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Tutti
holding e Opus Dei
di Rita Pennarola –
La scomparsa del finanziere e soprannumerario Opus Dei Gianmario Roveraro, avvolta da dubbi e circostanze oscure, ci guida alla scoperta degli inediti colossi finanziari messi su dai ferventi seguaci di San Josemaria, che spaziano tra fede, business e politica, con la benedizione di alcuni vertici istituzionali del Paese. Filo conduttore è il supermanager Giuseppe Garofano, ultimo protagonista rimasto sulla scena del ciclone Mani Pulite ma, soprattutto, socio eccellente dell’Opus.
Un cadavere fatto a pezzi. Orrendamente mutilato,
decomposto dal caldo e assolutamente irriconoscibile. Non era ancora
“in voga” il test del Dna quando, all’alba di Tangentopoli, fu
“suicidato” e fatto ritrovare col volto sfigurato Sergio
Castellari, l’ex direttore generale del ministero delle
partecipazioni statali inquisito per lo scandalo Enimont.
Era il 20 febbraio
Poi arrivò l’era del Dna, la delicata e complessa indagine con ampi margini di errore che fa immancabilmente capolino - con verdetti immediati e da Cassazione - nelle più scottanti inchieste degli ultimi anni: al centro, corpi massacrati, di dubbia identità, attribuiti a protagonisti delle più clamorose vicende di cronaca, molto spesso al centro di misteri, da Fabrizio Quattrocchi fino al recentissimo caso di Gianmario Roveraro, il finanziere tutto banca e Opus Dei scomparso da Milano ai primi di luglio scorso dopo un incontro nella sede della potente compagine religiosa. Poi il ritrovamento dei “resti” (la testa per ultima, in ogni caso irriconoscibile), il fulmineo intervento dei carabinieri del Ris per la prova del Dna (con quale materiale genetico di confronto?) e i titoloni a scatola sui giornali: ecco il corpo di Roveraro nelle campagne intorno a Parma.
La storia si ripete. Le analisi vengono affidate al capo
del Ris Luciano Garofano, prontamente accorso sul luogo del delitto, che
in brevissimo tempo emette la sentenza: «ucciso con un colpo di pistola».
«Quando pronuncia quel “non è stato facile” - scrive a caldo
Un uomo duro, il carabiniere-scrittore (suoi i volumi “L’enigma del
boiardo” e “Delitti imperfetti”): 53 anni, biologo, fin dal ‘95
va a dirigere il Reparto Investigazioni Scientifiche di Parma, che ha
competenze su tutto il Nord Italia. Insegna inoltre alle università di
Parma e della capitale. Ha indagato sui più controversi casi giudiziari
della storia recente italiana, dalla strage di Capaci a Donato Bilancia,
fino ai casi Novi Ligure, Cogne ed, oggi, anche Roveraro. Il settantenne
manager sarebbe stato squartato e martoriato - secondo la ricostruzione
ufficiale - per vendetta dal piccolo imprenditore Filippo
Botteri a causa di un affare immobiliare finito in crack.
DA
UN GAROFANO ALL’ALTRO
Tutta la vicenda appare subito poco chiara. Di
“depistaggio” a proposito della prima confessione di Botteri
sull’omicidio parla apertamente Maurizio
Di Giacomo, il giornalista che per primo, negli anni ottanta, aveva
sollevato il velo sull’Opus in un libro choc edito da Tullio Pironti.
«Il reoconfesso dell'assassinio di Roveraro e della mutilazione del suo
cadavere, forse tramite il manchete prestato da un complice - rivela Di
Giacomo - avrebbe raccontato un paio di anni orsono al 52 enne vicentino
Francesco Todescato che
Roveraro aveva dirottato su un conto dell'Unione delle Banche Svizzere
una forte somma legata al crack della Parmalat di Calisto Tanzi».
Strano anche «l’accanimento distruttivo dimostrato da
Botteri nei confronti del cadavere di Roveraro: siamo certi che non
abbiano pesato anche pulsioni per così dire immateriali e non
riconducibili tout court al risentimento per un'operazione finanziaria
che non aveva portato ai risultati sperati?». «Ci sarà - conclude il
giornalista - qualche magistrato capace di verificare se
l’affermazione di Filippo Botteri è un depistaggio o, al contrario,
l’apertura di una pista finora ignota alla magistratura che ha
indagato su Parmalat?». Di Giacomo non è l’unico ad avanzare dubbi.
«A questa storia manca tuttora un pezzo», dichiara alla Stampa un
altro Garofano, Giuseppe, in prima fila ai funerali celebrati
solennemente a Milano nella chiesa di Santa Maria Segreta. E spiega: «Com’è
possibile che un finanziere come Roveraro fosse entrato in contatto con
simili delinquenti?».
Difficilmente sarà possibile trovare una risposta certa a questi e ai tanti altri interrogativi che si affollano in quello che rischia già di diventare l’ennesimo buco nero nella cronaca giudiziaria del Paese. Di sicuro, però, con l’uscita di scena di Roveraro si chiude definitivamente un’era: quella iniziata nel 1993 con il furore di Mani Pulite e che vide nei primi mesi di quell’anno una catena impressionante di cadaveri avvolti nel mistero di una ricostruzione ufficiale tuttora al centro di dubbi. Tutti collegati alla madre di tutte le tangenti: il caso Enimont. A febbraio Castellari poi a luglio, in rapida successione, prima il presidente Eni Gabriele Cagliari, poche ore dopo Raul Gardini, entrambi “suicidati”.
«Alle sette di mattina - si legge sulle cronache
dell’epoca - Gardini ha già fatto la doccia, è ancora in accappatoio
quando gli portano i giornali, il cappuccino e un croissant: ed è
proprio mentre si accinge a fare colazione che l’occhio gli cade su un
titolo di prima pagina di Repubblica: “Tangenti, Garofano accusa
Gardini”. Raul capisce che è finita (questa almeno la spiegazione più
semplice), apre il cassetto del comodino vicino al letto e si spara un
colpo alla testa». Con Roveraro - che attraverso la banca d’affari
Sige aveva consentito a Gardini di scalare
I
MASSONI DI DIO
Dopo un’esistenza trascorsa da potente fra i potenti,
Gianmario Roveraro negli ultimi tempi si era già disfatto di quasi
tutte le partecipazioni societarie. Lontani i tempi delle folgoranti
alleanze con big come Gardini o l’allora presidente della Banca di
Roma Pellegrino Capaldo, nel suo passato più recente restava il
sodalizio con Calisto Tanzi ed un legame ancora vivo con personaggi come
Paolo Scaroni (oggi numero uno dell’Eni) o come i fratelli Ottavio e Giuseppe Pisante, magnate pugliesi di acqua ed energia.
Prima in sella a Sige, poi attraverso la finanziaria Akros, Roveraro aveva portato in Borsa Benetton e quindi la stessa Parmalat, attraverso un’alchimia
finanziaria oggi al vaglio degli inquirenti e che gli era costata di
recente un rinvio a giudizio.
Membro soprannumerario dell’Opus, era stato in prima fila nelle Fondazioni Rui (le residenze universitarie d’élite che per anni hanno rappresentato il cuore economico e logistico di questa “massoneria bianca”) e del Faes (associazione famiglia e scuola), fra le prime creature, in ordine di tempo, del potere opusdeista. Ma al momento della sua scomparsa Roveraro risultava titolare di azioni in sole due società. La prima è Alter Sim spa, 387 mila euro come capitale sociale, finita al centro delle indagini giudiziarie in corso a carico di Botteri e dei suoi complici. E’ infatti alla sede milanese della Alter, in piazza Duomo 22, che la mattina del 7 luglio arriva il famoso fax con cui Roveraro chiede il disinvestimento di 1 milione di euro. Un documento che condurrà fino alla attuale ricostruzione dei fatti il pm Alberto Nobili (ex marito di Ilda Boccassini), cui sono state affidate le indagini.
ROVERARO
IN CAMPUS
Ma è attraverso l’altra società in cui spicca il nome
di Roveraro che cominciamo ad addentrarci nei rivoli miliardari della
corazzata Opus Dei. Una strada che, forse, potrà contribuire a gettare
luce sulle circostanze della sua improvvisa uscita di scena. Alla data
del 1 giugno 2006 Gianmario Roveraro risulta infatti titolare di 364.715
azioni della Campus Biomedico spa, 36 milioni e passa di euro in dote,
che rappresenta oggi uno dei capisaldi nel principale intreccio italiano
fra politica, religione, affari. E’ qui, infatti, che ritroviamo
fianco a fianco come soci, fra gli altri, lo stesso Roveraro e Giuseppe
Garofano: dentro l’università privata dell’Opus Dei alle porte di
Roma, lautamente foraggiata da denaro pubblico («al solo Campus
Biomedico dell’Opus Dei - scrive ad esempio l’agenzia cattolica di
sinistra Adista - vengono
dati 20 milioni di euro per il 2004 e 30 milioni di euro per il 2005»)
e benedetta fin dalla nascita da un big dell’attuale governo di
centrosinistra come il vicepresidente del Consiglio (ed allora sindaco
di Roma) Francesco Rutelli.
Ma dell’intenso feeling sbocciato fra
Ma soprattutto, accanto a decine di semplici affiliati, nell’azionariato di Cense spiccano tre autentici scrigni del sistema Opus Dei: si tratta di Associazione Centro Isec, Centro Elis e IPE, il partenopeo Istituto per le Attività Educative (vedi l’articolo che segue), con storie e protagonisti che s’intrecciano continuamente. Partiamo da Isec, che nel Cense fa la parte del leone, con oltre 2 milioni di euro del capitale, fra azioni ordinarie e privilegiate. Dettagliate news sull’attività di Isec vengono fornite direttamente nel notiziario Opus Dei, che riporta cronache ed immagini sulle numerose cerimonie relative a master privati o corsi ad altissima specializzazione organizzati in partnership con società ai vertici del panorama finanziario o delle telecomunicazioni.
Al centro, sempre lui, il presidente Isec Riccardo
Boccia, “nella vita” un ruolo di primo piano all’Istituto
Italiano Cambi presieduto dall’attuale numero uno Bankitalia Mario
Draghi. Avvocato cassazionista, Boccia vanta un passato da
vicepresidente della Cassa Sovvenzioni e Risparmio, poi consigliere
generale della Federazione Italiana di Mutualità Volontaria e
presidente italiano della World Jurist Association. Isec finanzia, a sua volta, l’Accademia
di studi universitari Il Poggio, «con sede nelle immediate vicinanze
dell’Università Luiss Guido
Carli a Roma», tiene a sottolineare il bollettino Opus nel
raccontare la fastosa inaugurazione dell’anno accademico 2006 al
Poggio, quando «l’avv. Riccardo Boccia ha illustrato la formazione a
tutto campo data agli studenti universitari che la frequentano: essa
mira a forgiare futuri cittadini e padri di famiglia responsabili e
coerenti con i valori cristiani, ispirandosi agli insegnamenti di san
Josemaría». Presidente dell’Accademia è invece Emanuele
Rizzardi, che in tale veste ospita al Poggio personalità del
calibro di Giuseppe Zadra, direttore generale ABI (Associazione Bancaria
Italiana), per tenere conferenze e seminari su "La tutela del
risparmio tra iniziative pubbliche e private".
MESSE
BOREALE
Ma chi più di tutti ha avuto a cuore le sorti economiche
dell’Isec e dell’Opus Dei è stato sicuramente il tenace senatore
Udc Leonzio Borea, che
nell’arco della scorsa legislatura si è adoperato per far ottenere al
Centro Isec una messe impensabile di provvidenze pubbliche. E’ il 20
luglio del 2005. Borea, penalista, salernitano di Sapri, prova a far
passare in Commissione giustizia - di cui è vicepresidente - un
provvedimento in base al quale «è autorizzata l’erogazione di un
contributo di 450.000 euro annui per dieci anni a decorrere dall’anno
E cresce, perchè da 450 mila si passa a ben 2 milioni di
euro annui di denaro pubblico, sempre in favore dell’Isec. Nel
fascicolo ufficiale pubblicato dal Governo contenente i provvedimenti
relativi alla Finanziaria 2006, l’emendamento di Borea si ritrova
sotto forma di articolo 66 bis, con la precisazione che «all’articolo
67 tabella B voce Ministero delle Finanze» vanno apportate le seguenti
variazioni: meno 2 milioni (di euro) per il 2006, altrettanti per il
2007 e per il 2008. Qundo si dice la capacità di non lasciare nulla al
caso... Del resto, Borea non era nuovo ad iniziative ardite di analogo
segno. «Un ordine del giorno presentato da alcuni parlamentari dell'Udc
(in prima fila lo stesso Borea, ndr), chiede al governo di equiparare
quanto prima i titoli accademici in materie giuridiche conseguiti presso
ELIS per sempre ? Altro socio eccellente del Cense è poi
il Centro Elis, ennesima holding targata Opus Dei che, attraverso le due
principali diramazioni societarie, presenta oggi dimensioni e business
da capogiro. E ci conduce dentro la vera “cupola” del sistema di
potere targato Opus. Inaugurato nel 1965 da Paolo VI alla presenza del
fondatore dell’Opus Dei Josemaría Escrivá, che ne aveva seguito la
realizzazione nei minimi particolari, il complesso di via Sandro Sandri
a Roma è proprietario di sedi anche nel quartiere Tiburtino e poi a
Palermo, Milano, Castelgandolfo, Ovindoli. Il Centro Educazione, Lavoro,
Istruzione, Sport (da cui l’acronimo) dichiara di dedicarsi a «promuove
attività formative e di solidarietà sociale per giovani e per
lavoratori»; inoltre «gestisce scuole e istituti professionali, corsi
a distanza e residenze per studenti», ma recentemente è entrato anche
nell’albo delle ONG per la cooperazione allo sviluppo. E che
sviluppo...
Partiamo dall’organigramma Elis, che come sempre vede in pista un giovane di comprovata fede, stavolta freschissimo d’investitura: si tratta dell’appena trentunenne Daniele Maturo, napoletano di Marano, che poche settimana fa è stato chiamato a sostituire il fisico Michele Crudele, 46 anni, barese, docente anche al Campus Biomedico ma soprattutto attivo in commissioni ministeriali, come quella per il Codice di autoregolamentazione Internet e Minori del Ministero delle Comunicazioni, o il gruppo di lavoro sulla protezione delle infrastrutture critiche informatizzate della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Oltre che alle multiformi attività imprenditoriali del Centro Elis, il giovanissimo Maturo dovrà dedicare le sue cure alle due principali “filiazioni” di Elis: Cedel e Consel.
La prima, tutta in odor di filantropia, era stata fondata negli anni ottanta per gestire scuole private, residenze universitarie e corsi professionali. Nel ‘98 viene trasformata in cooperativa sociale «retta dai principi e dalla disciplina della solidarietà sociale e della mutualità», chiariscono i dirigenti Elis, ed ora «si propone di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi». “Socio sovventore” della cooperativa Cedel è la spa Cosis, la merchant bank di via Nazionale creata come “avamposto etico” della Banca di Roma. «I conferimenti dei sovventori - viene precisato a scanso di equivoci nell’atto fondativo del Cedel - possono avere ad oggetto denaro, beni in natura o crediti e sono rappresentati da azioni trasferibili del valore di euro 500 ciascuna, per un minimo di cento azioni a socio sovventore».
Ed eccoci arrivati al clou: il Consel, Consorzio Elis per la formazione professionale superiore. Tanto per cominciare, questi sono i soci fondatori che nel 1992 hanno dato vita al consorzio: si tratta dei colossi STET, Italcementi, Ericsson, oltre alla stessa cooperativa Cedel. Business core di Consel è ancora una volta la formazione del ceto eletto, ma stavolta le attività sono direttamente rivolte ai giganti dell’economia che siedono al suoi interno. Eccoli qui: in prima fila fra i soci del consorzio spiccano Telecom Italia spa, le stesse Ericcson e Italcementi, e poi Birra Peroni spa, Anas, Italtel, ma anche Italia Lavoro, Albacom, Wind, Siemens, EDS (Electronics Data Systems Italia), Mannessmann Investments B.V., e via via crescendo Trenitalia, Camera di Commercio Roma, Alcatel, fino a Trambus spa ed Eni Corporate. Per non lasciare nulla alla provvidenza, più di recente l’astuto socio Elis ha acquisito ampie partecipazioni in Select agenzia per il lavoro, Agricolsulting (consulenze e sviluppo di attività agricole ed ambientali), Obiettivo Lavoro (altro big dell’occupazione temporanea) e Tim, leader di telefonia mobile. Tutti riuniti, per sempre, sotto il protettivo ombrello delle imprese terrene di San Escrivà. Perchè - è il motto dell’Opus - “Anche nella borsa di Wall Street si puo' incontrare Dio''. Qualcuno però, come Gianmario Roveraro, ha incontrato l’inferno.
L’ultimo colpo vincente dell’Opus Dei è stato messo a
segno nel capoluogo partenopeo con la recentissima nomina di Raffaele
Calabrò, leader indiscusso del sodalizio campano, al vertice della
Commissione varata dal presidente della Regione Antonio
Bassolino per il controllo sugli atti amministrativi delle
sforacchiate Asl locali, che negli ultimi anni avevano accumulato
spaventose voragini nei bilanci. Cardiologo, tre figli, esponente di una
famiglia partenopea per buona parte dedita al binomio Opus-professioni
(un cognato, Salvatore Iovene,
è fra i magistrati di punta del tribunale di Napoli), Calabrò
rappresenta uno fra i più riusciti “acquisti” della Margherita, che
sotto la guida del vicepremier Francesco Rutelli sta pescando a piene
mani nel “vivaio” Opus Dei.
Dopo oltre dieci anni di esperienza politica nelle fila di
Forza Italia (maturata grazie all’antico feeling con Paolo Cirino
Pomicino, tanto che sotto le insegne del Biscione era stato anche
presidente del Consiglio regionale), Raffaele Calabrò non aveva
esitato, in vista delle tornate elettorali
E non è difficile, grazie alla potenza della matrice
imprenditorial-religiosa, organizzare corsi di specializzazione ai
massimi livelli, con corsie preferenziali ai partecipanti per
l’accesso dalla porta principale nei ranghi dei colossi nazionali ed
esteri. E’ stato il caso, per esempio, del recente “Corso di finanza
avanzata”, concluso a luglio e portato avanti con il contributo della
Compagnia di San Paolo e della Fondazione Banco di Napoli. Fra i docenti
- spesso scambiati con
A riprova dell’efficacia, anche pratica, della proficua
“inseminazione” realizzata col verbo di Escrivà, restano alcune
folgoranti carriere, anche giornalistiche. La più recente, che a Napoli
ha suscitato già rumori e mal di pancia, è quella che ha catapultato
l’ex allievo dell’elitaria Residenza Monterone (con
Più che naturale, perciò, l’arruolamento nel partito di
Rutelli della opusdeista di ferro Paola
Binetti, lunghi trascorsi nell’Udc, schierata in Parlamento fra i
più tenaci avversari di provvedimenti come i Pacs o le modifiche alla
legge 40 sulla procreazione assistita. Ed ottima amica, da sempre,
dell’attuale ministro per
Francesco D’Onofrio (vedi articolo precedente) docet. Complice potrebbe essere proprio l’intesa sulla scuola privata. Del resto, la prima approvazione della legge sulla parità scolastica era stata voluta nel 2000 dal governo D'Alema bis. Una norma che ha istituito i buoni scuola per gli alunni delle private (300 miliardi annui di vecchie lire a partire dal 2001), aumentando i contributi per il mantenimento delle scuole elementari parificate (60 miliardi di lire) e per le spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato (280 miliardi di lire). E poi, non era stato lo stesso leader Maximo a sbracciarsi in prima fila durante le solenni celebrazioni per la santificazione di Escrivà?
Valori
nel Garofano
Sarà la neonata Banca per lo Sviluppo del Mediterraneo la
creatura capace di unire, tra fede e business, le sorti di Opus Dei e
Massoneria tradizionale? L’ipotesi non appare troppo azzardata, se si
considera il calibro - e soprattutto l’origine - dei suoi promotori:
il tandem formato da Giancarlo
Elia Valori e Giuseppe Garofano. Il primo, attuale presidente di
Confindustria Lazio (oltre che neo-scrittore: fresco di stampa il suo
“Geopolitica dello spazio” con prefazione di Francesco
Cossiga, presentato nel luglio scorso a Gaeta addirittura da Oliviero Diliberto), figura negli elenchi dei confratelli fin dai
tempi della P2. Quanto a Garofano (vedi pezzo base), la sua carriera di
manager è stata tutta vissuta all’ombra dell’Ovra (vedi la
partecipazione attiva in attività come il Campus Biomedico, insieme
all’amico Gianmario Roveraro, o il colosso Cense).
All’inedita accoppiata - Valori presidente e Garofano in
sella al cda - si aggiungono oggi le Generali: la corazzata di Trieste
guidata da Antoine Bernheim
avrebbe infatti garantito il suo appoggio per il varo del nuovo istituto
di credito, destinato a sviluppare gli affari tra Palestina, Maghreb,
Libano, Israele, Libia, Egitto ed i paesi mediterranei. Per far questo,
è già pronto un carburante da 15,5 milioni di euro, versato dai
quattro grandi promotori: Alerion (45,16%), Allianz
Lloyd adriatico (32,26%), Pierluigi
Toti patron del Gruppo Lamaro
(9,68%) e
Il 17 luglio scorso un altro importante disco verde è
arrivato in occasione della quarta Conferenza Laboratorio
Euro-Mediterraneo da Naguib
Sawiris, presidente dell'egiziana Orascom
e dell'italiana Wind. Il
quale ha però posto come condizione che Bsm
abbia un capitale a maggioranza privata. «I governi in certe occasioni
sono lenti - ha spiegato Sawiris - e non possiamo permetterci il lusso
di sprecare del tempo». Una tempestività ampiamente favorita
dall’acuirsi delle tensioni in Medio Oriente: «la creazione di lavoro
che deriverà dalla nuova Banca - ha concluso il supermanager -
contribuirà a combattere il terrorismo e le forze del buio che operano
nell’area». Con sede a Roma in via delle Tre Madonne, dopo il
rilascio della licenza creditizia da parte della Banca d’Italia la
creatura di Valori e Garofano potrà intraprendere la sua navigazione.
«Sarà una banca d’affari - pronosticano gli addetti ai lavori - con
l’occhio puntato non solo allo sviluppo di grandi opere, ma anche alle
piccole e medie imprese».