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Da Atlanta alla GestLine
di Rita Pennaiola – tratto da “ La Voce della Campania” 1/03/2006
http://www.lavocedellacampania.it

Perché si pagano tremila miliardi per acquistare un bene che pochi mesi prima era stato valutato circa sessanta? E come ci si potrà rifare in seguito del “salasso”? Sta forse nella risposta - mai fornita - a questi elementari quesiti il “segreto” della Gest Line, la sigla partenopea di riscossione crediti che ha messo in ginocchio i contribuenti italiani. L ‘ipoteca arriva per posta prioritaria. Nemmeno il disturbo di una raccomandata. Così ci si può ritrovare, senza nemmeno saperlo, esposti al rischio di perdere la casa per una cartella esattoriale magari vecchia di anni e di piccolo importo. E’ successo, per fare un solo esempio, a quattro cittadini partenopei che, ritenendosi vittime di “ipoteche pazze”, avevano presentato ricorso in tribunale contro la Gest Line , la società che gestisce l’esazione tributi in mezza Italia, che non aveva nemmeno notificato gli avvisi di mora.

A dicembre scorso il giudice di pace Renato Marzano ha dato ragione ai quattro “tartassati”, difesi dal civilista Angelo Pisani, aprendo di fatto la strada a migliaia di analoghi ricorsi che letteralmente intasano, in diverse parti della penisola, tribunali, studi legali ed associazioni dei consumatori. Un repertorio di vicende grottesche, allucinanti, costellato di ipoteche, vendite all’asta, pignoramenti presso terzi seguiti senza preamboli ai danni di professionisti o commercianti, che vedono così deteriorarsi anche la propria immagine, magari per una multa automobilistica neppure notificata. Questo il racconto di numerose “vittime” e delle decine di avvocati al lavoro in numerose città italiane per contestare l’operato della Gest Line. 
Nelle scorse settimane la società - fondata a Napoli ma titolare di convenzione per la riscossione tributi con i comuni di città come Genova, Padova, Bologna, Vicenza e Venezia, per fare solo alcuni esempi - ha ufficialmente presentato e distribuito un dettagliato “Vademecum dell’utente”, in cui prospetta quelle stesse regole (a cominciare dalla impossibilità di porre all’asta beni immobili per presunti crediti inferiori agli ottomila euro) che secondo gli avvocati dei consumatori sarebbero state finora più volte violate dalla stessa società.

Do you remember Atlanta? 
«Cosa giustifica tanta fretta in un’impresa che, per il delicato rapporto di convenzione con le amministrazioni comunali, dovrebbe invece agire con estrema cautela, soprattutto nelle procedure esecutive?», è la domanda che rimbalza fra non pochi addetti ai lavori. «La sensazione - dice un civilista che ha seguito decine di pratiche - è che si stia cercando di accumulare ingenti quantità di denaro, quasi come se si dovesse rientrare in un grosso credito». Un’ipotesi da fantascienza? Forse. Ma anche una pista che alcuni elementi inducono a percorrere e a verificare. Per farlo, dobbiamo partire da un’altra domanda, semplice, ma che nessuno fin qui sembra essersi posto fino in fondo: perché il San Paolo di Torino (azionista unico della Gest Line) a fine anni novanta sborsa la bella cifra di tremila miliardi di lire per acquistare il pacchetto del defunto Banco di Napoli dalla Banca Nazionale del Lavoro, che pochi mesi prima lo aveva rilevato, in cordata con l’INA, per appena 61 miliardi? Cosa scattò nei torinesi, un attacco di smisurata filantropia o la sindrome da Totò e la fontana di Trevi, per giungere a pagare una plusvalenza da capogiro, ben 2.939 miliardi di vecchie lire? O meglio: quali accordi politico-finanziari poterono indurre il San Paolo a salvare una BNL che era ormai sull’orlo del baratro?

Qualcosa, su quel baratro, l’aveva ricordata l’ex manager Unipol Giovanni Consorte prima di finire al centro della bufera giudiziaria: «BNL - aveva detto - era la banca sbagliata per questo salto di qualità. Troppo cruciale per certi poteri, troppi scheletri nell'armadio». Di quegli scheletri, in qualche modo, bisognava che l’Italia si liberasse. 4 agosto 1989. L’Fbi perquisisce la sede di Atlanta della Banca Nazionale del Lavoro e porta alla luce uno scoperto pari ad oltre duemila milioni di dollari pagati ad industrie belliche per fornire armi all’Iraq di Saddam Hussein durante la guerra contro l’Iran, nemico numero uno degli Stati Uniti. L’alleato Italia aveva provveduto con le risorse economiche dei cittadini a finanziare quel conflitto per ridurre la potenza di Khomeini e dei suoi, attraverso il dittatore iracheno.

Nel 1991 per quelle forniture illecite di armi vengono condannati dal tribunale di Brescia sette amministratori della Valsella, la multinazionale italiane delle mine anti-uomo. Su tutta la vicenda cala una trama di depistaggi e affossamenti, sul piano politico e su quello giudiziario. Ma non su quello economico. 
A metà anni novanta il buco nelle casse BNL è una voragine. Il bilancio 1997 si era chiuso con perdite per 2.865 miliardi, «mentre - scriveva il deputato di An Sergio Cola in un’interrogazione al ministro del Tesoro - troverebbe fondamento la preoccupazione che il reale bilancio della Bnl possa nascondere una verità molto più grave». A quel punto, mentre si profilano tagli da ben 6.000 esuberi tra le fila del personale per tamponare il disavanzo, la BNL acquista il Banco di Napoli. «I casi probabilmente - commentano attenti osservatori - erano solo due: o la BNL falliva, col rischio di portare a galla tutti gli scheletri dell’operazione Atlanta, oppure bisognava trovare almeno duemila miliardi per un salvataggio in extremis».

San Paolo salva tutti
L’11 giugno del 1997 l’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi sottoscrive il contratto con cui viene ceduto per appena 61 miliardi di lire il 60 per cento del capitale Banco Napoli alla cordata INA-BNL. Formalmente la cessione è avvenuta attraverso un’asta competitiva. « La Rotschild , advisor del Tesoro per l’operazione - si legge nel documento ufficiale del ministero - anche in considerazione dell’impegno di INA e BNL ad effettuare aumenti di capitale del Banco per circa 1.300 miliardi». Come avrebbe potuto l’esangue Nazionale del Lavoro rispettare quell’impegno? Non ci fu bisogno di alcuna risposta: grazie al “provvidenziale” intervento del San Paolo IMI, le casse BNL sforacchiate dal caso Atlanta furono rimpinguate con migliaia di miliardi freschi. Il 2 maggio del 2000 il presidente BNL Luigi Abete distribuisce “miracolosi” dividendi ai suoi azionisti (114 lire per azione ordinaria e 154 per azione risparmio) grazie a quel florido bilancio 1999 che aveva visto la realizzazione di «significative plusvalenze», tra cui in primis «la partecipazione nel Banco di Napoli». 
Chi erano, in quel periodo, i “fortunatissimi” azionisti BNL? Il manager Diego Della Valle, il Monte Paschi di Siena, le Generali e, con una quota del 14,72 per cento, il Banco Bilbao y Vizcaya Argentaria (BBVA), vale a dire il secondo istituto di credito spagnolo e il nono in Europa, in forte odor di Opus Dei. Lo stesso istituto che risulta ai primi posti nel vecchio continente come finanziatore delle esportazioni di armi. Insomma, la stratosferica supervalutazione del Banco Napoli elargita dal San Paolo IMI andò ad arricchire il principale azionista BNL, cioé il Banco di Bilbao. La stessa banca che cinque anni dopo, a dicembre 2005, sarà protagonista di una nuova scalata alla Nazionale del Lavoro: una vicenda finita al centro di indagini della magistratura per il coinvolgimento di Unipol e che è costata la poltrona più alta di via Nazionale ad Antonio Fazio.

Il punto è: che ci aveva guadagnato, da tutta quella operazione, il San Paolo? Cosa ottenne in cambio dei tremila miliardi, a parte un Banco di Napoli che solo pochi mesi prima era stato valutato 61 miliardi? Difficile poter ricostruire nei dettagli il retroscena politico e finanziario sotteso a quelle manovre. Resta però il fatto ch i nomi di alcuni fra i protagonisti ricorrono negli elenchi di Bilderberg, la corazzata transnazionale di economisti (e non solo) che fin dagli anni settanta organizza summit supersegreti fra coloro che reggono le leve del potere economico nel mondo. In prima fila, tra i fondatori, la famiglia Agnelli - cui fa capo il San Paolo - e il gruppo Rotschild, che fu l’advisor per la svendita del Banco di Napoli alla BNL. 17 dicembre 2001. Alla Camera di Commercio di Napoli viene iscritta la Gest Line , “società per azioni con un unico socio (il San Paolo IMI spa, ndr)”, che parte dalla sede di via Roberto Bracco 20 - nel cuore della city partenopea - con un capitale versato di 3.422.500 euro. 
Rappresentante ufficiale dell’impresa, nonché delegato al ritiro dei tre decimi, è l’avvocato napoletano Ezio Palmarini, 69 anni, per decenni al timone della società di leasing targate Banconapoli (un arcipelago di BN Commercio e Finanza, finite poi nell’orbita del Gruppo Cassa di Risparmio di Ferrara), nominato a maggio 2004 vicepresidente del cda Gest Line. Numero uno è il vicentino Andrea Rigoni, cinquantenne, residente a Roma in via del Giordano, che succede al bolognese doc Gianguido Sacchi Morisani. A Rigoni, Sacchi Morisani e Palmarini la banca di casa Agnelli potrebbe aver affidato il compito di riequilibrare, il più in fretta possibile, le sorti finanziarie dell’istituto torinese dopo la supervalutazione del Banco di Napoli.

Le convenzioni con i comuni - a cominciare da quello partenopeo - per l’esazione dei tributi, hanno fatto il resto. E questo spiegherebbe anche la frettolosa disinvoltura delle procedure di esecuzione, con immobili messi all’asta per debiti da poche migliaia di euro «e per giunta - sottolinea Angelo Pisani - al valore catastale». Il calvario per milioni di contribuenti comincia a dicembre 2003 quando, dopo la stipula delle concessioni, viene ufficialmente battezzata con un trionfale annuncio la “creatura” nata dalle strane nozze fra Napoli e Torino:  «E’ attiva dal 1 ottobre, con il nome di Gest Line - si legge nel comunicato - la nuova società per il business riscossioni del Gruppo Sanpaolo IMI, che opera sul territorio con nove concessioni nel nord est, nel centro nord, in Liguria ed in Campania, per un bacino complessivo di circa 8 milioni di abitanti». «Le nuove opportunità offerte dai processi in atto di decentramento fiscale e di federalismo - promettono - unite alla qualità del servizio offerto agli enti locali e, in generale, alle istituzioni del territorio, permetteranno alla società di sviluppare un nuovo modello di business, facendo di Gest Line un operatore di riferimento sul mercato».

Parole che oggi suonano a migliaia di cittadini come un’autentica beffa. « La Gest Line - rincara la dose Paolo Carotenuto della associazione Mezzogiorno Europeo - sfugge anche alle normali procedure esecutive che seguono un iter standardizzato, dall’accertamento del debito alla valutazione dell’immobile attraverso perizia, fino alla vendita ed all’assegnazione all’esattoria. La Gest Line , infatti, procede all’immediata fissazione della data di vendita per il recupero dell’importo del presunto debito, senza alcuna fase di valutazione dell’immobile. E’ per questa ragione che è stato possibile bandire appartamenti di tre vani a Casoria con base d’asta di 14 mila euro, a Bagnoli di 40 mila, per arrivare a un immobile di sei vani di via Chiaia venduto con una base d’asta da 260 mila euro». Senza contare il fatto che l’elevatissimo numero di ricorsi presentati dai contribuenti costringe anche il Comune di Napoli a costituirsi in giudizio insieme alla Gest Line, e questo fenomeno sta determinando un consistente incremento di spesa nelle già precarie sorti finanziarie di palazzo San Giacomo. «Situazione non dissimile a Genova - spiega Roberto Pettinaroli, cronista del Secolo IX - dove per giunta migliaia di inferociti contribuenti continuano a chiedersi perché debbano pagare le loro tasse ad una società napoletana».

Il j’accuse di Genova 
Solo qualche settimana fa, a metà gennaio, arriva dal capoluogo ligure un pesante j’accuse sui metodi sbrigativi adottati dalla Gest Line. A lanciarlo è il Movimento difesa del cittadino di Genova «che fin dall’estate del 2005 - fa sapere Antonella Gorret, corrispondente dalla Liguria di Italia Oggi - aveva puntato il dito contro la sigla partenopea, rea di effettuare maxipignoramenti per microcartelle». Lo scorso 13 gennaio a difesa dei contribuenti sono scesi in campo i difensori civici del Comune di Genova (Fulvio Cerofolini), della Provincia (Piero Gambolato) e della Regione Liguria (Annamaria Faganelli): «sempre più spesso - è emerso dall’incontro - si verifica un grave squilibrio tra il debito oggetto di riscossione e il valore dei beni ipotecati». «Non a caso - si legge ancora nella nota emessa a seguito dell’incontro - nel 2004 a Genova sono state ipotecate 4 mila abitazioni per debiti irrisori, debiti in buona parte maturati per sanzioni al codice stradale».

«Sono poi numerosi - continua il documento congiunto - i casi in cui per un credito di poche migliaia di euro, talvolta addirittura poche centinaia, si è provveduto a iscrivere l'ipoteca sull'abitazione, promuovendo così una spirale vessatoria che perseguita il cittadino». «L'iscrizione ipotecaria su più beni - concludono i tre difensori civici - per importi sproporzionati, ha come conseguenza la chiusura di credito e del finanziamento degli istituti di credito, favorendo così il ricorso a società finanziarie che applicano tassi più elevati o, nel caso peggiore, il ricorso al mercato parallelo dell'usura». Anche in Liguria il fenomeno colpisce naturalmente le fasce deboli, cui viene negata la possibilità di rateizzazione del debito anche su cifre inferiori a 750 euro.

I mercanti di Venezia 
Se Napoli e Genova piangono, Venezia non ride. Qui infatti « la Gest Line - si legge nel testo di un’interrogazione presentata il 26 maggio dello scorso anno al ministro delle Finanze dal parlamentare della città lagunare Michele Zuin - starebbe mettendo in atto procedure esecutive molto pesanti per gli utenti (iscrizioni ipotecarie su immobili per debiti anche molto esigui) fino ad ora mai utilizzate per importi modesti», mentre «si avanzano dubbi circa le procedure di notifica degli atti esecutivi stessi». In questo come in altri atti parlamentari - ad esempio quello firmato da Giorgio Benvenuto e di analogo tenore - si lamenta inoltre la “cura dimagrante” messa in atto dalla società esattrice, con tagli drastici di personale e sportelli, a tutto danno degli utenti. Una politica di contenimento rigido delle spese, dunque, che mal si accorderebbe con quanto previsto dalle delibere di affidamento in concessione. E che la direbbe lunga su quella necessità, tuttora stringente, di ripianare la voragine determinata dall’improvvido acquisto del Banco di Napoli dalla BNL.

Già a gennaio 2004 comincia ad esempio la protesta dei lavoratori Gest Line nel Veneto. Fra Venezia e Rovigo, infatti, la politica dei tagli comincia subito, con la soppressione degli sportelli di Monselice e Camposampiero e la dichiarazione da parte dell’azienda di ben 520 eccedenze solo su quel territorio. Con il risultato che «gli utenti - si sfoga Antonella Lauvergnac del sindacato autonomo Fabi - sono costretti a lunghe attese per pagamenti ed informazioni a causa di procedure informatiche ormai superate». «Anzichè individuare soluzioni alternative - spiega la sindacalista - hanno esternalizzato il servizio di notifica delle cartelle e le visure catastali per l'avvio delle procedure immobiliari». La parola d’ordine sembra insomma: fare presto e fare utili, con ogni mezzo. Magari anche a spese dell’erario. 
Lo sottolineano, per fare un altro esempio, i senatori di Forza Italia Luciano Falcier e Giacomo Archiutti, i quali denunciano come «a fronte di presunti debiti contributivi, fiscali e previdenziali che successivamente sono risultati spesso del tutto inesistenti e collegati talvolta alla mancata generazione di flussi telematici tra banche, enti impositori e concessionarie», la Gest Line di Venezia abbia messo in atto per la riscossione «moltissime iscrizioni ipotecarie e fermi amministrativi». « La Gest Line , la cui sede generale è a Napoli - aggiungono senza mezzi termini i senatori - sembra voler procedere con questo sistema quasi volesse trarne un vantaggio a spese dell'Erario, dato che tale società non risponde per le spese che sono comunque corrisposte o dal contribuente o dall'ente impositore se l'importo in cartella non è dovuto».

Profitti alle stelle 
Sarà stato anche grazie a metodi sbrigativi come questi se i profitti della Gest Line, rispondendo alle attese del San Paolo IMI, hanno fatto registrare negli ultimi anni stratosferiche impennate. «La società, che nel 2002 dichiarava perdite per 17,7 milioni di euro, nel 2003 ha conseguito utili per 40,1 milioni di euro», fa sapere il deputato della Lega Guido Rossi, il quale a febbraio dello scorso anno aveva chiesto in proposito al ministro delle Finanze «se il Governo intenda adottare iniziative volte a modificare le procedure di rimborso forfettario, in modo da ridurre decisamente per l'anno 2005 e per l'anno 2006 i rimborsi ai concessionari, in considerazione delle esigenze impellenti di contenere la spesa pubblica». Nulla di fatto: un anno dopo i conti Gest Line risultano infatti ancor più prosperi, con un utile netto dell’esercizio 2004 pari a ben 50 milioni di euro ed un incremento secco del 14 per cento rispetto all’anno precedente. Filando col vento in poppa, nella primavera dello scorso anno la “macchina” partenopea di riscossione tributi è già cresciuta al punto di cominciare ad acquisire nuove partecipazioni. Fra marzo ed aprile 2005 si aggiudica infatti quasi l’intero pacchetto della Se.Ri.T. spa di Chieti (con oltre un milione e mezzo di euro in dote) e ventimila azioni della S.A.G.E.T, che gestisce il settore esattorie e tributi nell’intero Abruzzo. A maggio si sposta in Friuli, acquisendo una consistente fetta della S.F.E.T. spa di Udine (oltre 2 miliardi e mezzo di euro come capitale sociale), per concludere in bellezza gli acquisti primaverili a Milano, con l’ingresso nella compagine del colosso Esatri Esazione Tributi, forte di un capitale pari a 18 milioni e passa di euro. Prosit.

L’asta che scotta 
«Da sempre, forse già dagli anni settanta, i vari rapporti politico-camorristici consistevano in scambi di favori, in consulenze e aiuti politici per avvicinare talvolta il curatore, o il giudice, e mettere a disposizione del rappresentante camorrista della zona questo tipo di favore. Mi ricordo che quello delle aste fallimentari è stato sempre uno dei profitti illeciti. (...) Si curava, nel tempo di qualche anno, tutta la vicenda delle aste pubbliche, finché non si portava quel bene ad un determinato prezzo e poi lo acquisivano ad un prezzo basso. (...) Questo controllo a Napoli e a Roma continua ancora adesso. (...) C'è una intesa con diversi elementi, oltre che magistrati, credo anche una cerchia di professionisti, qualche cancelliere compiacente e avvocati che vivono di questo. A Napoli come a Roma».

Così parlò Pasquale Galasso, il superboss pentito della camorra, rispondendo nel 1993 alle domande di Luciano Violante, all’epoca presidente della commissione parlamentare antimafia. Dopo 16 anni lo scenario ritorna in maniera impressionante. Nei giorni scorsi le Fiamme Gialle partenopee hanno portato alla luce l’intreccio fra esponenti del clan Misso ed alcuni funzionari dell’ex Banco di Napoli per controllare il fiorente mercato illecito dei gioielli affidati al Monte dei Pegni dell’Istituto e finiti poi in aste truccate dal clan. Episodi che la dicono lunga sulle infiltrazioni della malavita organizzata nell’intero settore delle aste fallimentari, e non solo a Napoli. 
«A Milano - dice ad esempio Lorenzo Frigerio dell’associazione “Libera” - si registrano crescenti fenomeni di interessamento della malavita organizzata campana alle aste giudiziarie, ma anche episodi che un magistrato ha definito come “scoppio delle aziende”». La metodologia è semplice: «su aziende deboli, intervengono gruppi criminali organizzati che a poco a poco, con vari metodi, si sostituiscono al titolare; dopo di che, si acquistano beni e merci per valori rilevanti e rivendono anche sottocosto; l’azienda va verso il fallimento ma scompaiono anche i gruppi e i singoli soggetti che hanno operato in concreto».

Ed è proprio il ruolo della camorra - magari anche di quella “formato esportazione” - a far salire il livello di allarme per la crescita esponenziale registrata negli ultimi tre anni dal settore delle aste immobiliari, dopo la discesa in campo della Gest Line come concessionario di Palazzo San Giacomo per l’esazione dei tributi, dalla multa automobilistica all’Ici. «Almeno in un contesto fortemente condizionato dai poteri criminali come quello partenopeo - commenta il rappresentante Codacons a Napoli, l’avvocato Giuseppe Ursini - prima di arrivare all’asta pubblica bisognerebbe che tanto il concessionario, quanto l’ente pubblico creditore, adottassero tutti i provvedimenti utili a prevenire fenomeni che finiscono poi per favorire la malavita organizzata ed il suo strapotere economico. Altrimenti ci troviamo poi di fronte ad una situazione paradossale: per ripianare le casse comunali si rimpinguano quelle criminali».

Piacere, Gestline 
Per uno scherzo del destino - e davvero solo per una fortuita casualità - aveva in origine sede a Vicenza (una delle piazze italiane “servite” per la riscossione tributi dalla Gest Line spa del San Paolo IMI) la Gestline srl, quasi omonima società dedita al settore della nettezza urbana, che oggi fa capo ad uno degli indiscussi protagonisti della tangentopoli partenopea, l’ingegner Salvatore Paliotto. Mentre sua figlia Rossella scala i vertici di Confindustria, l’anziano imprenditore - che aveva rilevato la società vicentina, trasferendone la sede al Centro Direzionale di Napoli - deve vedersela in questo periodo con una nuova grana giudiziaria. 
La sua Gestline, infatti, dal ‘96 era socio privato di minoranza con il Comune di Pompei nella Interservizi, una spa costituita per il servizio di nettezza urbana e sospesa da tale incarico ad opera dei commissari prefettizi nominati dopo lo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose. Il Consiglio di Stato, infatti, nel respingere il ricorso presentato da Paliotto contro la sospensione, sottolinea come «la revoca delle delibere che avevano dato il via alla società mista Interservizi s.p.a., costituita con la Gestline , e all’affidamento alla stessa del servizio di nettezza urbana, nonché la rescissione dei conseguenti contratti di servizio, non nasce da una astratta esigenza di meglio tutelare l’interesse pubblico, ma parte dal presupposto che nella relazione della commissione d'accesso, sulla cui base è stato adottato il decreto presidenziale di scioglimento degli organi elettivi del comune, la vicenda è richiamata come una delle "procedure disinvolte e disinibite in materia di … servizi pubblici", che con il concorso degli altri elementi di giudizio hanno portato a far ritenere esistente l’infiltrazione della criminalità organizzata».

Fondata a Vicenza proprio nel 1996, Gestline aveva ufficialmente dislocato la sua sede a Napoli ad aprile ‘98 e nello stesso periodo era stata affidata alle cure dell’amministratore unico Luigi Diana, napoletano, classe 1967, cui subentra, poco più di un anno dopo, il quarantatreenne Giovanni Oliva. Sei mesi più tardi - a dicembre ‘99 - il suo posto viene preso dallo stesso Salvatore Paliotto, che attualmente veste anche i panni del liquidatore. Socio di maggioranza della Gestline è la srl AET Apparati Elettromeccanici e Telecomunicazione, sede a Lecce ma con un parterre napoletano doc: il pacchetto è suddiviso infatti fra la moglie di Paliotto, l’imprenditrice Maria Pia Incutti, ed i figli Umberto e, appunto, la rampante Rossella, cui recentemente la madre ha donato la propria quota

 
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