera medicina, di una efficace farmacopea.
Senza rinunciare volontariamente a qualche miliarduccio
in...sacre unzioni, prima o poi si sarebbe obbligati a rinunciare a
cifre maggiori di introiti. Attraverso questa politica, le chiocce del
farmaco "...realizzano profitti a velocità più che doppia
rispetto al resto del mercato...e...non conoscono crisi".
Ma attenzione, non esistono solo i blockbuster ma anche
i "mega-blockbuster"! E non si tratta solo di cifre, ma
del rafforzarsi di una mentalità ancor più totalizzante. Citiamo la
Petersen: "La ricetta del blockbuster farmaceutico funzionava
talmente bene che Wall Street si innamorò ben presto dei profitti
elevati che generava. Già alla fine degli anni '90, per una casa
farmaceutica non bastava più poter mostrare un incremento rispettabile
delle vendite e dei profitti annuali. Dalle maggiori case farmaceutiche
gli investitori ormai si aspettavano incrementi come minimo del 15%, se
non decisamente superiori. Gli azionisti si affrettavano a punire
qualunque produttore osasse deludere le loro aspettative annunciando
guadagni in crescita rapida, ma comunque leggermente inferiori a quanto
Wall Street si attendeva....In breve, persino un farmaco capace di
vendite per un miliardo di dollari all'anno non fu più abbastanza".
Si comprende quindi l'obbligata entrata in funzione di
un meccanismo automatico di pressioni incrociate. Anche qualora lo staff
dirigenziale di un big del farmaco non se la sentisse di superare
determinati limiti morali, non esisterebbe alternativa ad un corso ormai
obbligato: un po' come chi prima sobilla la folla e poi si trova, anche
avesse cambiato idea, ad esserne sospinto e strattonato. Se non
assecondi l'incendio che hai appiccato, o sei sostituito o scompari. Una
delle conseguenze più gravi è che "....composti sperimentali
che potevano rivelarsi provvidenziali per la salvezza di molti pazienti,
ma che non avrebbero mai potuto garantire le vendite di un
mega-blockbuster sarebbero stati ceduti in licenza ad altre società
produttrici o abbandonati su uno scaffale a prendere la polvere".
E questo è niente. Immaginiamoci cosa accade (ed è accaduto),
per sostanze che non solo non rendono, ma insidiano o vanificano le
mega-vendite!!!! Ve lo diciamo subito: rischia di scapparci il morto.
Enrico Mattei fu incidentato per affari e cifre immensamente
inferiori. Anche se oggi, con il progresso delle tecniche
mediatiche e l'ubiquitario controllo della società, nella maggior parte
dei casi basta ignorare, isolare o mistificare.
Insieme ai blockbusters, veri purosangue, assi ed
orgoglio dei farmaco-Arpagoni, trainano il carro migliaia di tozzi e
robusti cavalli normanni, che assicurano un profitto unitariamente meno
clamoroso, ma da non buttar via. Se i plebei criniti portano a casa meno
soldi, si tratta comunque di soldi tanti e sicuri, e che non costano
nulla; in secondo luogo non bisogna dimenticare come diversi di questi
abbiano dei magnifici effetti collaterali che, diagnosticati per
malattie autonome e non da farmaco, provocheranno una domanda di altri
farmaci per combattere (o far finta di combattere) mali indotti da loro
colleghi. Basti pensare al sinergismo aspirinetta-gastoprotettori. Un'aspirinetta
al giorno toglie l'arteria di torno. Basta aver avuto episodi di
ipertensione, qualche problema circolatorio, e portarsi almeno una
decina di lustri sulle spalle. Il bello (si fa per dire) è che non si
tratta di prescrizioni temporanee, ma sine die. La sclerotizzazione
arteriosa, che giunge inesorabile col tempo, frutterà tanti esami
diagnostici e tante capsuline multicolori, particolarmente abbondanti
se, con l'aiuto dell'età avanzata e di inflessibili giornalieri
diuretici, si potrà contare su succulenti sintomi di
arteriosclerosi e, con un po' di fortuna, sull'induzione o
accelerazione di quel pozzo senza fondo che è l'aureo Alzheimer. Niente
di male per le specialità povere ed infeconde, dalle mammelle
rinsecchite: c'è sempre tempo per pensionarle e magari sostituirle
quando, arruolato qualcuno dei luminari che scalpitano per farsi
ungere, assemblato qualche studio da pubblicare su riviste compiacenti,
scoperta una nuova malattia, si varerà finalmente un nuovo
farmaco-transatlantico dagli oblò sfavillanti, sulla cui prua qualche
coniglietta di Play Boy manderà a rompersi una bottiglia di champagne,
tra lacrime di Girolamini commossi e gli "evviva" degli
investitori di borsa.
§ 3. Timonieri, farmaci fotocopia e prezzi
gonfiati.
Non è stata certo l'indisponibilità di validi
ricercatori a determinare la mediocre efficacia di tanti farmaci, né,
tantomeno, sono stati defatiganti itinerari sperimentali a
provocare prezzi elevati. Ne sia la prova il caso del dott. James W.
Black, che già nel 1958 aveva individuato una formula utile ai malati
di angina pectoris e, nei sei anni successivi che lo avevano visto
lavorare per la società chimica inglese ICI, aveva realizzato i
betabloccanti. Black sarebbe stato insignito di uno dei pochi Nobel
meritati dei tempi moderni, ed avrebbe successivamente realizzato un
farmaco antiulcera, il Tagamet: e qui ci ricolleghiamo ad una vicenda
della quale ci siamo precedentemente occupati, quella dello Zantac. Lo
Zantac, in sostanza, era una fotocopia del Tagamet, ma con il sex appeal
di un prezzo superiore del 50%! Si tratta solo di un episodio, che
si perde tra miriadi di altri analoghi, che dimostra quanto siano
ingiustificati molti prezzi di specialità e sia un alibi falso quello
dei costi della ricerca. La prassi dei farmaci-fotocopia (così definiti
da diversi studiosi, tra i quali la Prof. Angell) è veramente endemica.
Non, purtroppo, l'onestà di ricercatori come Black, il quale attribuì
al lavoro di R. Ahlquist il merito della scoperta dei betabloccanti,
nonostante si trattasse di un lavoro che lo aveva illuminato e non di un
plagio brutale. Ma la Glaxo, produttrice del leggendario Zantac, come
era arrivata alla sua dorata specialità? In un modo molto semplice:
parassitando le idee di Black. Infatti ad un ciclo di lezioni tenuto
dallo scienziato, era presente il Dr. David Jack, capo del dipartimento
ricerche della Glaxo, il cui parere caustico su Girolami abbiamo
riportato prima. Il gigante britannico cominciò a seguire ricerche e
progressi di Black e dei suoi collaboratori e, al momento opportuno,
scodellò lo Zantac, la cui formula differiva da quella del Tagamet quel
tantino sufficiente a non violare il brevetto. Fu lo stesso Jack - come
riferisce Independent del novembre 1991 - a spiegare che la creazione
del formidabile blockbuster Glaxo aveva richiesto più o meno lo
"...stesso tempo rispetto a quello necessario a risolvere un
problema di chimica": alla faccia di Black, aggiungiamo noi.
Costume del resto non confinato al plagio di farmaci, ma anche a quello
- tentato o consumato - di idee.
Al di là di valutazioni negative ed esecrazioni, è la
realtà delle cose che svela gli effettivi retroscena e suffraga una
visione critica dell'agire delle case farmaceutiche. Tre esempi che non
abbisognano di commenti: nel 2001 la guida della Bristol-Myers Squibb fu
assunta da Peter Dolan, la cui summa di cultura scientifica era
rappresentata dalla proposizione di uno snack alla cioccolata prodotto
da General Foods; la Novartis nel 2000 affidò la gestione totale
dell'azienda a Thomas Ebeling, già responsabile marketing della Pepsi;
Randall Tobias, stratega della Pfitzer, era dirigente nella azienda
telefonica AT&T. Quindi, tra snack, pepsi-cola e telefoni, si
raggiunge il top della scienza. Bene prenderne nota.
Qualche lettore avrà sicuramente osservato come tutto
questo poema di truffe da baracconi è stato scritto in assenza di
reazioni governative. La cosa non può non suscitare forti perplessità
e giustifica qualcosa di più. La celebrata, mitica F.D.A., Food and
Drug Administration, la cui evocazione piega il ginocchio di
ossequiosi ratti d'ateneo e di farmacologi a gettone, sembra tutt'altro
che stagna a pressioni e colonizzazioni. Tanto per cominciare, non ha
mai preteso la prova che un nuovo farmaco è più efficace, e con le
stesse o minori controindicazioni, di analoghi già in circolazione: e
già questo non ci pare poco. D'altra parte, come meravigliarsi, dato
che le prove comparative - che già di per sé farebbero venire il mal
di stomaco per le risate ad un cavallo - vengono effettuate tra il
farmaco ed un placebo e non tra il farmaco e un concorrente? Abbiamo
detto in premessa che ci atterremo ai fatti, e quindi di fatti parliamo.
Il Center for Drug Evaluation della FDA, nei tre lustri intercorrenti
fra il 1990 ed il 2004 ha autorizzato l'immissione in commercio di 1.100
farmaci, solo 400 dei quali non spudoratamente ed evidentemente
pantografati su altri preesistenti. Ma, come se ciò non bastasse, la
maggioranza di questi non costituiva un miglioramento effettivo rispetto
ai farmaci pensionati: la Petersen, esaminando con attenzione i
documenti FDA, conclude che solo 183 dei nuovi - appena il 16%
del totale - potevano ritenersi una novità di rilievo rispetto al
passato.
Ma vi sono incontrovertibili conferme di queste stime.
Nel 1994 il Dr. David Kessler, alto esponente della FDA, pubblicò
insieme ad altri quattro colleghi un articolo sul New England Journal of
Medicine (allora diretto dalla Prof. Marcia Angell) sul malcostume
farmaceutico. In questo articolo gli autori parlarono di "frenesia
promozionale" dei produttori di farmaci, derivante dalla
consapevolezza che i prodotti immessi in commercio erano "..virtualmente
indistinguibili gli uni dagli altri"; solo "...una
minoranza dei 127 nuovi medicinali approvati fra il 1989 ed il
1993...aveva dimostrato di poter offrire un qualche miglioramento
rispetto ai farmaci già in commercio. Le case farmaceutiche sfruttavano
la promozione per far credere che i nuovi farmaci fossero in
qualche modo diversi e utili".
Un incidente di percorso riguardante un dirigente di una società
farmaceutica offrì una conferma di prima mano di questa realtà: si
trattò di una nota redatta - ovviamente - per uso "interno".
Eccone un passo: "...non sono ammessi errori a riguardo: lo
studio sul...[seguiva il nome del farmaco] è la più importante
iniziativa di vendita in programma per il 1993. Durante la fase I, 2.500
medici lo somministreranno ai loro pazienti....mantenendo sotto
controllo la loro pressione....Grazie al [nome farmaco] ..se
almeno 20.000 dei 25.000 pazienti coinvolti nello studio continueranno
ad assumere il..., le vendite potranno raggiungere quota 10.000.000 di
dollari. Nel corso della Fase II questa cifra dovrà raddoppiare".
Dopo che Kessler lasciò l'incarico all'interno della
FDA, gli subentrò un oncologo, Michael Friedman, che allentò le già
lente restrizioni sulla pubblicità dei farmaci e spalancò a questa il
potente mondo della promozione televisiva. Friedman sarebbe passato
successivamente alla vicepresidenza di una casa
farmaceutica...e.....vissero tutti felici e contenti.
Il citato Jones, nel corso dell'udienza promossa dal
Sen. Kennedy (ne abbiamo parlato in una precedente parte di questo
scritto), condensa in poche rabbrividenti righe la logica dei prezzi e
lo spirito criminale (non si può definire altrimenti) dei produttori di
farmaci: "Come minimo si valutano le alternative di cui il
malato dispone: il prezzo sarà direttamente proporzionale alla
disperazione ed alla sofferenza del paziente e inversamente
proporzionale al numero di alternative a disposizione. Intorno
a questi argomenti si svolgono normali discussioni che riguardano
virtualmente ogni farmaco in commercio".
Uno dei tanti esempi di questa filosofia
inqualificabile venne riferito dallo stesso Jones. I dirigenti della
Abbott Laboratories (fatturato di ca. 31 mld. di US$) fecero una bella
pensata per risolvere un problema di liquidità a breve termine:
sfornarono una specialità per la cura della SLA (Sclerosi Laterale
Amiotrofica), malattia degenerativa sempre letale e crudele, pur sapendo
in partenza che era totalmente inefficace, in quanto "....i
medici avrebbero impiegato circa sei mesi per verificare l'inefficacia
del farmaco sui pazienti, il che avrebbe consentito alla società di
incassare milioni di dollari, nonostante la scarsa diffusione del
morbo.......fu questo il motivo che spinse Abbott a far pagare il
medicinale....circa 10.000 dollari a paziente.....". Il prezzo
elevato venne giustificato dalla società con l'indisponibilità di
tecniche automatizzate; ma quando i tecnici annunciarono che avevano
trovato il modo di ridurre ad un quinto il costo di produzione, i
dirigenti dissero che "...non c'erano ragioni per abbassare il
prezzo e di non preoccuparsi, perché ci sarebbero sempre stati dei
vicini caritatevoli, pronti ad organizzare vendite di beneficenza per
raccogliere il denaro necessario ai malati di SLA. Le persone convocate
a quella riunione erano sotto shock". La conclusione di Jones
fu che "...ogni società si impegna a fondo per nascondere ciò
che in realtà sta facendo. Queste aziende vivono di truffe
legalizzate".
Che non fosse una visione malevola di Jones emerse poi
da parecchi altri elementi e da testimonianze analoghe.
A questo punto dovrebbero essere chiare molte delle
strategie correnti adottate da Big...ma anche Little Pharma, perché i
cattivi esempi fanno più proseliti di quelli buoni: specie quando
questi ultimi sono accanitamente oscurati. Un flash tutto nostrano (e
del quale c'è sicuramente poco di che andar fieri) conferma, oltre alla
extraterritorialità della filosofia d'azione, almeno tre cose: quanto
rende fabbricare farmaci - come manchino (o vengano dolosamente omessi)
i controlli statali - che l'appetito vien mangiando; per cui, oltre alle
truffe di prammatica, non si rinunzia anche a quelle fiscali. Il Gruppo
Menarini è il primo in Italia, il quindicesimo in Europa ed il
trentacinquesimo del mondo, riferiscono giornali economici nazionali. Ma
abbiamo dubbi in proposito, dato che il fatturato 2009 ha sfiorato appena
i 3 miliardi di €. Sia come sia, nel novembre 2010 Carabinieri dei Nas
e Guardia di Finanza hanno sequestrato beni per un miliardo e 212
milioni di euro, frutto di una truffa a danno del SSN (Servizio
Sanitario Nazionale), perpetrata fin dal 1984 gonfiando prezzi di
farmaci forniti a questo. L'ingente somma, per la cronaca, era occultata
all'estero con un collaudato sistema di scatole cinesi e la gentile
collaborazione di angioletti: quelli che volano nei paradisi fiscali. E
se è lecito pensare che tale cifra riguardi solo i beni rintracciati,
lo è ancor di più chiedersi come mai le nostre istituzioni
farmaco-sanitarie - efficientissime quando si tratti di acquistare stock
di vaccini inutili o dannosi - non si siano accorte di nulla in ventisei
anni di fregature sistematiche rifilate loro, cioè a noi, dato che i
soldi dello Stato non sono altro (o così dovrebbe essere) che i nostri.
Ma a chi puntasse il dito contro il nostro paese, potremmo rispondere
che chi è senza FDA scagli la prima pietra.
Invece di continuare con elencazione di casi,
basterebbe convenire del perfetto analogismo tra produzione consumistica
e produzione di farmaci, affratellati dalla stessa filosofia e
dall'identico appetito di guadagno: un appetito insaziabile da
Pantagruel che esige soddisfazione totale, rapida e facile. Come le
dispense si sono riempite di ogni genere commestibile, le case di ogni
genere di apparecchiature elettroniche preferibilmente inutili, così
gli armadietti dei farmaci straripano di pillole, capsule, supposte,
fiale, fialette, sciroppi. E' il consumismo della salute,
tutt'altro che disinteressato, come quello deputato ad altri aspetti
dell'esistenza, ma con ben diverso impatto sulla nostra vita. E le
analogie non si fermano qui. Basti pensare al sofisticato tecnicismo
costruttivo finalizzato a minare la durata degli oggetti, al quale si
affianca l'esasperante pubblicità diretta a far apparire superato ed
anacronistico quanto acquistato in tempi non recentissimi. Il farmaco,
fabbricato prevalentemente per incidere (nel migliore dei casi) sulla
malattia senza risolverla e che, anche se valido, viene sostituito da
altri di "nuova generazione" che nuova magari non è, segue la
stessa traccia. Dal che, non solo facile, ma obbligata, emerge la
concezione praticata dalla società contemporanea: il malato-oggetto, il
paziente-cliente, l'essere umano fattore di reddito.
Da quanto riportato in queste pagine risulterà ormai
chiaro come la libido degli sputa-farmaci guardi con fosca concupiscenza
soprattutto alle malattie croniche, che assicurano redditi corposi perché
gonfiati e corposi perché costanti.
§ 4. Erode è tornato.
Per brevità, tralasciamo tutta quella nebulosa di
specialità conculcate speculando sull'ansietà istintiva per la propria
salute (disturbi gastrointestinali, problemi relativi all'attività
sessuale ecc.), ed i (ne)fasti dell'esasperata (e redditizia) tecnologia
diagnostica impotente a raggiungere il cercine di tutta la medicina,
quello che Luigi Di Bella definiva "il tratto quasi divino
dell'arte medica": la diagnosi. Intendiamo riferirci alla
variegata famiglia dei tratti caratteriali di ognuno e dei comportamenti
che ne conseguono, a volte primigeni, altre derivati dall'educazione
ricevuta e dall'esperienza di vita ricavata: il mondo inafferrabile
della psicologia umana e, in particolar modo, di quella infantile.
Era una tentazione troppo grande tuffarsi in un campo
nel quale è difficile contestare una diagnosi, specie da parte dei più
ingenui, e nel quale si poteva contare sull'emotività e la istintiva
insicurezza dei genitori. Decisive, nel consentire questa ennesima
mistificazione e (qui bisogna parlar chiaro) opera criminale, due
delle piaghe del nostro tempo: la progressiva descientificazione della
medicina ed il suo inquinamento da parte di professioni empiriche.
Da una parte, l'oblìo doloso disceso su fisiologia e
neurofisiologia ha fatto compiere alla medicina un passo indietro di
secoli, vanificando acquisizioni dovute all'impegno e la genialità di
tanti ricercatori; dall'altra, sono stati parificati alla logica
scientifica teoremi indimostrabili, come quelli propinati dalla
psicologia e, peggio ancora, dalla psicanalisi. Questo irrazionalismo
diffuso, che costituisce una delle incoerenze ed assurdità della
pretesa epoca della scienza, ha trovato un sinergico e favorevole
terreno nella diseducazione collettiva, nell'indotta paralisi della
logica e del ragionamento, nella lotta senza quartiere a quella tutela
dell'infanzia e dell'adolescenza prima assicurate dall'educazione
familiare e scolastica. Il risultato è stato di abbattere quel
diaframma prezioso, quella blindatura che proteggeva le nuove
generazioni dal mercantilismo senza limiti e dall'immoralità montante.
Ecco quindi la progressiva trasformazione in malattie di timidezza,
introversione, vivacità, svogliatezza, sensibilità, carenza di
volizione, e perché no - diciamoci tutta la verità - scarsa
intelligenza, e, concomitante con questa trasformazione, l'impiego
di farmaci per rimediare a caratteristiche o difetti caratteriali
immutabili, ovvero a transitorie situazioni ovviabili con la naturale
maturazione o con la correzione da parte di genitori e/o insegnanti. Per
essere più precisi, parliamo degli psicofarmaci: salvo casi del
tutto particolari sempre e comunque deleteri, impropri, forieri di danni
il più delle volte irreversibili e di un asservimento moralmente
ripugnante, ma commercialmente prodigioso. Il tema è di una complessità
immensa, riguarderebbe una intera concezione della vita che si è andata
formando in questa disgraziatissima epoca e non solo un aspetto
sanitario: ma trattare di questo argomento ci porterebbe lontano.
Suggeriamo solo spunti di riflessione che ognuno può individualmente
elaborare e conseguenzializzare. Così sarebbe opportuno pensare alla
strettissima parentela tra lassismo - a livello legale e di promossa
tolleranza sociale - nei confronti della droga, e ricorso, senza
risparmio, a questa classe di farmaci: dei quali tristi fenomeni è
legittimo supporre l'esistenza di un finalismo che non può non evocare
gli inquietanti scenari del "1984" di George Orwell. Gli
psicofarmaci, in buona sostanza, non sono altro (nella maggior parte dei
casi) che droga legalizzata e prescrivibile.
Altrettanto potrebbe dirsi a proposito
dell'abdicazione, così procurata, alle difficoltà della vita e alla
diseducazione collettiva che fa assistere ad innumerevoli episodi di
resa, di fuga dai problemi, di svirilizzazione dei giovani, pronti a
diversivi pur di non affrontare le situazioni e superare gli ostacoli,
di delegazione ad altri e ad altro di nodi che solo il singolo può e
deve sciogliere. Una folla di ragazzi, potenzialmente ricchi di doti
umane ed intellettive, che vagano smarriti, boccheggianti, privi di
appigli, riferimenti, esempi, validi aiuti: prede predestinate di chi
tutto vuole aggiogare e sfruttare e di quanti vedono nell'individuo il
nemico da contrastare, nella massa amorfa il naturale alleato dei propri
squallidi ed infami disegni. E ancora: la tendenza immorale ed
antiscientifica di aggirare le situazioni invece di studiarle e
risolverle, imbellettando i malati e riconsegnandoli - fantasmi senza
luce, né volizione, né affettività, né consapevolezza - ai propri
cari. La "Medicina dell'apparenza" che punta a
mantenere malati i malati, a nascondere gli inevitabili insuccessi
dietro statistiche da gioco dei tre bicchieri e sfruttare sofferenza e
morbilità allo stesso modo in cui un tempo si setacciava la sabbia dei
fiumi in cerca di pagliuzze d'oro. Ma questo è oro rosso.
Un caso apparentemente lontano, ma in realtà
strettamente imparentato, ci vide testimoni di questa mentalità
"dell'apparenza" una quarantina d'anni or sono. Due chirurghi,
senza finalità eversive, ma per amor di fama e - si va a finire sempre
qui - scarsissima dimestichezza con la neurofisiologia, ebbero un
momento di celebrità quando introdussero in Italia la vagotomia,
intervento col quale ritenevano di avere risolto il problema dell'ulcera
gastrica. In occasione di una conferenza, dopo salamelecchi e bizzeffe
di "esimi colleghi" da parte della baronale colleganza,
dovettero assistere alla demolizione, impietosa, del loro teorema.
"Nella giustificazione della vagotomia si è posta in
particolare risalto l'ipercloridria nell'etiopatogenesi dell'ulcera
gastrica, e si è data importanza alle sparute fibre eccito-secretorie
del vago, dimenticando la criticabilità di una delle dimostrazioni
dell'azione di queste fibre, quella cioè degli abnormi parametri di
stimolazione. Lungo le fibre del vago, non solo toracico, ma anche
addominale, vi sono neuroni non solo sensitivi, ma anche vegetativi...
la vagotomia sottodiaframmatica è a mio parere una deconnessione
vegetativo somatica....molti operati vivono e stanno ‘bene'; come non
male stanno, finchè la malattia non ha progredito notevolmente, i
siringomielici, i tabetici eccetera. Credo che questi esempi dovrebbero
saggiamente ammonire e suggerire complementi di studi prima di pentirci
forse un domani in ritardo!". In poche parole: il paziente
veniva operato e non avvertiva più la sgradita sintomatologia
precedente, per il semplice fatto che i "segnali" non
partivano più, essendo stata resecata la linea telefonica....Peccato
che, insieme ai sottili fili dei segnali in partenza, fossero stati
tagliati anche i grossi di quelli in ingresso, di importanza vitale
perché neuromotori. Il malato usciva radioso ed in posizione eretta
dall'ospedale; salvo uscirne in posizione supina al primo scontato nuovo
ricovero. Questa contestazione venne mossa ai due chirurghi dal Prof.
Luigi Di Bella, al termine di una trionfale conferenza tenutasi
nel 1968 al Policlinico di Modena. I due medici, alquanto mortificati,
ebbero comunque la correttezza di scusarsi pubblicamente con il
fisiologo, tra stizza e digrignar di denti degli azzimati cattedratici
che li avevano applauditi fino allo spellamento delle mani ed
all'orrenda figuraccia finale. E di vagotomia non si parlò più, specie
dopo che lo scienziato comunicò la sua opinione in un congresso
internazionale a Bruxelles (Seance extraordinaire de la Societè Belge
de Gastro-Enterologie, 29/9/1968: "La secrétion chlorhydrique
de la muqueuse isole de rat vagotomisé ou non").
La filosofia d'azione degli psicofarmaci ci sembra
esattamente la stessa. Con, in più, sinistri ed allarmanti risvolti.
Trattando dello sfruttamento dell'infanzia,
occorrerebbe passare in rassegna l'indecente ed interessato abuso che è
stato e viene fatto delle vaccinazioni. Il tema obbligherebbe ad
una trattazione troppo estesa per la forzata economia di questo scritto
ed inoltre non si attaglia perfettamente ai parametri ispiratori di
questo inesauribile appetito nato dal magico aggettivo "cronico";
dato che, pur con la tenera e premurosa foga dei legislatori e degli
enti sanitari, ci si può vaccinare una volta sola, ed oltre eventuali
richiami non si va o non si può essere obbligati ad andare. Le vittime
delle vaccinazioni sono sotto terra o, se vive, sopravvivono minorate in
famiglie distrutte. Nel nostro Paese, nonostante i genitori si siano
organizzati in associazioni per avere l'aiuto del quale hanno diritto da
parte dello Stato (che tentazione scriverlo con la esse minuscola!), non
sono riusciti ad ottenere giustizia. Quello che lascia sbigottiti è che
nonostante quanto emerso da più fonti e, soprattutto, da un'inchiesta
della giornalista Milena Gabanelli (che si è occupata anche di malattie
inventate, purtroppo senza continuare, o poter continuare a
"battere" sul tema), la Giustizia non si sia mossa: nemmeno
quando un noto personaggio dell'Ist. Sup. della Sanità, pressato dalle
domande di alcuni genitori, dovette ammettere che erano state
distribuite partite di un vaccino imperfetto, pur disponendo di altre
molto più sicure, perché occorreva....svuotare i magazzini. Morti e
disabili sono stati quindi la quisquilia da pagare per avere un
magazzino ordinato.
Concludiamo il tema vaccinazioni con la saga dell'influenza A/H1N1.
L'OMS - altro organismo spesso pappa e ciccia con il potere farmaceutico
- dopo essersi vergognosamente prestata a diffondere il panico su questa
INESISTENTE epidemia, parlando di INESISTENTI pericoli e sparando cifre
che non erano nemmeno cugine di quarto grado della verità, ora invita
..."ad evitare il panico...", dopo decessi in tutto il
mondo e inabilitazioni. Pensate: il rischio di narcolessia nei vaccinati
c'è (bontà loro), ed è "nove volte superiore...." (a
che?), ma riguarda "solo" la fascia d'età fra i 4 ed i 19
anni....e chi è geneticamente predisposto! Come dire: se sei nato male,
mica è colpa nostra! Nessuno è finito in manette (o meglio, con palla
di ferro al piede e piccone in mano) per questo incredibile e vergognoso
episodio di truffa organizzata: né i produttori del vaccino, né
gli esponenti di commissioni ministeriali, né luminari al neon
prestatisi a fare da testimonial per la truffa. Tutti innocenti.
Questa è una delle occasioni perdute per tutti noi. Invece di
manifestare per le cose più cretine che mente umana possa ideare e
ripetere slogan ritmati in due quarti coniati da Napoleoni
dell'imbecillità, i cittadini di tutto il mondo avrebbero dovuto
scendere in piazza, prendere a calci nel sedere le cassandre a
provvigioni, pretendere dimissioni dei responsabili e azioni legali
contro di loro. Ma l'azione penale, non era obbligatoria?
In mancanza di tutto questo, è bene ricordarsi CHI
abbia lanciato l'allarme ostentando, con talento melodrammatico, voce
fosca e sguardo costernato; e CHI abbia consigliato queste vaccinazioni.
Basterebbe un po' di memoria per individuare i disonesti e gli iscritti
a libro paga di Big Pharma, e liberarsene. E' stata, in sostanza, un'azione-spot
di cinica speculazione, utilissima per fare affluire denaro sporco,
a volte di sangue, in forzieri ormai all'orlo del cedimento.
Ma almeno, grazie ai galletti dei notiziari televisivi,
abbiamo imparato un'altra bellissima parola, oltre alla misteriosa (e
spaventosa) sigla A/H1N1: "PANDEMIA"!!! Un contributo storico
alla cultura collettiva, che ben valeva qualche centinaio di morti.
Pandemia....non la banale, incolta "Epidemia", razza di
ignoranti che non siete altro. Ringraziate chi semina cultura, e vi ha
insegnato tante altre cose importantissime: come, ad esempio, che i
fiumi "ESONDANO" ("straripano" lo dicono solo i
sottoproletari della cultura)....ed i maremoti (termine
piccolo-borghese-reazionario) si chiamano "TSUNAMI"! Lo
sapevate, buzzurri, prima che la tv ve lo insegnasse? Questa è civiltà,
questa è cultura. Sia come sia, qualche statista non del tutto prono si
è ribellato e detto chiaro e tondo che era ora di finirla col
raccontare balle da Zeppelin, facendo venire i sudori freddi al pool di
multinazionali che si stavano fregando le mani. Che, dopo qualche timido
tentativo di rinverdire i fasti influenzali, si sono accontentate delle
poche decine di miliardi di euro e dollari rimediati. E' stato un
"crac", una crepa un tempo inconcepibile, nella crosta
pataccara dell'industria del farmaco e, forse, un segnale, una
svolta storica: della quale certi valorosi giornalisti d'inchiesta -
quelli abituati a tuonare contro i deboli e scodinzolare di fronte a
tutti i forti dei quali non sia ancora disponibile il certificato di
morte - si sono ben guardati dall'approfittare.
Concludiamo questa penultima "puntata" con un
accenno - solo un accenno - al "Disease Morgening" indirizzato
all'infanzia e all'adolescenza ed al business collegato. Occorrerebbe
scrivere libri interi per esaminare, con la pretesa di un minimo di
completezza, tanti argomenti correlati: a partire da quello,
sconvolgente, dell'alimentazione. Nel segnalare un altro interessante
volume, del quale alcuni amici ci hanno parlato assai favorevolmente, ma
che non abbiamo ancora avuto modo di leggere (Marcello Pamio, "I
creatori di malattie", Il Nuovo Mondo Edizioni, 2010), non possiamo
esimerci dall'annotare il coinvolgimento di alcune case farmaceutiche
anche nel settore dell'alimentazione umana. Ci riferiamo non tanto agli
omogeinizzati per l'infanzia (a titolo di cronaca: molti anni fa fu
soffocato a stento uno scandalo per l'impiego di carne di ratto;
sterilizzata finché volete, ma sempre ratto era), quanto alla geniale
trovata - attribuita ai chimici Pfitzer - di integrare il mangime per
gli animali da allevamento (maiali, pollame, suini) con antibiotici,
allo scopo di stimolarne la crescita. Col magnifico risultato che
gli animali tendono a selezionare batteri sempre più resistenti
(passando a noi quest'eredità negativa), le loro carni sono sempre più
povere di vitamine, ed i bambini in particolare, data anche la
contaminazione dei foraggi ad opera di aggressivi concimi chimici, ben
di rado possono contare su un'alimentazione sana e genuina.
Ricollegandoci a quanto accennato all'inizio di questo
paragrafo, le malattie inventate che hanno particolarmente (ma non
esclusivamente) interessato i minori sono state: "l'ansia
generalizzata", "il disturbo da deficit attentivo" (ADHD),
"gli attacchi di panico". Una incredibile quantità di
psicofarmaci si è riversata sui bambini, a volte anche su quelli che
cominciavano appena a camminare.
Per limitarci ad esempi, il Ritalin, prescritto per
vincere la timidezza.....ha fatto registrare dal 1990 un incremento
dell'800% delle vendite, mentre il sonnifero Ambien, nel solo periodo
tra il 2000 ed il 2004, raggiunse un aumento dell'85% delle prescrizioni
nella fascia d'età tra i 10 ed i 19 anni. Lo Xanax, indicato quale
rimedio per gli attacchi di panico ed il Paxil per l'ansia
generalizzata, non sono certo stati da meno. La Angell scrive a
questo proposito: "...la GlaxoSmithKline ha sepolto prove che il
suo antidepressivo, il Paxil, top nelle vendite, è inefficace e
potenzialmente dannoso per i bambini e gli adolescenti;
GlaxoSmithKline fu obbligata, nel 2004, a transare sulle accuse di frode
pagando 2,5 milioni di dollari". Ma cos'erano 2,5 milioni di
dollari rispetto ai 2.700 milioni di vendite annuali del Paxil? Per non
fare favoritismi, l'ex direttrice del New England, scrive: "..sei
anni fa quattro ricercatori, invocando il Freedom of Information Act,
hanno ottenuto dalla FDA relazioni su ogni studio clinico - che
prevedesse il confronto-pacebo - presentato per ottenere l'approvazione
iniziale dei sei più usati farmaci antidepressivi approvati tra il 1987
e il 1999: Prozac, Paxil , Zoloft, Celexa, Serzone e Effexor. Essi hanno
scoperto che, in media, l'80 per cento dei placebo hanno la stessa
efficacia di questi farmaci. La differenza tra farmaco e placebo è
stata così piccola che era improbabile che essa potesse rivestire un
qualche significato clinico. I risultati sono stati più o meno gli
stessi per tutti e sei i farmaci: tutti sono risultati egualmente
inefficaci. Ma visto che sono stati pubblicati solo i risultati
"favorevoli" e quelli sfavorevoli sono stati....sepolti (in
questo caso, all'interno della FDA), il pubblico e la professione medica
hanno ritenuto questi farmaci potenti antidepressivi".
E questo sarebbe il meno, se l'uso di questi
psicofarmaci, specie non occasionale, non portasse a danni irreversibili
a livello della sfera intellettiva e neuromotoria, tenuto anche conto
della dipendenza indotta negli assuntori. Una dipendenza sempre più
stretta e soffocante, come si fosse tra le spire di un pitone, che porta
gradualmente alla spersonalizzazione dell'individuo, proiettato in un
limbo asettico di stupori silenziati, di suadenti allucinazioni, di
perdita della volizione, di sterilizzazione della vita emotiva.
Chiudiamo
questo nostro scritto, in attesa di concludere tra breve la
"serie", accennando ad un altro incommentabile sfruttamento
dell'infanzia: la somministrazione del GH (Growth Hormon, l'ormone della
crescita) per stimolare lo sviluppo fisico dei bambini. E' bene
ricordare come il valore dell'ormone della crescita risulti di regola
elevato in ogni tipo di tumore e che le cellule neoplastiche bevano
avidamente questa sostanza, fornite come sono di recettori del Gh in
numero molto superiore a quello delle cellule sane. In poche
parole, l'uso del GH, propagandato per "avere figli belli, alti,
grandi e sani", pone una serie ipoteca alla nascita di processi
tumorali od al forte sviluppo di forme che, normalmente, sarebbero
contrastate e vinte dalle difese naturali dell'organismo.