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Grandi
potenze piangono
Carlo Bertani – 16 ottobre 2006
Le
grandi notizie richiamano l’attenzione dei media – sia di quelli di
regime sia della controinformazione – ed è normale che sia così: chi
non vorrebbe essere informato sulla crisi coreana o sulla destinazione
della Task Force americana che è in viaggio verso il Golfo Persico?
E ancora: il Giappone rinuncerà a dotarsi d’armi nucleari? Bush
considererà l’attuale risoluzione ONU (che non prevede l’uso della
forza nei confronti di Pyongyang) come un “placet” per andarci lo
stesso? Ci sarà un attacco all’Iran?
Sulla
scia delle grandi notizie ci perdiamo quelle piccole, brevi flash
d’agenzia, robetta di poco conto. Apparentemente.
Così, il 15 di ottobre 2006 – sonnacchiosa domenica d’autunno –
una piccola notizia appare sul sito dell’ANSA, relegata in un angolo,
quasi un clic impossibile.
“I 200 uomini delle forze speciali
francesi impegnate in Afghanistan lasceranno il Paese all'inizio del
200
uomini? che volete che siano…niente: tre o quattro compagnie dell’Armée.
Eppure, la notizia di quel piccolo ritiro di uomini è il fragore di un
macigno per chi ha orecchie che ascoltano.
Ci torna alla mente la querelle
italiana sull’Afghanistan: la richiesta americana – dopo
l’annuncio del ritiro dall’Iraq – di aumentare la presenza
italiana a Kabul, accompagnata dalla pretesa d’inviare addirittura i
cacciabombardieri AMX, roba che serve soltanto a bombardare villaggi e
strade.
Dall’altra, la (saggia) richiesta di uno sparuto gruppetto di
parlamentari della sinistra d’iniziare anche là il ritiro: forte del
diniego opposto all’aumento delle truppe italiane nel paese, l’Ulivo
ha avuto buon gioco per eludere le richieste della sinistra. Avete visto
che abbiamo detto di no a Bush? Però restiamo: in
medio stat virtus.
A
Parigi, invece, sembra che le mezze misure non vadano di moda e ritirano
le truppe. Perché?
L’analisi che i francesi fanno della situazione afgana è
evidentemente assai diversa di quella operata a Roma. Domandiamoci: alla
Farnesina ed a Palazzo Chigi, avranno analizzato la situazione? Dai
servizi d’informazione militare saranno giunti dei rapporti? Qualcuno
sarebbe così gentile da raccontarci qualcosa?
Comprendiamo che le notizie riservate dei servizi non diventano carta
stampata per tutti, ma quando il nostro vicino richiama improvvisamente
le sue truppe in patria qualche motivo ci sarà pure. Noi che facciamo:
aspettiamo i prossimi morti?
La
situazione afgana è oramai sfuggita completamente di mano al controllo
delle truppe NATO e, soprattutto, al governo dell’ex manager
petrolifero dei Bush che siede a Kabul – Ahmid Karzai – il
“sindaco di Kabul”, per evidenziare l’esteso controllo del
territorio che esercita dalla capitale.
Le ragioni? Come mai, una guerra apparentemente vinta cinque anni fa,
con i Taliban in fuga verso le aree tribali del Pakistan e la
ricostruzione di un esercito afgano (cosa che deve ancora decollare in
Iraq, e che probabilmente non avverrà più) apparentemente riuscita,
porta
Perché
fu vinta una guerra, ma fu persa la pace.
Le cifre delle recenti guerre portano impresso un marchio: quello della
povertà.
Delle popolazioni locali? Ah, questo non stupisce: ciò che invece
meraviglia è costatare la miseria delle truppe inviate in quei luoghi
dall’Europa e dagli USA.
Mangiano bene, ovvio, hanno sufficienti rifornimenti di munizioni e
carburante, ma – durante una visita “a sorpresa” di Rumsfeld in
Iraq – giunse per il ministro della Difesa USA un’altra non gradita
“sorpresa”.
Con
tanto coraggio – evidentemente messo da parte nei momenti di paura,
quando avevano dovuto raccattare i poveri resti di un proprio
commilitone – alcuni graduati ed ufficiali spiattellarono a Rumsfeld
le loro lamentele: perché i giubbotti anti-proiettile si rivelavano di
scarsa qualità e non riuscivano a fermare le pallottole? Perché non
giungevano rifornimenti dagli USA, al punto che avevano iniziato a
raccattare pezzi di blindatura dai veicoli distrutti per riparare quelli
colpiti ma ancora efficienti?
Quanto sono lontane queste parole dalle immagini delle truppe americane
vittoriose in Italia! Come stridono con i giovanotti del Kansas che
gettavano cioccolato e sigarette alla folla plaudente!
Negli
ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale, un caccia germanico riuscì
ad abbattere un velivolo da trasporto americano che si schiantò nella
parte di Francia ancora occupata dal Reich tedesco: l’ispezione rivelò
che era carico di torte al cioccolato.
L’amara conclusione alla quale giunsero i generali tedeschi fu: qual
è la reale forza del nemico – la sua capacità di ricevere
rifornimenti e truppe fresche – se si può permettere il lusso
d’inviare un velivolo dall’America all’Europa soltanto per portare
torte al cioccolato alle truppe?
Può
darsi che i militari occidentali in Afghanistan mangino torte al
cioccolato: sicuramente non le mangiano gli afgani.
La ripartizione dei fondi per la missione “Antica Babilonia”
italiana in Iraq è sempre rimasta la stessa: circa il 94% per la
missione militare ed il 6% per gli interventi di ricostruzione e per
l’assistenza alla popolazione.
Le cose non sono andate diversamente in Afghanistan – dove gli
americani promisero addirittura faraoniche autostrade – ed oggi gli
afgani possono toccare con mano le promesse non mantenute, la miseria di
sempre, e sono tornati alla loro “occupazione” tradizionale
(scomparsa sotto i Taliban), ovvero alla coltivazione del papavero da oppio. Con tutti
i guai che si ritrovano le truppe straniere in Afghanistan, figuriamoci
quanto può interessare loro il traffico di droga; strana coincidenza
però: quando c’erano da combattere i russi il traffico d’oppio
andava a gonfie vele, poi vennero i Taliban
e fu estirpato, tornarono gli occidentali e riprese. Verrebbe quasi da
credere che qualche amministrazione occidentale non sia così
“indifferente” agli alti profitti del traffico dell’oppio. Sarà
un buon “investimento”? Chissà…
Mancando
un forte supporto per l’assistenza alla popolazione – che in
Afghanistan è sottoposta da decenni alle angherie della guerra – gli
afgani si sono rivolti a chi poteva fornire quel poco di cui hanno
bisogno: non è forse vero che dove manca lo Stato, in Italia, ci si
rivolge alla camorra ed alla mafia?
Anche gli afgani non hanno tardato a trovare qualche buon
“benefattore”: i tanti “signori della guerra” afgani che vendono
i loro servizi al miglior offerente ed i Taliban
di sempre, ovvero l’etnia pashtun,
che è la più diffusa nel paese.
Per mantenere i derelitti, i poveri “signori della guerra” si sono
visti costretti a non inviare più i soldi delle tasse a Kabul: Ahmid,
abbi pazienza, per ora me li tengo…poi si vedrà…ah, se vuoi
venirteli a prendere con la forza sappi che li ho investiti in
lanciarazzi, lanciamissili, bombe, fucili…
Il
“generale” Dostum che “regna” sui tagiki – ex paracadutista
sovietico – non invia più a Kabul da anni i proventi
dell’estrazione del gas – presente non in gran copia ma pur sempre
una risorsa nella parte settentrionale del paese – così come si
“dimentica” dei dazi doganali e del commercio delle pietre preziose
con il vicino Tagikistan (ex repubblica sovietica). Ci sono degli
smeraldi Ahmid? Ma va?
Il povero Karzai sta meditando d’impegnare al Monte dei Pegni anche la
sontuosa sottana di seta con la quale cerca di mascherare il vestito
all’ultima moda occidentale che indossa: probabilmente, qualche
prezioso “Armani” è rimasto nel suo guardaroba dai tempi nei quali
volava ad acquistare petrolio per George II, passato dalla trivella al
1600 di Pennsylvania Avenue.
Cosa
chiede Dostum – così come gli altri signorotti feudali – ai suoi
“assistiti”?
Per carità…niente di così impossibile: obbedienza, obbedire e basta.
Come nelle migliori mafie del pianeta.
C’è da far saltare per aria un convoglio rompiscatole, che viene a
mettere il naso nei nostri affari? Chi sono? Canadesi, italiani,
americani, inglesi…non importa: sono o non sono dei rompiscatole?
Sapete cosa fare.
Al
sud, invece, regnano indisturbati i Taliban,
che hanno nelle aree tribali del Pakistan la più rifornita retrovia che
possano desiderare: una vera e propria “Svizzera” del malaffare e
delle armi, dove nemmeno Musharraf osa mettere il naso, altrimenti salta
lui, mica Osama od Ayman.
Per mettere fine a questo pessimo andazzo, il comando NATO ha meditato
di combattere per primi i Taliban,
che sono ritenuti la minaccia più pericolosa. Anche Dostum non scherza,
ma ha stretti rapporti con i tagiki d’oltre confine (ex sovietici) i
quali continuano ad intrattenere rapporti con Mosca…meglio lasciar
perdere…
Che si fa allora per combattere i Taliban?
S’invia il 7° Cavalleggeri in avanscoperta? Le “Giubbe Rosse”
britanniche?
Troppo
pericoloso, oltretutto non ne abbiamo un gran che di soldati da inviare
in quelle aree: meglio l’aviazione, fa fine e non impegna. Per questa
ragione Bush ci aveva chiesto gli AMX.
Con gli aerei e gli elicotteri – però – si finisce per sparare nel
mucchio, si radono al suolo interi villaggi, si mitragliano colonne di
persone senza poter chiedere loro la carta d’identità. Così, quando
s’ammazzano un po’ di persone delle quali si sa poco o niente,
diventano tutti “terroristi” e si può fare un bel comunicato nel
quale s’afferma d’aver ucciso…57, 83, 158…Taliban…guerriglieri…insomma,
gente pericolosa, almeno credo…
“Almeno
credo” lo cancellano dai messaggi i comandi a Kabul, e così la
notizia è confezionata: stiamo vincendo, li ammazziamo a dozzine.
Dall’altra parte – quella di chi cammina a terra – la notizia è
invece che un elicottero è passato sulle loro teste proprio mentre
stavano andando al matrimonio della sorella, oppure si recavano per
affari in città. Eravate armati? Ma che domanda: certo! Chi è quell’idiota
che non viaggia armato in Afghanistan, con tutto quello che succede!
Sembra d’ascoltare le giustificazioni di un benzinaio di Scampia.
Il
risultato – potremmo concludere – è una “carenza di
comunicazione”, ossia quelli che sono persone per alcuni diventano
guerriglieri per altri, mentre quelle che sono truppe “di pace” per
taluni si trasformano in eserciti d’occupazione per altri ancora.
Questi “altri”, sono oramai la gran parte della popolazione,
complici gli atteggiamenti “western” degli americani che non hanno
esitato a sparare sulla folla – a Kabul qualche mese fa – per delle
rimostranze nate da un incidente stradale. Un blindato americano era
“passato sopra” ad un taxi afgano e non s’era nemmeno fermato:
aveva l’assicurazione scaduta? Non l’aveva per niente?
Un
leitmotiv oramai accettato da
tutti è che gli USA sono efficientissimi a vincere le guerre, ed
altrettanto bravi nel perdere la conseguente pace.
Gli esempi si sprecano: dal madornale errore di “licenziare” in
tronco l’esercito iracheno – lasciando senza risorse per vivere
gente abituata a combattere! – all’esclusione degli iscritti al
partito Baath iracheno dai pubblici servizi. Solo per scoprire il giorno
dopo che tutti i medici iracheni erano forzatamente iscritti al partito
di Saddam, e che gli ospedali iracheni era diventati improvvisamente
deserti.
Domandiamoci:
perché “perdono la pace”?
Poiché – da quando mondo è mondo – il vincitore di una guerra può
sì affermare la propria forza con delle vendette o dei processi, ma
questa fase deve essere breve: al più presto diventa esiziale mostrare
il sorriso alla popolazione vinta, per far capire loro che hanno sì
perduto una guerra, ma che il loro livello di vita non potrà che
migliorare. Basterebbe prendere qualche lezione dai Romani o dai
Britannici (imperiali).
Ora,
cerchiamo negli ultimi vent’anni un’area del pianeta dove questa
regola mai scritta, ma accettata da tutte le diplomazie, si è avverata.
I Balcani? Andate a chiedere ai Bosniaci od ai Serbi di quanto hanno
migliorato il loro standard di vita. Oppure ai libanesi? Agli iracheni?
Ai palestinesi? Agli afgani?
Le guerre vinte con lo strapotere militare mascherano la povertà di
risorse economiche dell’Occidente, che è là per rapinare le
ricchezze minerarie di quei paesi, non per portare miglioramenti
economici, che sono essenziali per il quieto vivere democratico. Il
sempre caro Presidente Pertini, ricordò che s’inizia a dissertare di
democrazia “con la pancia piena”.
Come potrebbe l’Italia – alle prese con Finanziarie che sembrano dei
camposanti più che dei luna park – permettersi il lusso d’inviare
miliardi di euro in Afghanistan per la ricostruzione dopo un trentennio
di guerre? Potrebbero farlo gli USA con il loro debito interno ed estero
oramai stratosferico?
Se
non si hanno sufficienti risorse per vincere la guerra – ma anche la
pace – è meglio non infilarsi in avventure dal triste e previsto
finale. Non ci piacciono i Taliban,
che eseguivano le condanne a morte in piazza sgozzando la gente? Ed a
chi piacciono queste cose?
Non vogliamo che le donne afgane portino il burka e che siano
discriminate? Il burka è affare loro, ma la discriminazione non piace a
nessuno.
Possiamo cambiare le cose? Siamo in grado di sconfiggere
contemporaneamente i Taliban e
le milizie dei feudatari afgani? La risposta è limpida come l’acqua:
no.
Se invece rimaniamo in Afghanistan per una questione geopolitica –
ovvero per occupare il centro dell’Asia e “governare” il commercio
dell’energia, Cina sì, Cina no, oleodotto OK, oleodotto KO –
bisognerebbe raccontare che stiamo là per evitare che i cinesi
s’accaparrino il petrolio del Kazakistan e del Caucaso. Dirlo chiaro:
mandiamo i nostri soldati a morire solo per occupare qualche pietraia,
soltanto per “giocarci” la nostra parte negli ultimi 50
d’estrazione petrolifera, per sostenere il titolo dell’ENI.
Purtroppo
anche questo obiettivo – chiamiamolo “minimale” – sta svanendo
sotto i nostri occhi: altro che democrazia, in Afghanistan sta avanzando
il peggior Medio Evo.
Se ce ne andassimo “tutto precipiterebbe”? E cosa può ancora
precipitare, peggio di così?
Forse qualcuno inizia a rendersene conto. Che a Parigi ci leggano?
Carlo
Bertani bertani137@libero.it www.carlobertani.it