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Sottovalutare la capacità mediatica e soprattutto condizionante dell'imprenditore-operaio, nonché ex «muratore» alla ditta «edile» Gelli, al secolo Silvio Berlusconi, è grave e fuorviantemente pericoloso! Per il Premier infatti, non è importante che i (suoi) media parlino bene o male di lui o del suo operato: la cosa fondamentale è che ne «parlino».
Berlusconi,
gaffes e frasi storiche
di Diego Gabutti - «Il Nuovo» 17 settembre 2003
L'una s'affida
all'effimero della cronaca
L'altra proietta la sua
ombra nei secoli
Ma occhio: la gaffe non è involontaria
Il premier se le studia
tutte a tavolino
Prima
delle gaffes, che oggi sembrano danneggiare l’immagine del
nostro Presidente del Consiglio, c’erano le “frasi storiche”, che
un tempo invece alimentavano la leggenda dei grandi uomini di stato, dei
generalissimi, dei re e degl’imperatori.
Naturalmente
le gaffe, esattamente come le frasi storiche, non danneggiano
nessuno. Sono biglietti da visita col botto: sentite questa, eccomi qua.
Gaffe e frasi storiche sono abiti tagliati su misura dei
potenti in una stessa sartoria, dove si cuciono insieme vanagloria e
mezze verità. Sono abiti esagerati, sempre di due o tre misure troppo
grandi.
Sono anzi abiti spropositati. Alla lettera: ogni frase celebre nasconde
uno sproposito. Forse hanno destinazioni diverse: mentre la gaffe
s’accontenta d’un posto al sole nella cronaca quotidiana, tra le
barzellette e i boatos strillati dalla stampa, la frase storica
si sforza d’allungare la sua ombra nei secoli.
E non sono esattamente la stessa cosa: la gaffe è soltanto la
caricatura della frase storica. Ma tra loro c’è una parentela
stretta: sia il grande gaffeur di Palazzo Chigi (“Mussolini non
ammazzava nessuno, i magistrati sono disturbati mentali”) che Giulio
Cesare sul Rubicone (“il dado è tratto”) o Garibaldi a Teano
(“obbedisco”) affidano il proprio messaggio politico e la propria
immagine pubblica a un motivetto orecchiabile, a una massima da
cioccolatino. Vogliono farsi apprezzare dai tifosi e mettere in allarme
gli avversari. Gaffe e frase storica sono l’essenza stessa della
demagogia: calcolo puro, raro il lapsus, rarissima l’improvvisazione.
Berlusconi,
del resto, non è il solo grande gaffeur sulla piazza italiana.
Oggi i politici, per ottenere udienza dai media, ricorrono
sistematicamente alla gaffe. C’è un grande gaffeur dietro
Lamberto Dini che accusa Israele d’essere “uno stato terrorista” e
dietro Piero Fassino quando accusa Berlusconi d’essere “il
burattinaio” segreto del caso Telekom-Serbia.
Naturalmente
è significativo che i politici moderni, un po’ per farsi capire e un
po’ per tenere banco nei notiziari televisivi, debbano ricorrere al
rullo di tamburi della gaffe. Cioè non all’arte della madre
dei Gracchi o di Riccardo III ma a quella di Mike Bongiorno. Meglio così:
il moderno politico occidentale, grazie al cielo e alle disgrazie che la
storia ci ha tirato addosso, non si fa troppe illusioni su se stesso, a
differenza dei suoi predecessori, molto più pericolosi e megalomani di
lui. Sa di non essere stato inviato dalla Provvidenza e che lo Spirito
Assoluto può fare benissimo a meno di lui.
Ancora
al tempo di Mussolini — prima che tutti gli uomini del destino
andassero incontro al loro meritato destino — il potente occidentale
aveva un’alta opinione di sé e del proprio ruolo storico. Per questo
Mascellone si sforzava di parlare, poveretto, come le illustrazioni dei
sussidiari scolastici: “Se avanzo seguitemi, li fermeremo sul
bagnasciuga, se indietreggio uccidetemi”. Non erano ancora gaffe nel
senso di Berlusconi e Fassino ma già non erano più frasi storiche.
Nel corso
del XX secolo la frase storica è definitivamente passata al nemico:
l’umorismo involontario, il balbettio, il discorso a pera. Nella gaffe,
invece, sopravvive qualcosa dell’antica eloquenza e l’umorismo è
quasi sempre volontario, come quando Mike Buongiorno, un maestro di
modernità, strepita in diretta televisiva, con finta ingenuità: “La
signora mi è caduta sull’uccello”. A questo modello insuperato e
forse inimitabile s’ispirano Berlusconi e tutti gli altri.