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La storia la
scrivono i vincitori?
Ecco l’intervista integrale a Priebke il perdente
Intervista a cura di don Curzio
Nitoglia - fonte:
http://doncurzionitoglia.net/wordpress/wp-content/uploads/2013/10/Priebke_ultima_intervista.pdf
Visto su
http://www.stampalibera.com/?p=67366#more-67366
D. Sig.
Priebke, anni addietro lei ha dichiarato che non rinnegava il suo
passato. Con i suoi cento anni di età lo pensa ancora?
R. Sì.
D. Cosa intende
esattamente con questo?
R. Che
ho scelto di essere me stesso.
D. Quindi
ancora oggi lei si sente nazista.
R. La
fedeltà al proprio passato è qualche cosa che ha a che fare con le
nostre convinzioni. Si tratta del mio modo di vedere il mondo, i miei
ideali, quello che per noi tedeschi fu la Weltanschauung e ancora ha a
che fare con il senso dell’amor proprio e dell’onore. La politica è
un’altra questione. Il Nazionalsocialismo è scomparso con la sconfitta,
e oggi non avrebbe comunque nessuna possibilità di tornare.
D. Della
visione del mondo di cui lei parla fa parte anche l’antisemitismo.
R. Se
le sue domande sono mirate a conoscere la verità è necessario
abbandonare i luoghi comuni: criticare non vuol dire che si vuole
distruggere qualcuno. In Germania sin dai primi del Novecento si
criticava apertamente il comportamento degli ebrei. Il fatto che gli
ebrei avessero accumulato nelle loro mani un immenso potere economico e
di conseguenza politico, pur rappresentando una parte in proporzione
assolutamente esigua della popolazione mondiale, era considerato
ingiusto. E’ un fatto che ancora oggi, se prendiamo le mille persone più
ricche e potenti del mondo, dobbiamo constatare che una notevole parte
di loro sono ebrei, banchieri o azionisti di maggioranza di imprese
multinazionali. In Germania poi, specialmente dopo la sconfitta della
prima guerra mondiale e l’ingiustizia dei trattati di Versailles,
immigrazioni ebraiche dall’est europeo avevano provocato dei veri
disastri, con l’accumulo di immensi capitali da parte di questi
immigrati in pochi anni, mentre con la repubblica di Weimar la grande
maggioranza del popolo tedesco viveva in forte povertà. In quel clima
gli usurai si arricchivano e il senso di frustrazione nei confronti
degli ebrei cresceva.
D. Quella che
gli ebrei abbiano praticato l’usura ammessa dalla loro religione, mentre
veniva proibita ai cristiani, è una vecchi storia. Cosa c’è di vero
secondo lei?
R.
Infatti non è certo una mia idea. Basta leggere Shakespeare o
Dostoevskij per capire che simili problemi con gli ebrei sono
storicamente effettivamente esistiti, da Venezia a San Pietroburgo.
Questo non vuole assolutamente dire che gli unici usurai all’epoca
fossero gli ebrei. Ho fatto mia una frase del poeta Ezra Pound: ”Tra uno
strozzino ebreo e uno strozzino orfano non vedo nessuna differenza”.
D. Per tutto
questo lei giustifica l’antisemitismo?
R. No,
guardi, questo non significa che tra gli ebrei non ci siano persone
perbene. Ripeto, antisemitismo vuol dire odio, odio indiscriminato. Io
anche in questi ultimi anni della mia persecuzione, da vecchio, privato
della libertà ho sempre rifiutato l’odio. Non ho mai voluto odiare
nemmeno chi mi ha odiato. Parlo solo di diritto di critica e ne sto
spiegando i motivi. E le dirò di più: deve considerare che, per loro
particolari motivi religiosi, una grossa parte di ebrei si considerava
superiore a tutti gli altri esseri umani. Si immedesimava nel “Popolo
Eletto da Dio” della Bibbia.
D. Anche Hitler
parlava della razza ariana come superiore.
R. Sì,
Hitler è caduto anche lui nell’equivoco di rincorrere questa idea di
superiorità. Questa è stata una delle cause di errori senza ritorno.
Tenga conto comunque che un certo razzismo era la normalità in quegli
anni. Non solo a livello di mentalità popolare, ma anche a livello di
governi e addirittura di ordinamenti giuridici. Gli Americani, dopo aver
deportato le popolazioni africane ed essere stati schiavisti,
continuavano a essere razzisti, e di fatto discriminavano i neri. Le
prime leggi, definite razziali, di Hitler non limitavano i diritti degli
ebrei più di quanto fossero limitati quelli dei neri in diversi stati
USA. Stessa cosa per le popolazioni dell’India da parte degli inglesi; e
i francesi, che non si sono comportati molto diversamente con i
cosiddetti sudditi delle loro colonie. Non parliamo poi del trattamento
subìto all’epoca dalle minoranze etniche nell’ex URSS.
D. E quindi
come sono andate peggiorando in Germania le cose, secondo lei?
R. Il
conflitto si è radicalizzato, è andato crescendo. Gli ebrei tedeschi,
americani, inglesi e l’ebraismo mondiale da un lato, contro la Germania
che stava dall’altro. Naturalmente gli ebrei tedeschi si sono venuti a
trovare in una posizione sempre più difficile. La successiva decisione
di promulgare leggi molto dure resero in Germania la vita veramente
difficile agli ebrei. Poi nel novembre del 1938 un ebreo, un certo
Grynszpan, per protesta contro la Germania uccise in Francia un
consigliere della nostra ambasciata, Ernest von Rath. Ne seguì la famosa
“Notte dei cristalli’”. Gruppi di dimostranti ruppero in tutto il Reich
le vetrine dei negozi di proprietà degli ebrei. Da allora gli ebrei
furono considerati solo e soltanto come nemici. Hitler dopo aver vinto
le elezioni, li aveva in un primo tempo incoraggiati in tutti i modi a
lasciare la Germania.
Successivamente, nel clima di forte sospetto nei confronti degli ebrei
tedeschi, causato dalla guerra e di boicottaggio e di aperto conflitto
con le più importanti organizzazioni ebraiche mondiali, li rinchiuse nei
lager, proprio come nemici. Certo per molte famiglie, spesso senza
alcuna colpa, questo fu rovinoso.
D. La colpa
quindi di ciò che gli ebrei hanno subìto secondo lei sarebbe degli ebrei
stessi?
R. La
colpa è un po’ di tutte le parti. Anche degli alleati che scatenarono la
seconda guerra mondiale contro la Germania, a seguito della invasione
della Polonia, per rivendicare territori dove la forte presenza tedesca
era sottoposta a continue vessazioni. Territori posti dal trattato di
Versailles sotto il controllo del neonato Stato polacco. Contro la
Russia di Stalin e la sua invasione della restante parte della Polonia
nessuno mosse un dito. Anzi, a fine conflitto, ufficialmente nato per
difendere proprio l’indipendenza della Polonia dai tedeschi, fu regalato
senza tanti complimenti tutto l’est europeo, Polonia compresa, a Stalin.
D. Quindi,
politica a parte, lei sposa le teorie storiche revisioniste.
R. Non
capisco perfettamente cosa si intenda per revisionismo. Se parliamo del
processo di Norimberga del 1945 allora posso dirle che fu una cosa
incredibile, un grande palcoscenico creato a posta per disumanizzare di
fronte all’opinione pubblica mondiale il popolo tedesco e i suoi capi.
Per infierire sullo sconfitto oramai impossibilitato a difendersi.
D. Su quali
basi afferma questo?
R. Cosa
si può dire di un autonominatosi tribunale che giudica solo i crimini
degli sconfitti e non quelli dei vincitori; dove il vincitore è al tempo
stesso pubblica accusa, giudice e parte lesa e dove gli articoli di
reato erano stati appositamente creati successivamente ai fatti
contestati, proprio per condannare in modo retroattivo? Lo stesso
presidente americano Kennedy ha condannato quel processo definendolo una
cosa “disgustosa”, in quanto “si erano violati i princìpi della
costituzione americana per punire un avversario sconfitto”.
D. Se intende
dire che il reato di crimini contro l’umanità con cui si è condannato a
Norimberga non esisteva prima che fosse contestato proprio da quel
tribunale internazionale, c’è da dire in ogni caso che le accuse
riguardavano fatti comunque terribili.
R. A
Norimberga i tedeschi furono accusati della strage di Katyn, poi nel
1990 Gorbaciov ammise che erano stati proprio loro stessi russi
accusatori, ad uccidere i ventimila ufficiali polacchi con un colpo alla
nuca nella foresta di Katyn. Nel 1992 il presidente russo Eltsin
produsse anche il documento originale contenente l’ordine firmato da
Stalin. I tedeschi furono anche accusati di aver fatto sapone con gli
ebrei. Campioni di quel sapone finirono nei musei USA, in Israele e in
altri Paesi. Solo nel 1990 un professore della università di Gerusalemme
studiò i campioni dovendo infine ammettere che si trattava di un
imbroglio.
D. Sì, ma i
campi di concentramento non sono un’invenzione dei giudici di
Norimberga.
R. In
quegli anni terribili di guerra, rinchiudere nei lager (in italiano sono
i campi di concentramento) popolazioni civili che rappresentavano un
pericolo per la sicurezza nazionale era una cosa normale. Nell’ultimo
conflitto mondiale l’hanno fatto sia i russi che gli USA. Questi ultimi
in particolare con i cittadini americani di origine orientale.
D. In America,
però, nei campi di concentramento per le popolazioni di etnia giapponese
non c’erano le camere a gas!
R. Come
le ho detto, a Norimberga sono state inventate una infinità di accuse,
Per quanto riguarda quella che nei campi di concentramento vi fossero
camere a gas aspettiamo ancora le prove. Nei campi i detenuti
lavoravano. Molti uscivano dal lager per il lavoro e vi facevano ritorno
la sera. II bisogno di forza lavoro durante la guerra è incompatibile
con la possibilità che allo stesso tempo, in qualche punto del campo, vi
fossero file di persone che andavano alla gasazione. L’attività di una
camera a gas è invasiva nell’ambiente, terribilmente pericolosa anche al
suo esterno, mortale. L’idea di mandare a morte milioni di persone in
questo modo, nello stesso luogo dove altri vivono e lavorano senza che
si accorgano di nulla è pazzesca, difficilmente realizzabile anche sul
piano pratico.
D. Ma lei
quando ha sentito parlare per la prima volta del piano di sterminio
degli ebrei e delle camere a gas?
R. La
prima volta che ho sentito di cose simili la guerra era finita, e io mi
trovavo in un campo di concentramento inglese, ero insieme a Walter
Rauff. Rimanemmo entrambi allibiti. Non potevamo assolutamente credere a
fatti così orribili: camere a gas per sterminare uomini, donne e
bambini. Se ne parlò con il colonnello Rauff e con gli altri colleghi
per giorni. Nonostante fossimo tutti SS, ognuno al nostro livello con
una particolare posizione nell’apparato nazionalsocialista, mai a
nessuno di noi erano giunte alle orecchie cose simili.
Pensi che anni e anni dopo venni ha sapere che il mio amico e superiore
Walter Rauff, che aveva diviso con me anche qualche pezzo di pane duro
nel campo di concentramento, veniva accusato di essere l’inventore di un
fantomatico autocarro di gasazione. Cose di questo genere le può pensare
solo chi non ha conosciuto Walter Rauff.
D. E tutte le
testimonianze della esistenza delle camere a gas?
R. Nei
campi le camere a gas non si sono mai trovate, salvo quella costruita a
guerra finita dagli Americani a Dachau. Testimonianze che si possono
definire affidabili sul piano giudiziario o storico a proposito delle
camere a gas non ce ne sono; a cominciare da quelle di alcuni degli
ultimi comandanti e responsabili dei campi, come per esempio quella del
più noto dei comandanti di Auschwitz , Rudolf Höss. A parte le grandi
contraddizioni della sua testimonianza, prima di deporre a Norimberga fu
torturato e dopo la testimonianza per ordine dei russi gli tapparono la
bocca impiccandolo. Per questi testimoni, ritenuti preziosi dai
vincitori, le violenze fisiche e morali in caso di mancanza di
condiscendenza erano insopportabili; le minacce erano anche di rivalsa
sui familiari. So per l’esperienza personale della mia prigionia e
quella dei miei colleghi, come, da parte dei vincitori, venivano estorte
nei campi di concentramento le confessioni ai prigionieri, i quali
spesso non conoscevano nemmeno la lingua inglese. Poi il trattamento
riservato ai prigionieri nei campi russi della Siberia oramai è cosa
nota, si doveva firmare qualunque tipo di confessione richiesta; e
basta.
D. Quindi per
lei quei milioni di morti sono un’invenzione.
R. Io
ho conosciuto personalmente i lager. L’ultima volta sono stato a
Mauthausen nel maggio del 1944 a interrogare il figlio di Badoglio,
Mario, per ordine di Himmler. Ho girato quel campo in lungo e in largo
per due giorni. C’erano immense cucine in funzione per gli internati e
all’interno anche un bordello per le loro esigenze. Niente camere a gas.
Purtroppo tanta gente è morta nei campi, ma non per una volontà
assassina. La guerra, le condizioni di vita dure, la fame, la mancanza
di cure adeguate si sono risolti spesso in un disastro. Però queste
tragedie dei civili erano all’ordine del giorno non solo nei campi ma in
tutta la Germania, soprattutto a causa dei bombardamenti indiscriminati
delle città.
D. Quindi lei
minimizza la tragedia degli ebrei: l’Olocausto?
R. C’è
poco da minimizzare: una tragedia è una tragedia. Si pone semmai un
problema di verità storica. I vincitori del secondo conflitto mondiale
avevano interesse a che non si dovesse chiedere conto dei loro crimini.
Avevano raso al suolo intere città tedesche, dove non vi era un solo
soldato, solo per uccidere donne, bambini e vecchi e così fiaccare la
volontà di combattere del loro nemico. Questa sorte è toccata ad
Amburgo, Lubecca, Berlino, Dresda e tante altre città. Approfittavano
della superiorità dei loro bombardieri per uccidere i civili impunemente
e con folle spietatezza. Poi è toccato alla popolazione di Tokyo e
infine con le atomiche ai civili di Nagasaki e Hiroshima. Per questo era
necessario inventare dei particolari crimini commessi dalla Germania e
reclamizzarli tanto da presentare i tedeschi come creature del male e
tutte le altre sciocchezze: soggetti da romanzo dell’orrore su cui
Hollywood ha girato centinaia di film.
Del resto da allora il metodo dei vincitori della seconda guerra
mondiale non è molto cambiato: a sentire loro esportano la democrazia
con cosiddette missioni di pace contro le canaglie, descrivono
terroristi che si sono macchiati di atti sempre mostruosi, inenarrabili.
Ma in pratica attaccano soprattutto con l’aviazione chi non si
sottomette. Massacrano militari e civili che non hanno i mezzi per
difendersi. Alla fine, tra un intervento umanitario e l’altro nei vari
Paesi, mettono sulle poltrone dei governi dei burattini che assecondano
i loro interessi economici e politici.
D. Ma allora
certe prove inoppugnabili come filmati e fotografie dei lager come le
spiega?
R. Quei
filmati sono un’ulteriore prova della falsificazione: Provengono quasi
tutti dal campo di Bergen Belsen. Era un campo dove le autorità tedesche
inviavano da altri campi gli internati inabili al lavoro. Vi era
all’interno anche un reparto per convalescenti. Già questo la dice lunga
sulla volontà assassina dei tedeschi. Sembra strano che in tempo di
guerra si sia messo in piedi una struttura per accogliere coloro che
invece si volevano gasare. I bombardamenti alleati nel 1945 hanno
lasciato quel campo senza viveri, acqua e medicinali. Si è diffusa
un’epidemia di tifo petecchiale che ha causato migliaia di malati e
morti. Quei filmati risalgono proprio a quei fatti, quando il campo di
accoglienza di Bergen Belsen devastato dall’epidemia, nell’aprile 1945,
era ormai nelle mani degli alleati. Le riprese furono appositamente
girate, per motivi propagandistici, dal regista inglese Hitchcock, il
maestro dell’horror. E’ spaventoso il cinismo, la mancanza di senso di
umanità con cui ancora oggi si specula con quelle immagini. Proiettate
per anni dagli schermi televisivi, con sottofondi musicali angoscianti,
si è ingannato il pubblico associando, con spietata
astuzia, quelle scene terribili alle camere a gas, con cui non avevano
invece nulla a che fare. Un falso!
D. II motivo di
tutte queste mistificazioni, secondo lei, sarebbe coprire i propri
crimini da parte dei vincitori?
R. In
un primo tempo fu così. Un copione uguale a Norimberga fu inventato
anche dal Generale McArthur in Giappone con il processo di Tokyo. In
quel caso per impiccare si escogitarono altre storie e altri crimini.
Per criminalizzare i giapponesi che avevano subìto la bomba atomica, si
inventarono all’epoca persino accuse di cannibalismo.
D. Perché in un
primo tempo?
R.
Perché successivamente la letteratura sull’Olocausto è servita
soprattutto allo stato di Israele per due motivi. Il primo è chiarito
bene da uno scrittore ebreo figlio di deportati: Norman Finkelstein. Nel
suo libro “L’industria dell’Olocausto” spiega come questa industria
abbia portato, attraverso una campagna di rivendicazioni, risarcimenti
miliardari nelle casse di istituzioni ebraiche e in quelle dello stato
di Israele. Finkelstein parla di “un vero e proprio racket di
estorsioni”. Per quanto riguarda il secondo punto, lo scrittore Sergio
Romano, che non è certo un revisionista, spiega che, dopo la “guerra del
Libano”, lo stato di Israele ha capito che incrementare ed enfatizzare
la drammaticità della “letteratura sull’Olocausto” gli avrebbe portato
vantaggi nel suo contenzioso territoriale con gli arabi e “una sorta di
semi immunità diplomatica”.
D. In tutto il
mondo si parla dell’Olocausto come sterminio, lei ha dei dubbi o lo nega
recisamente?
R. I
mezzi di propaganda di chi oggi detiene il potere globale sono
inarginabili. Attraverso una sottocultura storica appositamente creata e
divulgata da televisione e cinematografia, si sono manipolate le
coscienze, lavorando sulle emozioni. In particolare le nuove
generazioni, a cominciare dalla scuola, sono state sottoposte al
lavaggio del cervello, ossessionate con storie macabre per assoggettarne
la libertà di giudizio.
Come le ho detto, siamo da quasi 70 anni in attesa delle prove dei
misfatti contestati al popolo tedesco. Gli storici non hanno trovato un
solo documento che riguardasse le camere a gas. Non un ordine scritto,
una relazione o un parere di un’istituzione tedesca, un rapporto degli
addetti. Nulla di nulla.
Nell’assenza di documenti, i giudici di Norimberga hanno dato per
scontato che il progetto che si intitolava “Soluzione finale del
problema ebraico” allo studio nel Reich, che vagliava le possibilità
territoriali di allontanamento degli ebrei dalla Germania e
successivamente dai territori occupati, compreso il possibile
trasferimento in Madagascar, fosse un codice segreto di copertura che
significava il loro sterminio. E’ assurdo! In piena guerra, quando
eravamo ancora vincitori sia in Africa che in Russia, gli ebrei, che
erano stati in un primo tempo semplicemente incoraggiati, vennero poi
fino al 1941 spinti in tutti i modi a lasciare autonomamente la
Germania. Solo dopo due anni dall’inizio della guerra cominciarono i
provvedimenti restrittivi della loro libertà.
D. Ammettiamo
allora che le prove di cui lei parla vengano fuori. Parlo di un
documento firmato da Hitler o da un altro gerarca. Quale sarebbe la sua
posizione?
R. La
mia posizione è di condanna tassativa per fatti del genere. Tutti gli
atti di violenza indiscriminata contro le comunità, senza che si tenga
conto delle effettive responsabilità individuali, sono inaccettabili,
assolutamente da condannare. Quello che è successo agli indiani
d’America, ai kulaki in Russia, agli italiani infoibati in Istria, agli
armeni in Turchia, ai prigionieri tedeschi nei campi di concentramento
americani in Germania e in Francia, così come in quelli russi, i primi
lasciati morire di stenti volutamente dal presidente americano
Eisenhower, i secondi da Stalin. Entrambi i capi di Stato non
rispettarono volutamente la convenzione di Ginevra per infierire fino
alla tragedia. Tutti episodi, ripeto, da condannare senza mezzi termini,
comprese le persecuzioni fatte dai tedeschi a danno degli ebrei; che
indubbiamente ci sono state. Quelle reali però, non quelle inventate per
propaganda.
D. Lei ammette
quindi la possibilità che queste prove, sfuggite a una eventuale
distruzione fatta dai tedeschi alla fine del conflitto, potrebbero un
giorno venir fuori?
R. Le
ho già detto che certi fatti vanno condannati in assoluto. Quindi, se
poniamo anche solo per assurdo che un domani si dovessero trovare prove
su queste camere a gas, la condanna di cose così orribili, di chi le ha
volute e di chi le ha usate per uccidere, dovrebbe essere indiscussa e
totale. Vede, in questo senso ho imparato che nella vita le sorprese
possono non finire mai. In questo caso però credo di poterle escludere
con certezza, perché per quasi sessanta anni i documenti tedeschi,
sequestrati dai vincitori della guerra, sono stati esaminati e vagliati
da centinaia e centinaia di studiosi, sicché, ciò che non è emerso
finora difficilmente potrà emergere in futuro.
Per un altro motivo devo poi ritenerlo estremamente improbabile, e le
spiego il perché: a guerra già avanzata, i nostri avversari avevano
cominciato a insinuare sospetti su attività omicide nei Lager. Parlo
della dichiarazione interalleata dei dicembre 1942, in cui si diceva
genericamente di barbari crimini della Germania contro gli ebrei e si
prevedeva la punizione dei colpevoli. Poi, alla fine del 1943, ho saputo
che non si trattava di generica propaganda di guerra, ma che addirittura
i nostri nemici pensavano di fabbricare false prove su questi crimini.
La prima notizia la ebbi dal mio compagno di corso, e grande amico,
Capitano Paul Reinicke, che passava le sue giornate a contatto con il
numero due del governo tedesco, il Reichsmarschall Goering: era il suo
capo scorta. L’ultima volta che lo vidi mi riferì del progetto di vere e
proprie falsificazioni. Goering era furibondo per il fatto che riteneva
queste mistificazioni infamanti agli occhi del mondo intero. Proprio
Goering, prima di suicidarsi, contestò violentemente di fronte al
tribunale di Norimberga la produzione di prove falsificate.
Un altro accenno lo ebbi successivamente dal capo della polizia Ernst
Kaltenbrunner, l’uomo che aveva sostituito Heydrich dopo la sua morte e
che fu poi mandato alla forca a seguito del verdetto di Norimberga. Lo
vidi verso la fine della guerra per riferirgli le informazioni raccolte
sul tradimento dei Re Vittorio Emanuele. Mi accennò che i futuri
vincitori erano già all’opera per costruire false prove di crimini di
guerra ed altre efferatezze che avrebbero inventato sui lager a riprova
della crudeltà tedesca. Stavano già mettendosi d’accordo sui particolari
di come inscenare uno speciale giudizio per i vinti.
Soprattutto però ho incontrato nell’agosto 1944 il diretto collaboratore
del generale Kaltenbrunner, il capo della Gestapo, generale Heinrich
Müller. Grazie a lui ero riuscito a frequentare il corso allievi
ufficiali. A lui dovevo molto e lui era affezionato a me. Era venuto a
Roma per risolvere un problema personale del mio comandante, ten.
colonnello Herbert Kappler. In quei giorni la quinta armata americana
stava per sfondare a Cassino, i russi avanzavano verso la Germania. La
guerra era già inesorabilmente persa. Quella sera mi chiese di
accompagnarlo in albergo. Essendoci un minimo di confidenza mi permisi
di chiedergli maggiori dettagli sulla questione. Mi disse che tramite
l’attività di spionaggio si aveva avuto conferma che il nemico, in
attesa della vittoria finale, stava tentando di fabbricare le prove di
nostri crimini per mettere in piedi un giudizio spettacolare di
criminalizzazione della Germania una volta sconfitta. Aveva notizie
precise ed era seriamente preoccupato. Sosteneva che di questa gente non
c’era da fidarsi, perché non avevano senso dell’onore né scrupoli.
Allora ero giovane e non diedi il giusto peso alle sue parole, ma le
cose poi di fatto andarono proprio come il generale Müller mi aveva
detto. Questi sono gli uomini, i gerarchi, che secondo quanto oggi si
dice avrebbero dovuto pensare e organizzare lo sterminio degli ebrei con
le camere a gas! Lo considererei ridicolo, se non si trattasse di fatti
tragici.
Per questo quando gli americani nel 2003 hanno aggredito l’Iraq con la
scusa che possedeva “armi di distruzione di massa”, con tanto di falso
giuramento di fronte al consiglio di sicurezza dell’ONU del Segretario
di stato Powel, proprio loro che quelle armi erano stati gli unici a
usarle in guerra, io mi sono detto: niente di nuovo!
D. Lei da
cittadino tedesco sa che alcune leggi in Germania, Austria, Francia,
Svizzera puniscono con il carcere chi nega I’Olocausto?
R. Sì,
i poteri forti mondiali le hanno imposte e tra poco le imporranno anche
in Italia. L’inganno sta proprio nel far credere alla gente che chi, per
esempio, si oppone al colonialismo israeliano e al sionismo in Palestina
sia antisemita; chi si permette di criticare gli ebrei sia sempre e
comunque antisemita; chi osa chiedere le prove della esistenza di queste
camere a gas nei campi di concentramento, è come se approvasse una idea
di sterminio degli ebrei. Si tratta di una falsificazione vergognosa.
Proprio queste leggi dimostrano la paura che la verità venga a galla.
Ovviamente si teme che dopo la campagna propagandistica fatta di
emozioni, gli storici si interroghino sulle prove, gli studiosi si
rendano conto delle mistificazioni. Proprio queste leggi apriranno gli
occhi a chi ancora crede nella libertà di pensiero e nella importanza
della indipendenza nella ricerca storica.
Certo, per quello che ho detto posso essere incriminato, la mia
situazione potrebbe addirittura ancora peggiorare ma dovevo raccontare
le cose come sono realmente state, il coraggio della sincerità era un
dovere nei confronti del mio Paese, un contributo nel compimento dei
miei cento anni per il riscatto e la dignità del mio popolo.
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