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Nel 1993 l'ex presidente del Torino calcio vuota il sacco e racconta alla Guardia di Finanza, di fondi neri miliardari, di compravendita di giocatori fantasma, ecc. 
Il direttore generale del Torino era Lucianone Moggi. Siamo nel 1993!!!
I cosiddetti giornalisti sportivi, e ovviamente tutte le redazioni dei giornali sanno da sempre cosa nasconde il calcio, eppure non hanno mai detto e/o fatto nulla.
Oggi invece sono coraggiosissimi a criticare e attaccare... 

I giocatori-fantasma di Lucianone
Tratto dal libro "I Pallonari" di Carlo Petrini
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Nella primavera del 1989 il finanziere Gian Mauro Borsano diventa presidente del glorioso Torino calcio. E per dimostrare che intende riportare la squadra agli antichi splendori, costi quel che costi, Borsano - che di calcio non capisce niente ingaggia come direttore generale un personaggio che capisce tutto: l'onnipotente Lucianone Moggi.
    Borsano nell'aprile del 1992 si fa eleggere in Parlamento nelle liste del Psi di Craxi, anche perché è inquisito dalla magistratura per brutte faccende finanziarie delle sue tante attività imprenditoriali, e l'immunità parlamentare è un bell'ombrello. La situazione però si fa sempre più critica, si parla di bancarotta, così l'onorevole Borsano lascia la presidenza del Toro a un giovane notaio che i maligni dicono essere un prestanome, Roberto Goveani. Ma è tutto inutile, la bancarotta arriva, così nell'estate del 1993 l'ex presidente del Toro si arrende: vuota il sacco coi magistrati, e racconta anche dei casini che ha fatto a società granata.

    C'è di tutto: miliardi di fondi neri intorno alla compravendita dei giocatori, bilanci falsi, prostitute ingaggiate per gli arbitri delle partite di Coppa Uefa, finti giocatori, imbrogli fiscali. Borsano riferisce ai magistrati di avere incassato soldi in nero - per cedere i giocatori Lentini, Dino Baggio, Cravero e Policano - dal Milan, dalla Juventus, dalla Lazio, dal Napoli: «In nero ho ricevuto 4 miliardi per Dino Baggio, 6 miliardi e mezzo per Lentini, un miliardo e 200 milioni per Cravero della Lazio. Con Ferlaino [presidente del Napoli, ndr] ho pattuito un extra di 500 milioni... Il mezzo miliardo del Napoli non mi fu dato e io girai il credito a Moggi, con il quale avevo a mia volta un debito come amministratore del Torino»
   
Dietro le quinte del Torino calcio ci sono perfino i giocatori-fantasma, cioè ignari ragazzi-prestanome tesserati dalla società granata per coprire contabilmente altre operazioni:

    I magistrati torinesi e la Guardia di finanza, scartabellando nei libri contabili della società granata, si imbattono nei nomi di tre giovanotti: Alessandro Palestro, Daniele (o Simone) Pastorini e Marco Vogna. Chi sono costoro lo rivela il ragioniere del Torino calcio, Giovanni Matta.
    A ogni acquisto o cessione di calciatore - spiega l'ex contabile del Torino di Borsano & Moggi - corrispondeva una quota di compenso occulto, non dichiarato, e coperto appunto da un cartellino-fantasma.
    Il caso Palestro, per la verità, era già emerso nell'assemblea degli azionisti granata del 1992, quando un socio di minoranza si era alzato a domandare - gelando i presenti - chi fosse mai quel tale Palestro, registrato a bilancio accanto alla somma da capogiro di 1 miliardo e 140 milioni. La cosa aveva interessato anche l'Ufficio inchieste della Federcalcio, che all'epoca aveva interrogato proprio Moggi, salvo poi archiviare tutto con la velocità della luce.

    Le conferme al racconto di Matta arrivano dai dirigenti delle società che hanno concluso affari di calcio-mercato con il Torino del duo Borsano-Moggi. Il primo è Davide Carlo Scapini, segretario generale del Genoa, che ha appena acquistato dal Toro il centravanti Marco Pacione. E visto che il club granata pretendeva un prezzo superiore a quello fissato dal parametro, la società genoana ha dovuto accollarsi la spesa per un calciatore inesistente: tale Vogna. Bravo ragazzo, per carità: solo che non ha mai giocato nel Toro, dunque non dovrebbe costare un bel niente. E invece risulta regolarmente tesserato dal club torinese, e profumatamente pagato da quello genovese.
   
Interrogato dalla polizia giudiziaria, il giovanotto ammette candido di non aver mai saputo di quel tesseramento per il Torino, né tantomeno di essere stato ceduto al Genoa.

    L'imbroglio lo racconta Scapini: «I contratti di Pacione e Vogna non sono regolari dal punto di vista federale, e fanno parte di uno schema e di un modo di operare comune nel mondo del calcio…quando le regole federali non prevedevano la possibilità di cedere dei giocatori in comproprietà. Nel luglio del 1990 il Genoa aveva acquistato dal Torino il calciatore Pacione; federalmente era necessario fare risultare la cessione a titolo definitivo, e così fu fatto. Viceversa c’era un accordo integrativo al contratto, secondo cui il Genoa acquistava il 50 per cento dei diritti alle prestazioni di Pacione per 1 miliardo e 100 milioni con riserva a fine stagione di regolarizzarne la posizione attraverso nuovi accordi. L’anno successivo, poiché il calciatore non era andato male, il Genoa decise di acquistarlo a titolo definitivo per un importo pari a 1 miliardo e 100 milioni. Il presidente Spinelli mi comunicò questa volontà della società [genoana] e mi disse di pensare alla regolarizzazione amministrativa. Di fatto era necessario giustificare il passaggio del denaro dal Genoa al Torino e ciò formalmente non poteva essere addebitato al contratto di Pacione, di per sé già concluso».

    E chi entra in scena per mettere le cose a posto violando le norme? Lucianone, ovviamente: «Ebbi un incontro», prosegue Scapini, «alla sede del calcio mercato con Moggi e Pavarese, rappresentanti del Torino calcio. Decidemmo, per dare copertura al passaggio del denaro, di far figurare come ceduto al Torino un giovane calciatore, nel caso specifico Vogna. lo ritirai i moduli di cessione che in precedenza erano stati firmati in bianco da Spinelli. Non so dire se Vogna fosse a conoscenza della questione... Vogna, essendo giovane "di serie", non aveva diritto a nessun tipo di contratto che prevedesse compensi. Sulla base di questo contratto, avvenne poi il passaggio di denaro relativo alla risoluzione della compartecipazione di Pacione». Il ragazzo, senza avere mai visto un pallone e una maglia del Torino, secondo i maneggi di Moggi "valeva" già un miliardo e 100 milioni. E non era l'unico.

    Lo stesso espediente, stavolta per giustificare il passaggio del centrocampista Francesco Romano dal Torino al Venezia, viene architettato da Lucianone con un altro giocatore-fantasma: Alessandro Palestro, nato a Torino il 30 aprile 1975 e valutato nientemeno che 1.140 milioni. Il ragazzo, almeno lui, qualche rapporto col Torino calcio ce l'ha: è il figlio della segretaria della società granata... Il giovanotto risulta essere un promettente portiere delle giovanili. Peccato che viva a Bruxelles (con il padre, funzionario della Cee), ignaro di tutto e dedito più agli studi che agli stadi.

    Ecco il racconto della madre del ragazzo, il 14 luglio 1993. davanti alla Guardia di finanza: «Se non ricordo male, il signor Bavarese, segretario generale del Torino, ha predisposto i moduli per il tesseramento di mio figlio, allo scopo di giustificare contabilmente l’ingresso nel Torino calcio di un miliardo e 140 milioni, che in effetti si riferivano all'acquisto da parte del Venezia del giocatore Romano.
    Mi fu chiesto dai miei superiori [Moggi e Pavarese, ndr] di tesserare mio figlio, anche se non avrebbe dovuto mai giocare: mio figlio non è un bravo calciatore. Non mi fu offerto nessun compenso, e neanche lo chiesi... Del contratto Romano, a cui si riferisce la somma indicata sul contratto di mio figlio, sono venuta a conoscenza soltanto in seguito agli articoli di stampa... La questione relativa a mio figlio mi è stata presentata come una cosa normale dai miei superiori, e io avevo ragione per non credergli».

    La signora esibisce ai finanzieri il modulo "Federazione italiana Gioco Calcio-Lega nazionale professionisti" col quale l'ignaro giovanotto è stato tesserato come "giovane di serie" del Torino calcio: in basso a destra, campeggia il timbro con tanto di firma auto "Torino calcio spa, il Direttore generale Luciano Moggi". Stesso timbro e stessa firma impreziosiscono altri due documenti ufficiali: quello con cui Palestro subisce il “trasferimento definitivo" al Venezia, e quello con cui Moggi e Maurizio Zamparini (presidente della società lagunare) il 7 novembre 1991 hanno pattuito il prezzo del finto campioncino: «Importo globale dell'operazione: 1 miliardo e 140 milioni», pagamento biennale in due rate da 570 milioni. Documenti fasulli, contratti da magliari, firmati Luciano Moggi.

    Borsano conferma tutto: «La cessione del calciatore è stata gestita in totale autonomia dal signor Moggi, per quanto riguarda i rapporti sia con il Venezia calcio, sia con la famiglia del ragazzo. Ne sono venuto a conoscenza durante la stesura del bilancio. Comunque i casi Palestro sono la regola nel mondo del calcio, e tutti i giornali sportivi lo sanno. Perché allora non contestare i bilanci di tutte le società calcistiche, ma limitarsi al Toro?». I magistrati gli domandano anche di Pastorini, altro calciatore-fantasma legato alla cessione di Massimiliano Catena al Cosenza. E Borsano: «Nulla so di false firme per Pastorini. E’ un nome che non mi dice nulla, anche se apprendo essere un "finto giocatore". Sono cose che organizzarono Moggi e Pavarese; il Pavarese è mero esecutore di Moggi».

    L'operazione Catena la spiega meglio Maurizio Casasco, già direttore sportivo del Torino dall'aprile 1989 all'aprile del 1991 (poi dice, «fui costretto ad andarmene per l'avvento di Moggi», che peraltro lavorava dietro le quinte per conto di Borsano fin dal «dicembre 1990»).

(…)  

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