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Se giri la chiavetta paghi, altrimenti…paghi lo stesso!
di Carlo Bertani - 4 marzo 2008

Leggevo, nei giorni scorsi, che “Mister Prezzi” (ma se le inventano proprio tutte…) ha convocato l’ANIA – l’associazione che riunisce le compagnie d’assicurazione – per tirare loro le orecchie. Prezzi sempre troppo alti. Se dovessero tirargliele per davvero, ne uscirebbero come tanti ciuchi.
La seconda cosa che mi è saltata in mente è una questione che riguarda le unità di misura. Come si misura la distanza? Metri, oppure chilometri. Il tempo? Secondi, oppure ore, mesi ed anni.
Mi sono quindi chiesto cos’è un’autovettura. Risposta: un bene destinato a percorrere spazi.
Come si paga il premio (non ho mai compreso perché una “coltellata” come l’assicurazione dobbiamo chiamarla “premio”, non capisco…) assicurativo per una vettura? In anni, o mesi. Strana incongruenza, che un bene per il quale si misura tutto in Km percorsi – i tagliandi di garanzia, i cambi dell’olio, i pneumatici, le distanze da percorrere, ecc – sia valutato mediante il tempo dalle assicurazioni.

Altra deduzione: la possibilità che una vettura provochi incidenti, deriva dal tempo che trascorre in strada?
Se la tengo parcheggiata regolarmente sotto casa per un anno intero (ammesso di non sospendere l’assicurazione), quale probabilità ha di causare un incidente? Zero. Potrà subire un incidente, ma in quel caso la responsabilità sarà d’altri.
Senza estremizzare il concetto, hanno la stessa probabilità di causare incidenti, due automobilisti che percorrono rispettivamente 10.000 e 100.000 chilometri l’anno? Dipenderà certo dalla prudenza, dalla bravura – anche dalla fortuna – ma, se ammettiamo statisticamente che abbiano le stesse capacità e siano nelle medesime condizioni, il primo pagherà dieci volte tanto la probabilità di causare un incidente rispetto al secondo.
In parte c’è la compensazione della clausola “bonus malus”, ma – in definitiva – chi percorre 10.000 Km avrà un decimo di probabilità di causare un incidente rispetto all’altro. Quindi, ha più senso agganciare la probabilità di causare un incidente alle percorrenze, piuttosto che al tempo.

Gli assicuratori sono bravi ad eludere il problema, affermando che gli automobilisti che percorrono pochi chilometri l’anno sono quelli meno avvezzi alla guida. Oppure che, a percorrere pochi chilometri, sono i giovani, i quali sono inesperti e causano più incidenti.
Sono argomentazioni fatue: nessuno può affermare che chi guida poco sia meno preparato alla guida di chi fa 100.000 chilometri l’anno. Al contrario, si potrebbe obiettare che chi guida molto è più soggetto alla stanchezza. Oppure, che le persone anziane sono più prudenti, che i giovani – alle prese con il “giocattolino” nuovo – passino molto tempo alla guida, ecc.
Senza fornire approfondite analisi sulla casistica degli incidenti stradali, sostenere queste tesi è un vacuo pour parler: rimane il fatto – inoppugnabile – che più si guida e maggiori sono le probabilità d’incorrere in un incidente.

Alcune compagnie hanno iniziato a fornire un servizio di assicurazione a percorrenza ma, se proverete ad inserire i vostri dati, scoprirete che sarà conveniente solo per percorrenze inferiori ai 10.000 Km annui (praticamente, sui 5.000, se vorrete avere una discreta convenienza), quando il dato più comunemente accettato (Fonte: Eurispes) per la percorrenza media è di circa 15.000 Km annui. Inoltre, le compagnie chiedono l’installazione del GPS ed i relativi costi, che ammontano a qualche centinaio di euro l’anno, secondo la compagnia: il che, rende la proposta praticamente inattuabile.
Questa differenza di 5.000 Km (10.000-15.000), rappresenta lo “spartiacque” fra coloro che usano solo saltuariamente l’auto e chi – comunemente – l’adopera per recarsi al lavoro e per qualche breve viaggio. A volte – fortunatamente – si riescono ad acquistare automobili che hanno sì 5 o 6 anni, ma che hanno percorso meno di 50.000 Km: sono le vetture di chi guida poco.
Ci sono poi coloro che percorrono più strada, ma in quei casi – molto spesso – l’automobile è un mezzo di lavoro, che deve essere considerata un costo vivo e rientrate quindi nel novero delle spese per l’attività svolta.

Perché all’automobile si applicano due distinti sistemi di valutazione, ossia chilometri per l’usura e la manutenzione del veicolo, e tempo per bollo ed assicurazione? Anche le revisioni, cicliche ogni due anni dopo i primi 4 anni di vita dell’auto, non hanno molto senso. Potremmo avere automobili che, al fatidico quarto anno di vita, sono ancora pressoché nuove, mentre altre potrebbero avere “sulla schiena” 300.000 chilometri .
Dal punto di vista della sicurezza, notiamo che le attuali norme non prevedono controlli calcolati sulla percorrenza e, un’auto che ha percorso 300.000 chilometri , è oramai poco di più che un rottame.
Se fosse possibile pagare soltanto i chilometri percorsi (e senza le solite truffe mascherate, come l’installazione del GPS, quando basterebbe un comune contatore collegato alla rete GSM) ciascuno di noi potrebbe scegliere più consapevolmente se usare l’auto. Della serie: vado al bar in bici, e non spendo proprio nulla. Oppure: ma sì, prendo l’auto, tanto bollo e assicurazione li pago lo stesso…

Tutto ciò, apre degli scenari interessanti sotto il profilo del risparmio energetico.
Nonostante l’ostracismo delle grandi case automobilistiche, stanno per arrivare vetture di piccolissima cilindrata, spartane, parche nei consumi e nel prezzo. Ne è un esempio la piccola TATA “Nano”, di soli 623 cm3, che raggiunge una velocità massima di 80 Km/h . L’auto sarà messa in vendita (per ora) solo nel mercato indiano, poiché ritenuta troppo “spartana” per i mercati europei. 60 anni or sono, era la Francia ad inventare la sua “nana”, la Citroen 2 CV. Pensata dal direttore generale della casa francese, Pierre Boulanger, per “portare due contadini in zoccoli e cinquanta chili di patate a una velocità massima di 60 km/h e con un consumo di tre litri per 100 chilometri ”, la popolarissima 2 CV fece epoca.

La caratteristica precipua di queste auto era (e torna ad essere) quella di dimezzare i consumi, che si aggirano intorno ai 30 Km per litro.
Se la “Nano” è una vettura per 4-5 persone, un’auto per due sole persone, con una cilindrata intorno ai 300-400 cm3 ed una velocità massima inferiore ai 100 Km/h , sarebbe l’optimum per i nostri mercati: scarso ingombro, contenutissimo costo d’acquisto, consumi bassissimi.
Cosa impedisce di viaggiare su simili auto, per risparmiare intere superpetroliere di benzina? Le assicurazioni.
La “Nano” costa, in India, 1.700 euro. Sì, avete capito bene: da noi non si compra manco uno scooter.
Sarà pure un’auto spartana ma, per recarsi al lavoro oppure al supermercato, basta ed avanza. Quando non serve? Quando dobbiamo compiere medie e lunghe percorrenze, per le quali è senz’altro meglio avere una media cilindrata.

Una media cilindrata è una scatola di metallo che pesa circa 900 Kg , la quale trasporta un carico utile (la maggior parte delle auto, circola con il solo conducente) di 70 Kg . Facciamo due? Va bene: 140 Kg .
Quel tipo di auto è stata progettata per viaggiare comodamente in autostrada in cinque persone più 80 Kg di carico: in quel caso, diventa abbastanza conveniente anche dal punto di vista energetico. Nella gran maggioranza delle situazioni, non lo è.
Dal punto di vista energetico, sarebbe conveniente circolare sulle brevi tratte (urbane ed extraurbane) con automobili come la “Nano”: oltretutto, costando poco, sarebbero alla portata di quasi tutte le tasche.

C’è però un problema: se desiderate mantenere entrambe le vetture, dovrete pagare due assicurazioni (e due bolli).
Ora, immaginando di pagare 600 euro d’assicurazione per la media cilindrata e 300 per la piccola, il vostro risparmio sul carburante va a farsi benedire. C’è però un particolare che viene taciuto: nessuno che io conosca riesce a guidare due automobili contemporaneamente.
Se, invece di pagare l’assicurazione basandosi sul tempo – cosa assai curiosa, visto che l’auto è un bene destinato a spostarsi nello spazio – misurassimo il “premio” assicurativo in base alla percorrenza?
In fin dei conti, sarebbe come la ricarica di un qualsiasi cellulare: pago per 10.000 chilometri e, quando m’accorgo d’esser giunto a 9.500, faccio una ricarica.

Frodi? Impensabile, poiché basterebbe un semplice contatore piombato (modello gas o acqua, ma di modestissime dimensioni) ed una pena severa per chi si scordasse di “ricaricare” l’assicurazione oppure, peggio, tentasse di manomettere il congegno. Sei mesi di vera ed irrevocabile sospensione della patente sarebbero un ottimo deterrente. Un apparecchio elettronico potrebbe inviare un segnale acustico quando il “credito” sta per esaurirsi, ed un parallelo segnale sulla rete GSM alla compagnia assicuratrice.
A quel punto, potremmo usare l’auto a bassissimo consumo per gli usi comuni, e riservare l’altra per le lunghe percorrenze: ad esempio, 10.000 Km l’anno con la “piccola” e 5.000 con la “grande”. L’altra auto, ferma, non costerebbe nulla.
10.000 Km , percorsi con un’auto che fa 30 Km con un litro, corrispondono a 333 litri di benzina che, a 1,40 euro il litro, sono 466 euro. La stessa percorrenza, con una media cilindrata, richiederebbe esattamente il doppio, ossia 666 litri e 936  euro di spesa: risparmio, 466 euro l’anno. Ovviamente, se dovessimo pagare due assicurazioni (e due bolli) tutto ciò non avrebbe senso.

Non è questa la sede per parlare del mercato dell’automobile, bensì per chiederci se ha senso pagare la stessa copertura assicurativa se si percorrono tratte diverse. Un concetto, limpido come l’acqua.
Nel caso indicato, invece, l’auto ferma non costerebbe nulla (se anche per il bollo si usasse identico metodo) e si pagherebbe solo il “consumo di sicurezza”, ovvero quando si circola.
Sulla questione del bollo auto, dobbiamo ricordare che fu introdotto come corrispettivo per la manutenzione della rete viaria: in quel contesto, aveva un senso. Difatti, se l’auto non circolava e sostava in un luogo privato, non s’era obbligati a pagarlo. Poi venne la “riforma”, che lo trasformò in una “tassa sul possesso”: un retaggio medievale!
Riflettiamo che l’Occidente capitalista ha una ben strana idea dell’economia: liberismo sfrenato nei confronti dei lavoratori – prendi quel che ti do e stai zitto, per il tempo che mi servirai e basta, altrimenti vattene – e gabelle “sul possesso” di stampo medievale. Tassa sul possesso dell’auto, della moto, della barca, persino del televisore.

Ci sono, però, delle eccezioni: la tassa “sul lusso”, voluta dalla Regione Sardegna sugli immobili d’altissimo valore, è stata recentemente ritenuta incostituzionale, mentre nessuno ci spiega perché dobbiamo pagare una tassa per avere in casa un televisore. Perché, se chiederete di non pagare più il canone, è sul possesso fisico dell’apparecchio che verterà la discussione, sorvolando sul fatto che potreste voler ricevere solo Tele Andalusia.
Di questo passo, una tassa sullo schiaccianoci o sul frullino sarebbe identica cosa, perché un televisore è un bene mobile non registrato. Le ville di lusso, invece – beni immobili registrati – non rientrano: parola della Corte Costituzionale.
A fronte di una vera economia liberale – pago per quel che consumo – in Italia si preferisce tornare alla gabella, di destra e di sinistra, al “fiorino” per passare sotto le mura del castello.

Non meravigliamoci allora se soluzioni praticabili per il risparmio energetico non trovano orecchie che ascoltano: se potessero, tasserebbero anche le lampadine, senza preoccuparsi se sono a basso consumo.
Tornando alle nostre auto, si potrà obiettare che nelle aree urbane più automobili aumenterebbe la congestione del traffico, soprattutto la scarsità di parcheggi: verissimo, ma le aree urbane possono risolvere i problemi di traffico solo con efficienti e rapidi servizi pubblici, dal metrò al taxi collettivo.
C’è però l’Italia dei “10.000 campanili”, dove non ci sono problemi di parcheggio, mentre i mezzi pubblici sono così scarsi e scadenti che obbligano ad usare l’auto: anche molte medie cittadine possono avere situazioni simili.
Qual è l’intoppo?

Molto semplice: su quel parco di auto ferme che osserviamo ogni giorno, la assicurazioni ci campano allegramente. Non a caso, eminenti dirigenti politici (come il senatore a vita Merzagora e le Generali) sono stati al vertice dei gruppi assicurativi: il conflitto d’interessi, non è nato ieri.
Mi rendo conto che la situazione è più complessa (il computo degli incidenti viene effettuato sull’intero parco auto, ecc) però, sapere che si paga soltanto se si circola, sarebbe un buon impulso di “consapevolezza” nell’uso dell’automobile.
In altre parole, sarebbe un intervento non solo economico ed ambientale (risparmio di carburante), ma un piccolo passo verso la decrescita, perché indurrebbe una riflessione cosciente: appena giro la chiavetta, spendo, altrimenti, nulla.

Invece, la pubblicità ci bombarda con i SUV, le automobili più assurde che possano esistere: inutili, costose e divoratrici di risorse.
Abito in luoghi dove nevica tanto, sull’Appennino ligure-piemontese, eppure – in tanti anni – non ho mai avvertito l’esigenza d’avere un SUV per le intemperie: due gomme antineve, bastano ed avanzano.
Possiamo comprendere chi deve svolgere un servizio di pubblica utilità (i medici, ad esempio), ma le ASL forniscono, al massimo, una Panda 4x4!
Cos’è, allora, che non rende possibile il risparmio energetico?
Sono i 3 miliardi di euro che lo Stato incasserà, a breve, dai dividendi delle azioni ENI ed ENEL in suo possesso: una situazione nella quale è lo Stato stesso che finisce per essere in un plateale conflitto d’interessi quando, da un lato, propugna il risparmio energetico mentre, dall’altro, sarebbe la sua rovina.

C’è da stupirsi, allora, se non possiamo “ricaricare” l’assicurazione come un cellulare?
Assicurazioni, dividendi delle industrie energetiche, fabbricanti d’auto e quant’altro, concorrono tutti insieme all’erezione del mitico PIL, il sancta sanctorum di una civiltà che ha perso il senso della realtà. Un lingam elettronico, indicato soltanto dai numeri che scorrono sui monitor.
Oggi costruisco un fabbricato – e il PIL cresce – domani lo demolisco – e si sommano al PIL i costi di demolizione – infine, si dovrà bonificare il sito e si spenderanno altri soldi per ripristinare il prato primigenio.
Risultato pratico: nulla. Risultato per i PILiferi? 3 volte PIL.

Non stupiamoci se simili provvedimenti non rientrano nelle campagne elettorali dei “venditori di coscette” (vedi il mio articolo “Coscette e mezzadri”), perché questo sarebbe vero liberalismo, ossia libertà per il consumatore di scegliere. Viaggio poco? Pago solo il consumo. Viaggio molto? Scelgo la tariffa “flat”, ossia l’assicurazione tradizionale. Ci sarebbe un mondo di situazioni simili da riformare, ma in senso liberale: a favore dei più, e non dei pochi.
E, allora, vai “Mister Prezzi”! La risposta – a coloro che ci vogliono ammansire con nuove “liberalizzazioni” e fantasmagoriche promesse – può essere soltanto il classico “Vota Antonio La Trippa ”. Con i fagioli.

P.S. Non sarebbe male, per le prossime elezioni, lanciare una campagna per il “Vota Antonio”. Tanto per far capire loro il bassissimo indice di gradimento che hanno raggiunto.

Carlo Bertani articoli@carlobertani.it  www.carlobertani.it  http://carlobertani.blogspot.com/

Carlo Bertani, autore dei libri:
- "Al Qaeda: chi è, da dove viene e dove và"
- "Europa svegliati, prima che l'Impero americano ci schiacci"
- "Ladri di organi"