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La
verità sul Fondo Monetario Internazionale
Salvatore
Tamburro – www.pressante.com
L'Accordo Istitutivo acquisì efficacia nel 1945 e
l'organizzazione nacque nel maggio
I suoi obiettivi sono (dovrebbero essere):
- Promuovere la cooperazione monetaria internazionale
- Facilitare l'espansione del commercio internazionale
- Promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio, evitando
svalutazioni competitive
- Dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili, con adeguate
garanzie, le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia
dei pagamenti
- In relazione con i fini di cui sopra, abbreviare la durata e ridurre
la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati
membri.
Ogni membro (attualmente 185 paesi) può accedere al
credito del fondo (SBA ed EFF), in un anno, fino al massimo del 100%
delle quote sottoscritte e, cumulativamente, fino al massimo del 300%;
l'ammontare dei prestiti può essere elevato in casi eccezionali.
Il Fondo Monetario Internazionale è fortemente criticato dal movimento
no-global e da alcuni illustri economisti, come il Premio Nobel per
l’economia Joseph Stiglitz, che lo accusano di essere un'istituzione
manovrata dai poteri economici e politici del cosiddetto Nord del mondo
e di peggiorare le condizioni dei paesi poveri anziché adoperarsi per
l'interesse generale.
Il sistema di voto, che chiaramente privilegia i paesi
"occidentali", è considerato da molti iniquo e non
democratico. Il FMI è accusato di prendere le sue decisioni in maniera
poco trasparente e di imporle ai governi democraticamente eletti che si
trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche.
Il board esecutivo e il board dei governatori del FMI non
danno a tutti i Paesi la stessa possibilità di essere rappresentati.
L’assegnazione del numero dei voti è basata sul sistema “un dollaro
un voto”, che quindi antepone la ricchezza alla democrazia. I paesi più
ricchi controllano il board esecutivo sia in termini di seggi che di
voti, nonostante il Fondo sia quasi completamente impegnato in Paesi a
basso e medio reddito. Questo sistema, creato durante il periodo
coloniale e controllato dai governi dei Paesi sviluppati, è inadeguato
e necessita di essere radicalmente modificato.
Perciò molti economisti, rappresentati del governo e associazioni
chiedono una struttura del Fondo che sia realmente democratica, che
abbia gli stessi standard di democrazia richiesti a livello nazionale.
Per raggiungere questo obiettivo, si auspica l’adozione immediata di
un sistema di voto a doppia maggioranza. Le decisioni dei board
dovrebbero essere prese solo con il consenso della maggioranza dei
governi membri e con la maggioranza dei voti a favore. Il sistema “un
Paese, un voto” contro-bilancerebbe il sistema “un dollaro, un
voto”. La combinazione dell’attuale sistema di voto con la richiesta
di un accordo della maggioranza dei governi membri contribuirebbe a
superare l’ineguaglianza che caratterizza il meccanismo decisionale
del FMI.
Come espresso prima Joseph Stiglitz ha apertamente
criticato l’operato del Fondo Monetario Internazionale.
Stiglitz ha rivestito ruoli rilevanti nella politica economica. Ha
lavorato nell'amministrazione Clinton come Presidente dei consiglieri
economici (1995 –1997); alla Banca Mondiale ha assunto la posizione di
Senior Vice President e Chief Economist (1997 – 2000), prima di essere
costretto alle dimissioni dal Segretario del Tesoro Lawrence Summers.
Stiglitz esprime il suo disappunto per la politica del FMI nel suo libro
intitolato "Globalization and Its Discontents" 92 ("La
globalizzazione e i suoi oppositori"), dove analizza gli errori del
FMI e della gestione delle crisi finanziarie che si sono susseguite
negli anni novanta, dalla Russia ai paesi del sud est asiatico
all'Argentina. Stiglitz illustra come la risposta del FMI a queste
situazioni di crisi sia stata sempre la stessa, basandosi sulla
riduzione delle spese dello Stato, una politica monetaria deflazionista
e l'apertura dei mercati locali agli investimenti esteri. Tali scelte
politiche venivano di fatto imposte ai paesi in crisi ma non
rispondevano alle esigenze delle singole economie, e si rivelavano
inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi.
Stiglitz critica il FMI su diversi punti.
Analizzando la crisi dell’Est asiatico, Stiglitz ricorda che il 2
luglio 1997 crollò il baht tailandese che segnò l’inizio della più
grande crisi economica dai tempi della Grande depressione, una crisi che
partendo dall’Asia sarebbe andata a colpire anche Russia e America
Latina.
Il baht, che per dieci anni era stato scambiato con un rapporto di 25:1
rispetto al dollaro, dalla sera alla mattina subì una svalutazione di
circa il 25 per cento.
Ormai la crisi è passata ma sfortunatamente le politiche
imposte dal FMI durante quel periodo tumultuoso hanno peggiorato la
situazione, e in molti casi hanno provocato addirittura l’inizio di
una crisi: secondo Stiglitz una liberalizzazione eccessivamente rapida
dei mercati finanziari e dei capitali è stata probabilmente la causa
principale della crisi, sebbene vi abbiano condotto anche alcune
politiche sbagliate condotto dai singoli paesi.
Oggi gli esperti del FMI hanno riconosciuto molti errori, ma non tutti.
Si sono resi conto, per esempio, di quanto possa essere pericolosa una
liberalizzazione troppo rapida del mercato dei capitali, ma è un
cambiamento di opinione che arriva quando ormai è troppo tardi per
aiutare i paesi in difficoltà.
Nei tre decenni precedenti alla crisi, l’Est asiatico non
era soltanto cresciuto più velocemente di qualsiasi altra regione del
mondo, più o meno sviluppata, riuscendo addirittura a ridurre la povertà,
ma aveva anche acquisto stabilità e si era salvato dagli alti e bassi
che caratterizzavano tutte le economie di mercato.
Tanto che quei risultati positivi vennero descritti come “il miracolo
asiatico”.
Quando scoppiò la crisi però il FMI e il Tesoro degli Stati Uniti
fecero aspre critiche contro questi paesi, incolpandoli di avere dei
governi corrotti e urgeva una riforma radicale.
Stiglitz però si interroga: “come è possibile che le istituzioni di
questi paesi abbiano funzionato così bene per tanto tempo se sono marce
e corrotte?” . La risposta si evinse chiaramente dalla relazione
intitolata “The East Asian Miracle” realizzata dalla Banca Mondiale
su pressione dei giapponesi: quei paesi asiatici avevano avuto successo
non solo malgrado il fatto di non aver seguito il diktat del Washington
Consensus, ma proprio perché non li avevano seguiti; fu così
evidenziato l’importante ruolo svolto dai governi.
Mentre le politiche del Washington Consensus mettevano in
risalto la privatizzazione, i governi asiatici a livello nazionale e
locale davano contributi per la creazione di imprese efficienti che
hanno svolto un ruolo decisivo nel successo di alcuni di questi paesi.
Quando cominciò la crisi, l’Occidente non ne colse la gravità.
Il FMI per risolvere la crisi impose un’impennata dei tassi
d’interesse e tagli alle spese, nonché di introdurre nei paesi
cambiamenti sia economici che politici.
Il FMI stava fornendo miliardi di dollari a questi paesi, ma a
condizioni di così ampia portata che i paesi che accettavano i
finanziamenti finivano per rinunciare a gran parte della loro sovranità
economica.
Nonostante ciò, i programmi del FMI sono falliti:
avrebbero dovuto arrestare la caduta dei tassi di interesse, che invece
si sono mantenuti in discesa, senza che il mercato abbia minimamente
dimostrato di aver preso atto che fosse arrivato il FMI a “salvare la
situazione”. Imbarazzato dal fallimento della sua ricetta il FMI ha
puntualmente incolpato il paese di turno di non aver attuato sul serio
le riforme necessarie.
Con l’aggravarsi della crisi aumentò la disoccupazione: la
percentuale di disoccupati era quadruplicata in Corea, triplicata in
Thailandia e decuplicata in Indonesia.
Il rallentamento nella regione ha avuto ripercussioni globali:la
crescita economica complessiva fu rallentata e, con questo
rallentamento, sono crollati i prezzi delle materie prime.
Secondo il premio Nobel americano, a generare le crisi
economiche dall’Est asiatico all’America Latina, dalla Russia
all’India, ritiene che la colpa vada imputata alla liberalizzazione
dei movimenti di capitali. Secondo Stiglitz essa può creare rischi
enormi persino in quei paesi che hanno banche forti, borse valori mature
e altre istituzioni che molti di quei paesi in crisi non possedevano.
Nonostante egli esempi del passato, il FMI ripropone la sua ricetta di
liberalizzazione dei capitali, nella bizzarra ipotesi che questa
migliorerebbe la stabilità economica attraverso una maggior
diversificazione delle fonti di finanziamento. Basterebbe però
analizzare i dati relativi ai flussi di capitali per rendersi conto che
essi hanno un andamento prociclico, cioè defluiscono da un determinato
paese in tempi di recessione, proprio quando il paese ne ha più
bisogno, e affluiscono verso il paese nel periodi di rapida espansione,
esasperando le pressioni inflazionistiche.
Analizziamo due casi:
Il FMI si giustificava dicendo che le sue politiche
avrebbero aiutato a riportare la fiducia nei mercati dei paesi colpiti.
Ma chiaramente un paese in piena recessione non ispira alcuna fiducia.
2. Confrontando quello che è successo in Cina invece, che
come
Mentre i paesi in via di sviluppo con mercati dei capitali
liberalizzati hanno registrato un declino dei redditi, l’India è
cresciuta di oltre il 5% e
Conn Hallinan è analista in politica estera al Foreign Policy, ed
insegnante di giornalismo all’Università della California a Santa
Cruz. Hallinan scrive che l’ultima vittima in ordine di tempo del FMI
sia stata appunto l’Argentina: la terza economia, per importanza,
dell'America Latina è stata fatta deragliare dalle politiche del Fondo
Monetario Internazionale che hanno già devastato popolazioni ed
economie da Mosca a JaKarta riempiendo al contempo i forzieri delle
banche e delle organizzazioni finanziarie.
Secondo Hallinan il mito più diffuso riguardo al FMI è
che si tratti di un organismo “internazionale". Infatti, ha molti
membri ma gli Stati Uniti ed i suoi alleati prendono tutte le decisioni.
L'Olanda, ad esempio, ha più potere di voto della Cina e dell'India.
"Internazionale" sarebbe quindi una comoda finzione che
permette all'organizzazione di evitare il controllo del Congresso.
Quello che il FMI fa è di fare un'offerta che non è possibile
rifiutare.
Quando L’Argentina attraversò un periodo economico burrascoso
all’inizio degli anni ’90, il Presidente Bush (senior) e il Fondo
offrirono un prestito condizionato all’ancoraggio del Peso Argentino
al Dollaro, alla totale privatizzazione di banche e servizi, alla
rimozione di dazi doganali ed alla liberalizzazione della circolazione
dei capitali.
L’Argentina ha abboccato e i capitali stranieri sono
affluiti. Per alcuni (i benestanti) l’economia decollò, ma legare il
peso al dollaro ha reso le esportazioni argentine proibitive mentre
l’inondazione di importazioni estere a basso costo ha minato la base
industriale del paese: chiusura di fabbriche, diffusione della
disoccupazione ed implosione del debito. La libera circolazione dei
capitali ha permesso a compagnie straniere di spillare profitti
all’estero ed ha aperto le porte ai “vulture funds”, che hanno
acquistato gran parte del debito per fare il colpo grosso con gli
elevati tassi d’interesse.
Il fondo Toronto Trust Argentina98 ha avuto un ritorno del 79,25% sui
debiti acquistati pari a trenta volte quello che avrebbe realizzato con
i Bonds del tesoro statunitensi.
L’effetto delle privatizzazioni proposte dal FMI
portarono una compagnia francese ad acquistare gli acquedotti del paese
e aumentare le tariffe del 400%.
L'Argentina era guardata dal mondo come il paese dove il pensiero unico
del F.M.I. e della Banca Mondiale aveva vinto. Un miracolo economico! Ma
le privatizzazioni prima o poi finiscono, lo squilibrio commerciale
resta, lo Stato deve drenare denaro sui mercati internazionali
attraverso prestiti internazionali in valuta, ad ogni giro i tassi
salgono e il rating diminuisce. I tassi alti scoraggiano l'economia e
per tre anni l'Argentina va in recessione. Le Grandi Famiglie (3% della
popolazione) incominciano a cambiare i pesos in dollari. Servono altri
prestiti, sempre più cari.
A questo punto scoppia la crisi finanziaria.
Nessuno presta più soldi all'Argentina che è costretta a tagliare del
13% i salari pubblici e a bloccare totalmente la spesa pubblica. Neanche
questo basta, ed ecco l'F.M.I., caritatevole, giungere in soccorso,
prestando 8 miliardi di dollari . con una clausola, però, che
l'Argentina aderisca al F.T.A.A. (Free Trade Area of the Americas) cioè
si apra al libero scambio con gli USA.
Doppia trappola: il deflusso di dollari non potrà che
aumentare, per il libero scambio e in più si mette in ginocchio il
Brasile e si fa saltare il Mercosur (il Mercato dell'America del sud).
La crisi finanziaria argentina è solo rimandata di qualche mese: una
boccata d'ossigeno per l'UBS, Citygroup e Chase Manhattan e altre grandi
banche che hanno ancora qualche mese per “securizzare” i propri
crediti, cioè farli scomparire nel risparmio gestito di fondi pensione.
Quando la stessa cosa avvenne in Messico nel
Dopo il Sud Est asiatico e
Meraviglie della globalizzazione dei mercati finanziari!
Ma a dicembre del 2001 la crisi esplode senza remissione. Prima
l'annuncio del default sul debito, bonds sovereign e local market
instruments collocati compiacentemente sui mercati internazionali per un
valore di oltre 58 miliardi di dollari vanno in default. Il Ministro
dell'Economia Domingo Cavallo tentò un ultimo colpo da presitigiatore
finanziario: lo Swap del debito.
Tassi al 7% invece del 30% e più e allungamento delle scadenze. I
mercati non accettano. Gli argentini così incominciano a dubitare che
un dollaro valga un peso. Le banche sono prese d'assalto per cambiare
pesos in dollari. I capitali defluiscono e con essi la possibilità di
far fede agli impegni assunti con il F.M.I. In più la crisi riduce i
profitti e i consumi. Crollano dunque anche le entrate fiscali e
l'obiettivo del `deficit di bilancio zero torna ad essere quello che era
sempre stato: una pura utopia. Si limita la possibilità di ritirare
denaro a 1.000 dollari mese. I bancomat vengono presi d'assalto e presto
vanno in Tilt. Ormai è crisi di liquidità. Il F.M.I. nega la `tranche'
di oltre 1 miliardo di dollari dell'ultimo accordo di sostegno.
Anche loro sanno che sarebbe ormai solo una goccia in un
mare di debiti. Iniziano gli assalti ai supermercati e la crisi che
tutti conosciamo.
Il crac in Argentina non può essere imputato semplicemente alla
corruzione nazionale ma al sistema “politico” del FMI che, invece di
sostenere una partecipazione vera nello sviluppo della nazione, ha
introdotto meccanismi monetaristici che hanno portato alla rovina
economica il paese.
Tra Paesi che soccombono in crisi finanziarie, c’è invece un paese
che si libera dal debito nei confronti del FMI e Banca Mondiale, ovvero
il Venezuela del Presidente Hugo Chàvez.
Il paese sudamericano ha estinto il debito con il Fondo Monetario
Internazionale e
Il Venezuela ha recuperato interamente la sua sovranità; le sue orme
potrebbero essere seguite da tanti altri paesi sudamericani od europei.
Naturalmente tutto dipende se al tavolo delle trattative si indossi la
veste del finanziatore pro-lobby o del debitore.
Fonti:
http://bankitaliasignoraggioenwo.blogspot.com
www.imf.org
STIGLITZ J., La globalizzazione
e i suoi oppositori Torino, Einaudi, Torino (2002)
www.foreignpolicy.com
http://www.aamterranuova.it