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Le
automobili uccidono due persone ogni minuto
Tratto
da “50 fatti che dovrebbero cambiare il mondo”
Jessica Williams, edizioni Ponte alle Grazie
Il
17 agosto 1896, la quarantaquattrenne Bridget Driscoll è stata la
prima persona a essere uccisa da una macchina a motore. La
signora Driscoll era in visita a Londra con la figlia adolescente per
assistere a uno spettacolo di danza. Venne investita da una macchina che
stava offrendo corse dimostrative al pubblico su una strada nei terreni
del Crystal Palace. L'automobile stava viaggiando a quattro miglia
orarie quando travolse la signora Driscoll e l’impatto si dimostrò
fatale. Trasmettendo il suo verdetto di morte accidentale, il medico
legale disse «una cosa del genere non deve succedere mai più».
Ma successe ancora. Da allora circa venticinque milioni di
persone sono state uccise in incidenti stradali. Se gli indici attuali
continueranno, si stima che un altro milione e centosettantamila persone
moriranno ogni anno - due persone per ogni minuto dei giorno - e altri
dieci milioni di persone saranno ferite o menomate. è un problema di
tale grandezza che ha portato molti a considerare se gli inventori delle
macchine a motore avevano un'idea di che cosa stavano per scatenare sul
mondo.
Nel
ventesimo secolo la morte per incidente stradale è diventata per il
mondo occidentale un'epidemia. Nel 1930 in Gran Bretagna c'erano poco più
di un milione di macchine: morirono sulle strade settemilatrecento
persone, più del doppio dei numero di morti dei 1999, quando di
macchine ce n'erano ventisette milioni. Nel 1960, il presidente John F.
Kennedy riconobbe gli incidenti stradali come «uno dei più grandi,
forse il più grande dei problemi della sanità pubblica della nazione».
Da allora negli Stati Uniti, quasi quarantamila persone sono morte ogni
anno sulle strade; oggi quella cifra è praticamente immutata, malgrado
i veicoli siano aumentati di tre volte e mezzo. Adesso, le persone che
sono maggiormente colpite dagli incidenti stradali sono i poveri dei
mondo.
Le statistiche dipingono un quadro tetro. Il 70% delle morti su strada
avviene nei paesi in via di sviluppo. Il 65% delle persone uccise sono
pedoni. La maggior parte delle persone ferite o uccise in incidenti
stradali nei paesi in via di sviluppo non sono gli occupanti dei
veicoli: stavano camminando, andavano in motocicletta, in bicicletta o
su altri veicoli non motorizzati.
E il problema sta peggiorando. Secondo la proiezione di uno studio dell'Harvard
University e dell'OMS, nel 2020 gli incidenti stradali saranno diventati
la terza maggiore causa di morte e di lesioni permanenti al mondo. Sono
già la seconda causa di morte prematura per uomini di età compresa tra
i quindici e i quarantaquattro anni, superati soltanto dall'Hiv/Aids.
Oltre
alla tragica perdita della vita, quest'ultima statistica nasconde tutta
una serie di altri problemi. Generalmente gli uomini durante la
giovinezza rappresentano la fonte di sostegno familiare. Anche se le
loro lesioni non sono fatali, possono ridurre ampiamente la capacità di
guadagno di questi uomini. Quando la famiglia perde il suo reddito
principale, soprattutto nei paesi più poveri, ci sono poche reti di
salvataggio che possano fermarne il declino. L'effetto sul tenore di
vita di una famiglia può essere disastroso.
In alcuni paesi con redditi medi e redditi bassi, le vittime di
incidenti stradali occupano oltre il 10% dei posti letto degli ospedali.
L'OMS stima che gli incidenti stradali costano tra l’1 e il 2% dei
prodotto interno lordo (PIL) di uno stato. I paesi in via di sviluppo
perdono circa cento miliardi di dollari ogni anno, il doppio della cifra
che ricevono per l'assistenza allo sviluppo.
Una volta disaggregati gli indici sulla proprietà dei veicoli nelle
statistiche sugli incidenti, le cinque nazioni che registrano il maggior
numeri di morti si trovano tutte nell'Africa subsahariana: Etiopia,
Ruanda, Guinea, Nigeria e Lesotho.
In paesi in cui i proprietari di auto appartengono a un ceto medio-alto,
il numero di morti appare in declino. Nei paesi industrializzati il
numero di incidenti stradali è calato di circa il 25% dai primi anni
Settanta, malgrado l'aumento massiccio dei numero di automobili sulle
strade.8 Anzi, i cosiddetti «paesi altamente motorizzati »
rappresentano globalmente il 60% dei veicoli, ma registrano soltanto il
14% di morti per incidente.
Allora
qual è la differenza? Perché, ancora una volta, le nazioni in via di
sviluppo sono sovrarappresentate in un problema di sanità pubblica? E
cosa si può fare?
Se guidate una macchina in un paese ricco, avete maggiore probabilità
che si tratti di un veicolo più nuovo e soggetto a tutti i controlli di
sicurezza richiesti per legge. La vostra auto avrà probabilmente
installati una serie di componenti di sicurezza: airbag, per esempio, o
freni antibloccaggio. Guiderete su strade in buono stato di manutenzione
e probabilmente ci sono leggi severe per impedirvi di pregiudicare le
vostre capacità di guida, come bere, assumere droghe o usare un
cellulare.
In alcuni paesi in via di sviluppo, molte persone guidano addirittura
senza avere sostenuto un esame. Il numero di macchine sta crescendo
drammaticamente e spesso le strade non hanno mantenuto il passo con
questo aumento improvviso di guidatori: possono essere strette,
malamente asfaltate e piene di buche. A causa della corruzione o delle
esigue risorse, le strade sono scarsamente pattugliate, così se capita
un incidente può passare molto tempo prima che possa essere prestato
soccorso: aumentano quindi le probabilità che le persone muoiano sul
posto o restino con menomazioni permanenti. E anche se l'ambulanza
arriva in tempo, le cure mediche possono avere un costo proibitivo. Una
ricerca ha mostrato che in Ghana solo il 27% delle persone colpite in
incidenti stradali usa i servizi ospedalieri. La ragione più
comunemente addotta: le vittime non possono permettersi le cure mediche.
Molti
governi sono consci dei fatto che l'elevato tasso di morti per incidenti
stradali sia un problema di complessa soluzione. Difficile che questo
problema ottenga la grande quantità di pubblicità che ha invece
circondato lo scoppio dell'epidemia di SARS che, mentre stiamo
scrivendo, ha falciato settecentosettantaquattro vite in undici mesi.
Eppure gli incidenti automobilistici colpiscono altrettante vite in
appena otto ore.
Qualcuno sta iniziando a capire che le morti su strada non sono soltanto
una serie di tragedie isolate ma che, prese nella loro totalità,
rappresentano un intralcio allo sviluppo. Nelle Figi, gli assicuratori
di veicoli hanno accettato di pagare il 10% dei loro premi per
finanziare un Consiglio Nazionale per la Sicurezza Stradale, i cui
programmi hanno portato a una diminuzione dei 44% delle morti su strada
nei quattro anni precedenti il 2002.
La chiave sembra essere quella di convincere i governi che la sicurezza
stradale rappresenta un investimento che ha una grandissima efficacia
dal punto di vista dei costi. Nel 1999 la Banca Mondiale ha avviato la
Global Road Safety Partnership (GRSP), che ha lo scopo di convincere i
governi che la sicurezza stradale non sia solo una responsabilità
morale, ma possa aiutare a spianare la strada d'uscita dalla povertà.
La Global Road Safety Partnership cita una ricerca secondo la quale gli
incidenti stradali costano a ogni paese trenta milioni di dollari
l'anno. Un piano ad ampio raggio per la sicurezza stradale che includa
miglioramenti nella progettazione delle autostrade, educazione e cosi
via, costa solo centocinquantamila dollari l'anno e porta a un risparmio
di un milione e mezzo di dollari, grazie alla diminuzione degli
incidenti stradali. In tutto il mondo, le iniziative della Global Road
Safety Partnership sono varie, dalla fornitura di giacchette e zaini ad
alta visibilità per i bambini dei Sudafrica, all'incoraggiamento ai
dieci milioni di motociclisti vietnamiti a indossare il casco. In
Ungheria, alcuni partner della Global Road Safety Partnership hanno
introdotto segnaletica stradale riflettente, limiti di velocità e
segnali in zone pericolose.
Intanto
nei paesi industrializzati, i governi stanno provando a portare avanti
le politiche di riduzione delle morti causate da incidenti. La campagna
britannica «Think» ha lo scopo di far vedere ai guidatori le
conseguenze delle loro azioni come il bere, l'assunzione di droghe o la
guida veloce, e di come queste influenzino la loro capacità di
affrontare situazioni difficili. Alcuni paesi europei hanno lanciato
delle campagne che spingono i giovani a scegliere dei «guidatori
incaricati » nel tentativo di contenere gli incidenti collegati al
consumo di alcol. In Italia è in vigore dal 30 giugno 2003 la legge
sulla patente a punti. A ogni patente è assegnato un valore pari a 20
punti che vanno a scalare in base alle infrazioni commesse, fino alla
perdita di validità della patente stessa. Negli Stati Uniti, l'American
Association Foundation for Traffic Safety ha recentemente portato a
termine dei progetti sui guidatori senza patente, la «guida distratta»
(per esempio, quando i guidatori mangiano e bevono mentre sono al
volante, o usano cellulari) e i seggiolini di sicurezza per i bambini.
Probabilmente l'aspetto più triste delle morti su strada è il senso di
spreco: si perde la vita di persone giovani e sane a causa di incidenti
molto spesso evitabili. Nelson Mandela, quando seppe che suo figlio
maggiore era morto in un incidente stradale, scrisse: «Non ho parole
per esprimere la pena e la perdita che ho provato e che mi hanno
lasciato un buco incolmabile nel cuore».
Se
gli inventori delle macchine a motore potessero sentire le parole di
Nelson Mandela, forse si chiederebbero se quello che hanno scatenato ha
un senso. Adesso tocca ai governi - e a tutti noi - assicurarci che
l'impatto delle automobili sia il più sicuro possibile.