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Stati
Uniti: deregulation selvaggia
Di Castalda Musacchio – tratto da
«Liberazione» 4 luglio 2003
La regola è: abbattere le
regole, anche quelle create «ad ok» per salvare la concorrenza di un mercato
capitalista. Accade nell’ultraliberista America, la patria delle normative
antitrust. Singolare questo parallelismo temporale. Proprio mentre in Italia si
dà il via libera, di fatto, alla concentrazione mediatica attraverso
l’abbattimento delle barriere antitrust, due giorni fa la «Federal
Communications Commission» americana, l’agenzia indipendente del governo che
regola le telecomunicazioni, ha approvato la versione finale di un nuovo
provvedimento che andrà a regolare le proprietà nei media, facendo decadere
tutte le vecchie restrizioni sulle concentrazioni proprietarie tra quotidiani,
televisioni e radio. Il piano predisposto dalla Commissione cancello quello che
molti consideravano la pietra miliare dell’antitrust nell’informazione, una
legge approvata nel 1934. La nuova normativa consentirà ai grandi network
televisivi di acquisire stazioni televisive locali, ma anche quotidiani e
stazioni radio.
Michael Powell, il presidente della
commissione, figlio del più noto Segretario di Stato Colin, ha ammesso
soddisfatto che il nuovo documento sui media è al passo coi tempi, costruito su
«regole moderne, che tengono conto dell’esplosione dei “new media” e
superano le grigie regole dell’era del bianco e nero». Ma chi godrà dei
vantaggi della nuova normativa?
E’ quasi scontato dirlo: Rupert Murdoch, il leone australiano innanzitutto, ma
anche tutti i colossi come la Viacom che controlla attualmente la Cbs e i
networks Upn. Di fatto la nuova legge della FCC ha ampliato le quote di mercato
a disposizione dei grandi network aumentando le fette di «audience»
disponibili all’acquisizione che passano dal 35% al 45%. Considerando che, sia
la Viacom che la News Corporation, attualmente, raggiungono insieme il 39%
dell’«audience» americana ecco spiegato l’arcano.
A chiedere un ripensamento sulla normativa sono i democratici che siedono
comunque in minoranza nelle file della commissione (2 su 3). «Si tratta di una
decisione sbagliata, per l’industria delle telecomunicazioni, per
l’interesse pubblico, per la stessa America», ha dichiarato Michael Copps,
uno dei due membri democratici della FCC. Ma le possibilità che i repubblicani,
finanziati a larghe mani dalle potentissime lobbies delle Tlc ci ripensino, è
piuttosto esigua. Il provvedimento entrerà in vigore 30 giorni dopo
l’iscrizione nel registro federale e, dunque, sarà effettivo quasi certamente
entro agosto.
C’è la possibilità di un ricorso e c’è anche chi annuncia una battaglia
legale, come dichiara Andrei Jay
Schwartzman, promotore di una specie di petizione popolare denominata «media
access project», ma i giganti dei media sono già in azione. Viacom e News
Corporation hanno affilato i denti e sono pronti ad azzannare i piccoli mercati
locali insieme, ovvio, all’opinione pubblica americana.
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I
giganti dei media
Le
nove multinazionali che dominano il mondo
di Robert W. Mcchesney, traduzione di Sabrina Fusari – tratto da «Liberazione»
4 luglio 2003
Uno
spettro insidia il mondo: un sistema mediatico globale dominato da un numero
esiguo di colossi mediatici superpotenti e per la maggioranza statunitensi. E'
un sistema volto a favorire la causa del mercato globale e a promuovere i valori
commerciali, denigrando quel giornalismo e quella cultura che non contribuiscono
ai risultati economici immediati né agli interessi a lungo termine delle
multinazionali. E' un disastro su tutti i fronti, esclusa la nozione più
superficiale di democrazia: una democrazia in cui, per parafrasare una massima
di John Jay, "chi possiede il mondo deve anche governarlo".
Il
sistema commerciale globale è di recente creazione. Fino agli anni '80, i media
assumevano perlopiù proporzioni nazionali: da decenni si importavano libri,
film, musica e format televisivi, ma la proprietà di reti e giornali era
nazionale e vigevano regole ben precise. A cominciare dagli anni '80, alle
pressioni del FMI, della Banca Mondiale e del governo Usa in favore della
deregulation e delle privatizzazioni dei media e delle comunicazioni, si sono
affiancate le nuove tecnologie satellitari e digitali, facendo emergere i
colossi multinazionali del settore.
In quanto tempo si è venuto a creare il sistema dei media globali? Nel 1990, le
due maggiori multinazionali dei media a livello mondiale, Time Warner e Disney,
hanno generato circa il 15% delle proprie entrate al di fuori degli Stati Uniti,
mentre nel 1997, lo stesso dato oscillava tra il 30% e il 35%: nei prossimi
dieci anni, entrambe le aziende si aspettano di realizzare la maggioranza dei
loro affari all'estero.
Il
sistema dei media globali è ormai dominato da nove gigantesche multinazionali.
Le prime cinque sono Time Warner (che ha fatturato $24 miliardi nel 1997),
Disney ($22 miliardi), Bertelsmann ($15 miliardi), Viacom ($13 miliardi) e
Rupert Murdoch's News Corporation ($11 miliardi). Oltre alla necessità di un
mercato globale su cui competere, i colossi mediatici globali funzionano in base
a due principi generali. Primo, ampliarsi sempre più per dominare i mercati e
impedire alla concorrenza di acquisire il controllo delle società: basti
pensare che aziende come Disney e Time Warner sono triplicate per dimensioni
negli ultimi dieci anni. Secondo, avere interessi in numerose industrie dei
media, ad esempio produzione cinematografica, editoria, musica, reti e canali
televisivi, negozi, parchi dei divertimenti, riviste, quotidiani e così via.
Per questi colossi, il totale dei profitti può rivelarsi assai più cospicuo
della somma delle parti derivanti dai diversi media. Un film, ad esempio, deve
generare anche una colonna sonora, un libro, un gadget e magari anche un nuovo
programma televisivo, dei CD-Rom, dei videogame e dei giochi offerti all'interno
di parchi tematici. Così, le aziende che non dispongono di partecipazioni
diversificate nelle varie industrie dei media non hanno possibilità di
competere sul mercato (...)
Dietro
queste multinazionali si colloca poi una seconda fascia, comprendente 35-50
aziende con un fatturato di $1-8 miliardi all'anno nel settore dei media,
solitamente dotate di solide basi a livello nazionale o regionale oppure
specializzate in determinate nicchie di mercato a livello globale. Circa la metà,
tra cui Westinghouse CBS, New York Times Co., Hearst, Comcast e Gannett, ha sede
in America del Nord; segue l'Europa, mentre pochissime hanno sede in Estremo
Oriente e America Latina.
In sintesi, la stragrande maggioranza (in termini di fatturato) delle produzioni
cinematografiche e televisive, del possesso dei canali via cavo e dei sistemi
satellitari, dell'editoria, dei periodici e della discografia è appannaggio di
queste circa 50 aziende, mentre le prime nove dominano incontrastate molti di
questi settori. Secondo i canoni più elementari della democrazia, tale
concentrazione di potere nel campo dei media è inquietante, per non dire
inaccettabile.
Ma
anche tutto questo non basta a spiegare quanto concentrato e privo di
concorrenza sia questo potere mediatico globale. Infatti, tutte queste aziende
intraprendono delle joint venture, associandosi con la "concorrenza"
per determinate operazioni allo scopo di ridurre la competizione e i rischi.
Ciascuno dei nove colossi appartenenti alla prima fascia, ad esempio, ha creato
delle joint venture, mediamente, con due terzi degli altri otto giganti
mediatici della prima fascia, mentre le aziende del secondo livello non sono
certo meno aggressive quanto alla formazione di joint venture.
"We are the
world"
Sotto certi aspetti, questo sistema
commerciale globale non rappresenta un affare totalmente negativo. Talvolta,
promuove anche messaggi antirazzisti, anti-maschilisti o antiautoritari, con
effetti potenzialmente costruttivi nei paesi dominati da regimi dittatoriali.
Tuttavia, in generale, tale sistema è ben poco interessato al giornalismo o
alla politica, a meno che non siano al servizio del mondo degli affari e delle
classi più agiate; inoltre, privilegia quei pochi generi redditizi che sa fare
abbastanza bene, come lo sport, l'intrattenimento e i film d'azione. Eppure,
anche al meglio delle sue prestazioni, il sistema risulta completamente saturato
da una sorta di ultra-commercializzazione, un vero e proprio bombardamento a
tappeto commerciale che si abbatte su ogni aspetto della vita umana. Come
afferma l'amministratore delegato di Westinghouse (Advertising Age, 3/ 2/ 97),
«Noi siamo qui per servire i pubblicitari: è questa la nostra ragione di
esistenza».
L'aspetto tragico consiste invece nel fatto che il processo di concentrazione dei media a livello globale non è stato al centro di un dibattito pubblico, specialmente negli Usa, malgrado le sue chiare ripercussioni politiche e culturali. Dopo la seconda guerra mondiale, gli Alleati limitarono la concentrazione dei media nella Germania e nel Giappone occupati, avendo notato che promuoveva culture politiche di stampo antidemocratico o addirittura fascista. E' forse giunto il momento che gli Stati Uniti e tutti gli altri paesi assumano una dose di quella stessa medicina: ma per fare ciò, occorrono sforzi congiunti per educare ed organizzare le persone intorno alle problematiche che interessano il mondo dei media. E' questo il compito che ci attende.