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Inventare
malattie
Adolfo
Di Bella - http://www.dibellainsieme.org/home.do
§ 1. Ma quale ricerca!
«Le case
farmaceutiche si sono trasformate in imperi commerciali capaci di
vendere antidepressivi..., antidolorifici... e farmaci
anticolesterolo... con gli stessi metodi utilizzati da Coca Cola o per
vendere il Dash... Vendere farmaci, anziché scoprirli, è
diventata l’ossessione dell’industria farmaceutica».
Questo uno dei passi più incisivi dell’introduzione del libro della
Petersen (pagina14). Emerge, clamorosa, un’anomalia: che senso ha
indirizzare una pubblicità così intensiva verso il malato? Questi
viene considerato persona da curare o cliente da allettare? Appare
moralmente lecita una politica simile e la parallela indifferenza delle
autorità? E poi: visto che incidono fortemente sul prezzo, quanto
costano al cittadino le spese promozionali delle case farmaceutiche?
Sono domande che tutti dobbiamo cominciare a porci, per sapere che
fiducia possiamo dare a costoro, ai loro prodotti, a coloro che li
prescrivono. Inoltre occorre riflettere su un’altra stranezza, e cioè
la doppia pubblicità: quella rivolta ai medici e quella al cittadino.
Un assedio opprimente che negli USA ha raggiunto livelli inimmaginabili
e da noi si sta preparando a diventarlo, come facilmente ravvisabile nel
recente incremento della pubblicità farmaceutica sui nostri
teleschermi.
Tra il 1995 ed
il 2000 gli impiegati addetti all’attività di marketing nelle aziende
farmaceutiche statunitensi erano cresciuti del 59%, mentre
gli addetti alla ricerca ed allo sviluppo dei farmaci erano diminuiti
del 2%: i promotori avevano così raggiunto le 87.210 unità
contro le 48.527 dei tecnici. Nel 2004 il boom: sono stati assunti negli
Stati Uniti 101.000 informatori farmaceutici
che visitano il medico portando una «pioggia di omaggi e denaro
contante» (opera citata, pagina 19). E’ ovvio che dal medico ci
si aspetta riconoscenza, sotto forma di prescrizione di farmaci. Questa
tendenza si era fatta evidente già dal finire degli anni ‘70, ma,
come osservò il dottor Steven N. Wiggins, docente di Economia presso un
rinomato ateneo americano, «i ricercatori avevano cominciato a
perdere la loro influenza all’interno delle grandi società
farmaceutiche già alla fine degli anni sessanta». Pierre Simon,
ricercatore universitario prima, responsabile della ricerca presso la
francese Sanofi poi, dichiarò allo storico della medicina David Healy:
«All’inizio l’industria farmaceutica era in mano
ai chimici. Ora appartiene a persone che hanno un master in Business
Administration o qualcosa del genere, gente che potrebbe dirigere
allo stesso modo Renault, Volvo o qualsiasi altra società.
Bisogna vedere la quantità di denaro che il settore farmaceutico spende
per condurre ricerche su farmaci-fotocopia, la cui efficacia a
volte è minore. Parliamo di utilizzare il 70-90% di tutto il denaro
destinato alla ricerca per finalità che esulano dall’innovazione.
E’ uno spreco di denaro terribile».
Ma torniamo
alla foglia di fico dei costi della ricerca. Questi sono assai contenuti
- ammettendo per un istante che si intenda fare davvero ricerca
scientifica - ed inferiori ai costi vivi che, comprensivi di oneri di
acquisto delle materie prime, spese di produzione e confezionamento, raramente
superano il 10% del totale. A questo punto è opportuno
approfondire la natura del marketing e dell’attività promozionale.
Cominciamo con le... quisquilie. Gli esponenti della Tap Pharmaceutical
Products - si tratta solo di un esempio emblematico di costumi più
sistematici che diffusi - facevano omaggio di televisori,
videoregistratori e biglietti per spettacoli a Broadway ai medici che
prescrivevano una loro specialità. Se un medico doveva trasferire il
proprio studio, ecco arrivare con fulminea tempestività i
rappresentanti della ditta con un assegno rotondo; se voleva
incrementare le proprie entrate, non mancava l’affettuosa
offerta di consulenza gratuita, fornita da esperti che ordinariamente
chiedevano onorari anche di 25.000 dollari.
La tolleranza
di pratiche di dubbia correttezza e legalità ha poi portato alla
mancanza di quel minimo di ipocrita decenza che solitamente costituisce
il belletto dei disonesti di marca. Ci riferiamo a molti congressi
scientifici (sic), che assomigliano molto di più a fiere e a saghe
paesane che a convegni: poco ci manca che, aggirandosi per le sedi di
questi coacervi di intellighenzia scientifica, non si venga
avvolti dall’acre fumo di porchetta rosolata o dal dolciastro aroma
dei fusi di zucchero filato, mentre concionatori dalla lingua sciolta
magnificano le virtù dell’ultima padella antiaderente o di un
avveniristico sbucciapatate. E non si tratta certo di cose nuove. Già
all’inizio degli anni cinquanta un docente universitario, amico del
professor Luigi Di Bella, riferendosi all’ambiente osservato in un
congresso, gli scriveva sdegnato: «... Le case farmaceutiche premono
per esporre le loro bancarelle». Ma, bancarelle a parte, migliaia
di medici e papaveri accademici, una volta salvate le convenienze con
fugaci apparizioni nelle sedi congressuali, di giorno si crogiolano al
sole di scientificissime spiagge tropicali, dedicandosi col vespro
all’estatica degustazione di ostriche fresche e rosee aragoste
innaffiate da champagne francese d’annata; per ritemprare infine le
esauste mandibole riposando, da soli o con accompagnatrici congressuali,
in magnifiche suite di alberghi a cinque stelle, totalmente spesati dal
grande cuore e dall’ancor più capace portafogli degli industriali
farmaceutici. Questa è prassi corrente, non episodica forzosamente
generalizzata. Avete qualche perplessità o dubbio? Dirimiamoli insieme
affidandoci ad uno degli innumerevoli episodi a suffragio, preso a caso.
Miami Beach,
2004: si tiene un convegno formativo di dermatologia. I partecipanti
possono godere il panorama marino dalle finestre di un lussuoso hotel
che si affaccia sulla South Beach. Il depliant consegnato ai
congressisti-bagnanti recita:
«Per
cominciare, avrete l’occasione di farvi fotografare
insieme a numerosi pappagalli esotici. Nel corso del ricevimento,
un illusionista girerà tra la folla, sorprendendo gli invitati
con i suoi trucchi strabilianti, mentre un gruppo di acrobati vi
lascerà senza fiato con uno spettacolo assolutamente incredibile!
Potrete servirvi ad un ricco buffet con cibo e cocktail locali,
da gustare sulle note di una tipica orchestra da spiaggia e delle sue
canzoni. Naturalmente, la pista da ballo è a vostra disposizione».
Si
riempirebbero più libri che pagine di esempi sconfortanti e - si badi
bene - non tratti da semplici indiscrezioni o testimonianze sporadiche,
ma da documenti di rango assoluto. Nel corso di lavori di una apposita
commissione al Senato americano furono verbalizzati episodi vergognosi e
generalizzati. Basti quello costituito dall’operato della American
Home Products, una grossa casa farmaceutica del New Jersey, che da
poco aveva ottenuto l’approvazione di un suo prodotto, l’Inderal
LA, versione fotocopiata di un farmaco ideato vent’anni prima. I
medici che prescrivevano l’Inderal a cinquanta pazienti,
compilavano un modulino fornito loro dalla American H.P. ed ottenevano
subito un volo gratuito della American Airlines per qualsiasi città del
Paese. La Roche, per non esser da meno, offriva 1.200$ ai medici che
prescrivevano il Rocephin ad almeno 20 pazienti, mentre la Sandoz
spediva assegni da 100$ a qualunque medico accettasse semplicemente di
leggere un articolo di un paio di pagine dove si magnificavano i
risultati di un proprio farmaco per la cura della psoriasi (risultato
poi inefficace ed estremamente tossico).
I rapporti con
emittenti TV e la stampa risultano descritti nei verbali di
un’apposita commissione, prima presieduta dal senatore Kennedy. Per
dribblare i pur platonici controlli della FDA, le case farmaceutiche
fornivano alle televisioni filmati per promuovere i loro prodotti,
abilmente presentati come fossero stati realizzati dai giornalisti delle
emittenti. Lasciamo la parola alla Petersen: «Negli spezzoni dei
filmati comparivano spesso medici dalla parlantina forbita,
pazienti riconoscenti e grafici complessi elaborati a computer. I
copioni distribuiti insieme ai filmati contenevano suggerimenti
destinati ai giornalisti di studio su come presentare la notizia,
quali domande porre e come concludere il servizio per farlo apparire
come un fatto vero».
Aggiungiamo
che noi italiani - oggi ridotti a mimi/imitatori dei costumi stranieri -
ci apprestiamo ad adottare questo stile pubblicitario, che sta
infettando anche altre categorie di produttori. Cominciano quindi ad
affacciarsi yoghurt che diminuiscono del 43% (non un 40% o 45%...) la
stipsi, o colluttori che in un mese riducono del 31% (assai più
incisivo di un prosaico 30%) la carie, e così via. Hanno imparato come
far cantare la stonata sirena delle statistiche che, per cifre spezzate,
appaiono molto più scientifiche, frutto di meticolosissime
indagini: più o meno sulla falsariga di quelle delle virtuali
guarigioni dal cancro.
Non siamo
giunti comunque al vero cuore del problema. Fin qui abbiamo passato in
rassegna esempi di malcostume, scorrettezza, assenza di etica
professionale: che ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre. La gravità
inaudita, eversiva, riguarda questa Grande Piovra che allunga i
suoi viscidi tentacoli dovunque, obnubila con la nuvola nera del suo
secreto, avvelena, corrompe, dissolve ogni argine eretto a difesa della
salute e della civiltà. Non esagerazione maniacale, ma palese e
concreta evidenza originano queste righe.
Marcia Angell:
«Un recente sondaggio ha rilevato che circa i due terzi dei centri
medici accademici hanno rilevanti partecipazioni nelle aziende
che sponsorizzano la ricerca all’interno della stessa
istituzione. Una inchiesta sul settore universitario medico ha scoperto
che i due terzi dei cattedratici dovevano il loro incarico
alle aziende farmaceutiche e che i tre quinti avevano ricevuto da
queste incarichi personali».
M. Petersen:
«La tragedia non sta nei medicinali, ma nel marketing e nel
potere senza precedenti che queste società attualmente detengono sulla
pratica medica».
R. Moynihan:
«Le case farmaceutiche hanno generosamente sovvenzionato…
ospedali, università, scuole di medicina,
associazioni mediche, agenzie governative e praticamente
qualunque organizzazione desiderassero avere a fianco».
E, come non
bastasse: «Dato che le aziende farmaceutiche pretendono, come
condizione per erogare un finanziamento, di essere capillarmente
coinvolte in tutti gli aspetti della ricerca che sponsorizzano,
è facile per loro introdurre falsificazioni dirette a far
apparire i loro farmaci migliori e più sicuri di quel che sono. Prima
del 1980 veniva data ai ricercatori universitari una totale
autonomia nella conduzione dei lavori, ma ora le case
farmaceutiche impiegano spesso i loro dipendenti ed i loro agenti nel
progettare gli studi, eseguire i test, scrivere i lavori,
e decidere se e in quale forma pubblicare i risultati. Talvolta le
facoltà mediche procurano ricercatori che sono poco più che
manovali, per cui l’arruolamento di pazienti e la
raccolta dei dati seguono le direttive dell’azienda. In
considerazione di un controllo simile e dei conflitti di interesse
che permeano la ricerca, non c’è da meravigliarsi che i
risultati negativi degli studi sponsorizzati dalle case
farmaceutiche (e pubblicati su riviste scientifiche a loro
tornaconto), non vengano in gran parte resi noti, mentre
la pubblicazione di quelli positivi venga riproposta in altri lavori
appena variati nella forma; oppure che quelli negativi vengano
presentati come positivi. Per fare un esempio, un
controllo su 74 studi clinici relativi ad antidepressivi, ha
svelato che 37 su 38 risultati positivi siano stati pubblicati, ma 36
dei 37 negativi o sono stati occultati o pubblicati spacciandoli per
positivi. Non è poi raro che un documento pubblicato focalizzi l’attenzione
sull’effetto secondario che sembra più favorevole».
Il sunto drammatico della situazione può rintracciarsi nel discorso di
apertura tenuto dal dottor Erling Refsum, esponente della Nomura
International, nel corso del quale egli disse fra l’altro: «Le
grandi case farmaceutiche si fondano ormai sulla finanza. Ciò
che fanno non ha nulla a che spartire con la ricerca,
ma ruota intorno al calcolo degli utili per azioni ed alla soddisfazione
delle aspettative degli azionisti. Scoprire nuovi farmaci non interessa
a queste società, perché per loro ciò che stanno realmente
vendendo non ha la minima rilevanza. L’importante è guadagnare»
(Life Sciences, Università del Michigan, 8 febbraio 2002. Il
video del discorso è disponibile su www.zli.bus.umich.edu/events_programs/featured_event.asp).
Ancor più
esplicito il lapidario responso rilasciato nel corso di un’intervista
del 2003 da Alex Hittle, analista di A.G. Edwards: «Circola una
battuta secondo cui si rischiano due possibili disastri, quando
si fanno dei test clinici. Il primo è uccidere le persone, il
secondo guarirle» (International Herald Tribune, 1 marzo
2003).
Eccovi presentata la tanto reclamizzata e dogmatizzata EBM (Evidence-Based
Medicine). Le ovvie, incontestabili conclusioni di questa esasperata
ed esasperante colonizzazione le trarremo nella chiusura di questo
scritto, avvilita ceralacca che suggella una disamina mai condotta dai
mezzi di informazione, specie nostrani, senza giri di parole,
distrazioni e lacune omertose.
Conclusione: poiché sul prezzo del farmaco incidono marginalmente i
costi vivi, in misura prevalente quelli di marketing e penetrazione in
ogni tessuto sociale ed istituzionale, noi contribuenti siamo forzatamente
costretti a pagare il sovvenzionamento della corruzione!!!
Come osserva la Petersen, «Mentre i pazienti si ritrovano con le
tasche vuote, i produttori di farmaci nuotano nell’oro».
§ 2. Inventare
malattie
»Persino ai cani viene somministrato il Prozac se abbaiano
troppo alla luna». Come prologo non ci sembra male. Ma,
psicofarmaci a parte, potremo constatare come non vi sia funzione
dell’organismo o parte del corpo sulle quali non si sia sbizzarrita la
rapace fantasia dei mercanti di pillole. Fantasia, a dire il vero, bolsa
e un po’ ammuffita, dato che noi italiani, meno ingenui e più
smaliziati degli americani, tendiamo - se stiamo bene - a sorriderne,
condendo l’ilarità con qualche salace battutaccia toscaneggiante. Il
guaio è che quando si accusa qualche problema di salute, sopravalutato
o sottovalutato che sia, il senso critico (e quello dell’umorismo) di
qualsiasi persona si appanna e rende tutti potenziali prede di queste
poiane che planano su di noi, lente e pazienti - sapete - pronte a
focalizzare il primo segno di malessere, la prima smorfia che ci storce
la bocca e scendere in picchiata sulla nostra salute ed il nostro
portafogli.
Dato che
l’assurdità (ed a volte la ridicolaggine) di certa neo-diagnostica è
difficile da camuffare, si ricorre ad uno stratagemma di sicura presa,
efficace quando certe magniloquenti nomenclature fanno cilecca: gli
acronimi. Papale papale, ecco l’opinione della Petersen: «Per
inventare nuove malattie o ingigantire le preesistenti, le
aziende affibbiano loro denominazioni altisonanti attraverso acronimi».
Se poi questi sono desunti dall’ammericano... meglio ancora. Sa
di arcano, sa di importante, sa di vero... Se una persona semplice
ascolta un critico d’arte (altro velo pietoso) magnificare una crosta
sfregiata da segni inconcludenti - una di quelle solenni porcherie a
caro prezzo che deturpano pareti di case e di gallerie d’arte
contemporanea (e che uno scimpanzè riuscirebbe a dipingere
probabilmente meglio,... pardon…, meno peggio del divino) - tra
un parolone e l’altro si convincerà di chissà quali criptici valori
celati nel brutalizzato rettangolo di tela. Ammetterete che analoghe
sciocchezze recitate da qualche ieratico personaggio dal camice bianco
immacolato ed appena stirato, bene impomatato e pettinato da abili
truccatori, che spari disinvolto tutta una serie di neopatologie con
impeccabile pronuncia, ha buone probabilità di far presa sul pubblico
più ingenuo: quasi intimorito perfino all’impulso di chiedersi «ma
che è ‘sta roba?».
Cerchiamo
quindi di rimanere seri e iniziamo il carosello.
Nel 2003 Vince Parry, esperto di marchi farmaceutici, scrisse su una
rivista scientifica che la capacità di creare nuove malattie aveva
toccato «… livelli di sofisticazione mai raggiunti prima».
Non si tratta infatti di un disegno inedito, ma solo di
un’esasperazione di tendenze manifestatesi agli albori
dell’industrialismo farmaceutico.
- L’alitosi.
Alias: alito cattivo eretto a condizione patologica. Siamo agli inizi
degli anni venti, quando il colosso farmaceutico Warner-Lambert fa
questa pensata per aumentare le vendite di un proprio farmaco,
ovviamente inefficace a risolvere un problema che, una volta curata
l’igiene dentale oppure rinunciando a strapazzare il proprio fegato,
magari sparirebbe: il Listerine. Risultato: la Warner riesce a
vendere un quantitativo di Listerine 40 volte superiore a quello
ante alitosi! Fu creato anche uno slogan, emblematico del tempo, che
evidentemente fece presa, soprattutto sulle donne americane: «Messaggio
per 5 milioni di donne in cerca di marito: com’è il
vostro alito oggi?». Un semplice esempio, ma valido per completare,
anche storicamente, questa rassegna. Ma ora proseguiamo con l’attualità.
- GERD.
Siete curiosi di sapere di che diavolo si tratti? E’ l’acronimo di sindrome
gastro-esofagea da reflusso. Detta così, una cosa importante. Tolti
gli orpelli si riduce al bruciore di stomaco. Ma dire sono affetto da
sindrome gastro-esofagea da reflusso è tutt’altra cosa del plebeo
ho bruciore di stomaco. E caspita, c’è di mezzo
l’autorevolezza del malato! Ed il problema, che un coscienzioso medico
di famiglia risolverebbe con un opportuno regime dietetico e un po’ di
bicarbonato, si trasforma in un caso da indagare con carrettate di
analisi, -s copìe varie, indagini di ogni genere. Inutili, quando non
potenzialmente dannose, e costose: per le casse dello Stato, la
collettività ed il paziente dal ruttino allo zolfo. Ma remunerative per
altri.
Autori ben più autorevoli di noi la pensano alla stessa maniera: «... pillole,
iniezioni o interventi chirurgici possono anche provocare più
danni della malattia stessa. Persino gli esami… con aghi, endoscopie,
TAC e radiazioni possono danneggiare la salute». E’ mai
ammissibile la frequenza con la quale vengono effettuate, in
particolare, colonscopie, rettoscopie, gastroscopie, per giunta con
immotivate, frequenti (e pericolose) biopsie? Ma la semeiotica e
l’esame obiettivo, dove sono finiti? Per decenza, evitiamo di
rivelarlo.
Torniamo ora
alla genesi dello Gerd. Sigla che si deve ad un ragioniere.
Inutile strabuzzare gli occhi: è così. Paul Girolami era entrato in
Glaxo come contabile ed aveva fatto carriera, divenendo direttore nel
1980. All’uscita dello Zantac, prodotto antiulcera assai noto e
diffuso, Girolami considerò che gli americani sono appassionati
consumatori di pizza (la loro pizza... s’intende), patatine fritte,
hot dog, pollo fritto, porcherie assortite ed altri cibi spacca-stomaco:
di conseguenza, trasformare i bruciori e l’acidità di stomaco in una
malattia acuta e cronica e presentare un farmaco come specificamente
studiato per curare il Gastroesophageal Reflux Desease
poteva riempire d’oro la Glaxo. Una ricerca statistica, commissionata
alla società Gallup, rivelò che il 44% della popolazione statunitense
accusava ogni mese bruciori di stomaco: senza perdere tempo venne varata
una campagna pubblicitaria titolata «Bruciori di stomaco in tutta
l’America»! Girolami non amava fare le cose a metà, per
cui la Glaxo assoldò l’attrice Nancy Walker perché raccontasse che
dopo inenarrabili peripezie causate dai suoi riflussi acidi aveva
risolto il problema con lo Zantac. I dirigenti Glaxo fecero anche di più:
crearono L’Institute for Digestive Health, allo scopo di
incapsulare le fregole commerciali sotto il manto di un’istituzione
presentata quale autorevole ed autonomo ente accademico-scientifico. Ai
margini di questa offensiva, supportata da risorse evocanti la campagna
di Guadalcanal, una talea del Gerd. Uno degli accademici pagati
da Glaxo, Donald O. Castell, primario di gastroenterologia, raccontò
nel 1989 al New York Times che la casa farmaceutica gli aveva
dato 15.000 $ per condurre uno studio: val la pena approfondire. Lo studio
consisteva nel reclutare una dozzina di podisti, far mangiare loro
cornflakes, latte, una banana e succo d’arancia, seguìti da una
compressa di Zantac, e mandarli a correre. Ebbene, il farmaco
somministrato preventivamente scongiurava il... riflusso del
corridore, neopatologia marcata anch’essa Glaxo. La sensazionale
notizia venne diffusa in tutto il mondo grazie ad un’agenzia
ingaggiata allo scopo, la Ketchum Communications.
Glaxo divenne
la più grossa casa farmaceutica britannica, la regina Elisabetta nominò
baronetto Girolami, e la stessa Glaxo, grata e commossa, commissionò
una statua in bronzo (tutta in bronzo, non solo il viso) ad uno scultore
di fama: l’effigie di Sir Paul Girolami troneggia oggi nel
quartier generale della società. Sic transit gloria mundi.
- DE.
Un acronimo di due lettere risulta particolarmente incisivo. Andiamo
allo sviluppo: Disfunzione Erettile! Un problema fisiologico per
uomini di una certa età, patologico se si manifesta precocemente. Le
cause - si sa - possono essere tante e, come bisognerebbe fare sempre
prima di azzardarsi a prescrivere qualsiasi farmaco, occorrerebbe
decifrarle con precisione, senza limitarsi alla pur imbarazzante
sintomatologia. Ma di solito ci si accontenta di qualche rapida
descrizione, fatta ad occhi bassi, per diagnosticare una DE e,
seguendo diligentemente le linee-guida, prescrivere il farmaco
block-buster (campione d’incassi) a ciò deputato. Ci occuperemo più
avanti di questa categoria di prodotti e del loro retroterra economico.
- PMMD. Qui voliamo verso l’empireo: siamo di fronte alla sindrome
premestruale. Che cos’è? Tutte le donne (ed i loro partner),
sanno bene come i disturbi che precedono ed accompagnano il flusso
mestruale, dal menarca alla menopausa, siano antipatici, alterino
l’umore ed incrementino l’irritabilità. E’ un fenomeno
fisiologico, prima ancora che psicologico, le cui cause sono state
individuate da tempo e dovrebbero essere conosciute da qualsiasi
studente di medicina. Ma la fisiologia è nemica del profitto delle
vendite: tale considerazione ha portato (anche) a coniare il PMMD.
Già negli
anni sessanta si era iniziato a parlare di SPM (Sindrome
Premestruale), volendo riunire una serie di sintomatologie
psicologiche e fisiche (tra le quali la ritenzione idrica) che
accomunavano molte donne, senza volerne forzare l’accezione in una
patologia per la quale sfornare appositi medicinali. Si era affacciata,
a dire la verità, una siglatura di barocca insulsaggine (LLPDD: disturbo
disforico della tarda fase luteinica), ma, al di là dell’offrire
a medici di deprimente mediocrità un escamotage terminologico per
apparire autorevoli e colti, non si era andati.
All’inizio del 2000, una campagna di quelle che vengono definite informative
mise in allarme milioni di donne nei confronti del disturbo disforico
premestruale. I media abboccarono o accettarono di abboccare alla
immissione sul mercato del Prozac in confezione civettuola, con
capsule rosa e lavanda ed il nome d’arte di Sarafem: specialità
presentata quale cura per questa nuova malattia. Al solo scopo di
favorire la divulgazione scientifica... la direzione marketing della Ely
Lilly commissionò anche spot televisivi a società pubblicitarie
esperte nel lancio di marche di caffè, elettrodomestici, autovetture,
cellulari. Volete un saggio? Uno di questi spot riprende una donna, in
evidente stato di nervosismo, che tenta di liberare il carrello della
spesa dal groviglio degli altri. A questo punto interviene una voce
fuori campo: «Pensi che siano semplici sbalzi di umore dovuti al
ciclo? Potrebbe trattarsi del disturbo disforico premestruale».
R. Moynihan e A. Cassels scavano più a fondo sulle motivazioni che
portarono alla PMMD. La verità è che a fine ‘98 stava per
scadere il brevetto della fluoxetina (principio attivo del Prozac),
con la inevitabile comparsa di generici meno costosi. La Lilly
organizzò quindi una roundtable a Washington, presenti anche
esponenti della FDA, e partì l’offensiva sopra evocata.
Noi europei, forse perché nei secoli ne abbiamo viste di tutti i
colori, siamo meno sensibili a queste cretinate, ed a volte le
istituzioni sanitarie del vecchio continente ne tengono conto. Nel
dicembre 2003 gli organi di vigilanza europei inibirono alla Lilly il
prosieguo della commercializzazione del Prozac per i disturbi
premestruali, dichiarando che si trattava di una «patologia non ben
definita». Semel in anno licet sanire.
- FSD.
La disfunzione sessuale femminile (Female Sexual Disfunction).
Non chiedeteci lumi sulla nozione di FSD: mai precisamente
definita. Quest’ennesima conquista scientifica non fu frutto di una
singola casa farmaceutica. Forse la forzatura apparve tanto grossa da
consigliare di adibire a levatrice della bufala un convegno
internazionale. Come, d’altronde, si era fatto per il DE visto
prima. Tecnica già collaudata: un sondaggio (?) stabilisce che il 46%
delle donne ne soffre. Nella Blue Room del Palais des Congrès di
Parigi, il 30 giugno 2003, nell’ambito di un sontuoso Congresso
Internazionale sulle disfunzioni sessuali, si accese un dibattito
sull’argomento, sponsorizzato dalla Pfitzer con «una borsa di
studio senza limitazioni». Siccome non tutti sono disposti a
recitare la parte del giullare ed alcuni congressisti ritenevano che la
misura fosse ormai colma, alcuni partecipanti respinsero la sola idea «...
che esistesse una malattia con questo nome e stavano conducendo una
campagna per smascherare il ruolo che secondo loro le case farmaceutiche
avevano nella sua invenzione» (Moyhnian e Cassels, Farmaci che
ammalano, pagine 227-228). Singolarità: il moderatore del dibattito
e due oratori schierati a difesa dell’esistenza e plausibilità della FSD
avevano lavorato come consulenti esterni della Pfitzer. In un successivo
congresso a Boston, la precisissima e puntigliosa percentuale del 46% si
trasformò in una forbice possibilista «tra il 20 ed il 50%», e
fu sancito che la nuova definizione dovesse essere adottata negli
ambienti medici e psichiatrici. Casuale... la sponsorizzazione del
congresso da parte di 8 case farmaceutiche ed il fatto che 18 dei 19
sostenitori della FSD avessero «legami finanziari o di altro
tipo con un totale di 22 società» (opera citata pagina 235).
L’anno dopo, altro congresso a Boston, sempre sullo stesso tema. Qui
un controllo tanto al braccio (alzata di mano quale risposta alla
precisa domanda) rivelò che la metà dei partecipanti era aggiogata
all’industria farmaceutica.
Evitiamo di
citare i numerosissimi congressi organizzati in ogni dove picchiando
sempre sullo stesso tasto, alcuni dei quali - abbandonata la sagrestana
prudenza - nella stessa sede della Fondazione Pfitzer, e
l’arruolamento di ausiliarii di ogni genere: sociologi, opinionisti,
luminari al neon, giornalisti ed associazioni di femministe furibonde
nei confronti degli uomini e del mondo intero.
Il mercato
sarebbe (ed in parte è) di enorme appetibilità: cerotti al
testosterone, farmaci a base di estrogeni (efficacissimi fattori
cancerofili: quindi fonti di potenziale, ulteriore, successivo business
oncologico), psicofarmaci. Ed ovviamente non può mancare il micro
business (micro rispetto alle vendite di farmaci) costituito
dall’onorario di ginecologi, psicologi, psicanalisti e
para-psico-parassiti vari. Lapidariamente qualcuno ha riassunto in poche
righe il succo del discorso: «Le società farmaceutiche stanno
cercando nuove malattie, in base ad ampie analisi delle
opportunità di mercato non sfruttate, già riconosciute oggi o
promosse come tali domani. Gli anni venturi assisteranno in misura
crescente alla creazione di malattie sponsorizzate dalle società
farmaceutiche» (New England Journal of Medicine, volume 346,
pagine 524-526). L’invito più saggio ci sembra quello di Jean
Endicott, intervistato da Ray Moynihan: «Non fatevi ingannare dal
marketing sovvenzionato dalle case farmaceutiche camuffato da scienza o
da informazione». In conclusione: il business continua florido anzi
che no, ma il concetto di FSD ha fatto flop.
- L’iperattività
vescicale. Molti lettori non avranno mancato di osservare come la
proliferazione di queste corbellerie è dovuta all’inescusabile
complicità di parte della classe medica, a sua volta particolarmente
favorita, oltre che dal sensuale fruscio delle banconote, da una
rigogliosa ignoranza. La corbelleria di turno viene ideata dal colosso
farmaceutico Pharmacia e sostenuta da una forsennata campagna
promozionale senza scrupoli. Già nel 1998 i telegiornali avvisavano che
c’era una nuova epidemia che colpiva un americano su quattro: «Misteriosamente,
i servizi iniziarono a susseguirsi sui media poche settimane
prima che nelle farmacie arrivasse un nuovo farmaco per questa malattia,
una compressa bianca chiamata ‘Detrol’ » (opera
citata, pagina 27). Il bello è che cinque anni dopo il presidente di
Pharmacia, Neil Wolf, intervenendo al Pharmaceutical Marketing Global
Summit (titolo che è già un programma), si sarebbe vantato di questa
truffa, gonfiandosi d’orgoglio come un tacchino. La prima slide
proiettata recava il titolo dell’intervento: «Posizionare il ‘Detrol’
- creare una malattia». Affermò quindi: «Volevamo che la
gente leggesse qualcosa sul Reader’s Digest e andasse dal
medico dicendo: ho questo problema».
Da quale
sfrido cerebrale nasce l’iperattività vescicale? La
genesi è nella bava; bava monetaria che cola dalle fauci, visto che gli
industriali farmaceutici sembrano tutti affetti da quel prognatismo che
caratterizza bulldog e cani mastinoidi. Ricostruiamo il percorso
logico-filosofico della pipì-syndrome. L’incontinenza è un
problema numericamente limitato e prevalente in una fascia alta d’età.
Il che significa minor numero di potenziali acquirenti; il che significa
meno vendite e utili. Una rapida stima porta a considerare che
l’incontinenza viene curata con farmaci di basso prezzo e frutta
appena 40 milioni di dollari l’anno, cifra per morti di fame e
squalificante per un’azienda farmaceutica di grosse dimensioni. Allora
una lampadina si accende, abbagliante, sulla cervice di Wolf. Bisogna
vendere il Detrol a venti milioni di americani, convincendoli che
il bisogno naturale di fare pipì è fastidioso, sgradevole, innaturale.
In una parola: è una malattia. Tutti coloro che sentono il bisogno di
mingere 9-10 volte al giorno sono costretti - disse Wolf - ad adottare
comportamenti definibili mappatura della toilette, evacuazione
preventiva. Ecco, tenera, premurosa, materna, che Pharmacia arriva a
liberare i neomalati dalla schiavitù della pipì.
Approfittiamo
di questo episodio di UM (Uric-Marketing: ci si vuol
negare il diritto di coniare anche noi acronimi?) per fare luce sulle
strategie ormai consolidate nel breviario-manuale farmaceutico. Nel Pharmaceutical
Marketing Congress del 2002, Eric Pauwels, dirigente della Bayer,
moderò una discussione sulle Strategie di marketing precedenti al
lancio del prodotto. I congressisti si trovarono d’accordo sul
fatto che era indispensabile «... arruolare i dottori con ampio
anticipo di mesi, se non anni prima della presunta data di
approvazione del farmaco stesso». Pauwels osservò: «Quante
volte, alla vigilia del lancio di un medicinale, abbiamo
dovuto trovare qualcuno che ne parlasse?». Si convenne da parte di
tutti che non era necessario né conveniente ricorrere a grossi nomi,
ma, anzi, risultava preferibile trovare una rosa di medici «... disponibili
ad affermare che il prodotto X era migliore del prodotto Y»: si
sarebbe pensato poi a «costruire la loro reputazione all’interno
della comunità scientifica» e farne dei novelli luminari.
Insomma,
trasfigurando questa realtà nella nota favola oraziana, si fanno
diventare topi di città i topi di campagna. E si risparmia pure, perché
i servitori di provincia costano molto meno dei grandi servi in livrea
dei capoluoghi. Nessuna preoccupazione se, col tempo, i primi
sprimacceranno i loro magnanimi lombi sugli scranni accademici: sono dei
soli, ma soli compromessi, che possono quindi tramontare con la stessa
velocità con la quale sono sorti. Per inciso, il lettore è così in
grado di comprendere come personaggi ossessivamente chiamati in ballo da
testate giornalistiche o ripresi dalle telecamere lascino in struggente
incertezza.
Incertezza che
deriva dal loro aspetto e che è tutta questione di numeri: sì, il
numero degli anni di carcere ai quali vien spontaneo pensare siano stati
condannati. Questi astri di etica e cultura medica vengono definiti (e
ci scappa un altro acronimo) KOL: Key Opinion Leaders,
leader di pensiero scientifico. Tenetelo bene a mente: KOL! Ma
andiamo avanti.
Pharmacia
individua senza difficoltà un nutrito drappello di medici disponibili,
li arruola e li fa partecipare a due simposi tenutisi a Londra nel 1997
e nel 1999, pagando anche per ottenere la pubblicazione sulla diffusa
rivista Urology degli atti congressuali. La ditta «… copriva
la maggior parte, se non la totalità, delle spese dei
simposi londinesi e pagava anche i medici che vi si presenziavano...
.altri vennero pagati per eseguire test clinici o scrivere articoli per
le riviste mediche» (opera citata, pagina 43). Il primo supplemento
di Urology del dicembre 1997 riportava 30 articoli, per la
maggior parte scritti dagli arruolati della società. C’è da
chiedersi come mai una rivista scientifica rinomata e diffusa si sia
prestata a queste mistificazioni. La triste realtà è che sono poche
quelle davvero autonome e indipendenti (in misura più o meno parziale),
molte quelle partecipate da multinazionali del farmaco o da loro
collegate. Gli esempi di British Medical Journal o del New
England Journal of Medicine sono purtroppo assai circoscritti.
Parleremo prossimamente del prezzo che avrebbero pagato gli incauti
consumatori di Detrol per (non) liberarsi da questo asservimento.
Ricordando una celebre battuta fantozziana a proposito della Corazzata
Potëmkin, verrebbe da definire tale operato una pis...ta
pazzesca.
- IBS. Sindrome
da intestino irritabile (Irritable Bowel Syndrome). Inutile
dire che anche questa chicca, con la quale concludiamo la presente
rassegna (non esaustiva, ma solo rappresentativa), nasce da una rozza
prospettiva mercantile. E’ chiaro che si tratta di mistificazione. Che
non sarebbe mai passata ai tempi della grande medicina: quella di Murri,
Albertoni, Lussana, Moscati, Cardarelli, Frugoni, Campanacci. Quando
l’ammalato si visitava non soltanto, ma prima di tutto, con dita,
occhi, orecchi; i sintomi erano considerati segni di malattie, non
malattie; la mente del medico elaborava, cucendo formule chimiche con
nozioni di fisiologia, biologia, biofisica; e la prescrizione nasceva da
un profondo processo di logica e di cultura applicata, non dal seguito
servile e rinunciatario di linee guida. Chi avesse parlato ad uno
qualsiasi dei (veri) luminari citati di IBS, DE, FSD,
sarebbe stato preso a calci nel sedere o afferrato per la collottola e
trascinato all’uscita.
Anche qui il
solito, stanco copione. Si considera che molte persone soffrono di
dolori di stomaco, diarrea o problemi di stipsi, e si rilegano questi
sintomi in una nuova patologia. Una specie di natura morta, avvolta da
una nebbia simbolistica alla De Chirico, dove si mettono insieme oggetti
d’uso domestico, frutti, verdure ed un manichino col capo reclinato.
Basta trovare una bella cornice, mettere un paio di firme nell’angolo
destro, ed ecco pronta una nuova patologia. Inquietante (non inedito) lo
strumento di lancio dei farmaci già pronti: un articolo di Lancet,
pubblicato a Londra alcuni mesi prima del varo della nuova Potëmkin.
Inutile frugare sui legami dei redattori dell’articolo e la Glaxo: «In
ambito medico un articolo positivo su The Lancet vale oro, e
pertanto questa fu un’ottima notizia per GSK (GlaxoSmithKline),
l’azienda produttrice del farmaco» (opera citata, pagina
206). La febbre dell’oro porta a considerare che il farmaco (Lotronex)
può valere miliardi di dollari, e quindi occorre tirare fuori dal
cilindro il solito peluche delle statistiche: la IBS colpisce
nientemeno che una persona su cinque, che, in soldoni, significa 45
milioni di pazienti negli States.
La meraviglia
- ci si perdoni l’intromissione - è che, considerando i milioni di
americani che soffrono di acidità, problemi vescicali, sessuali,
psicologici, digestivi, motori, eccetera, si arriva alla considerazione
che su 300 milioni di abitanti ci sono almeno un miliardo e mezzo di
malati. E poi uno non deve credere nei miracoli della scienza!
L'unica quisquilia
è che il farmaco provoca, in non pochi casi, costipazione acuta e
tenace, nonché la cosiddetta colite ischemica. Le feci si
trasformano in sassi appuntiti che perforano le pareti dell’intestino,
con conseguenti emorragie e setticemie non di rado letali. Gli
incredibili tira-e-molla tra GSK ed alleati cavalieri mascherati,
esponenti comprati della FDA, altri fuori mercato, il solito
rompiscatole del BMJ (British Medical Journal), comitati
di pazienti in realtà manichini Glaxo, li tratteremo più avanti,
quando parleremo dell’opinabilissima autorevolezza e indipendenza
dell’istituzione governativa americana. Il farmaco viene sospeso, poi
riammesso, poi nuovamente criticato, riassolto...; una lunga saga,
accompagnata da resipiscenze di Lancet, pur tardive, e
dall’entrata in campo, in questa cagnara accompagnata da morsi e
latrati, della Novartis col suo Zelnorm. A dimostrare come
costipazioni iatrogene, perforazioni intestinali, emorragie e morti non
siano considerate che bazzecole, la concorrente della GSK giura
sull’esistenza innegabile della IBS, lanciando uno spot: «Fastidi
o dolori addominali? Gonfiori? Stitichezza? E’ ora di
parlare con il tuo medico dell’IBS» (pubblicità Novartis
del 2002).
E' appena il caso di notare come questo mazzo di sintomi possano
dipendere (e dipendono) da cause estremamente varie e spesso assai
lontane. E’ semplicemente inaudito ed oscurantista (qualche severo
censore direbbe criminale) mettere insieme sintomi che discendono da
patologie diverse o da temporanee disfunzioni e farne una malattia. Si
può trattare di ingrossamento del fegato, colite, abuso di antibiotici,
alterazioni della flora batterica intestinale, fermentazioni del periodo
estivo, virosi intestinali, abitudini alimentari errate, stili di vita
pregiudizievoli, e via dicendo. Il più delle volte basterebbe mettersi
a dieta, assumere disinfettanti intestinali, fermenti lattici, farmaci
per aiutare la decongestione epatica, vitamine. Come al solito, prevale
la meccanica ed acefala connessione sintomo-diagnosi,
pseudodiagnosi-linea guida, linea guida-farmaci, farmaci-soldi. E la
qualità della vita del singolo, già compromessa da alimenti carenti di
sali, vitamine o da ritmi di vita errati ed imposti, peggiora, invece di
migliorare, con l’assunzione di farmaci impropri e magari dannosi, ma
che producono utili diretti ed utili indiretti: questi ultimi quando il
malcapitato - come prassi frequente - sarà costretto ad assumere altri
farmaci per combattere le malattie provocate da quelli
consigliatigli. In un’autogerminazione di irrazionalità e disonestà
che a volte ha fine solo con la morte del sano diventato malato. E poi
dicono che il moto perpetuo non esiste!
Il lettore che ci ha fin qui seguiti pazientemente, potrebbe, pur
continuando a leggere con interesse, bofonchiare all’indirizzo del
redattore di queste righe: «E va bene, abbiamo capito che si
inventano le malattie per farci soldi. Ma bastava qualche esempio. Cosa
vuoi fare, un’antologia minuziosa delle malattie
inventate?». Caro lettore, ti preghiamo di continuare a seguirci
con pazienza, perché il bello (cioè il brutto) deve ancora venire. Nel
senso che non abbiamo affrontato questi argomenti con lo spirito di un
giornalista superficiale, che si frega le mani al pensiero di sbalordire
e meravigliare, magari caricando i termini e colorando la realtà.
Dietro quanto
abbiamo esposto c’è - cosa più importante di ogni altra - la salute
e la vita nostra e dei nostri cari, certo; ma c’è il punto chiave,
anzi, la chiave stessa che apre un portone sigillato in ogni modo,
spalancato il quale si presenta devastante, raccapricciante, evidente il
DISASTRO multiforme della nostra epoca. C’è la dimostrazione
indiscutibile dell’asservimento dell’uomo a clan spuntati
rigogliosi, soprattutto negli ultimi decenni, veri Fleurs du Mal
della nostra contemporaneità; c’è la osannata, propagandata e
surrettiziamente imposta filosofia che ripete con cadenza ossessiva come
slogan i sacri vocaboli libertà e democrazia per celare il lezzo
di una decomposizione morale, ma anche intellettuale, mai
registratasi nella storia dell’umanità. Una decomposizione che ormai
non ha confini, ti entra dalla porta di casa, ti porta via i figli, ti
sottrae la possibilità di capire e giudicare, trasformandoti da uomo in
ingranaggio, da individuo a numero di serie, da uomo in animale ad
impulsi programmati.
Gli autori che
abbiamo citato, ed altri ancora, pur meritevoli di gratitudine e stima,
ci sembra non colgano l’aspetto di gran lunga più importante di
questa disamina: la base di questo malcostume, la ragione, la vera
causa; e quindi i possibili rimedi. Qui, in poche parole, non c’è di
mezzo solo la truffa e la menzogna farmaceutica: paradossalmente,
sarebbe il meno. Qui si arriva al ganglio vitale di tutta la società,
specie occidentale o sotto influenza occidentale, degli ultimi
sessant’anni.
L’umanità
è realmente oppressa ed espropriata di ogni vera libertà, speriamo non
in modo irreversibile, solo quando è convinta di vivere in un’epoca
di civiltà e progresso. Il tiranno più oppressivo non è quello che
viene identificato come tale, quello che ha una faccia ed un nome e può
essere detronizzato: il vero despota non ha volto. Non è uno, né è un
direttorio. L’oppressore del nostro tempo si serve di uomini, ma è
una sigla. Un sorta di moloch costituito da una ditta, da
un’entità organizzata e non obbligatoriamente individuabile, che da
creatura dell’uomo si trasforma in entità autonoma, prende vita come
statua che da immobile ed inanimata inizi a battere le ciglia,
respirare, camminare, orrido automa in grado di schiacciare e divorare
chi l’ha forgiata per il raggiungimento dei propri interessi. Se ci
trovi oscuri o farneticanti, caro lettore, scusaci, ma ti preghiamo di
seguirci ancora. Non è una tattica furbesca per catturare la tua
attenzione, ma solo la volontà di condividere con i propri simili,
fraternamente, quello che non meriti o doti personali particolari, ma i
casi della vita ci hanno permesso di scorgere. E siamo convinti che
questo, per quanto amaro e sconvolgente, sia stato un privilegio che la
sorte ci ha concesso. L’importante, nella vita, non è tanto la
serenità, ma capire, sapere, voler capire e sapere: in caso contrario
si consumerebbero inutilmente i propri anni come comparse e capitoli
d’anagrafe, non uomini.
A breve
affronteremo temi ancor più sconvolgenti ed eloquenti: il mondo
alienante degli psicofarmaci, i farmaci block-busters, lo sfruttamento
dell’infanzia, i numeri del business, l’infiltrazione nelle
istituzioni di ogni Paese. Prima di suonare il campanello di casa del Grande
Fratello orwelliano e dalle ragnatele giungere alla tana del ragno