Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Negli
ospedali il fenomeno ha la stessa entità di 20 anni fa
Settemila
morti per le infezioni
Manuela Perrone - tratto da “Il
Sole 24 Ore” 25 maggio 2005
In
vent’anni nulla è cambiato sul fronte delle infezioni ospedaliere: il
6,7% dei ricoverati si ammala oggi come ieri.
Eppure, per diminuire i rischi, basterebbe già che medici e infermieri
si lavassero più spesso le mani e che gli antibiotici fossero
utilizzati con più cautela.
A rivelarlo è “Inf Nos 2 2002-
Realizzata con la consulenza scientifica dell’Istituto Lazzaro
Spallanzani di Roma e finanziata dalla multinazionale farmaceutica
GlaxoSmithKline (che ha messo a punto una brochure e un software per la
raccolta dati), l’indagine ha coinvolto 300 reparti di medicina,
chirurgia e terapia intensiva di 40 ospedali italiani, per un totale di
circa 13.000 pazienti. Che sono stati “fotografati” in quattro
giornate nell’arco dei tre anni considerati.
I
risultati sono allarmanti: ogni anno le 450-700 mila infezioni contratte
dai degenti provocano dai 4mila ai 7mila decessi.
Un’ecatombe simile a quella causata dagli incidenti stradali. Con
un costo sociale stimabile intorno ai 100 milioni di euro.
Due le malattie cui i pazienti sono più esposti: polmoniti e infezioni
del tratta urinario. Se queste ultime sono legate al prolungato uso del
catetere, la diffusione della polmonite si spiega con la particolare
vulnerabilità dei degenti, sempre più anziani e fragili. Molto dipende
anche dal reparto: si passa dal 5,5% di infezioni contratte in quelli di
medicina al 34,2% delle unità di terapia intensiva. E più alta è la
durata della degenza, maggiore è il rischio di essere colpiti da virus
e batteri.
Preoccupante
anche il dato sull’impiego di antibiotici: la terapia risultava
potenzialmente impropria per un quarto dei pazienti cui era stata
somministrata (il 46% del totale). Di contro, ben il 7,2% dei ricoverati
affetti da un’infezione ospedaliera, al momento della rilevazione, non
stava assumendo antibiotici.
“Occorre trovare le armi giuste”, commenta Giuseppe Ippolito,
direttore scientifico dello Spallanzani. A partire da accorgimenti che
dovrebbero essere scontati e non lo sono: “Pericolosissima è la
cattiva abitudine dei medici di lavarsi poco le mani”
Ma gli esperti invocano pure “un investimento organizzativo e
tecnico”. Perché occorre conoscere le aree critiche per ridurre i
pericoli.
Un’esigenza urgente, anche alla luce di quanto sostengono i Cdc di
Atlanta: il 30% delle infezioni ospedaliere è evitabile. In Italia,
significherebbe salvare ogni anno da