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Striscia di Gaza
Un pretesto per tornare
Naoki Tomasini - Tratto da Peacereporter www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=5798 

Abu Ala, docente all'università di Gaza, commenta quel che accade nella Striscia di Gaza

Abbiamo chiesto ad Abu Ala, docente all’università di Gaza, di commentare quel che sta accadendo nella Striscia di Gaza. Diciassette persone sono state uccise, ieri, nel corso dell’operazione militare “Pioggia d’Estate” che ha visto i militari israeliani tornare nelle zone delle ex colonie.  
“Sento degli spari e il rumore di bombardamenti da questa mattina alle cinque. Provengono da nord, dalle parti di Beit Lahya e Beit Hanoun ci sono elicotteri da combattimento Apache, tanks e F16, impegnati in un’incursione. Al momento sono diciassette le persone uccise.

Come procede il suo lavoro in questa situazione?
“Io insegno all’università di Gaza, che è frequentata da persone provenienti da tutta la striscia. Ma fortunatamente adesso l’istituto è in vacanza, ci sono stati gli esami finali proprio settimana scorsa. Al di la degli studenti però la distruzione dei ponti che collegano il nord al sud della Striscia, impedisce ogni spostamento a chiunque”.

Il Jerusalem Post ha parlato di “prolungate attività di sicurezza”...
“Che lo scriva un quotidiano di destra ne fa una definizione interessante perché l’esercito è vicino dalle fazioni più a conservatrici nella società israeliana. Pare evidente è che questa prolungata attività non dipende dalla cattura del soldato Shalit. L’episodio è stato usato come pretesto per rioccupare alcune parti del territorio creare una zona demilitarizzata nel nord per fermare il lancio dei razzi Qassam. Ma questa è solo una parte del piano: la seconda è iniziata con il bombardamento del ministero dell’Interno e dell’università islamica, colpita la scorsa settimana. L’obiettivo è colpire le aree civili e rioccuparne alcune. Ma non penso che intendano rioccupare tutta la striscia, sarebbe soltanto un problema per loro. Del resto è per quello che si sono ritirati l’anno scorso.”

Pensa che il rilascio del soldato rapito potrebbe risolvere la situazione?
“Ci tengo a distinguere: non penso si tratti di un rapimento,  ma della cattura di un soldato. Che cosa faceva Gilad Shalit al confine con Gaza? Era lì per sparare ai palestinesi. Giusto due giorni prima dell’episodio, le forze speciali israeliane erano entrate a Khan Younis e avevano rapito due palestinesi. E ancora, erano i soldati ai confini della Striscia quelli che, poche settimane fa, hanno bombardato la spiaggia di Gaza sterminando la famiglia della piccola Ghalia. Centinaia di tank sono stati ammassati ai confini di Gaza nelle settimane precedenti la sparizione del soldato Shalit. Tutto quello che succede adesso era programmato. La cattura del soldato è una scusa. Quello che hai chiamato rapimento è solo un episodio in una lunga storia di occupazione e resistenza. Nel contesto: questa è una guerra e in guerra i soldati nemici sono catturati, non rapiti come fossero civili innocenti. Tutto quello che è successo a Gaza nelle ultime settimane è una grave violazione della convenzione di Ginevra, lo hanno sostenuto anche molte importanti organizzazioni internazionali”.

Ora i leader di Hamas al momento sono latitanti…
“Credo che così abbiano più potere, perché ritornano alle origini, più vicini alla resistenza. Penso che lo scopo di questi attacchi sia scaricare il governo democraticamente eletto dei palestinesi. Io non sono un sostenitore di Hamas, ma devo rispettare le scelte democratiche. Credo fermamente che Israele, gli Usa e alcuni regimi arabi confinanti abbiano cospirato per scaricare l’unico governo democraticamente eletto in medio oriente. Questo ostracismo però, ottiene l’effetto opposto. È una costante di ogni lotta al colonialismo: quanto più un gruppo subisce continua a resistere, tanto maggiore è il consenso popolare che ottiene. È successo in Algeria e anche in Sud Africa. La resistenza è la sola possibilità rimasta alla gente in Palestina. Oltre alla morte”.

E Abu Mazen?
“Non è una coincidenza che Israele abbia intensificato le operazioni militari lo stesso giorno dell’accordo annunciato tra Fatah e Hamas sul documento dei prigionieri. Quello è il motivo per cui oggi Abu Mazen è prigioniero a Gaza insieme al resto dei palestinesi della Striscia: deve affrontare gli stesi pericoli di tutti loro. Mazen ha tentato una mediazione per sbloccare la situazione, ma personalmente ritengo che la sola cosa che dovrebbe chiedere sia la liberazione delle migliaia di prigionieri nelle galere israeliane. A cominciare dalle 145 donne e 400 bambini.

 
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