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Riprendendo
in mano un memorandum del 1996 redatto da alcuni membri dell'attuale
amministrazione USA per il premier israeliano (di allora) Netanyahu, si
può leggere un vero e proprio programma politico che prevedeva la
distruzione dell'autorità nazionale palestinese, il rovesciamento di
Saddam Hussein, la guerra alla Siria, e la democratizzare il mondo
arabo!!!
I primi due passaggi sono stati compiuti...
Il Congresso
approva: sanzioni alla Siria
Di
Stefano Liberti – Il Manifesto 17 ottobre 2003
La
Camera dei rappresentanti Usa vota a schiacciante maggioranza il Syria
Accountability Act, che prevede diverse misure di rappresaglia contro
Damasco per il suo «appoggio al terrorismo». Dura reazione del
presidente Bashar: «Gli Stati uniti sono governati da un gruppo di
fanatici guerrafondai»
Con
un voto quasi unanime (398 sì contro 4 no), la Camera dei
rappresentanti degli Stati uniti ha dato ieri il via libera al Syria
Accountability Act,
un progetto di legge che prevede diversi livelli di sanzioni economiche
contro Damasco, «se continua ad appoggiare gruppi terroristici, non
ritira le proprie truppe dal Libano e non dimostra la sua estraneità ai
programmi di sviluppo di armi chimiche e batteriologiche». Approvato la
settimana scorsa dalla Commissione esteri, il provvedimento passerà
nelle prossime settimane al Senato, dove gode di un forte sostegno bipartisan,
e verrà infine portato al presidente Bush, che ha già fatto intendere
che apporrà la sua firma. La Siria ha reagito con durezza
all'iniziativa statunitense: il presidente Bashar el-Assad, dal vertice
dell'Organizzazione della conferenza islamica (Oci) in Malaysia, ha
accusato Washington di avere «fanatici guerrafondai al governo».
Secondo Bashar, gli attentati dell'11 settembre 2001 «hanno dato
l'occasione e il pretesto a un gruppo di malintenzionati per attaccare i
valori umani e creare un nemico orribile quanto illusorio, che chiamano
islam».
Riferendosi
in modo più diretto al provvedimento approvato dalla Camera, il giovane
Assad ha detto che «le sanzioni di Washington e l'invasione culturale
Usa violano la sovranità di altri paesi». Il suo capo di stato
maggiore, generale Hasan Turkmani, ha messo poi in stato di massima
allerta le truppe «per respingere ogni aggressione del governo Sharon».
L'offensiva diplomatica contro Damasco sembra
in effetti un'azione decisa in modo congiunto a Washington e Tel Aviv:
la proposta di legge languiva indiscussa al Congresso dall'aprile 2002,
a causa dell'opposizione della Casa bianca a intraprendere qualsiasi
forma di pressione contro la Siria. Improvvisamente, il 7 ottobre
scorso, l'iter parlamentare si è sbloccato e ha imboccato un binario
rapido. La data è sintomatica, dal momento che ha seguito di appena due
giorni quello che era stato percepito inizialmente come un gesto
inconsulto di Sharon: il bombardamento di un campo profughi in
territorio siriano (dove l'aviazione di Tel Aviv non colpiva dal 1973).
Il
raid israeliano e l'approvazione del Syria Act appaiono
invece strettamente correlati tra loro e sembrano far parte di una
strategia concertata tra i settori più bellicosi del Likud, oggi al
potere in Israele, e parte dell'establishment americano, che da tempo fa
pressioni sulla Siria.
In
particolare negli Stati uniti sembra cementarsi l'alleanza tra, da una
parte, le lobby filo-israeliane legate Jewish Institute for National
Security Affairs (JINSA) e all'American Enterprise Institute (AEI), e
dall'altra i sionisti cristiani, fra cui spicca il leader della
maggioranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti Tom Delay.
Quest'ultimo, che a più riprese ha espresso il suo appoggio
incondizionato non solo alle politiche dello stato ebraico ma anche al
presunto diritto teologico di Israele di occupare la totalità della
Palestina, ha definito la votazione di ieri «cruciale per il prosieguo
della guerra al terrorismo».
Le
pressioni sulla Siria e il suo accerchiamento militare sembrano quindi
far parte di una strategia ben precisa. A tale proposito, appare
istruttivo rileggere un memorandum di azione redatto nel 1996 da alcuni
membri influenti dell'attuale Amministrazione Usa per il premier
israeliano Benyamin Netanyahu. L'obiettivo espresso a chiare lettere dal
documento era la cancellazione del concetto di «pace in cambio di terra»
emerso dagli accordi di Oslo e la conseguente affermazione della Grande
Israele. Il percorso per arrivare a tale risultato doveva essere
strutturato in quattro fasi: distruggere l'Autorità nazionale
palestinese; convincere gli Stati uniti a rovesciare
Saddam Hussein; fare guerra alla Siria; e «democratizzare»
il mondo arabo attraverso una combinazione di intimidazioni e
azioni militari dirette. I primi due steps sono stati portati a
compimento. Ora sembra scattata la fase tre.