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Crimini
di guerra a colpi di cataclismi
di
Carlo Stracquadaneo - tratto da "Analisi Difesa", mensile
di politica e analisi militare
www.analisidifesa.it/articolo.shtm/id/4869/ver/IT
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Febbraio - Nel 1991, grazie alla “Glasnost”, fu svelato un programma
di ricerca militare avviato dall’Unione Sovietica tra gli anni
sessanta e settanta, destinato a provocare terremoti artificiali,
causati mediante esplosioni nucleari sotterranee da sfruttare come arma
di attacco preventivo, prima di un attacco convenzionale. Si trattava
del programma “Kontinent”, i cui esperimenti sono forse stati la
causa di numerosi terremoti registrati negli Urali in quel decennio, di
cui si ricorda quello del nono grado della scala Richter, che rase al
suolo la città di Gasli. Per capire l’intensità di quel terremoto,
anche il sisma sottomarino della notte del 25 dicembre scorso,
registrato nell’Oceano Indiano, fu del IX/Richter, causando le onde
Tsunami del più grande cataclisma che l’umanità ricordi.
L’enorme numero di vittime, il devastante impatto sull’economia e
sulla società dei paesi colpiti, fa ricordare che in passato vennero
studiate tecniche per provocare cataclismi artificiali e di conseguenza,
fa pensare alle preoccupazioni internazionali per mettere al bando le
tecniche di modificazione dell’ambiente “per uso militare o per
qualsiasi altro uso ostile” di cui è garante la Convenzione
“Enmod” adottata a Ginevra il 18 maggio 1977. Cercando tra le
notizie riguardanti le modificazioni dell’ambiente, ho appreso che nel
mese di luglio del 1975, il direttore del Centro di Ricerche geografiche
del Messico, aveva accusato il governo degli U.S.A. dichiarando che gli
scienziati americani, il precedente ottobre, con l’uso di ioduro
d’argento, avevano deviato il corso dell’uragano Fifì allo scopo di
risparmiare la Florida che era allora in piena stagione turistica.
L’uragano
Fifì aveva quindi investito l’Honduras uccidendo diecimila persone.
L’intervento dell’uomo nel campo della modificazione artificiale del
tempo atmosferico e degli equilibri che regolano le forze della fisica
terrestre va compiendo progressivi sviluppi rivolti a beneficio
dell’umanità, ma le relative tecniche di applicazione, se impiegate
senza il controllo di un organismo internazionale, possono condurre a
conseguenze conflittuali fra i Paesi sui quali tali modificazioni
ambientali si verificano. L’interesse militare per un loro possibile
impiego operativo bellico è certamente vivo. Il carattere di
conflittualità e il possibile impiego di manipolazioni meteorologiche e
geofisiche in campo militare sono stati chiaramente messi in evidenza
dal dossier redatto nell’ottobre 2003 per il Pentagono dai climatologi
Schwartz e Randall, la cui commessa è costata 100mila dollari (si veda:
“Climi di guerra” C. Stracquadaneo - Analisi Difesa n. 46, giugno
2004).
Le preoccupazioni internazionali verificatesi in questi ultimi anni, non
sembrano stimolare una reazione ampia e determinata nella nostra società;
fortunatamente non così nel mese di giugno 1975, quando le maggiori
agenzie internazionali di stampa diedero ampia diffusione ad alcuni
comunicati provenienti da Washington, Ginevra e Mosca che parlavano
dell’esistenza di una nuova “Superarma”, presto identificata come
“Arma meteorologica”, oggetto di negoziati al vertice fra le due più
grandi potenze mondiali del tempo: Usa e URSS.
Dopo
trenta anni dalla firma della Convenzione “Enmod”, sarebbe
necessaria l’adozione di un protocollo aggiuntivo alla “Enmod” e
di conseguenza la messa al bando dell’uso e di tutte le possibilità
attuali e future dello sviluppo di apparati, che potrebbero trasformarsi
in vere e proprie armi meteorologiche e geofisiche. Una simile
iniziativa dovrebbe essere portata all’ordine del giorno da nazioni
come l’Italia, che hanno aderito al Protocollo di Kyoto e alla Corte
Penale Internazionale per la repressione dei crimini di guerra e contro
l’umanità. In un testo del 1983 dal titolo “Guerre non
convenzionali” - una volta riservatissimo poiché redatto per la
Scuola di Guerra dell’Armata Rossa - si legge un capitolo: “Scatenamento
di terremoti e maremoti”. La sua lettura è agghiacciante, viene
spiegata la possibilità di scatenare un grosso sisma nella faglia di
San Andreas, per mezzo di esplosioni convenientemente effettuate nel Mar
della Cina e nel Mar delle Filippine. Quel testo, preconizzava agli
studenti un attacco indiretto agli Usa e la distruzione, con tale
sistema, delle importanti città di Los Angeles e San Francisco. Nello
stesso libro si parla della possibilità di provocare artificialmente
onde Tsunami mediante una serie di esplosioni nucleari sottomarine
convenientemente pianificate, per causare lo scivolamento di enormi
masse di sedimenti e rocce.
Purtroppo,
in Russia gli esperimenti di geofisica non terminarono con la fine della
Guerra Fredda e continuarono anche nella Repubblica post-sovietica.
Secondo quanto dichiarato dallo scienziato Giancarlo Bove, “abbandonati
i test nucleari sotterranei, diventati ormai pericolosi per l’impatto
ambientale e l’inquinamento provocato dalle esplosioni, i responsabili
scientifici e militari si orientarono verso la TeleGeoDinamica e i
sistemi d’arma a energia diretta EM (electronic pulse weapon) per
concludersi definitivamente nel 1996”.
Durante
il bipolarismo Est-Ovest entrambi i contendenti dedicarono consistenti
risorse allo sviluppo di tecniche di modificazione dell’ambiente
naturale o addirittura operazioni militari con l’uso diretto di forze
della natura, ma è doveroso chiedersi a che punto siano giunti oggi
quegli studi e quali Stati siano attualmente in possesso di tecnologie
per guerre ambientali. Esistono dunque possibilità reali di condurre
guerre meteorologiche e geofisiche. Le possibilità di azione sono
certe; non si sa quale sia oggi l’intensità e l’ampiezza di tale
operatività, ma basti considerare che negli anni settanta i progressi
realizzati erano già giunti allo “stadio tattico”.
Certamente il maremoto del 26 dicembre non è addebitabile ad azioni
umane, ma lo scenario dello Tsunami deve farci comprendere che ogni
azione strategica sul clima ed ogni scatenamento di catastrofi
geofisiche, possono destare molte preoccupazioni sulle possibili
conseguenze in un campo così sensibile per l’umanità.
Ecco
perché si impone la necessità di un trattato, in seno all’ONU, che
vieti non solo le operazioni militari che abbiano un impatto “durevole
esteso e grave” sull’ambiente naturale o che si prefiggano di
modificarlo per scopi ostili, ma è necessario un divieto assoluto, che
interdica tutte le azioni di intervento artificiale sull’ambiente, che
non siano confacenti con il benessere e la salute dell’uomo. I tempi
sono ormai maturi per una norma internazionale che regoli le
applicazioni pacifiche in questo settore e garantisca che le sue
potenzialità vengano rese note e sviluppate esclusivamente per il
massimo beneficio dell’umanità. Interventi artificiali
sull’equilibrio delle forze che regolano la fisica terrestre,
dirottando la furia dei cicloni tropicali per salvaguardare il proprio
territorio o modificazioni del tempo atmosferico, incrementando le
precipitazioni su territori deliberatamente scelti, potrebbero portare
benefici enormi all’umanità, ma esistono problemi di diritto
internazionale che potrebbero nascere a causa delle potenzialità
conflittuali nelle operazioni di impiego di queste tecniche e problemi
sull’uso di esse come arma bellica, con conseguenze distruttive
imprevedibili e non più tollerabili.