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Iraq:
guerra per i pozzi dell’Eni, ora da boicottare
di Giacomo Todaro
tratto da http://unimondo.oneworld.net/article/view/111339/1/
Un'inchiesta
trasmessa
da RaiNews24 sulla presenza italiana a Nassiriya e un dossier del
governo italiano mostra come fu pianificata l'entrata in guerra contro
l'Iraq a fianco degli Usa già 6 mesi prima dell'inizio dell'emergenza
umanitaria, per sfruttarne il petrolio. Foto, mappe e documenti
sull'attività del contingente italiano mostrano che la presenza dei
militari italiani a Nassiriya abbia come chiaro obiettivo quello di
proteggere oleodotti e raffinerie di petrolio, in una zona ricchissima
di giacimenti, anche di uranio. Il giacimento di Nassiriya, il quinto in
ordine di importanza in Iraq con riserve stimate tra i 2,5 i 4 miliardi
di barili. Le immagini del reportage di RaiNew24 mostrano la raffineria
di Nassiriya, e mostrano come i soldati italiani abbiano scortato
migliaia di bidoni di petrolio e protetto zone ricche di giacimenti,
anche giacimenti di uranio. Il confine di competenza italiana in Iraq
comprende, guarda caso, proprio la raffineria di petrolio, il punto di
stoccaggio e le paludi sotto cui risiedono i giacimenti petroliferi da
sfruttare.
Il reportage contiene interviste alla vedova
Intravaia (vedova di uno dei 19 italiani morti nell'attentato di
Nassiriya), a Marco Calamai - ex consigliere speciale della SPA
(amministrazione provvisoria) dimessosi in seguito all'attentato a
Nassiriya che fra le altre cose denuncia la cattiva prassi degli
americani di non coinvolgere gli iracheni nell'amministrazione "dal
basso" della cosa pubblica. A Calamai si aggiunge la testimonianze
di Benito Li Vigni - ex dirigente Gruppo Eni ed ex collaboratore di
Enrico Mattei, autore del libro "Le guerre del petrolio", che
illustra l'enorme quantitativo potenziale di giacimenti petroliferi
realmente presenti in Iraq (che l'Eni appurò essere superiori a quelli
dell'Arabia Saudita); Li Vigni testimonia gli accordi tra Iraq ed Eni in
merito ai giacimenti di Nassiriya risalenti agli anni '70 e segnala la
strana coincidenza tra la presenza dei soldati italiani a Nassiriya e la
presenza del giacimento petrolifero destinato all'Eni (il cui 30% è
ancora di proprietà dello Stato italiano).
Claudio Gatti - corrispondente da New York per il
Sole24Ore, nel video racconta (fonti alla mano) perchè l'obiettivo
dell'attentato di Nassiriya non fossero i carabinieri, ma piuttosto
l'operatore economico presente in quella zona, ovvero l'Eni. Infatti, il
giorno dell'attentato, l'amministratore delegato dell'Eni, Mincato,
dichiarò all'agenzia ANSA che la possibile presenza dell'Eni a
Nassiriya sarebbe slittata al 2004 proprio a causa di problemi legati
alla "stabilità" della zona. A Gatti si aggiunge
l’intervista a Elettra Deiana - parlamentare di RC membro della
Commissione Difesa, l'intervento di Frattini - ex Ministro degli Esteri
italiano, ad Antonello Falomi - senatore DS, al governatore iracheno di
Nassiriya e a vari testimoni della base italiana in Iraq.
Di fatto il Governo sapeva tutto. Il 22 ottobre 2003
alcuni parlamentari si recarono in visita a Nassiriya incontrando
l'ambasciatore italiano a Baghdad, che illustrò ai parlamentari circa
la presenza militare italiana finalizzata agli affari del petrolio, in
maniera diretta e addirittura "ovvia". Anche la cosiddetta
missione "Antica Babilonia" fu giustificata
"ufficialmente" come missione con motivi "culturali"
legati alla presenza di siti archeologici.... in realtà la scelta della
base italiana fu dettata proprio da ragioni completamente estranee alla
missione culturale-umanitaria per le quali i soldati furono mandati. Le
cifre. Venne finanziata la costruzione di un ospedale a Baghdad
sorvegliato da 30 carabinieri e poi vennero inviati altri 3.000 soldati
italiani a Nassiriya. Le cifre: l'ospedale a Baghdad costò 21 milioni
di euro, mentre i soldati italiani a Nassiriya costarono 232 milioni di
euro.... a spese dei contribuenti italiani.
Il
reportage mostra anche un dossier del Ministero delle Attività
Produttive (che il governo aveva precedentemente ufficialmente ignorato)
risalente a 6 mesi prima dell'inizio della guerra, ovvero della prevista
"emergenza umanitaria" da soccorrere. Tale dossier governativo
indica il luogo migliore per una presenza italiana in Iraq e viene
indicato proprio Nassiriya. Si parla del petrolio e di un affare da 300
miliardi di dollari. Nel dossier si descrive l'Iraq come una specie di
eldorado e che "l'obiettivo del governo e delle istituzioni
coinvolte è quello di mantenere l'Italia tra i 4 migliori fornitori
dell'Iraq per il futuro". Guarda caso ben 15 delle 19 pagine del
"dossier Iraq" del governo parlano di petrolio. Nel dossier
del governo si legge anche dei retroscena internazionali, degli accordi
fatti tra Usa, Cina, Francia e Russia per lo sfruttamento del petrolio
iracheno dopo la guerra, che ancora non era iniziata. Infatti, la guerra
in Iraq scattò solo 6 mesi dopo quel documento. L'affare Iraq fu
pianificato: l'affare sporco in Iraq è un affare a cui il governo
italiano si è scrupolosamente attenuto. Non una guerra
"preventiva", dunque, ma una guerra premeditata.
Immediata la reazione dell’organizzazione “Un
Ponte per” che aveva
gia denunciato il vero motivo della presenza italiana a Nassiriya
all’indomani dell’attentato nel novembre 2003.
“Tutte
le frottole sulla “operazione umanitaria” e sul “portare la
democrazia” si sgonfiano come quelle sulle armi di distruzione di
massa: già sei mesi prima delle guerra, mentre gli ispettori dell’Onu
erano in Iraq, il Consiglio di Sicurezza discuteva, il Governo stava già
studiando dove mandare le proprie truppe. Ci chiediamo se ora l’ENI
assumerà la responsabilità che le compete nei confronti delle famiglie
che hanno perso un congiunto per sorvegliare i suoi barili di petrolio e
nei confronti dei civili iracheni rimasti vittime nella “battaglia dei
ponti”. Ci chiediamo se il Governo ammetterà di aver mentito agli
italiani sugli obiettivi della presenza a Nassiriya e sul fatto che la
discussione sull’invio delle truppe era una pura copertura di
decisioni già prese. Invitiamo tutto il popolo della pace a mettere in
atto una diffusa campagna di denuncia e di boicottaggio non-violento
dell’ENI, come sta facendo da tempo il movimento pacifista
statunitense con le multinazionali Bechtel e Halliburton”.