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Iraq,
la guerra dei profitti
Di Angela Pascucci da "Il
Manifesto" del 29 agosto 2003
Bechtel e Halliburton, le corporations Usa regine degli appalti iracheni grazie alle alte protezioni, ottengono nuovi contratti milionari. La privatizzazione della logistica militare è il nuovo affare, insieme a quella dei beni pubblici iracheni. La devastazione accresce la torta da spartire. I primi fondi per la ricostruzione stanziati dal Congresso sono finiti, pronta una richiesta per altri 3 miliardi di dollari
Negli Stati
uniti c'è qualcuno che la guerra l'ha vinta ancora prima che iniziasse, e
continua a vincerla nonostante, anzi proprio grazie, al caos dilagante. Si
tratta del gruppo Bechtel e della Halliburton Corp, le signore
degli appalti Usa per la ricostruzione irachena, note per le loro alte
protezioni. C'è altro da dire, dopo il moltissimo già detto? Ebbene sì.
Secondo le notizie di ieri la Bechtel aggiungerà al suo già ricco contratto da
690 milioni di dollari una tranche ulteriore pari a 350 milioni di dollari per
ricostruire aeroporti, scuole, strade, il sistema di distribuzione delle acque e
dell'energia. Un'aggiunta che fa scandalo, perché quando qualche mese fa era
scoppiato in Congresso il caso degli appalti assegnati in fretta e senza gare
pubbliche (per ragioni di «rapidità e sicurezza» si disse allora), il capo
della Usaid, l'agenzia per lo sviluppo internazionale, aveva promesso che non
una lira dei contribuenti americani sarebbe mai più stata aggiunta al contratto
di Bechtel.
Quanto alla Halliburton, un tempo non lontano guidata da Dick Cheney, il Washington
Post si è preso la briga di andare a spulciare nei contratti
dell'amministrazione militare, e precisamente dell'Army Joint Munitions Command,
scoprendo che agli iniziali 1,7 miliardi di dollari ottenuti dalla sussidiaria
Brown and Root Services per il ripristino dell'attività negli impianti
petroliferi, la casa madre di Houston ha aggiunto altri 400 milioni di dollari
circa, destinati ad attività specifiche e così suddivisi: 142 milioni per un
campo base in Kuwait, 170 milioni per il supporto logistico alla ricostruzione
irachena, 28 milioni per la costruzione di un campo per i prigionieri di guerra,
39 milioni per mettere in piedi e gestire campi base in Giordania (la cui
esistenza il Pentagono non ha mai ufficialmente riconosciuto).
La compagnia si conferma così il «big winner» nei fondi della ricostruzione
(seguita a ruota da Bechtel), con una fetta che fa impallidire i 183 milioni di
dollari incassati da Brown e Root con l'operazione Enduring Freedom in
Afghanistan. Ma non basta, perché oltre ai contratti siglati con l'esercito, la
Halliburton ha incassato 300 milioni di dollari per fornitura di servizi alla
Marina.Tutto ciò grazie all'escalation del meccanismo di privatizzazione dei
servizi di logistica all'esercito che sta suscitando negli Usa crescenti
interrogativi, vista la piega presa dagli eventi in Iraq.
Il malumore cresce proprio tra i ranghi dei militari, come ha scritto Paul
Krugman in un editoriale sul New York Times del 12 agosto
scorso, dopo aver interpellato alcuni alti gradi dell'esercito che non hanno
risparmiato critiche ai «dilettanti del Pentagono»: lesinano i soldi
all'esercito ma rimpinguano i portafogli dei gruppi di interesse loro amici, che
danno poi pessima prova proprio sul campo di battaglia. Così che «una
struttura logistica superba» è stata scardinata per far posto a incompetenti
che fanno mancare l'acqua alle truppe e distribuiscono pasti pronti inadatti al
clima. Che poi tutto questo si risolva in un risparmio per il contribuente, è
tutto da dimostrare. Con il crescere del pericolo, i premi assicurativi per i
dipendenti delle società d'appalto sono aumentati dal 300 al 400%, tutto a
spese del governo, cioè del cittadino Usa, come da contratto.
Per capire come il cerchio si chiuda sempre, basta solo ricordare, come fa il Washington
Post, che la pratica di affidare le operazioni logistiche a un solo
appaltatore nasce dopo la prima guerra del Golfo da uno studio sull'outsourcing
militare commissionato da Dick Cheney, allora segretario alla difesa, e affidato
dal Pentagono alla...Brown e Root. Sarà poi tra il 1995 e il 2000 che l'attuale
vice presidente Usa ricoprirà la carica di amministratore delegato della
Halliburton, lasciandola per entrare alla Casa bianca. George Bush, da parte
sua, appena entrato in carica metterà a capo di ciascuna delle tre armi un big
delle corporations. Oggi la situazione è tale che, secondo i calcoli di esperti
indipendenti, un terzo dei 4 miliardi necessari ogni mese a mantenere le truppe
in Iraq va agli appaltatori privati.
Ogni giorno che passa evidenzia così un doppio saccheggio: il primo ai danni di
un Iraq volutamente scardinato e l'altro a spese degli americani medesimi. Nello
stesso giorno in cui l'ufficio per il bilancio del Congresso Usa annunciava per
il 2004 un deficit record di 480 miliardi di dollari, il coordinatore capo delle
forze di occupazione Usa, Paul Bremer, confermava che la ricostruzione irachena
costerà molto ma molto più cara del previsto. I 350 milioni della Bechtel
esauriranno, con ogni probabilità, i 2,5 miliardi di fondi per la ricostruzione
stanziati dal Congresso all'inizio dell'anno. Il mese prossimo, dicono fonti non
ufficiali citate ieri dal Wall Street Journal,
l'amministrazione avanzerà una nuova richiesta di fondi di emergenza da 2,75
miliardi per tamponare la situazione drammatica di petrolio, acqua ed elettricità.
Briciole rispetto alle reali necessità.
La torta da spartire cresce con la devastazione. Un assurdo che dà la misura
della tragedia in corso. Per trovare i fondi, bisogna intanto accelerare la
privatizzazione con svendita dell'Iraq. Nel frattempo, gli affari si possono
fare in tanti modi. E' di ieri la notizia che l'Import-Export Bank Usa ha fatto
un passo avanti verso l'approvazione di un programma di assicurazione dei
prestiti da 500 milioni di dollari per sostenere le vendite di prodotti
agricoli, macchinari e altri merci Usa all'Iraq