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Il
mazzo delle carte truccato
di
Carlo Bertani - www.disinformazione.it
“Nel paese entra la guerra, ed esce la verità”
Proverbio tedesco
La
notizia che la prossima settimana inizierà l’incontro fra i grandi
della Terra per definire il futuro del Libano suona strana, perché la
guerra è durata pochissimo. Ovviamente, questa prima settimana di
guerra – per chi era in Libano a prendersi le bombe in testa – è
durata anche troppo, ma per quanto attiene agli aspetti militari si
tratta di un conflitto brevissimo.
L’improvvisa “accelerazione” verso la pace è sospetta e lascia
sul campo alcuni problemi insoluti.
La prima perplessità riguarda Israele: dopo aver fatto tutto questo can
can accetta ora una conferenza di pace nella quale gli equilibri di
forza non sono certo a suo favore? La guerra in Libano – al di là
delle genuflessioni verso Tel Aviv – ha evidenziato che il solco fra
l’Europa e gli USA – iniziato già dal Kossovo e proseguito con
l’Iraq – non si è mai colmato. Non parliamo poi di Russia e Cina.
Il
comunicato della Presidenza di turno finlandese dell’UE era abbastanza
duro nei confronti di Israele, e non era la posizione della Finlandia,
bensì quella dell’Unione Europea. Una seconda doccia fredda è giunta
dal rappresentante per la politica estera europea – Solana – in
visita presso il governo israeliano, il quale ha dichiarato, senza mezzi
termini, che l’UE non ritiene Hezbollah una formazione terrorista:
questa affermazione, più che un distinguo, sembra quasi una
provocazione.
Anche durante il G8 gli USA non sono riusciti a strappare un appoggio
incondizionato ad Israele: ciò che realmente desidera Bush è quello
che un impertinente microfono dimenticato acceso ha registrato, ossia
l’intenzione di lasciare ad Israele tutto il tempo per “terminare il
lavoro”.
Proprio
su questo “lavoro” ci sono molti dubbi e perplessità: qual era (ed
è) l’obiettivo di Israele? La strategia attuata è coerente con gli
obiettivi di Tel Aviv? Le tattiche scelte sono state appropriate? Qual
è stata la corrispondente risposta di Hezbollah?
Per
comprendere la strana strategia di Israele – quel bombardare quasi
soltanto infrastrutture civili, che sembra avere poco senso – dobbiamo
fare un passo indietro e riflettere sulle strategie della guerra aerea.
L’uso
dell’aviazione in guerra può essere ricondotto a due principali
metodologie: l’uso tattico dei velivoli oppure quello strategico.
Nel primo caso i velivoli hanno il compito di distruggere la maggior
parte delle forze nemiche prima che avvenga il contatto sul terreno con
le proprie unità: ne fu un esempio classico la campagna di Francia del
1940 condotta dalla Wehrmacht. Combinando sapientemente la rapidità
delle divisioni corazzate tedesche, e la “forza d’urto” che
Bisogna riconoscere che
Ci
sono però alcune dissonanze in questo ragionamento.
La prima, evidente, è che i tedeschi non potevano essere
matematicamente certi anzitempo della riuscita di quella strategia, ma
la storia diede loro ragione.
La seconda – dove invece la storia li condannò – riguarda la
cosiddetta Battaglia d’Inghilterra, ossia la conquista della
supremazia aerea nei cieli britannici. Qui avvenne un flop clamoroso, un
vero fallimento, soprattutto se si considera che i tedeschi iniziarono
la battaglia con un rapporto di forze a loro favore di 5 : 1[1].
L’errore
commesso dai tedeschi fu la mancata pianificazione di una campagna di
bombardamenti strategici, ossia furono privi della certosina pazienza
per distruggere l’apparato produttivo britannico. E’ pur vero che
bombardarono i docks
di Londra, e molte furono le vittime civili, ma stupirà sapere che le
fabbriche che costruivano velivoli da caccia – delle quali i tedeschi
sapevano tutto – non furono quasi scalfite.
L’errore
nacque dalle precedenti esperienze: la campagna di Francia e –
soprattutto – la guerra civile spagnola; entrambe le situazioni
necessitavano di una strategia di appoggio tattico alle truppe, e fu
quello che i tedeschi (e gli italiani) continuarono ad attuare finché
ebbero aerei a disposizione.
Diverso fu l’approccio anglo-americano: già dall’inizio delle
ostilità l’attenzione delle aviazioni alleate si concentrò sugli
apparati produttivi nemici, non disdegnando certo di colpire i quartieri
operai per far “crollare il fronte interno”.
Terminata
Nel mondo della Guerra Fredda si giunse semplicemente a sostituire il
mezzo aereo con il missile: le testate nucleari avrebbero distrutto in
brevissimo tempo qualsiasi infrastruttura nemica. Che bisogno c’era
dell’aviazione tattica?
Le guerra fra Israele ed i paesi arabi furono guerre brevissime, dove
l’elettronica iniziò a diventare il fattore discriminante fra la
vittoria e la sconfitta: gli israeliani patirono numerose perdite a
causa dei primi missili antiaerei SAM spalleggiabili, ma resero la
pariglia alla Siria pochi anni dopo, abbattendo 90 velivoli siriani al
prezzo del danneggiamento di un solo caccia.
Dove,
invece, s’evidenziarono alcune crepe fu in Vietnam.
La guerra aerea contro il Nord Vietnam fu ben presto accantonata a causa
delle perdite che i B-52 subirono a causa dei sistemi antiaerei: a quel
tempo non era ancora disponibile la tecnologia che consentiva la difesa
elettronica dei velivoli (jamming) dagli attacchi missilistici, e gli alti comandi si resero
conto che il morale dei piloti americani, abituati a scorrazzare nei
cieli avversari senza nulla temere, sarebbe rapidamente crollato.
Il secondo e decisivo aspetto riguardò invece il rifornimento delle
truppe che combattevano al Sud e dei guerriglieri Vietcong: nonostante
la diossina, il napalm e tutti gli accidenti che gli americani tirarono
in testa ai vietnamiti, fu evidente che non era possibile arrestare il
flusso di rifornimenti che attraversava la jungla, la cosiddetta
“pista di Ho–Chi–Minh”.
Che
fare? Gli USA richiamarono in servizio alcune squadriglie di
cacciabombardieri ad elica – le poche sopravvissute dopo
Gli aerei ad elica – se da un lato, vista la bassa velocità, erano
certamente più adatti a colpire selettivamente gli obiettivi –
dall’altra erano facile preda dei sistemi contraerei ad alta cadenza
di tiro che, studiati per i velocissimi jet, con i lenti aerei ad elica
“andavano a nozze”. Inutile ricordare che il problema è ancora più
complesso per quanto riguarda gli elicotteri, che sono maggiormente
vulnerabili al fuoco contraereo.
Qui
si arrestò il dibattito sull’uso dell’aviazione tattica: frutto
della guerra in Vietnam fu la costruzione dell’A-10 Thunderbolt,
specificatamente studiato per colpire a bassa quota e fornire appoggio
tattico. L’ottimo aereo, oramai vecchiotto, è stato abbondantemente
adoperato in Iraq e nei Balcani, dove ha seminato ovunque la perfida
morte dell’Uranio impoverito sparato dal suo cannone da
La
puntata successiva ci conduce proprio nei Balcani, dove bisognava
distruggere le forze corazzate serbe in Kossovo, senza però subire
gravi perdite. In quella guerra furono sperimentate le nuove tecnologie
sia nel bombardamento strategico, sia nella “copertura” mediatica
della guerra: proprio in Jugoslavia nacquero i giornalisti “embedded”.
Semplicemente, se scrivevi qualcosa che contrastava con i desideri della
NATO, nessuno t’invitava più ai briefing dopo le missioni.
Ancora
oggi non sappiamo nulla delle perdite della Nato, del bombardamento
della base avanzata di Tuzla da parte dei G-4
Super Galeb,
dei J-22 Orao e dei Mig-21
serbi decollati all’improvviso dalla base di Povikne, in Vojvodina –
che provocò parecchie perdite di velivoli USA – e nemmeno qualcuno ci
raccontò come l’aereo che aveva condotto in Albania il Ministro
dell’Interno italiano dell’epoca – Rosa Russo Jervolino – riuscì
a scampare per un’inezia alla distruzione nell’aeroporto
Rjinas di Tirana,
attaccato dai J22 Orao
serbi decollati dalla base di Golubovci, in Montenegro, i quali
distrussero una decina di AH-64 Apache americani ed un aereo da trasporto della KLA che era
utilizzato per trasportare in Albania i “volontari” dell’UCK.
Forse l’attuale sindaco di Napoli potrebbe “sbottonarsi” e
raccontare qualcosa, dato che l’unico ad affrontare l’argomento
all’epoca fu il giornale inglese “Observer”, che però fu
immediatamente citato in giudizio dall’Amministrazione USA e da quella
britannica.
A
parte le solite bugie, la guerra aerea aveva subito una nuova
evoluzione: i bersagli venivano definiti dal sistema satellitare e dagli
AWACS, ed ai cacciabombardieri non rimaneva che “recapitare”
l’ordigno laddove il sistema elettronico lo indicava.
La nuova impostazione consentiva di tenere i velivoli distanti dalle
aree “calde”, dove potevano incontrare forte contrasto antiaereo,
soprattutto dopo che gli USA avevano scoperto che un alto ufficiale
francese – con il benestare di Parigi – “passava” i piani di
volo NATO ai serbi. Fu la prima, evidente “crepa” fra Washington e
Parigi, che attuò la “spiata” poiché gli USA pretendevano di
scegliere gli obiettivi da colpire senza consultare gli alleati.
Insomma,
Sganciare
missili a 30-
La
nuova impostazione comportò da un lato l’aumento dei cosiddetti
“danni collaterali” – poiché una colonna di tank in movimento non
era distinguibile, dal satellite, da una colonna di trattori di profughi
– e vi furono parecchi di questi terribili “errori”. In
definitiva, il missile “intelligente” è tale perché riduce i costi
della guerra, mentre non dà nessun affidamento per quanto riguarda il
discernimento degli obiettivi.
Dall’altra, il nemico – quando comprese che i bersagli erano
stabiliti dal satellite – si diede un gran daffare a fornirne in
quantità: tralicci di tubi Innocenti coperti da un telo di nylon
fiorirono nella “Piana dei Merli” ed i missili NATO,
coscienziosamente, li distruggevano perché erano la somma di metallo +
calore, ossia per il satellite potevano essere carri armati. Difatti,
gli israeliani hanno distrutto in Libano le autogrù dei pompieri,
scambiate per rampe lanciamissili, cosa che già era accaduta più volte
in Iraq.
Stupirà
sapere quanti tank serbi furono distrutti nel corso di 10.000 missioni
aeree dalla NATO: otto (8). Sì, otto[3].
I
serbi nascondevano di giorno i tank
nei boschi oppure quando sapevano (avvertiti dai Tg di mezzo mondo) che
gli aerei NATO decollavano da Aviano o da Gioia del Colle, per poi
usarli in rapide scorrerie contro l’UCK.
La
vittoria della guerra in Kossovo fu completo appannaggio
dell’aviazione strategica, che si mise coscienziosamente a bombardare
Belgrado – causando circa 1.200 vittime civili – e tutte le
installazioni industriali, dalla FIAT Zastava
alla zona petrolchimica di Pancevo.
Per
quanto le classi politiche cerchino disperatamente di trovare
“coerenza” con i militari, i due apparati hanno tempi enormemente
diversi nel reagire ai mutamenti. Il Pakistan – subito dopo l’11
settembre – in pochi giorni compì un “giro di valzer” e passò
dall’avere due battaglioni dell’esercito regolare che combattevano
in Afghanistan al fianco dei Taliban al completo e supino appoggio alla
strategia USA. Per questa ragione le loro atomiche (islamiche) non sono
un problema, quelle iraniane e coreane sì.
L’aviazione italiana – inclusa nelle strategie NATO, che prevedevano
la comune difesa dall’orso sovietico – da circa due decenni è priva
di difesa aerea: non abbiamo aerei da caccia, salvo uno sparuto gruppo
di F-16 USA ceduti all’Italia dopo che erano stati ceduti a loro volta
alla Guardia Nazionale, la seconda linea americana. Tutto ciò,
nell’attesa che entri in servizio il caccia europeo EFA, che quando
compirà il primo decollo sarà già obsoleto, visto che la
progettazione è iniziata nel 1983.
In
definitiva – a fronte dei tempi della politica – ciascuno fa la
guerra con i mezzi che ha ed anche Israele fa la guerra con i mezzi che
possiede: coerentemente, attua strategie che possano essere portate a
termine dai velivoli in servizio.
L’aeronautica israeliana è fra le più potenti del pianeta, forse
seconda solo a quella americana ed a quella russa, ed è un’aviazione
“plasmata” per condurre una guerra strategica, non tattica.
Potrà apparire sorprendente, ma gli israeliani hanno attuato la sola
strategia che potevano mettere in atto, ossia distruggere diligentemente
tutte le infrastrutture del paese nemico. Il problema è che il Libano
è praticamente privo d’infrastrutture “paganti” (sic!): una volta
distrutto l’aeroporto di Beirut, i ponti e le principali strade
bisogna iniziare a prendersela con i pali della luce, ed è quello che i
piloti israeliani stanno attuando. Colpire Hezbollah?
Per
colpire una forza guerrigliera che si nasconde in un territorio
variegato, che è appoggiata in larga parte dalla popolazione e che –
per giunta – è riuscita a costruire un sistema di bunker e di
casematte da far invidia a chi costruì la linea Maginot, ci vorrebbe un
approccio completamente diverso ossia la certosina, lunga e difficile
distruzione, bunker dopo bunker, dell’apparato nemico. Qui, però,
entra in gioco il fattore tempo ed i tempi della politica internazionale
sono molto distanti da quelli dello Stato Maggiore di Tel Aviv.
Probabilmente mesi contro settimane, oppure qualche settimana contro una
decina di giorni al massimo.
Ancora una volta la tentazione di “fare in fretta”, seppellendo i
bunker sotto tonnellate di tritolo, sta facendosi largo ed il fedele
alleato USA ha inviato già tempo fa – insieme agli F-
Ma
il confronto non si ferma ai materiali, bensì coinvolge anche i
combattenti, gli uomini.
Le bombe israeliane colpiscono indistintamente sia i guerriglieri
Hezbollah sia la popolazione civile e questo – aspetti etici a parte
– mi sembra un clamoroso errore politico.
Se
Tel Aviv desiderava frantumare l’alleanza fra una parte della società
libanese ed Hezbollah ha drammaticamente mancato il bersaglio, giacché
dopo i bombardamenti indiscriminati – anche sui quartieri cristiani
– Israele dal Libano riceverà solo odio. Difatti, gli USA tentarono
d’avvertire Israele del rischio – un comunicato della Rice, nei
primi giorni dell’offensiva, ricordava ad Israele di non
“delegittimare il governo libanese” – ma oramai la frittata è
stata fatta e nessuno ritiene più, per il futuro, Tel Aviv un alleato
affidabile, semmai il più pericoloso degli oppressori. Con questo
attacco, Tel Aviv è riuscita nel miracolo di riabilitare
L’impressione
che si ricava dalla lettura degli eventi è che Tel Aviv – questa
volta – ha addirittura sopravanzato Washington la quale, non avendo
oramai altri alleati nel pianeta, deve fare buon viso e cattivo gioco,
al di là di quel che pensa un “esperto” stratega come Giorgetto
Bush. Imparasse almeno a spegnere i microfoni prima di parlare.
Il “piano di pace” tanto strombazzato dal nostro buon frà Romano
(per tentare d’acchiappare i voti che mancano per l’Afghanistan) è
in realtà un piano americano che gli USA non possono proporre di loro
iniziativa ad Israele, ed allora si attua il buon, vecchio gioco dei
“due carabinieri”, quello “buono” e quello “cattivo”, per
cercare di portare a casa almeno qualcosa.
Il fatto più sorprendente è che Hezbollah ha già risposto un chiaro
“no” ai vari “piani” che prevedano di farli sloggiare dal
Libano; la realtà è questa: Hezbollah lì resterà e lì – chissà
quando – morirà, perché non ha alternative né un altro senso
politico se non quello d’evidenziare le contraddizioni della politica
israeliana, e ci sta riuscendo alla grande.
Consci
del fallimento della campagna aerea, gli israeliani s’interrogano oggi
su come “portare a casa una vittoria[4]”
e stanno richiamando circa 25.000 riservisti, che getteranno nella
fornace libanese insieme a circa 400 carri armati.
Lanceranno questa impressionante forza d’urto in un territorio –
quello compreso fra il confine israeliano ed il fiume Litani – grande
pressappoco come la provincia di Milano o poco più. Un fazzoletto di
terra dove Hezbollah ha ammassato da anni armi e munizioni, disseminato
di mine anticarro ed anti-uomo ed infarcito di bunker.
Se
le bombe giunte espressamente dagli USA riusciranno a distruggere il
sistema di bunker sarà più facile condurre a termine l’operazione,
ma è difficile stabilire oggi quanto sarà più facile e se
le bombe americane distruggeranno i bunker.
Quello che resterà del Libano meridionale sarà una landa desolata –
simile alle peggiori distruzioni della Prima Guerra Mondiale, Verdun per
intenderci – nella quale Hezbollah combatterà la sua guerra
d’imboscate all’ultimo sangue.
I riservisti israeliani saranno in grado di reggere lo scontro contro
dei miliziani disposti a morire? Da ciò che sta avvenendo in Iraq ed in
Afghanistan, non sembra proprio che i giovani “occidentali” siano in
grado di combattere la vecchia guerra, quella dove si può anche morire
dissanguati da una baionetta.
Durante
la prima guerra in Libano, gli israeliani ebbero a patire un terribile
crollo del morale delle truppe: i soldati di Tzahal
avevano parafrasato una celebre canzone dei Rolling Stones, ed i nuovi
versi recitavano: “Portami via dal Libano, portami via da qui, non ho più nessuna
aspettativa per restare ancora un minuto di più”, e ci fu il
ritiro.
In questo caso è già pronto il “piano di pace” che prevede la
sostituzione dei soldati israeliani con i caschi blu (non americani), ma
oltre al diniego di Hezbollah c’è da affrontare un secondo aspetto:
il piano, verosimilmente, prevedrà anche il dispiegamento ONU a Gaza, e
questo Tel Aviv non lo ha mai accettato.
Ciò che si prospetta per il futuro è un altro “pateracchio”
modello Kossovo, Afghanistan od Iraq, ossia una sorta di “territorio
cuscinetto” gestito dall’ONU, una altro “incompiuto” che produrrà
terrorismo a iosa e nuovo sangue.
Da
ultimo, il prospettato attacco alla Siria ed all’Iran così caro al
grande stratega Bush: finire in bellezza il “lavoro” e la
presidenza.
Si dà il caso che
L’Iran? Teheran è lontana, ed un attacco all’Iran avrebbe un tale
impatto sull’economia mondiale da scatenare un’immediata recessione
planetaria, Cina a parte, e prima che Giorgetto Bush potesse mettere in
atto una simile pazzia sarebbero le stesse lobbies americane a fermarlo.
A
lui scegliere come.
Carlo
Bertani bertani137@libero.it
www.carlobertani.it
[1]
Considerando il
numero di velivoli tedeschi delle Luftflotte
1 (Sperrle) e 2 (Kesserling) in Francia, e della 3 (Stumpff) in
Norvegia, che comprendevano complessivamente circa 3.000 aerei
(caccia e bombardieri), contro i circa 600 Spitfire,
Hurricane, Beaufort e
Gloster a disposizione del comando caccia inglese (Dowding).