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Cresce
il numero degli ignoranti. Cambiamo strategia
Maurizio
Blondet – «Avvenire» 5 ottobre 2003
In Italia uno
studente su quattro abbandona la scuola: nell'attuale economia della
conoscenza aumentano gli ignoranti che si disputeranno lavori non
qualificati con immigrati sempre più numerosi.
di Maurizio Blondet
In Italia uno
studente su quattro abbandona la scuola prima del diploma. E' un dramma
sociale paradossale: nell'economia della conoscenza in cui siamo
entrati, cresce il numero degli ignoranti. Quelli che finiranno col
concorrere per lavori non qualificati con le folle sempre più numerose
degli immigrati.
Così, ha fatto bene Letizia
Moratti a radunare in Romagna (San Patrignano) il grande convegno
europeo sulla dispersione scolastica, invitandovi una quarantina di suoi
colleghi della pubblica istruzione. Perché è in Italia che il problema
è più urgente: da noi gli abbandoni, delle medie superiori si aggirano
sul 25-27 per cento, contro il 16-17 della media europea. I ragazzi
lasciano la scuola specie in Calabria, dove il lavoro non c'è, ma anche
nel Nord Est, dov'è fin troppo facile trovarlo senza qualifica.
La Moratti ha lanciato l'allarme: «L'Europa non può accettare che così
ampie fasce di popolazione abbandonino precocemente l'apprendimento, e
non dispongano delle qualifiche di base per una piena partecipazione
alla società». Sono in gioco migliaia di destini individuali e anche
la capacità della nazione di mantenere il suo posto nel mondo.
Che fare? Il nostro ministro ha accennato a integrare le "vie
formali di apprendimento" con "attività e realtà non formali
e informali": fra cui, parole sue, famiglia, club giovanili,
volontariato sociale.
Discorso interessante, che apre a riflessioni coraggiose sulla riforma
necessaria dell'insegnamento. La scuola come la conoscevamo - di Stato,
centralizzata, immobile sul territorio, con programmi standard
obbligatori - rispondeva alle necessità di battere l'analfabetismo di
massa e compiere l'unificazione persino linguistica di un Paese
pre-moderno.
Dov'era la sola agenzia educativa. Oggi deve competere con
"agenzie" improprie ma potentissime e più seducenti, dalla tv
allo spettacolo a internet. E' impressionante constatare come i nostri
ragazzi, così ignoranti in storia e geografia, siano autodidatti
straordinari del computer.
Bisogna forse avere il coraggio di chiedersi se i giovani che lasciano
la scuola per la fabbrichetta del Trevigiano non esprimano un diverso,
"informale" bisogno di istruzione. Per tanti nostri figli la
scuola è un posto di noia e di vuoto, senza senso. Non è assurdo che
alcuni di loro trovino nel mondo del lavoro precoce e non qualificato un
ambiente più ricco e interessante. Dove si imparano cose.
Quali? Quelle cose che s'imparano per affiancamento, vedendo agire chi
le sa fare. E' il modo più semplice e anche quello più divertente per
apprendere le cose pratiche.
Ma non basta. C'è un sapere superiore e più esigente, quello che
prepara cittadini eccellenti e classi dirigenti, che deve trasmettere
l'istituzione. Il problema è come trasmettere la cultura in termini di
passione, scoperta. "Insegnare", dice un proverbio britannico,
"non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco".
E' la sfida che la scuola ha davanti, se non vuol essere abbandonata.
Magari, persino inseguendo i suoi giovani utenti là dove sono fuggiti.
Più mobilità, più creatività è necessaria per risolvere il
problema. E anche più libertà, più pluralismo, meno pregiudizi
datati. La Moratti ha aperto il discorso: bel coraggio.