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La
Cia, il Pentagono e la Bush-Production contro l’Asse del Male
lunedì
17 febbraio 2003, di Patrick
Traduzione a cura di Alessandro Lattanzio
Quali rapporti – soprattutto
dopo l’11 settembre 2001 - l'immagine ha con la realtà? Quando si
tratta di film di fiction, l'immagine è riducibile alla semplice
funzione di distrazione? O svela, piuttosto delle realtà nascoste? Non
conviene vedere il cinema su ciò che dice e ciò che non dice? Non c’è
un documento insostituibile che da uno sguardo sulle società di
produzione e quella che l’attua? [1] Una questione che sembra
necessario porsi alla vigilia di una guerra contro l'Irak, desiderata
dal governo di Bush, poiché:
Il peso della sindrome della guerra in Vietnam pesa ancora pesantemente
sulle spalle dello stato maggiore degli USA, persuaso di aver perso il
conflitto sul piano mediatico;
La guerra del Golfo (1990-1991) ha versato sul mondo un flusso continuo
d'immagini cosiddette di informazione cui siamo investiti;
La produzione hollywoodiana dal 2001 ne diffonde un’altra, di fiction,
che merita di finire.
Che ne è oggi della descrizione, provvisoria, della questione?
Quali rapporti tra le autorità USA e Hollywood? [2]
Hollywood intrattiene, in tutto il 20.mo secolo, delle relazioni con le
autorità USA.
Dagli anni 1920, i produttori più importanti sono riusciti a imporre le
Majors, stabilendo legami con gli eletti della California per pesare e/o
evitare una legislazione che potesse essergli ostile. Hanno approfittato
per costituire un gruppo di pressione tramite la Motion Pictures
Procucers and Distributors of America (MPPDA), una sorta di sindacato
patronale del cinema statunitense alla testa della quale vi è sempre un
politico.
Durante le due guerre mondiali, Hollywood partecipò volontariamente
alla propaganda governativa. Tra il 1917 e il 1918, Charlie Chaplin,
Mary Pickford o Douglas Fairbanks attraversarono gli USA per vendere i
buoni di guerra. A partire dal 1941, grandi film furono commissionati a
Franck Capra e John Huston [3].
Negli anni 1950, nel quadro della Guerra Fredda, la produzione
audiovisiva condusse la sua crociata anticomunista, coinvolgendo tutti i
tipi di produzione: attualità, documentari, magazine filmati (The March
of Time), film pedagogici (The Red Myth, 1960), cartoni animati e la
pubblicità. Dal 1947, Eric Johnston [4], appellato "grande
dittatore del cinema statunitense" dal giornale L'Humanité del
20-21 luglio, affermava, davanti la HUAC (House's Un-american Activities
Commitee - Commission des activités antiaméricaines): "il cinema
americano è e deve essere sempre soprattutto una arma di lotta contro
il Comunismo [...] I film americani portano prove palpabili della
menzogna della propaganda totalitaria.
La vecchia leggenda della decadenza del capitalismo negli USA sparisce
se il pubblico può vedere i nostri film e di trarne le
conclusioni" [5].
D'altra parte, le autorità USA, sotto forma d'appoggio o d'intervento,
prendono il controllo di Hollywood.
Un controllo commerciale. Nel 1947 la sentenza USA verso Paramount
Pictures emessa dalla Corte Suprema ingiunge alle Majors di vendere la
loro rete di sale affinché vi sia una vera concorrenza. Questa
disposizione antitrust introdusse delle restrizioni in parte eliminate
da Reagan negli anni 1980.
Un controllo politico. Nel 1947 e poi nel 1951 la norma del prêt-à-penser
delle autorità penetra a Hollywood attraverso le due ondate di
audizioni della HUAC nel quadro della "caccia alle streghe".
La prima, su istigazione di Walt Disney e di John Wayne, inquieti per
l'influenza dei sindacati sulla professione. La seconda condotta da
Ronald Reagan, allora alla testa di una “Crociata per la Libertà”,
in nome degli attori.
Negli anni sessanta, legami esistevano tra politica e Hollywood, ma
nello spirito di relazioni personali, in particolare sotto la presidenza
di Kennedy.
Dopo due o tre anni, si può veramente parlare di stretta collaborazione
tra Casa Bianca/CIA/Pentagono e Hollywood [6]
Da un lato, gli sceneggiatori e produttori hollywoodiani fanno appello
al Pentagono e alla CIA. Ciò per dei film di guerra o di azione girati
dopo l'11 settembre 2001, la cui produzione é dopata dal successo
mondiale del film di Steven Spielberg, “Salvate il soldato Ryan”
(1998). È
Dall'altro, é Washington che, dopo l’11 settembre questa volta, fa
appello a Hollywood. È così che sono organizzati dei meeting su
iniziativa dell'Institute for Creatives Technologies dell'Università
della California del sud, sponsorizzata dal Pentagono. Delle riunioni
sono dirette
The Lost Patrol, 1999 ) con lo scopo di immaginare degli scenari
d'attacco terroristici probabili e di mettere a punto una eventuale
risposta!
Hollywood e la propaganda, dopo
la seconda guerra mondiale.
Catherine Bertho-Lavenir distingue " due radici differenti della
propaganda". Quella nata dallo sforzo militante del mondo operaio
che cerca di "farsi sentire in una società del 19.mo secolo poco
incline a concedergli il diritto alla parola". L'altra, nata dalla
mobilitazione degli animi operata durante la prima guerra mondiale,
avvantaggiarono le istanze governative. È questa ultima che sensibilizzò
di seguito la opinione pubblica alle manipolazioni insidiose. Ma la
propaganda si trasforma rapidamente. Da una tecnica della manipolazione
dell'informazione, in
Una missione ideologica per Hollywood dalla seconda guerra mondiale, e
per la convergenza tra la produzione delle grandi compagnie e la
politica estera del governo USA.
Dalla fine degli anni quaranta e durante gli anni cinquanta, vi è un
numero elevato di produzioni anticomuniste di cui qualcuna è rimasta
celebre come The Red Menace (R.G. Springteen, 1949) o I was a communist
for the FBI (Gordon Douglas, 1951). Sugli schermi cinematografici, come
su quelli catodici, passano il canovaccio anticomunista in ogni tipo di
produzione, in piena psicosi maccarthysta.
Intanto, negli anni ’60, la riappacificazione bipolare si rifletteva
sulle produzioni cinematografiche senza tuttavia modificarne lo spirito.
Bisogna spargere la paura, soprattutto nucleare e mantenere i popoli in
allarme permanente. La science-fiction s’incarica di mettere in scena
questo pericolo possibile. Così viene girato Tarantula (Jack Arnold,
1955), dal nome di questo ragno gigante, ormai simbolo del bestiario
dell’era atomica. Film dai titoli assai evocatori continuano a
impregnare un sentimento d'insicurezza legato al pericolo ignoto ma
mobilizzante: Red Planet Mars (Harry Horner, 1952), Invaders from Mars
(William Cameron,1953), It Conquered the World (Roger Corman 1956) , The
Day the World ended (Roger Corman 1956)... [8]
Dopo la guerra del Vietnam, bisogna attendere l'era Reagan, il cui film
eponimo del periodo potrebbe essere “L'impero colpisce ancora” (Irvin
Kerschner, 1980), per indicare il ritorno di una produzione filmica
aggressiva, come nella serie di Rambo (Rambo in Vietnam ; Rambo contro i
comunisti dell’Afghanistan...) o, come Top Gun (Tony Scott, 1986)
realizzato con l’aiuto dell’aviazione degli USA, dove se ne faceva
l’apologia.
Negli anni 1990, dopo la scomparsa del nemico di sempre, l'URSS, e
l'incerta satanizzazione dei nuovi avversari, la fibra patriottica è
intrattenuta da qualche film isolato ma che conosce un chiaro successo:
Independence Day (Roland Emmerich, 1995) e Mars Attacks
(Tim Burton, 1996)
La stagione 2000/2001 lascia
intravedere una vera collusione, una sinergia tra le autorità di
Washington e Hollywood.
Gli effetti dell’11 settembre rilanciano Hollywood nella preparazione
della seconda guerra del Golfo.
1991: scoppia la guerra del
Golfo. I giornalisti devono ottenere un accredito dello stato maggiore
statunitense per rendere conto delle operazioni condotte, un sistema che
prevaleva durante la seconda guerra mondiale(...). Il conflitto ha
dunque per regista e produttore esclusivo la catena statunitense
d'informazioni continue CNN. Di fatto, la rappresentazione che le
popolazioni si fanno di tale conflitto dipende dal prisma delle immagini
selezionate dalla CNN e censurate dall’esercito.
Parallelamente, in più aspetti tecnologici destinati a mostrare la
"guerra propria" condotta dagli occidentali, le autorità USA
danno di questo conflitto uno scenario dell'informazione, moltiplicatore
(con il loro logo, il loro jingle, la loro colonna sonora, il loro
montaggio delle immagini) degli effetti di drammatizzazione propria
della fiction [9].
1998. Mentre la tensione
s'accentua e l'avvicinarsi di un nuovo conflitto in Irak sembra
emergere, la CNN invia otto giornalisti nella capitale irakena, tra cui
tre corrispondenti d’eccezione: Christian Amanpour, Peter Arnett e
Brent Sadler. Il Presidente della CNN, Easen Jordan, incaricato delle
operazioni internazionali, esulta per la probabile -- ma finalmente vana
– nuova guerra: "la nostra posizione è migliore di quella del
1991. Noi saremo là dov’è l'informazione, saremo in tutti i siti
coinvolti. Se ci sarà un bombardamento su Bagdad, vedrete le immagini
in diretta. E avremo altre cose eccezionali. Ma non posso dirlo a causa
della concorrenza... " [10]
2001. Precisamente, Al Jazeera,
la catena d'informazione del Qatar, si pone in concorrenza della CNN.
Solo il cinema é un mezzo esclusivo per controllare, di nuovo, le
pulsioni, le immagini come gli statunitensi avevano fatto nel 1991.
Sollecitare o utilizzare Hollywood permette di mostrare la guerra come
la desiderano le autorità. Permette ancora di controllare il contenuto
delle fiction moltiplicando i contatti con il mondo hollywoodiano. La
fiction si rivela essere, come ai vecchi tempi, un mezzo eccellente di
condizionamento, preparazione psicologica e mentale del pubblico
statunitense.
Par quali film gli studi di
Hollywood e le autorità USA condizionano l'opinione statunitense
sull'"ineluttabile e giusta" imminenza di una guerra in Irak ?
2002: I film statunitensi formano un corpus coerente La maggior parte
dei film sono girati prima dell’11 settembre 2001, sull’ondata
dell’enorme successo di Spielberg, “Salvate il soldato Ryan”, che
rilancia il genere dei film di guerra. Molti di essi sono concepiti in
stretta collaborazione con le autorità della Casa Bianca, della CIA e
del Pentagono. Ognuno contribuisce alla diffusione di un modo di pensare
unico. Tutti preparano l'opinione pubblica ad accettare l'eventualità
di una guerra. Tutti spingono il pubblico USA a un atteggiamento di
coesione dietro il proprio governo.
Benché precedenti l’11 settembre 2001, questi film subiscono
l'impatto dell'attacco terrorista su New York. Infatti, l'evento è
troppo forte, troppo mondializzato, troppo mediatizzato per non generare
alcun impatto sulle immagini proiettate dopo. L'evento, filmato in
diretta, offre
I film che seguono all’11 settembre 2001, hanno, per effetto di
mobilizzare, di allarmare, far credere e convincere del pericolo reale.
Così, l'insieme delle produzioni che legittimano inconsciamente una
guerra futura. Tanto più che, in questo confronto tra reale e irreale,
le tecniche proprie del cinema degli effetti speciali tendono a
amplificare la percezione che si ha della potenza del nemico.
Questi film hanno, per le autorità USA, la doppia virtù di:
- non designare dei nemici chiari, degli amici dei criminali, dei
tiranni o piuttosto delle nazioni nemiche.
- dare una "giustificazione etica": davanti al nemico
criminalizzato, si conduce una "guerra per salvare delle vittime o
evitare delle catastrofi umanitarie". [11]
Così questa produzione cinematografica scatenano una guerra di
rappresentazioni che si avvicina alla guerra secondo G.W. Bush contro
l’"Asse del male": “esistono degli stati nemici perché
pericolosi, e degli stati pericolosi perché nemici" [12].
Delle produzioni che beneficiano
dell’avallo, del sostegno, delle autorità militari e politiche degli
USA, al più alto grado dello stato.
Molti film attestano questa collusione tra Hollywood e Washington:
- Black Hawk Down, (Ridley Scott) [13]
Il film, girato in Marocco,
ricostruisce sotto una visuale positiva la sconfitta statunitense in
Somalia, un grande sforzo di materiale militare: una quindicina di
elicotteri, decine di blindati ecc. È il primo film per cui dei soldati
USA sono inviati in una terre lontana per facilitarne le riprese grazie
all'intervento personale di Donald Rumsfeld, segretario di stato alla
difesa.
La sera della prima, nel dicembre 2001, a Washington, i produttori
beneficiarono della presenza di Dick Cheney in persona, vice-presidente
degli Stati Uniti e di Donald Rumsfeld. In seguito, centinaia di
cassette video del film furono inviate nelle basi USA situate
all'estero.
- La Somma di tutte le paure (The
Sum of all Fears, Phil Alden Anderson) [14]
Il film risuscita lo spettro di una guerra nucleare. Dei terroristi
neo-nazisti (inizialmente erano previsti, ma annullati – prima
dell’11 settembre... -- dei terroristi arabi) che minacciano di fare
esplodere una bomba nucleare sul suolo statunitense.
La prima mondiale si svolge a Washington.
Il film gode di un collaborazione senza precedenti - e la produzione
l'ha fatto sapere! - della Casa Bianca, di un forte appoggio del
Pentagono e della CIA. Nientemeno. Così, una serie d'autorizzazioni
eccezionali emanata dal Dipartimento della Difesa e ottenuto il diritto
di filmare
- Bad Company (Joel Schumacher) [15]
Il film parla di agenti della CIA
in lotta con la mafia russa. Là ancora, l'organizzazione autorizza in
modo "eccezionale" la produzione, che arriva a visitare gli
edifici dei servizi segreti più occulti del mondo! Chase Brandon,
agente del bureau delle relazioni pubbliche della CIA spiega qual è il
suo ruolo in questo tipo di cooperazione: "Mi occupo di aiutare i
realizzatori della televisione, del cinema e dei documentari che
vogliono dare una immagine giusta e imparziale della CIA (sic).
Rispondo alle loro domande, gli faccio visitare i nostri uffici, li
aiuto e gli porto tutto il sostegno logistico possibile" [16].
- We Were Soldiers (Randall Wallace) [17]
Questo film, che nuovamente sulla
guerra del Vietnam, è proiettato privatamente a G.W. Bush, Donald
Rumsfeld, Condoleeza Rice (consigliere del Presidente per la sicurezza)
così come a molti quadri del Pentagono.
Una pratica che non può non ricordare le proiezioni private di Villa
Torlonia ai tempi dell'Italia mussoliniana [18].
Tutti questi film, girati prima dell’11 settembre 2001, godono
ampiamente dell’avallo delle autorità. È vero che tutti vi si
ritrovano:
I militari, che se ne servono come mezzo gigante di promozione.
I servizi segreti, che vi vedono l'occasione di rinnovare il loro
blasone o di migliorare la loro immagine.
Il governo, che non può che rallegrarsi nel vedere il pubblico
statunitense vedere in massa queste produzioni e compiacersi del ritorno
del patriottismo.
I produttori di Hollywood, che intascano i benefici sonanti e
traboccanti.
E altri che contribuiscono a esacerbare il nazionalismo USA.
In Mission Evasion (Hart's War)
realizzato da Gregory Hoblit [19], si ritrova un tema classico: il
confronto, in piena seconda guerra mondiale dei soldati USA che
combattono le "forze del Male" di allora: i nazisti.
L’ultimo James Bond, Die
Another Day (Lee Tamahori) [20] partecipa a tale visione manichea del
mondo. Tale co-produzione anglostatunitense prepara gli animi a una
eventuale aggressione alla Corea del Nord, il baricentro
dell’"Asse del Male" di G. W. Bush. I nord-coreani sono
dipinti come psicopatici degenerati, fisicamente e mentalmente.
L'insieme di questi film rinnova il semplicismo e la violenza visiva dei
film dell'era reaganiana degli anni 1980. E’ in rottura con film di
guerra di grande sensibilità come “La sottile Linea rossa” (Terrence
Malick, 1998) in cui la guerra è vista come una catastrofe per i due
campi.
Veicola una visione manichea dei rapporti internazionali, ignorando la
complessità geopolitica e demonizzando dei personaggi grotteschi e
ridicoli e altri terroristi la cui azione si svolge in regioni occupate,
afflitte dalla ingiustizia e dall’oppressione.
Tale visione filmica caricaturale del mondo oppone i Buoni e i Perfidi.
Sembra provare che la "crociata del Bene contro il Male",
"contro il terrorismo" (G.W. Bush) é largamente trasponibile
in fiction. Il giornalista Robert Fisk evoca il cinema hollywoodiano
fagocitato dalla "Bush-Productions" [21].
Una stonatura: a Hollywood manifestano anche degli oppositori alla
guerra.
Circa 30.000 artisti del cinema, ma anche universitari, intellettuali
hanno firmato degli appelli o si sono pronunciati contro un conflitto
con Bagdad. Così la petizione "Not in our name", comprende,
per esempio, i nomi di Oliver Stone o di Robert Altman. La creazione
dell'organizzazione degli Artisti Uniti per Vincere senza Guerre,
raggruppa molti attori come Kim Bassinger. Altri sceneggiatori o registi
si sono pronunciati a titolo personale come Robert Redford che ha
pubblicato una tribuna libera sul Los Angeles Time [22].
La critica non sembra d'altra
parte così a suo agio di quanto appaia.
Dustin Hoffmann, invitato a una serata di gala organizzata il 10
febbraio 2003 a Berlino sul tema Cinema per la Pace, dovette
giustificarsi e avvertire che lui "non é antiamericano, ma contro
le posizioni del governo attuale" prima di pronunciarsi contro la
guerra [23].
La critica stessa della propaganda può dare l'impressione che operi
contro il proprio paese. E’ ciò che aveva spinto, nel 1942, l'Institute
for Propaganda Analysis, fondato qualche anno prima da alcuni
universitari di sinistra, ad occuparsene un anno dopo Pearl Harbor.
Ugualmente, delle star, per esempio Jane Fonda e le sue prese di
posizione durante la guerra del Vietnam, sapevano che il loro impegno
politico può danneggiare seriamente il loro capitale di popolarità.
Tanto più che il gusto del pubblico USA si dirige verso questa
produzione di film di guerra.
Immagine di guerra e gusto del
pubblico?
Il cinema é sempre più visto come lo specchio della società, qui
quella della società USA davanti al mondo: la riflette, la mette in
scena, ne da una rappresentazione. Ma la Settima Arte è anche una
spugna:
s'impregna di questa società e ne é finalmente il prodotto delle
rappresentazioni sociali statunitensi. Del resto, la produzione
hollywoodiana si distingue nettamente dai film d'autore. Obbedisce a un
imperativo della redditività: le tecniche di marketing, i sondaggi, gli
studi d'impatto sono destinati a rivelare l'attenzione del pubblico e
orientarlo agli scenari in corso di realizzazione. È
così che, durante i nove mesi che seguono l’11 settembre, un
terzo dei film in testa nei box-office USA sono film di guerra. A
ottobre 2001, una indagine del Washington Post
Non si può dubitare dell'influenza del cinema sull'opinione pubblica.
Ciò che sembra inedito a questa scala e in periodo di pace, è di
tracciare la strategia di comunicazione di Washington fino alle sue
prese di decisione, che possono essere influenzate dal calendario delle
uscite cinematografiche. È ciò che riporta Samuel Blumenfeld, de Le
Monde : "Il ministro della giustizia John Ashcroft ha atteso il
lunedì seguente il secondo week-end della presenza nei cinema di “La
Somma di tutte le paure per annunciare l'arresto del terrorista Abdullah
Al-Mujahir, il cui vero nome è José Padilla, legato a Al-Qaida, che
fomentava un attentato simile a quello presente nel film di Phil Alden
Robinson. Più strano ancora, John Ashcroft si trovava a Mosca al
momento di questo annuncio, come per riecheggiare “La Somma di tutte
le paure”, dove la cooperazione russo-statunitense salva il mondo dal
caos. Bisognerà, ormai, per sapere se gli USA interverranno in Irak,
guardare attentamente i calendari dei film?" [24]
L'immagine si rivela qui come un "attore della Storia" (Marc
Ferro): si forma la matrice delle rappresentazione mentali costruite
completamente. Già, la fase preparatoria della Guerra del Golfo,
scatenata il 16 gennaio 1991, ha costruito nei sei mesi che lo
precedettero, un vero mito:
[1] cf
Patrick Mougenet, Cinéma et propagande (24 novembre 2002, 38 500 signes
[2] cf Jacques Portes, Histoire et cinéma aux États-Unis,
Documentation Photographique n°8028, août 2002 et Anne-Marie Bidaud,
Hollywood et le rêve américain, Masson, 1994
[3] La série " Pourquoi nous combattons " démarrée en 1942,
est destinée aux combattants US afin de leur expliquer les antécédents
du conflit jusqu'à l'entrée en guerre des États-Unis. Par la suite,
elle livre, jusqu'à " La Guerre s'avance vers l'Amérique ",
en 1944, une vision complète... et étasunienne du conflit. En
Angleterre, toute la série fut diffusée sur l'ordre de Churchill. (cf
Anthony Rhodes, Histoire mondiale de la propagande de 1933 à 1945,
Paris-Bruxelles, Elsevier Séquoia, 1980, 288 p)
[4] Représentant des intérêts du cinéma étasunien dépêché en
France lors des négociations entourant les modalités du plan Marshall,
en 1947. Éric Johnston, ancien président de la Chambre du Commerce des
États-Unis, est à la tête du MPPDA de 1945 à 1965.
[5] Cités dans Patricia Hubert-Lacombe, Le cinéma français dans la
guerre froide 1946-1956, L'Harmattan, 1996, p 84 et 108
[6] cf. dossier/enquête " Le Pentagone et la CIA enrôlent
Hollywood " réalisé par Samuel Blumenfeld et publié dans Le
Monde du 24 juillet 2002, en particulier son article éponyme en ligne
sur le site du Centre de recherche sur la mondialisation (CRM).
[7] Catherine Bertho-Lavenir, " Au commencement était la
propagande. Le pouvoir des médias. Historique ", publié sur le
site www.infocrise.info (16 janvier 2003) et dans Panoramiques n°52,
" L'information, c'est la guerre. Des missiles, des émissions, des
électrons " sous la direction de François-Bernard Huyghe.
[8] cf Gilles Laprévotte, Michel Luciani et Anne-Marie Mangin, La
grande menace : le cinéma américain face au maccarthysme, Trois
Cailloux, 1990, 347 p
[9] cf. Marc Ferro, L'information en uniforme. Propagande, désinformation,
censure et manipulation, Ramsay, 1991, 121 p
[10] cité dans " CNN s'en va-t-en guerre ", enquête du Monde
Radio-Télévision daté du 23-23 février 1998
[11] François-Bernard Huyghe, " Irak : guerre mondiale de l'information.
Acte II. Les moyens de la désinformation se mettent en place ",
publié sur le site infocrise.info (3 décembre 2002)
[13] Sortie aux États-Unis : 18 janvier 2002 ; sortie en France 20 février
2002
[14] Sortie aux États-Unis : 31 mai 2002 ; sortie en France 24 juillet
2002
[15] Sortie aux États-Unis : 7 juin 2002 ; sortie en France 17 juillet
2002
[16] cité dans " On nous montre comme des vilains et non comme des
héros. C'est insupportable ", propos recueillis par Samuel
Blumenfeld, Le Monde, 24 juillet 2002
[17] Sortie aux États-Unis : 1er mars 2002 ; sortie en France 17 avril
2002
[18] cf Jean A. Gili, L'Italie de Mussolini et son cinéma, Henri
Veyrier, 1981 p 80-87 et Patrick Mougenet, Cinéma et propagande. Les régimes
totalitaires de l'Entre-Deux-Guerres, cassette vidéo et livret d'accompagnement
32 p, Nathan/ Eduscope, 2000
[19] Sortie aux États-Unis : 15 février 2002 ; sortie en France 29 mai
2002
[20] Sortie aux États-Unis : 22 novembre 2002 ; sortie en France 20
novembre 2002
[21] dans " Tremblez ! La Bush-Productions se prépare à entrer en
action ", publié dans The Independent du 17 août 2002, en ligne
sur le site www.alarencontre.org
[22] cf. Claudine Mulard, " Les opposants à la guerre plongent
Hollywood dans l'embarras " et " Une industrie hantée par le
souvenir de la liste noire ", Le Monde , 7 janvier 2003
[23] Dépêche AFP, 13 février 2003
[24] cf dossier/enquête " Le Pentagone et la CIA enrôlent
Hollywood " réalisé par Samuel Blumenfeld, op. cit.
Traduzione di Alessandro
Lattanzio