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Da
Atlanta alla GestLine
di Rita
Pennaiola – tratto da “
http://www.lavocedellacampania.it
Perché si pagano tremila miliardi per acquistare un bene
che pochi mesi prima era stato valutato circa sessanta? E come ci si
potrà rifare in seguito del “salasso”? Sta forse nella risposta -
mai fornita - a questi elementari quesiti il “segreto” della Gest
Line, la sigla partenopea di riscossione crediti che ha messo in
ginocchio i contribuenti italiani. L ‘ipoteca arriva per posta
prioritaria. Nemmeno il disturbo di una raccomandata. Così ci si può
ritrovare, senza nemmeno saperlo, esposti al rischio di perdere la casa
per una cartella esattoriale magari vecchia di anni e di piccolo
importo. E’ successo, per fare un solo esempio, a quattro cittadini
partenopei che, ritenendosi vittime di “ipoteche pazze”, avevano
presentato ricorso in tribunale contro
A dicembre scorso il giudice di pace Renato Marzano ha dato
ragione ai quattro “tartassati”, difesi dal civilista Angelo Pisani,
aprendo di fatto la strada a migliaia di analoghi ricorsi che
letteralmente intasano, in diverse parti della penisola, tribunali,
studi legali ed associazioni dei consumatori. Un repertorio di vicende
grottesche, allucinanti, costellato di ipoteche, vendite all’asta,
pignoramenti presso terzi seguiti senza preamboli ai danni di
professionisti o commercianti, che vedono così deteriorarsi anche la
propria immagine, magari per una multa automobilistica neppure
notificata. Questo il racconto di numerose “vittime” e delle decine
di avvocati al lavoro in numerose città italiane per contestare
l’operato della Gest Line.
Nelle scorse settimane la società - fondata a Napoli ma titolare di
convenzione per la riscossione tributi con i comuni di città come
Genova, Padova, Bologna, Vicenza e Venezia, per fare solo alcuni esempi
- ha ufficialmente presentato e distribuito un dettagliato “Vademecum
dell’utente”, in cui prospetta quelle stesse regole (a cominciare
dalla impossibilità di porre all’asta beni immobili per presunti
crediti inferiori agli ottomila euro) che secondo gli avvocati dei
consumatori sarebbero state finora più volte violate dalla stessa
società.
Do you remember Atlanta?
«Cosa giustifica tanta fretta in un’impresa che, per il
delicato rapporto di convenzione con le amministrazioni comunali,
dovrebbe invece agire con estrema cautela, soprattutto nelle procedure
esecutive?», è la domanda che rimbalza fra non pochi addetti ai
lavori. «La sensazione - dice un civilista che ha seguito decine di
pratiche - è che si stia cercando di accumulare ingenti quantità di
denaro, quasi come se si dovesse rientrare in un grosso credito».
Un’ipotesi da fantascienza? Forse. Ma anche una pista che alcuni
elementi inducono a percorrere e a verificare. Per farlo, dobbiamo
partire da un’altra domanda, semplice, ma che nessuno fin qui sembra
essersi posto fino in fondo: perché il San Paolo di Torino (azionista
unico della Gest Line) a fine anni novanta sborsa la bella cifra di
tremila miliardi di lire per acquistare il pacchetto del defunto Banco
di Napoli dalla Banca Nazionale del Lavoro, che pochi mesi prima lo
aveva rilevato, in cordata con l’INA, per appena 61 miliardi? Cosa
scattò nei torinesi, un attacco di smisurata filantropia o la sindrome
da Totò e la fontana di Trevi, per giungere a pagare una plusvalenza da
capogiro, ben 2.939 miliardi di vecchie lire? O meglio: quali accordi
politico-finanziari poterono indurre il San Paolo a salvare una BNL che
era ormai sull’orlo del baratro?
Qualcosa, su quel baratro, l’aveva ricordata l’ex
manager Unipol Giovanni Consorte prima di finire al centro della bufera
giudiziaria: «BNL - aveva detto - era la banca sbagliata per questo
salto di qualità. Troppo cruciale per certi poteri, troppi scheletri
nell'armadio». Di quegli scheletri, in qualche modo, bisognava che
l’Italia si liberasse. 4 agosto 1989. L’Fbi perquisisce la sede di
Atlanta della Banca Nazionale del Lavoro e porta alla luce uno scoperto
pari ad oltre duemila milioni di dollari pagati ad industrie belliche
per fornire armi all’Iraq di Saddam Hussein durante la guerra contro
l’Iran, nemico numero uno degli Stati Uniti. L’alleato Italia aveva
provveduto con le risorse economiche dei cittadini a finanziare quel
conflitto per ridurre la potenza di Khomeini e dei suoi, attraverso il
dittatore iracheno.
Nel 1991 per quelle forniture illecite di armi vengono
condannati dal tribunale di Brescia sette amministratori della Valsella,
la multinazionale italiane delle mine anti-uomo. Su tutta la vicenda
cala una trama di depistaggi e affossamenti, sul piano politico e su
quello giudiziario. Ma non su quello economico.
A metà anni novanta il buco nelle casse BNL è una voragine. Il
bilancio 1997 si era chiuso con perdite per 2.865 miliardi, «mentre -
scriveva il deputato di An Sergio Cola in un’interrogazione al
ministro del Tesoro - troverebbe fondamento la preoccupazione che il
reale bilancio della Bnl possa nascondere una verità molto più grave».
A quel punto, mentre si profilano tagli da ben 6.000 esuberi tra le fila
del personale per tamponare il disavanzo,
San Paolo salva tutti
L’11 giugno del 1997 l’allora ministro del Tesoro Carlo
Azeglio Ciampi sottoscrive il contratto con cui viene ceduto per appena
61 miliardi di lire il 60 per cento del capitale Banco Napoli alla
cordata INA-BNL. Formalmente la cessione è avvenuta attraverso
un’asta competitiva. «
Chi erano, in quel periodo, i “fortunatissimi” azionisti BNL? Il
manager Diego Della Valle, il Monte Paschi di Siena, le Generali e, con
una quota del 14,72 per cento, il Banco Bilbao y Vizcaya Argentaria (BBVA),
vale a dire il secondo istituto di credito spagnolo e il nono in Europa,
in forte odor di Opus Dei. Lo stesso istituto che risulta ai primi posti
nel vecchio continente come finanziatore delle esportazioni di armi.
Insomma, la stratosferica supervalutazione del Banco Napoli elargita dal
San Paolo IMI andò ad arricchire il principale azionista BNL, cioé il
Banco di Bilbao. La stessa banca che cinque anni dopo, a dicembre 2005,
sarà protagonista di una nuova scalata alla Nazionale del Lavoro: una
vicenda finita al centro di indagini della magistratura per il
coinvolgimento di Unipol e che è costata la poltrona più alta di via
Nazionale ad Antonio Fazio.
Il punto è: che ci aveva guadagnato, da tutta quella
operazione, il San Paolo? Cosa ottenne in cambio dei tremila miliardi, a
parte un Banco di Napoli che solo pochi mesi prima era stato valutato 61
miliardi? Difficile poter ricostruire nei dettagli il retroscena
politico e finanziario sotteso a quelle manovre. Resta però il fatto ch
i nomi di alcuni fra i protagonisti ricorrono negli elenchi di
Bilderberg, la corazzata transnazionale di economisti (e non solo) che
fin dagli anni settanta organizza summit supersegreti fra coloro che
reggono le leve del potere economico nel mondo. In prima fila, tra i
fondatori, la famiglia Agnelli - cui fa capo il San Paolo - e il gruppo
Rotschild, che fu l’advisor per la svendita del Banco di Napoli alla
BNL. 17 dicembre 2001. Alla Camera di Commercio di Napoli viene iscritta
Rappresentante ufficiale dell’impresa, nonché delegato al ritiro dei
tre decimi, è l’avvocato napoletano Ezio Palmarini, 69 anni, per
decenni al timone della società di leasing targate Banconapoli (un
arcipelago di BN Commercio e Finanza, finite poi nell’orbita del
Gruppo Cassa di Risparmio di Ferrara), nominato a maggio 2004
vicepresidente del cda Gest Line. Numero uno è il vicentino Andrea
Rigoni, cinquantenne, residente a Roma in via del Giordano, che succede
al bolognese doc Gianguido Sacchi Morisani. A Rigoni, Sacchi Morisani e
Palmarini la banca di casa Agnelli potrebbe aver affidato il compito di
riequilibrare, il più in fretta possibile, le sorti finanziarie
dell’istituto torinese dopo la supervalutazione del Banco di Napoli.
Le convenzioni con i comuni - a cominciare da quello
partenopeo - per l’esazione dei tributi, hanno fatto il resto. E
questo spiegherebbe anche la frettolosa disinvoltura delle procedure di
esecuzione, con immobili messi all’asta per debiti da poche migliaia
di euro «e per giunta - sottolinea Angelo Pisani - al valore catastale».
Il calvario per milioni di contribuenti comincia a dicembre 2003 quando,
dopo la stipula delle concessioni, viene ufficialmente battezzata con un
trionfale annuncio la “creatura” nata dalle strane nozze fra Napoli
e Torino: «E’ attiva dal 1 ottobre, con il nome di Gest Line -
si legge nel comunicato - la nuova società per il business riscossioni
del Gruppo Sanpaolo IMI, che opera sul territorio con nove concessioni
nel nord est, nel centro nord, in Liguria ed in Campania, per un bacino
complessivo di circa 8 milioni di abitanti». «Le nuove opportunità
offerte dai processi in atto di decentramento fiscale e di federalismo -
promettono - unite alla qualità del servizio offerto agli enti locali
e, in generale, alle istituzioni del territorio, permetteranno alla
società di sviluppare un nuovo modello di business, facendo di Gest
Line un operatore di riferimento sul mercato».
Parole che oggi suonano a migliaia di cittadini come
un’autentica beffa. «
Il j’accuse di Genova
Solo qualche settimana fa, a metà gennaio, arriva dal
capoluogo ligure un pesante j’accuse sui metodi sbrigativi adottati
dalla Gest Line. A lanciarlo è il Movimento difesa del cittadino di
Genova «che fin dall’estate del 2005 - fa sapere Antonella Gorret,
corrispondente dalla Liguria di Italia Oggi - aveva puntato il dito
contro la sigla partenopea, rea di effettuare maxipignoramenti per
microcartelle». Lo scorso 13 gennaio a difesa dei contribuenti sono
scesi in campo i difensori civici del Comune di Genova (Fulvio
Cerofolini), della Provincia (Piero Gambolato) e della Regione Liguria
(Annamaria Faganelli): «sempre più spesso - è emerso dall’incontro
- si verifica un grave squilibrio tra il debito oggetto di riscossione e
il valore dei beni ipotecati». «Non a caso - si legge ancora nella
nota emessa a seguito dell’incontro - nel
«Sono poi numerosi - continua il documento congiunto - i
casi in cui per un credito di poche migliaia di euro, talvolta
addirittura poche centinaia, si è provveduto a iscrivere l'ipoteca
sull'abitazione, promuovendo così una spirale vessatoria che perseguita
il cittadino». «L'iscrizione ipotecaria su più beni - concludono i
tre difensori civici - per importi sproporzionati, ha come conseguenza
la chiusura di credito e del finanziamento degli istituti di credito,
favorendo così il ricorso a società finanziarie che applicano tassi più
elevati o, nel caso peggiore, il ricorso al mercato parallelo dell'usura».
Anche in Liguria il fenomeno colpisce naturalmente le fasce deboli, cui
viene negata la possibilità di rateizzazione del debito anche su cifre
inferiori a 750 euro.
I mercanti di Venezia
Se Napoli e Genova piangono, Venezia non ride. Qui infatti
«
Già a gennaio 2004 comincia ad esempio la protesta dei
lavoratori Gest Line nel Veneto. Fra Venezia e Rovigo, infatti, la
politica dei tagli comincia subito, con la soppressione degli sportelli
di Monselice e Camposampiero e la dichiarazione da parte dell’azienda
di ben 520 eccedenze solo su quel territorio. Con il risultato che «gli
utenti - si sfoga Antonella Lauvergnac del sindacato autonomo Fabi -
sono costretti a lunghe attese per pagamenti ed informazioni a causa di
procedure informatiche ormai superate». «Anzichè individuare
soluzioni alternative - spiega la sindacalista - hanno esternalizzato il
servizio di notifica delle cartelle e le visure catastali per l'avvio
delle procedure immobiliari». La parola d’ordine sembra insomma: fare
presto e fare utili, con ogni mezzo. Magari anche a spese
dell’erario.
Lo sottolineano, per fare un altro esempio, i senatori di Forza Italia
Luciano Falcier e Giacomo Archiutti, i quali denunciano come «a fronte
di presunti debiti contributivi, fiscali e previdenziali che
successivamente sono risultati spesso del tutto inesistenti e collegati
talvolta alla mancata generazione di flussi telematici tra banche, enti
impositori e concessionarie»,
Profitti alle stelle
Sarà stato anche grazie a metodi sbrigativi come questi se
i profitti della Gest Line, rispondendo alle attese del San Paolo IMI,
hanno fatto registrare negli ultimi anni stratosferiche impennate. «La
società, che nel 2002 dichiarava perdite per 17,7 milioni di euro, nel
L’asta che scotta
«Da sempre, forse già dagli anni settanta, i vari
rapporti politico-camorristici consistevano in scambi di favori, in
consulenze e aiuti politici per avvicinare talvolta il curatore, o il
giudice, e mettere a disposizione del rappresentante camorrista della
zona questo tipo di favore. Mi ricordo che quello delle aste
fallimentari è stato sempre uno dei profitti illeciti. (...) Si curava,
nel tempo di qualche anno, tutta la vicenda delle aste pubbliche, finché
non si portava quel bene ad un determinato prezzo e poi lo acquisivano
ad un prezzo basso. (...) Questo controllo a Napoli e a Roma continua
ancora adesso. (...) C'è una intesa con diversi elementi, oltre che
magistrati, credo anche una cerchia di professionisti, qualche
cancelliere compiacente e avvocati che vivono di questo. A Napoli come a
Roma».
Così parlò Pasquale Galasso, il superboss pentito della
camorra, rispondendo nel 1993 alle domande di Luciano Violante,
all’epoca presidente della commissione parlamentare antimafia. Dopo 16
anni lo scenario ritorna in maniera impressionante. Nei giorni scorsi le
Fiamme Gialle partenopee hanno portato alla luce l’intreccio fra
esponenti del clan Misso ed alcuni funzionari dell’ex Banco di Napoli
per controllare il fiorente mercato illecito dei gioielli affidati al
Monte dei Pegni dell’Istituto e finiti poi in aste truccate dal clan.
Episodi che la dicono lunga sulle infiltrazioni della malavita
organizzata nell’intero settore delle aste fallimentari, e non solo a
Napoli.
«A Milano - dice ad esempio Lorenzo Frigerio dell’associazione
“Libera” - si registrano crescenti fenomeni di interessamento della
malavita organizzata campana alle aste giudiziarie, ma anche episodi che
un magistrato ha definito come “scoppio delle aziende”». La
metodologia è semplice: «su aziende deboli, intervengono gruppi
criminali organizzati che a poco a poco, con vari metodi, si
sostituiscono al titolare; dopo di che, si acquistano beni e merci per
valori rilevanti e rivendono anche sottocosto; l’azienda va verso il
fallimento ma scompaiono anche i gruppi e i singoli soggetti che hanno
operato in concreto».
Ed è proprio il ruolo della camorra - magari anche di
quella “formato esportazione” - a far salire il livello di allarme
per la crescita esponenziale registrata negli ultimi tre anni dal
settore delle aste immobiliari, dopo la discesa in campo della Gest Line
come concessionario di Palazzo San Giacomo per l’esazione dei tributi,
dalla multa automobilistica all’Ici. «Almeno in un contesto
fortemente condizionato dai poteri criminali come quello partenopeo -
commenta il rappresentante Codacons a Napoli, l’avvocato Giuseppe
Ursini - prima di arrivare all’asta pubblica bisognerebbe che tanto il
concessionario, quanto l’ente pubblico creditore, adottassero tutti i
provvedimenti utili a prevenire fenomeni che finiscono poi per favorire
la malavita organizzata ed il suo strapotere economico. Altrimenti ci
troviamo poi di fronte ad una situazione paradossale: per ripianare le
casse comunali si rimpinguano quelle criminali».
Piacere, Gestline
Per uno scherzo del destino - e davvero solo per una
fortuita casualità - aveva in origine sede a Vicenza (una delle piazze
italiane “servite” per la riscossione tributi dalla Gest Line spa
del San Paolo IMI)
La sua Gestline, infatti, dal ‘96 era socio privato di minoranza con
il Comune di Pompei nella Interservizi, una spa costituita per il
servizio di nettezza urbana e sospesa da tale incarico ad opera dei
commissari prefettizi nominati dopo lo scioglimento del comune per
infiltrazioni mafiose. Il Consiglio di Stato, infatti, nel respingere il
ricorso presentato da Paliotto contro la sospensione, sottolinea come «la
revoca delle delibere che avevano dato il via alla società mista
Interservizi s.p.a., costituita con
Fondata a Vicenza proprio nel 1996, Gestline aveva
ufficialmente dislocato la sua sede a Napoli ad aprile ‘98 e nello
stesso periodo era stata affidata alle cure dell’amministratore unico
Luigi Diana, napoletano, classe 1967, cui subentra, poco più di un anno
dopo, il quarantatreenne Giovanni Oliva. Sei mesi più tardi - a
dicembre ‘99 - il suo posto viene preso dallo stesso Salvatore
Paliotto, che attualmente veste anche i panni del liquidatore. Socio di
maggioranza della Gestline è la srl AET Apparati Elettromeccanici e
Telecomunicazione, sede a Lecce ma con un parterre napoletano doc: il
pacchetto è suddiviso infatti fra la moglie di Paliotto,
l’imprenditrice Maria Pia Incutti, ed i figli Umberto e, appunto, la
rampante Rossella, cui recentemente la madre ha donato la propria quota