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L'intervista smarrita a
Paolo Borsellino
Del 15 marzo 2001
Tratto da
www.indicius.it/archivio/borsellino.htm
Ecco la trascrizione dell'intervista rilasciata dal magistrato Paolo Borsellino il 19 Maggio 1992 ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, così come è andata in onda in televisione. L'intervista venne registrata quattro giorni prima dell'attentato di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone. Due mesi dopo (il 19 luglio) lo stesso Borsellino fu ucciso nell'attentato di via D'Amelio a Palermo. L'intervista del magistrato, trasmessa da un canale satellitare Rai e rifiutata da altre tv nazionali, è al centro delle polemiche scatenate dalla trasmissione "Satyricon" andata in onda ieri sera. L'integrale della registrazione fu pubblicato nell'aprile del 1994 da "L'Espresso, mentre oggi il gruppo Ds della Camera ha diffuso il testo della versione televisiva. L'intervista si apre con una dichiarazione di Borsellino.
Borsellino: Sì, Vittorio Mangano l'ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxi-processo e precisamente negli anni fra il 1975 e il 1980, e ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane. Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come "uomo d'onore" appartenente a Cosa Nostra.
Giornalista: "Uomo d'onore"
di che famiglia?
Borsellino: L'uomo d'onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di
quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della
quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che
Vittorio Mangano, ma questo già risultava dal procedimento precedente
che avevo istruito io e risultava altresì da un procedimento cosiddetto
procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni
immediatamente precedenti al maxi-processo, che Vittorio Mangano
risiedeva abitualmente a Milano, città da dove come risultò da
numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del
traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie
palermitane.
Borsellino: Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che
furono le emergenze probatorie più importanti risulta l'interlocutore
di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale
lui, conversando con un altro personaggio mafioso delle famiglie
palermitane, preannuncia o tratta l'arrivo di una partita di eroina
chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si
usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli.
Giornalista:
Comunque lei in quanto esperto, può dire che quando Mangano parla di
cavalli al telefono, vuol dire droga.
Borsellino:
Si, tra l'altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga, è una
tesi che fu avanzata alla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu
accolta al dibattimento, tanto è che Mangano fu condannato al
dibattimento del maxi processo per traffico di droga.
Giornalista:
Dell'Utri non c'entra in questa storia?
Borsellino:
Dell'Utri non è stato imputato del maxi processo per quanto io ne
ricordi, so che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano
insieme Mangano.
Giornalista:
A Palermo?
Borsellino:
Sì, credo che ci sia un'indagine che attualmente è a Palermo con il
vecchio rito processuale nelle mani del giudice istruttore, ma non ne
conosco i particolari.
Giornalista:
Marcello Dell'Utri o Alberto Dell'Utri?
Borsellino:
Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche
appunto, cioè si parla di Dell'Utri Marcello e Alberto, di entrambi.
Giornalista:
I fratelli
Borsellino:
Sì.
Giornalista:
Quelli della Publitalia?
Borsellino:
Sì.
Giornalista:
Perché c'è nell'inchiesta della San Valentino, un'intercettazione fra
lui e Marcello Dell'Utri in cui si parla di cavalli.
Borsellino:
Beh, nella conversazione inserita nel maxi-processo, si parla di cavalli
da consegnare in albergo, quindi non credo potesse trattarsi
effettivamente di cavalli, se qualcuno mi deve recapitare due cavalli,
me li recapita all'ippodromo o comunque al maneggio, non certamente
dentro l'albergo.
Giornalista:
C'è un socio di Marcello Dell'Utri, tale Filippo Rapisarda che dice che
questo Dell'Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di
Stefano Bontade.
Borsellino:
Palermo è la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più
numerose, si è parlato addirittura in un certo periodo almeno di
duemila uomini d'onore con famiglie numerosissime, la famiglia di
Stefano Bontade sembra che in un certo periodo ne contasse almeno 200,
si trattava comunque di famiglie appartenenti a una unica
organizzazione, cioè Cosa Nostra, i cui membri in gran parte si
conoscevano tutti, e quindi è presumibile che questo Rapisarda
riferisca una circostanza vera.
Giornalista:
Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare?
Borsellino:
So dell'esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato
pesonalmente.
Giornalista:
Perché quanto pare, Rapisarda, Dell'Utri, erano in affari con
Ciancimino, tramite un tale Alamia.
Borsellino:
Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me
conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già
celebrato. Per quanto riguarda Rapisarda e Dell'Utri, non so fornirle
particolari indicazioni, trattandosi ripeto sempre di indagini di cui
non mi sono occupato personalmente.
Giornalista:
Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come
Berlusconi, Dell'Utri, siano collegati a uomini d'onore tipo Vittorio
Mangano?
Borsellino:
All'inizio degli anni Settanta, Cosa Nostra cominciò a diventare
un'impresa anch'essa, un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento
sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura
monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra
cominciò a gestire una massa enorme di capitali, dei quali naturalmente
cercò lo sbocco, perché questi capitali in parte venivano esportati o
depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza tra elementi
di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti
di capitali.
Giornalista:
Lei mi dice che è normale che Cosa Nostra si interessi a Berlusconi?
Borsellino:
è normale che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli
strumenti per poter impiegare questo denaro, sia dal punto di vista del
riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro.
Giornalista:
Mangano era un pesce pilota?
Borsellino:
Sì, guardi le posso dire che era uno di quei personaggi che ecco erano
i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel nord Italia.
Giornalista:
Si dice che abbia lavorato per Berlusconi?
Borsellino:
Non le saprei dire in proposito o anche se le debbo far presente che
come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono
certo, so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in
proposito. Non conosco quali atti siano ormai conosciuti, ostensibili e
quali debbano rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi
rapporti con Berlusconi, è una vicenda che la ricordi o non la ricordi,
comunque è una vicenda che non mi appartiene, non sono io il magistrato
che se ne occupa quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla.
Giornalista:
C'è un'inchiesta ancora aperta?
Borsellino:
So che c'è un'inchiesta ancora aperta.
Giornalista
(in francese): Su Mangano e Berlusconi a Palermo?
Borsellino: Sì.
15 marzo 2001