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Puritani e la fondazione degli Stati Uniti
d’America
Tratto da “Storia
non romanzata degli Stati Uniti d’America” di Kleeves
Quanti
conoscono la vera storia
della nascita degli Stati Uniti d’America?
Non mi riferisco alla propaganda ufficiale, in cui il galeone Myflower
salpato il 6 settembre 1620 dall’Inghilterra, con a bordo 100 o 101 o
102 (a seconda delle versioni) Pilgrim
Fathers, Padri Pellegrini,
sarebbe giunto nel Nuovo Continente dopo due mesi di navigazione.
Intendo la vera storia, sconosciuta agli stessi americani, che aiuta a
comprendere il passato e il presente dell’impero coloniale americano,
dedito a liberalizzare i mercati del mondo, ad arraffare e conquistare
risorse di altri paesi, invadere Stati sovrani per esportare la
democrazia.
E’ necessario fare un salto nel passato partendo dal Medioevo.
Il
Medioevo europeo
I
romani vedevano la società in termini di collettivo; ognuno di loro si
sentiva una parte del tutto. Di qui l’organizzazione statale che si
diede, altamente collettivista, burocratizzata, militarizzata. Al
vertice dell’organizzazione non stava un Parlamento, ma un uomo solo.
Le decisioni prese dai Parlamenti sono il frutto di compromessi e
mediazioni fra interessi diversi.
L’Impero Romano scoraggiò l’iniziativa privata, perché tutto era regolato dallo Stato! In particolare l’Impero
annullò quasi del tutto i traffici commerciali privati, sia per terra
che per mare e la figura del commerciante era sempre mal tollerata anche
nella Roma repubblicana, divenne sempre più rara in tutto l’impero,
sino a scomparire pressoché totalmente.
Il modo di interpretare i rapporti umani in termine di collettivo fu una
delle chiavi del clamoroso successo romano: la creazione dell’unico
impero mondiale della Storia.
L’altra
chiave fu il loro ateismo di fondo, a dispetto della loro complicata
impalcatura religiosa. Ciò non impedì ai romani di adottare la
religione cristiana, anche se non in toto.
Questa religione si basa sull’intera Bibbia, che contiene due
parti, il Vecchio e il Nuovo Testamento, le quali espongono una
teoretica che si presta a fare da ideologia
razionalizzatrice-giustificatrice rispettivamente per una visione
individualistica (Vecchio Testamento) è una collettivistica (Nuovo
Testamento) della vita e dei rapporti umani.
Non
piacevano invece, ai romani le scritture ebraiche, fra le altre cose, la
concezione di popolo eletto urtava contro la loro percezione di
unità del genere umano, il loro universalismo.
Così per farsi accettare dall’Impero, la religione cristiana, pur
mantenendolo nominalmente nel proprio corpo dottrinario, all’atto
pratico abbandonò ogni riferimento al Vecchio Testamento e divenne la
religione cattolica nella parte occidentale dell’Impero e, più tardi,
la religione greco-ortodossa in quella orientale.
Caduto
nel 476 l’Impero d’Occidente, iniziò per l’Europa il periodo
cosiddetto del Medioevo: un periodo di totale continuità culturale con
il passato. Non c’era più un’autorità politica centrale,
sostituita parzialmente dalla Chiesa di Roma, ma dal punto di vista
della vita di tutti i giorni le cose cambiarono ben poco.
La logica feudale del tempo si adattava abbastanza alla loro concezione:
la terra era di Dio, e quindi di tutti; per esigenze pratiche la Chiesa,
rappresentante di Dio, ne affidava l’amministrazione ai nobili, che
sopraintendevano quindi all’attività di tutti gli altri,che erano
considerati uguali, tutti - chi più chi meno - “servi della gleba”.
Emblematica è la teoria medioevale del giusto prezzo, che era il
massimo prezzo cui poteva essere venduta una merce, calcolato in base ai
contenuti di materie prime, lavorazione e qualità finale.
I traffici privati, così, continuavano ai soliti livelli minimi del
tempo dell’Impero, mentre invece quelli interregionali e
internazionali, allora gestiti dall’autorità centrale, erano cessati
o divenuti sporadici.
Con
le Crociate inizia la fine del Medioevo. Le Crociate furono otto, la
prima nel 1096 e l’ultima nel 1270. Esse ebbero l’effetto di portare
gli europei a un contatto da secoli mai così profondo con il mondo
arabo, le sue merci, la sua superiore cultura e le sue superiori
cognizioni scientificotecnologiche, iniziando così una catena di eventi
che avrebbe cambiato il volto non solo dell’Europa, ma del mondo
intero. Iniziarono i primi commerci privati, via mare e via terra, per
portare in Europa le novità dell’Oriente. Sorsero i primi magazzini,
aziende di import-export, e con queste, naturalmente, i primi
commercianti e imprenditori.
Attraverso gli arabi arrivarono in Europa alcune invenzioni cinesi di
grande portata: la polvere da sparo, le lenti ottiche e i caratteri da
stampa mobili, usati in Cina circa dall’anno 700.
Nei
due secoli successivi si svilupparono le conseguenze di quelle premesse:
i commerci crebbero in modo esponenziale, soprattutto nelle zone
dell’Europa settentrionale, le meno influenzate dalla mentalità
romana. Aumentò di molto la circolazione del danaro, e di tutti quegli
strumenti atti ad agevolarla, come lettere di credito, cambiali,
transazioni bancarie. Per l’anno 1500 in Inghilterra il secolare
sistema del baratto era stato completamente sostituito dall’uso del
danaro; anche paghe e salari erano corrisposti in danaro. Aumentarono di
conseguenza i commercianti e gli imprenditori, attorno ai quali si formò
una categoria di personaggi
Lo
sviluppo dei commerci creò una forte domanda di ordine, sicurezza dei
trasporti, uniformità di leggi e regolamenti.
La scoperta del cannone, un’arma costosa, stava però rafforzando le
monarchie. Il perfezionamento dei caratteri da stampa terminato da
Gutenberg verso il 1450 permise la diffusione di molti libri in latino.
Grazie all’effetto combinato dello sviluppo dei commerci, del
rafforzamento delle monarchie e dell’imporsi di lingue locali le varie
ex province dell’impero cominciarono a sentirsi delle entità autonome
da ogni punto di vista, economico, politico, culturale e cominciarono a
originare gli Stati nazionali europei, i primi dei quali furono le
monarchie di Portogallo, Spagna, Francia e Inghilterra.
La Riforma Protestante
Fece
la comparsa una nuova mentalità in seno all’Occidente, una mentalità
che sul piano economico si esprime col capitalismo.
Lo sviluppo del commercio privato, e delle attività a esso correlate,
aveva solo creato tanti commercianti e imprenditori vari; in altre
parole, tante persone dedite all’accumulo di ricchezza tramite attività
private.
Non
era mai stato creato un sistema capitalistico. L’avidità di
per sé non crea il capitalismo crea tante persone che, quando le
condizioni esterne sono adatte, accumulano potere di acquisto, cessando
tale attività quando le condizioni esterne non sono più favorevoli. Un
sistema capitalistico si ha invece quando tali condizioni favorevoli
sono sistematicamente ricercate, e su di esse è basato il funzionamento
della società. L’avidità è una condizione necessaria, ma non
sufficiente, per la vita di un sistema capitalistico. Per questo occorre
che l’avidità sia giustificata.
Tale giustificazione fu offerta dalla Riforma Protestante.
Viene
da chiedersi se nell’Europa del tempo ci sarebbe stata la Riforma
Protestante se contemporaneamente Gutenberg non avesse introdotto i suoi
caratteri da stampa mobili, che permettevano di stampare libri a una
velocità sino allora impensabile.
Gutenberg cominciò a stampare il primo libro nel 1450 e per l’anno
1500 si calcola che in Europa fossero già in circolazione dai 15 ai 20
milioni di libri. Erano quasi tutti bibbie, compreso il primo, la famosa
edizione di Gutenberg finita nel 1455.
Il
Vecchio Testamento, quello scheletro nell’armadio che la Chiesa
Cattolica si era silenziosamente portato dietro per tanti secoli, era
stato scoperto; la mina vagante aveva urtato l’Europa. Iniziava così
la Riforma Protestante.
La Riforma Protestante nasce infatti dalla constatazione che tutta
l’organizzazione gerarchica e gran parte dei dogmi, dei sacramenti,
delle credenze e consuetudini che la Chiesa di Roma aveva trovato nel
Nuovo Testamento, nel Vecchio Testamento non trovano riscontro alcuno,
anzi in genere sono chiaramente contraddetti.
Con
l’avvento della stampa tutte quelle critiche alla Chiesa di Roma
ebbero grande risonanza e addirittura si moltiplicarono. Lo scisma che
portò alla nascita della religione protestante iniziò con le obiezioni
del tedesco Martin Luther (1483-1546), per gli italiani Martin Lutero,
che nel 1517 affisse le sue 95 tesi sul portone del duomo di Wittemberg,
seguito rapidamente da molti altri teorici, fra i quali particolarmente
importanti l’avvocato francese Jean Chauvin (1509-1564), Giovanni
Calvino per gli italiani.
La religione protestante si impose rapidamente e in modo uniforme in
tutta l’Europa settentrionale a eccezione dell’Irlanda, e a macchia
di leopardo nell’Europa centrale; non ebbe invece alcun successo
nell’Europa meridionale, in particolare in Portogallo, Spagna e
Italia. In Gran Bretagna le cose andarono un po’ diversamente.
Nominalmente
entrò nel panorama protestante nel 1534, quando il re Enrico VIII,
sottraendola al papa, rivendicò per sé la suprema autorità sulla
Chiesa Cattolica inglese, che da allora si chiamò Chiesa Anglicana.
La Riforma protestante fu dunque uno scisma in seno alla religione
cattolica dovuto al fatto che una vasta parte dei fedeli, diciamo così,
di quest’ultima si accorse che il suo insegnamento non corrispondeva
esattamente con la Bibbia.
Mentre il Nuovo Testamento è un corpo dottrinario che implica una
visione collettivista della vita e dei rapporti umani, il Vecchio
Testamento ne implica una individualista.
Come
vuole il Dio del Vecchio Testamento che si comportino gli uomini per
essere approvati? Egli non dice “ama il prossimo tuo come te
stesso”, ma dà una serie di dettagliate prescrizioni - i comandamenti,
che in totale sono 613, dei quali i primi in ordine di tempo sono i
Dieci Comandamenti - osservate le quali c’è sicuramente
l’approvazione. In questi comandamenti non c’è alcun accenno alla
fratellanza di tutti gli uomini, alla loro uguaglianza, al rispetto cui
ognuno ha diritto.
Non c’è alcuna condanna dell’egoismo materiale e dell’ingordigia;
nessuna condanna dell’accumulazione individuale di ricchezza o di
proprietà privata; dello sfruttamento di uomini da parte di altri
uomini, sino al punto che la schiavitù è presa come un dato di fatto.
Si può essere malvagi di animo, ma se si riesce a rispettare la forma
dei precetti, magari con astuzie e cavilli, l’approvazione non mancherà
(specialisti in questo erano quei Farisei coi quali ebbe a scontrarsi
Gesù).
Lo “Stato” non esiste; il “bene comune” non esiste.
Contrariamente
a quanto insegnato e fatto da Gesù, la ricchezza materiale non è
condannata nel Vecchio Testamento, anzi, essa è addirittura considerata
come il segno tangibile del favore divino.
Tutto
quanto detto sopra fu condensato da Giovanni Calvino in pochi concetti:
Non si ha l’obbligo di fare bene agli altri; ognuno deve pensare a sé
stesso; l’unico obbligo è quello di seguire alla lettera i
Comandamenti; la salvezza avviene per via di
In
poche parole, lo scopo della vita è di cercare di diventare ricchi!
Si chiede solo il rispetto formale dei Comandamenti. Fatta la legge
trovato l’inganno, e nel rispetto formale dei Comandamenti si può
compiere qualunque ingiustizia sostanziale nei riguardi del prossimo.
Infine
nel Vecchio Testamento c’è il concetto di popolo eletto, che
per definizione è contraddistinto dalla prosperità materiale.
Era questa la nuova interpretazione della vita cercata dai nuovi ricchi
dell’Europa del Quattro-Cinquecento. L’avidità di beni materiali
aveva trovato una giustificazione, l’ideologia protestante.
La contemporaneità, in pratica, della comparsa nell’Europa del primo
Cinquecento del Capitalismo e del Protestantesimo, e il fatto che queste
due prassi abbiano la stessa giustificazione ideologica non è certo
sfuggito a storici e sociologi, il solo dubbio essendo a quale dei due
fenomeni attribuire la parte della causa e a quale quella
dell’effetto.
Nell’Europa del Cinquecento i Protestanti, dove arrivarono, spinsero
sempre per l’eliminazione della monarchia e in subordine, se ciò non
era possibile, per affiancarle almeno un Parlamento, che tramite i
requisiti minimi patrimoniali sempre richiesti agli elettori era sempre
espressione della borghesia molto agiata.
Il
Vecchio e Nuovo Testamento riflettono due modi assolutamente antitetici
di vedere la vita. In effetti sono due religioni diverse.
Martin Lutero e i suoi seguaci, dai quali derivarono principalmente la
Chiesa Luterana, Battista e la Metodista, cercarono di conciliare il più
possibile i due Testamenti. Giovanni Calvino e i suoi seguaci, dai quali
ebbero origine una miriade di denominazioni diverse nella forma ma non
nella sostanza, fra le quali le più importanti sono la Chiesa
Presbiteriana e la Chiesa Riformata, trascurarono nei fatti anche se non
nelle parole ogni concetto espresso da Gesù.
Vecchio
e Nuovo Testamento non sono logicamente conciliabili e quindi il
luteranesimo risulta un corpo dottrinario un po’ confuso, incerto, che
dal punto di vista culturale lascia ancora dei disagi esistenziali; il
calvinismo invece è una dottrina altamente coerente, logica. Questa
differenza spiega il tipo di diffusione che ebbe il Protestantesimo nel
Cinquecento. Il luteranesimo, nelle sue varie denominazioni, si diffuse
a macchia d’olio su aree vaste dove ogni tanto c’erano zone o città
commercialmente sviluppate: esso andava bene ai commercianti e ai ricchi
in genere ma non urtava eccessivamente la massa nullatenente ex
medioevale. Esso prese piede nella Germania settentrionale, nella
penisola scandinava e sulle coste baltiche.
Il
calvinismo invece si diffuse in modo molto selettivo, in aree piuttosto
ristrette (almeno inizialmente) dove i commerci erano molto sviluppati.
Esso attecchì in alcuni centri della Germania settentrionale, della
Francia, della Polonia e della Svezia. Le aree di maggior successo
furono invece la Svizzera, l’Olanda e la Gran Bretagna, specie in
Galles e Scozia. In Inghilterra i calvinisti erano frazionati in varie
denominazioni: c’erano i Presbiteriani,i Riformati, i Separatisti e i
Puritani. Questi ultimi, inizialmente chiamati i Precisi (Precisians),
si distinguevano per l’implacabile interpretazione letterale del
Vecchio Testamento e per la sorprendente totale omissione del Nuovo.
Essi, tutti commercianti e arricchiti vari, erano l’ala destra del
calvinismo europeo.
Con
l’arrivo dei Protestanti iniziò in Europa un periodo di sommovimenti
e guerre civili che durò sin quasi al Settecento.
I Protestanti volevano o abolire le monarchie o almeno affiancare loro
dei Parlamenti eletti dai ricchi. Le diatribe sui dogmi, sulla Trinità,
sulla libertà di culto, sull’autorità del Papa e così via erano
solo una scusa per provocare, per tirare la corda, e per prepararsi al
confronto, anche armato. Le lotte del periodo vedevano sempre da una
parte i Protestanti e dall’altra una monarchia, la Chiesa Cattolica.
Durante questo periodo di guerre civili alcune delle frange più estreme del Protestantesimo europeo, che erano tutte calviniste, abbandonarono a varie riprese l’Europa, un po’ perché minacciate dai vincitori del momento e un po’ perché allettate dalla fama di opulenza ormai consolidata delle nuove terre scoperte da Colombo in poi. Alcuni Puritani inglesi prima si trasferirono in Olanda, fra i Presbiteriani olandesi e quindi, avendo trovato anche là degli ostacoli insormontabili, a partire dal 1620 emigrarono nell’America settentrionale, dove furono seguiti da ben più alti numeri di Puritani partiti direttamente dall’Inghilterra.
La colonizzazione
dell’America
L’impulso
a intraprendere le esplorazioni che avrebbero portato alla scoperta
dell’America venne dalla caduta dell’Impero Romano d’Oriente
avvenuta nel 1453.
In seguito a questa si interruppero le usuali e vecchie vie di
comunicazione che portavano in Europa le merci dell’Estremo Oriente,
di quelle “Indie” o “Isole delle spezie” che erano
principalmente la Cina, il “Catai” di Marco Polo. In particolare
l’Impero Ottomano bloccò entrambe le vie di terra usate per quei
traffici: la Via delle steppe dei nomadi, che tagliava l’Asia a
metà seguendo più o meno sempre lo stesso parallelo e che arrivava
alla penisola di Crimea, ormai nelle mani dei turchi; e la Via della
seta, che correva quasi parallela alla precedente, ma più a sud,
arrivando in Libano, anch’esso occupato dai turchi.
C’erano
anche diverse rotte marinare, che però arrivavano tutte nel Mar Rosso,
con un ultimo trasporto via terra sino ad Alessandria d’Egitto. Anche
l’Egitto, come tutto il nord Africa del resto, era stato fagocitato
dall’Impero Ottomano.
I mercanti di Genova e Venezia avevano così il monopolio di questo
traffico di spezie e merci varie che diventava sempre più scarso. Era
dunque necessario trovare delle rotte alternative per l’Estremo
Oriente. La rotta doveva essere via mare.
Cominciò il Portogallo, con l’idea di raggiungere l’Oriente
navigando costantemente verso oriente, circumnavigando cioè l’Africa.
Re Ferdinando di Spagna invece finanziò il tentativo della rotta verso
Occidente che era venuto a proporre Cristoforo Colombo un cartografo
della concorrenza.
Il
12 ottobre 1492, l’esploratore genovese sbarcò su un’isola dei
Caraibi chiamata dagli autoctoni Ganahani e che lui ribattezzò
San Salvador, quindi, prima di tornare indietro, toccò Cuba e
Hispaniola.
Il Nuovo Continente aveva ormai una importanza commerciale strategica!
La spinta a trovarvi un passaggio che immettesse nel Pacifico, e quindi
alle Indie, portò così anche Francia, Inghilterra e Olanda a
familiarizzare con le Americhe.
In
questi frangenti, verso l’anno 1600, i francesi che stavano esplorando
il Canada orientale per cercare un passaggio verso il Pacifico fecero
una scoperta di eccezionale importanza: la zona a nord-est dei Grandi
Laghi era ricchissima di castori e di animali da pelliccia in genere. La
scoperta era importantissima perché le pellicce erano la merce di
scambio più ambita dai cinesi, le cui merci a loro volta - il tè e le
stoffe - erano le più ricercate dagli europei fra le “spezie” e le
“meraviglie” dell’Oriente.
Gran
Bretagna, Francia e Olanda cercavano tutte e tre di procurarsi le
pellicce nella zona a nord-est dei Grandi Laghi per poi scambiarle in
Cina con tè e stoffe.
Iniziava la colonizzazione dell'America.
Per
tutto il Cinquecento gli inglesi cercarono di inserirsi nello scacchiere
americano, sempre per il passaggio a nord-ovest.
Nel periodo di regno di Elisabetta I (1558-1603) l’Inghilterra era
diventata una ragguardevole potenza marinara, e voleva a tutti i costi
impossessarsi almeno di una parte delle enormi ricchezze che vedeva
affluire nei forzieri dell’Escoriai di Filippo II. Pirati inglesi
cominciarono così ad attaccare i galeoni spagnoli che tornavano dalle
Americhe. Elisabetta negò ripetutamente, e per iscritto, al re Filippo
che la Corona inglese avesse a che fare con quei pirati. In realtà era
proprio lei a organizzare le spedizioni!
La
regina aveva infatti deciso di cercare di creare dei possedimenti in
America settentrionale principalmente per due motivi: sul fronte interno
era riuscita a sedare i disordini seguìti alla Riforma Protestante (i
gruppi protestanti continuavano a rimanere una minaccia per la Corona) e
considerato ciò che volevano probabilmente sarebbero stati i primi a
inseguire la ricchezza coloniale; per la politica estera l’eventuale
passaggio a nord-ovest poteva solo essere trovato con una ricerca
sistematica, che necessitava di una presenza in loco.
Per fare questo, le società mercantili inglesi interessate alle
merci dell’Oriente vennero divise dalla Corona in due gruppi: erano
entrambi diretti alle “Indie” ma uno cercava di passare da occidente
e l’altro da oriente. Il primo gruppo era capitanato dalla London
Company e dalla Massachusetts Bay Company, il secondo dalla East
India Company.
Il
primo gruppo doveva formare colonie sulla costa nord orientale
americana, tagliando la strada agli spagnoli; dall’altra parte doveva
reperire le importantissime pellicce nella zona dei Grandi Laghi
contrastando il più possibile francesi e olandesi. Le pellicce
sarebbero state utilizzate dalla East India Company. La East
India Company infatti avrebbe subito commerciato con la Cina
seguendo la rotta della circumnavigazione dell’Africa e cercando di
farsi largo nella numerosa concorrenza di spagnoli, portoghesi, francesi
e olandesi.
Un ideale e necessario punto di appoggio per aggredire il mercato cinese
era l’attuale India.
La
Gran Bretagna, per la presenza dei suoi numerosi calvinisti, aveva
cominciato a sentire l’influenza della nuova mentalità: l’economia
cominciava a prendere la forma di una libera economia di mercato.
La Corona gradualmente cessò di cercare di dirigere tutti gli aspetti
della vita dei cittadini, a cominciare da quello economico; abbandonò
la tradizionale preoccupazione medioevale che ognuno avesse di che
mangiare e si limitò a
presiedere all’attivismo dei singoli, e il suo ruolo nell’economia
generale divenne quello di agevolare il più possibile gli affari di
quei singoli che volevano farli, e che facendoli aumentavano il gettito
fiscale. La Royal Navy divenne il braccio armato della sua
borghesia mercantile: stava nascendo l’Impero Inglese, un impero
commerciale dettato dalla volontà di far arricchire le proprie
borghesie anche alle spese di altri popoli.
La colonizzazione inglese dell’America avvenne secondo questa
filosofia!
Fa
parte della retorica di Stato americana che i colonizzatori inglesi
fossero persone in cerca di libertà religiosa o politica, o persone in
disperate condizioni economiche. Ciò fu vero per una minoranza esigua,
che non ebbe mai alcuna influenza nell’andamento delle cose coloniali.
La caratteristica comune della maggioranza dei colonizzatori era il
livello economico alto del quale godevano in patria. In effetti il costo
pro capite del viaggio, che ognuno doveva sostenere di tasca
propria, era molto alto.
Erano in genere commercianti, ai quali erano aggregati artigiani,
mezzadri di vasti poderi, professionisti vari.
I pochi emigranti inglesi dell’epoca realmente poveri, non potevano
pagare il biglietto e venivano imbarcati con la qualifica di Indentured
Servant (“servo a tempo”), in base a un contratto nel quale
l’individuo si impegnava a lavorare nella colonia alle dipendenze
della società organizzatrice per un periodo di sette anni.
I
primi colonizzatori comunque non furono troppo rappresentativi del
quadro, ora esposto: erano un gruppo di 107 uomini, trasportati su tre
vascelli dal capitano John Smith, sbarcati nell’attuale Virginia, dove
nel 1607 fondarono la città di Jamestown, pensarono di seguire le orme
degli spagnoli e cercarono l’oro, che non c’era. Essi furono aiutati
da Pocahontas (1595-1617), la figlia di un capo indiano che sposò un
colono garantendo la pace dopo iniziali dissapori.
Per coltivarlo essi per primi importarono schiavi neri.
Nello stesso anno giungeva dall’Inghilterra anche un carico di donne,
e la colonia della Virginia (così chiamata in onore di Elisabetta I, la
Virgin Queen) cominciava a nascere a tutti gli effetti.
Arrivano i Pellegrini
Nel
1620 arrivò l’avanguardia dei veri fondatori della civilizzazione
americana.
Essi, e non gli inglesi di Jamestown che pure furono i primi, sono
chiamati dall’iconografia ufficiale americana i Padri Fondatori (Founding
Fathers). I nuovi coloni si autodefinivano i Pellegrini (Pylgrims).
Destinati dalla London Company alla Virginia e imbarcati sul
veliero Mayflower, a causa di una tempesta approdarono
nell’attuale Massachusetts, dove la società concesse loro di restare
in attesa di definire la posizione con la Corona.
Il quarto giovedì di novembre del 1621 organizzarono una cerimonia di
ringraziamento a Dio, dopodiché pranzarono con carne di tacchino; tale
giorno è rimasto una festa nazionale statunitense, il Thanksgiving
Day (giorno del ringraziamento). In numero di 100 ο 101 ο
102 a seconda delle versioni, appartenevano tutti alla Chiesa
Presbiteriana inglese come i Puritani, ma erano chiamati Separatisti.
A dispetto dell’iconografia questo gruppo non ebbe alcuna rilevanza
nel fissare le caratteristiche della colonizzazione: erano già pochi, e
oltretutto durante il primo inverno la metà circa di loro morì di
freddo e fame prima che gli indiani potessero aiutarli.
Arrivano i Puritani
Con
l’arrivo, nel 1630, di 2.000 Puritani, seguiti entro il 1640 da altri
18.000, inizia la vera colonizzazione degli Stati Uniti.
I Puritani fondarono la Massachusetts Bay Colony, utilizzando il nome
della compagnia con la quale avevano stipulato il contratto di
colonizzazione, ossia la Massachusetts
Bay Company di Londra, società nella quale molti di loro avevano
una compartecipazione azionaria.
Nessuno si era imbarcato come indentured servant. Nello stesso
1630 fondarono la città portuale di Boston. Nei seguenti decenni
diedero luogo alle colonie del cosiddetto New England puritano.
La
forma di governo adottata nelle colonie era simile a quella inglese di
allora.
Al posto del re o della regina c’era un governatore con ampi poteri,
quindi un Parlamento bicamerale in cui la Camera Alta, corrispondente
alla Camera dei Lord d’Inghilterra, era eletta dal governatore e la
Camera Bassa era eletta dal “popolo”.
Questo solo sulla carta; in realtà solo i ricchi potevano votare.
Per
poter sia votare sia ricoprire cariche pubbliche occorreva innanzitutto
essere maggiorenni, maschi e bianchi; generalmente nel New England occorreva
anche essere degli anziani della Chiesa Congregazionalista, così come i
Puritani chiamarono, in America, la loro confessione.
I requisiti minimi patrimoniali erano dappertutto molto alti
(Massachusetts e Connecticut bisognava avere un’attività che rendesse
40 sterline all’anno, oppure beni immobili valutati almeno la stessa
cifra; in Rhode Island 40 sterline e che rendesse almeno la stessa cifra
ogni anno; in New Jersey almeno 40 ettari di terreno, più un’attività
o dei beni immobili valutati almeno 50 sterline; in Virginia minimo 20
ettari di terreno, più una casa in città; Georgia e nella Carolina del
Nord minimo 20 ettari di terreno; nella Carolina del Sud almeno 40
ettari di terreno e una casa in città, ecc.).
Da questo livello di requisiti, traspare quanto si fossero divaricate,
fin da subito, le economie dei due “blocchi” coloniali: il New
England si dirigeva verso il commercio e le colonie del sud verso il
latifondo agricolo.
I Puritani
I
Puritani del New England furono in schiacciante superiorità
numerica sino alla Guerra di Indipendenza, e mantennero una maggioranza
fino al 1880 circa.
Traevano
ogni ispirazione dal Vecchio Testamento, o almeno erano convinti di
farlo.
L’idea fondamentale era che la ricchezza materiale, e il benessere
materiale, compreso quello fisiologico, rappresentava un segno di
elezione divina.
Un individuo era eletto se Dio lo predestinava alla virtù di osservare
i Comandamenti. Non c’era obbligo alla solidarietà reciproca né a
compiere opere di bene. Il rispetto richiesto per i Comandamenti era
letterale, cioè formale. La figura di Gesù era totalmente ignorata,
benché certamente si definissero “cristiani”.
I Puritani, come tutti gli altri Protestanti, operarono una certa mirata
selezione anche nell’ambito del Vecchio Testamento, a ulteriore
dimostrazione del principio utilitaristico alla base di tutta
l’operazione. Questo si può vedere nella schiavitù, proprietà
privata, capitalismo, nell’obliterazione dei debiti, ecc. Accolsero
dalle Sacre Scritture quello che più faceva comodo.
Un concetto molto importante per i Puritani, che si rivelò gravido di
conseguenze inaspettate, fu quello di popolo eletto.
Al
popolo eletto Dio destina una patria opulenta, e i Puritani certamente
si diressero in America pensando che fosse la loro Terra Promessa. Gli
indiani erano destinati alla distruzione per loro mano così come lo
erano stati i cananei per Giosuè e i Giudici. Non solo, ma quando i
Puritani scorgeranno un po’ più in là una terra ricca o in qualche
modo appetibile penseranno sempre di averne diritto, un diritto che
giustificherà anche i mezzi più cruenti, stermini compresi.
Naturalmente il rispetto dei Comandamenti era limitato all’ambito del
popolo eletto.
I Puritani e la politica
Nelle
colonie i residenti avevano un’ampia possibilità di autogoverno.
I
governatori badavano a che fossero salvi i principi della legislazione
inglese, soprattutto nella forma, e cercavano di intervenire il meno
possibile; il loro stipendio era poi fissato dai coloni.
I Puritani poterono così organizzarsi come volevano, tranne che per
l’eliminazione della monarchia, che riuscirono a realizzare solo con
la Guerra di Indipendenza.
In campo religioso essi non riconobbero più la gerarchia della Chiesa
d’Inghilterra, e bandirono tutte le manifestazioni esteriori di culto
introdotte arbitrariamente dalla Chiesa Cattolica: i vestimenti rituali,
il segno della croce, particolarmente nel battesimo, la genuflessione
durante la Comunione, l’uso della fede nel matrimonio, l’osservanza
delle festività per i Santi, compresa la celebrazione del Natale.
L’organizzazione
politica era basata su due concetti fondamentali: l’uomo singolo che
doveva essere assolutamente libero di poter fare la sua fortuna
materiale, vincolato solo dai Comandamenti; e la comunità che doveva
solo sorvegliare a che i medesimi fossero appunto rispettati.
I Puritani non operavano nessuna distinzione fra autorità politica e
religiosa; ogni congregazione era quindi una piccola teocrazia.
L’autorità era esercitata da una sorta di consiglio dei saggi o degli
anziani, che ricalcava il concetto del Presbiterio di Calvino.
Le colonie inglesi del Nuovo Mondo erano quindi delle oligarchie basate
sul danaro; quelle del New England e di alcune del Sud erano anche
teocratiche.
I Puritani rappresentavano l’antitesi della democrazia.
Essi
non credevano affatto che gli uomini fossero tutti uguali, e tantomeno
che avessero tutti gli stessi diritti. Alcuni in effetti potevano anche
essere ridotti in schiavitù.
L’accesso a tale oligarchia non poteva essere negato a chi, diventato
ricco, dimostrava di essere per definizione uno di loro. Di qui deriva
un altro aspetto della loro apparente democraticità, oltre che del loro
repubblicanesimo: l’abolizione del concetto di élite per via
ereditaria e l’introduzione del concetto di elite aperta, appunto
“democratica”.
In
pratica, alla nobiltà per diritto divino, indimostrabile, di stampo
medioevale i Puritani sostituirono la nobiltà per diritto divino
dimostrabile, appunto attraverso la ricchezza materiale. Gli americani
attuali accettano di buon grado che i loro dirigenti politici e alti
funzionari dello Stato siano quasi tutti uomini estremamente ricchi, e
la giustificazione risiede implicitamente in quel ragionamento puritano.
I Puritani e l’economia
I
Puritani naturalmente diedero vita ad un sistema capitalista puro. Tale
sistema è ancora il sistema, non solo economico, ma sociale in senso
lato degli attuali Stati Uniti, dove tutto o quasi è privato o gestito
da privati, come ad esempio molte carceri.
Per i Puritani tutto si poteva comprare col danaro, e tutto doveva
essere venduto per danaro; sempre nel rispetto formale dei Comandamenti.
Così nel New England c’erano pure gli schiavi: neri comprati
dai mercanti di schiavi calvinisti olandesi ma anche indiani e indiane
catturati sul luogo e tenuti come domestici o stallieri. Però la
schiavitù non ebbe mai nel New England una diffusione
paragonabile a quella del Sud: la sua economia era basata sul commercio
e la sua agricoltura era floridissima ma suddivisa in tante piccole
aziende a conduzione familiare, dove la produzione era diversificata e
la mano d’opera richiesta piuttosto specializzata. Nei porti di Boston
e New York invece c’erano molti schiavi.
Le tasse saranno sempre la questione primaria nelle colonie: i Puritani
non accettavano il principio di affidare al governo la gestione del
gettito fiscale; c’erano rischi di una politica di redistribuzione dei
redditi.
I Puritani e la morale
La
morale dei Puritani consisteva nel rispetto formale dei Comandamenti,
che permetteva loro ogni iniquità nella sostanza. In più tale legge
valeva solo nell’ambito del popolo eletto dei Puritani: gli altri, in
particolare i selvaggi indiani, potevano essere derubati, catturati come
schiavi, anche uccisi.
Per esempio i rapporti sessuali con le donne indiane non costituivano
reato, neanche da parte di Puritani sposati.
Le donne erano ritenute le “sorelle di Eva tentatrice”, il
mezzo preferito dal Maligno per tentare la virtù degli uomini e
distoglierli dal loro patto con Dio. Non potevano mostrare in pubblico
più della faccia e delle mani, e ciò valeva anche per le bambine di
ogni età.
Anche il divorzio, da sempre in uso presso gli americani, era ammesso
dai Puritani, che lo praticavano con ancora maggiore frequenza vista la
seria proibizione dell’adulterio. I reati sessuali erano puniti con
straordinario rigore. Per l’adulterio e l’omosessualità era
comminata la pena di morte. L’adulterio si verificava anche nel caso
in cui la donna fosse solo fidanzata.
Ogni comunità aveva i suoi watchmen (“sorveglianti”),
dipendenti comunali il cui compito era di controllare il comportamento
delle persone e di riferire al pastore della chiesa. Erano dei delatori,
che origliavano dietro gli angoli e spiavano dalle finestre. Scapoli e
zitelle erano naturalmente i più controllati.
I Puritani collegavano la salute fisica con l’intervento divino, e i
disordini mentali con quello del Diavolo.
I Puritani e la cultura
Alla
scuola i Puritani dedicarono subito una attenzione che precorreva i
tempi.
C’erano due necessità, i Comandamenti e gli affari: per seguire i
primi occorreva conoscere la Bibbia, e quindi saper leggere, mentre per
i secondi oltre a ciò occorreva saper fare i conti. Ogni township quindi
aveva almeno una scuola e un maestro, pagati dalla municipalità, e ce
n’erano altri nelle città. Il livello di alfabetismo fra i Puritani
era senz’altro il più alto delle colonie americane.
Nel 1640 c’erano già nel New England circa 300 pastori
diplomati in loco. L’Harvard College, divenuto
gradualmente una università, è il più antico college degli
Stati Uniti. Sempre come seminari nacquero nel 1701 l’università di
Yale, nel 1764 l’università di Brown nel Rhode Island e nel 1769
l’università di Darthmouth nel New Hampshire.
Tali istituzioni garantirono ai Puritani una superiorità culturale
schiacciante nell’ambito coloniale sino alla Guerra di Indipendenza.
Il poema più letto dagli americani di tutti i tempi è The Day of
Doom (Il Giudizio Universale) pubblicato nel 1662 in Massachusetts
dal puritano Michael Wiggleworth, nel quale la teologia calvinista è
messa in versi settenari.
Le caratteristiche culturali e psicologiche dei Puritani si sono
conservate negli americani: anche per loro tutto deve mirare al
raggiungimento della ricchezza.
L’editoria quindi ha un carattere essenzialmente pratico, con prodotti
che nei vari generi hanno raggiunto col tempo livelli di eccellenza (i
manuali americani sono punti di riferimento nei vari settori). Gli
autori di talento, più che indagare la realtà, cioè la verità,
mirano a confezionare opere di successo presso il vasto pubblico. Così
si sono specializzati nella fiction, nelle opere di evasione,
dove di nuovo eccellono di gran lunga su tutti per la capacità di
presentare storie e situazioni assurde in modo verosimile. Hollywood
riassume tale attitudine tipicamente americana.
L’Indipendenza
Per
quanto riguarda l’economia, quella del New England assunse
rapidamente dimensioni gigantesche.
La pirateria era praticata in grande stile in tutte le colonie, con
l’approvazione dei governatori quando aveva per oggetto mercantili non
inglesi.
Ma più di ciò fu la qualità dell’immigrazione puritana a
determinarne il successo economico. In varie ondate a partire dal 1630
questa portò in America non un insieme casuale di spiantati, ma una
società completa, forse piccola ma organizzata in ogni sua parte. I
soci della London Company selezionavano accuratamente i
componenti dei viaggi.
Gli altri inglesi che si sistemarono nelle colonie del Sud non erano
niente di paragonabile.
Diedero in tal modo origine a colonie ricche ma poco articolate dal
punto di vista economico e sociale. La loro unica risorsa era la
schiavitù: il 75% delle famiglie possedeva uno o più schiavi.
La guerra d’Indipendenza
I
Puritani erano andati in America con uno scopo ben preciso: avere la
possibilità di arricchirsi senza costrizione alcuna. Per questo
volevano autogovernarsi Il loro obiettivo era dunque, fin dall’inizio,
di liberarsi della Corona inglese e dei suoi governatori.
I Puritani del New England si rendevano conto di non potersi
ribellare alla madrepatria da soli, senza la collaborazione delle altre
colonie, anzi magari con la loro opposizione.
Essi quindi si dedicarono con estrema energia ai loro affari commerciali
ma ogni volta, quando se ne presentava l’occasione, non dimenticavano,
tramite i loro Parlamenti e la loro propaganda, di attaccare la Corona o
i suoi governatori. L’obiettivo era sempre di dimostrare alle altre
colonie quanto nociva fosse la presenza della Corona anche per le loro
possibilità di arricchimento: avevano già molto, ma avrebbero potuto
avere di più.
Tale polemica, presente sin dall’inizio del 1630, andò aumentando
mano a mano che l’incremento di popolazione e l’indebolimento sul
continente nordamericano di francesi e spagnoli rendevano sempre meno
necessaria la protezione dell’esercito di Sua Maestà.
I principali argomenti politici dei Puritani furono gli indiani, la
schiavitù negra, i territori dell’Ovest e naturalmente le tasse.
La
Corona perseguiva una politica di accomodamento con gli indiani. Questi
erano utili come alleati nelle guerre combattute contro i francesi per
spodestarli dai Grandi Laghi.
I Puritani invece sostenevano che era meglio sterminare gli indiani,
come del resto avevano subito iniziato a fare.
I Puritani si erano accorti presto che alla loro economia gli schiavi
neri non servivano; anzi erano di intralcio. Sapevano che erano
fondamentali per i latifondisti del Sud e assunsero questo
atteggiamento: da una parte li appoggiarono concretamente nel chiedere
alla Corona il permesso di tenere gli schiavi nelle colonie americane,
dall’altra mantennero nel New England una fronda anti-schiavitù,
dando spazio nei giornali e al Parlamento ai pochi sinceri
antischiavisti che c’erano.
Dal 1689 al 1763 Francia e Gran Bretagna si combatterono pressoché
ininterrottamente. Materia del contendere era il controllo del Mercato
dell’Oriente.
Le
tasse erano sempre troppe e sempre ingiustificate per i Puritani. Esse
servivano alla Corona per coprire le spese di amministrazione delle
colonie, per la loro difesa, e per finanziare le guerre.
Nelle colonie del Sud la maggioranza dei bianchi si interessava poco di
politica, ma semmai non vedeva altro che svantaggi dall’indipendenza.
Nel New England solo i grandi mercanti, finanzieri e imprenditori
avrebbero tratto tangibili e immediati vantaggi dall’indipendenza, che
avrebbe significato il loro stesso autogoverno.
La svolta avvenne al termine della Guerra dei Sette Anni, (1756-1763).
Questa guerra vedeva opposti Gran Bretagna e Prussia e dall’altra
Francia, Spagna, Austria e Russia. Si trattava della resa dei conti
finale per stabilire il controllo di buona parte del Mercato
dell’Oriente.
La Gran Bretagna vinse la guerra e
le condizioni della pace furono fissate dal Trattato di Parigi del 10
febbraio 1763, che stabiliva anche le sorti dei possedimenti
nordamericani degli sconfitti.
L’esito
della guerra, pur così favorevole, sarebbe però costato alla Gran
Bretagna le sue 13 colonie americane. Esso forniva infatti un tremendo
impulso alla causa puritana dell’indipendenza.
Nell’America settentrionale non c’era più la temuta Francia, e
potenza della Spagna già da tempo era in declino, per cui la presenza
dell’esercito inglese non era più necessaria.
Il fatto che ora la Gran Bretagna, dopo aver liberato il nord America
dai francesi, bloccasse tuttavia l’espansione ad Ovest alle sue
colonie americane (con la scusa di riservare territori agli indiani) i
grandi mercanti Puritani, volve adire che la Corona intendeva lasciare
il Mercato dell’Oriente alla East India Company, bloccando per
sempre la strada verso il Pacifico alle colonie americane.
Fu questo in ultima analisi il vero grande motivo della Guerra di
Indipendenza americana: il Mercato dell’Oriente.
Infine
le tasse: la Gran Bretagna doveva recuperare le spese sostenute nella
guerra in America.
Nel 1764 furono introdotti il Sugar Act e il Currency Act, nel
1765 lo Stamp Act e il Quartering Act, nel 1767 il Townshend
Act.
I Parlamenti del New England furono in prima fila
nell’esprimere le proteste delle colonie, e la loro abilità consisté
nell’indurre il governo inglese a spostare gradualmente la tassazione
verso beni di largo consumo, che colpivano la classe povera e media…
La causa dei Puritani cominciava a prendere piede anche negli strati
bassi della popolazione.
I grandi mercanti del Massachusetts decisero di spingere
sull’acceleratore e incaricarono i loro media (giornalisti,
intellettuali, preti dal pulpito) di mantenere viva la polemica con la
madrepatria. In tale clima cominciarono a crearsi degli incidenti…
Nel
maggio del 1773 alcuni mercantili della East India Company che
trasportavano tè furono respinti nei porti di Boston, New York e
Philadelphia. Nell’ottobre un altro mercantile veniva incendiato ad
Annapolis. Infine il 16 dicembre del 1773 ci fu l’episodio del Boston
Tea Party, un gruppo di uomini travestiti da indiani rovesciò in
acqua il carico di tè di una nave alla banchina.
Il re Giorgio III era furioso col Massachusetts e ordinò la chiusura
del porto di Boston sino a che il danno non fosse stato ripagato, quindi
tolse al Massachusetts molti poteri di autogoverno.
Il Massachusetts convocò allora tutti i Parlamenti coloniali per una
riunione che si tenne a Philadelphia dal 5 settembre al 26 ottobre del
1774. Fu il cosiddetto Primo Congresso Continentale.
Le colonie si riunirono ancora a Philadelphia durante il Secondo
Congresso Continentale.
Dopo
mesi di discussioni, la minoranza indipendentista, i cui leader erano
i grossi mercanti puritani John Adams, Samuel Adams e John Hancock, e i
grossi piantatori del Sud, James Madison, Alexander Hamilton, Thomas
Jefferson e George Washington, riuscì a convincere l’assemblea a
decidere per la separazione definitiva dall’Inghilterra.
Alla fine i Puritani erano riusciti nel loro intento: il 4 luglio 1776
veniva così enunciata la Dichiarazione di Indipendenza, anche se
più di un terzo della popolazione coloniale era contraria.
Il reale motivo della ribellione era il Mercato dell’Oriente. Per
quello era necessario avere a disposizione le pellicce del Canada.
La Gran Bretagna avrebbe vincere la guerra ma ciò che realmente le
premeva in America era solo la zona dei Grandi Laghi e bloccare per
quanto possibile l’espansione verso il Pacifico ai Puritani.
La Gran Bretagna riconosceva l’indipendenza delle 13 colonie, e
inoltre metteva a loro disposizione l’Ohio Territory, però manteneva la proprietà del Canada, chiamato da allora British
North America (B.N.A.), disegnandone i confini a sud in modo da
comprendere la zona a nord-est dei Grandi Laghi, la zona delle pellicce.
La Dichiarazione
d’Indipendenza
I
firmatari della Dichiarazione offrono l’esatto quadro dell’élite
rivoluzionaria americana: 10 ricchissimi mercanti del New
England; 11 grandi latifondisti negrieri del Sud; 12 avvocati; 13
giudici; 4 medici; e quindi un fattore agricolo, un editore-scrittore,
un pastore protestante, un politico, un militare e un fabbro.
Il loro intento era quello sempiterno dei Puritani: non importa quanto
ricchi, bisognava avere la libertà di poter tentare di arricchirsi di
più.
Allo scopo la monarchia inglese non andava più bene. Occorreva
l’autogoverno degli imprenditori ricchi; occorreva instaurare
un’oligarchia mercantile. E questo dice la Dichiarazione di
Indipendenza americana. Quel “popolo” al quale essa attribuisce
il diritto di autogoverno non è altro che il corpo elettorale che già
eleggeva i Parlamenti coloniali, che per via dei requisiti di ricchezza
minima richiesti per il voto era la parte più ricca della popolazione,
il 15-25% del totale a seconda della colonia.
Il loro leader era Thomas Jefferson, che come George Mason, era
un ricchissimo latifondista della Virginia che impiegava migliaia di
schiavi.
La
Dichiarazione di Indipendenza americana, e la retorica di Stato
che l’ha sempre avvolta, ha ingannato molte persone.
Lo slogan del caso fu il Principio dell’Autodeterminazione dei
Popoli. Ma era appunto uno slogan per coprire le mire al Mercato
dell’Oriente. Infatti gli americani mai riconobbero quel principio a
nessun altro, quando non conveniente sul piano economico.
Vincendo la guerra per l’indipendenza le 13 colonie erano diventate 13
Stati indipendenti. Lo erano sia nei riguardi dell’Inghilterra che
l’una nei riguardi dell’altra.
L’economia del New England era di tipo fortemente mercantile,
quella del Sud agricola in modo estensivo. Nel Nord predominavano i
Puritani, nel Sud c’era un’ampia maggioranza di ex membri della
Chiesa d’Inghilterra.
Con una procedura iniziata nel 1777 fra le varie legislature e conclusa
nel 1781 i 13 Stati si riunivano ufficialmente in una federazione,
chiamata sempre gli Stati Uniti d’America e regolata dagli Articles
of Confederation and Perpetual Union.
Gli Stati, così, erano sempre in lite fra loro, generalmente per
ragioni di commercio.
Così
nel 1787 i 13 Stati si accordarono per modificare tale statuto e il
risultato fu una solenne Costituzione redatta a Philadelphia da 55
delegati riuniti in assemblea con la presidenza di George Washington.
Ogni tanto nel tempo vennero fatte delle modifiche, delle
puntualizzazioni o degli aggiornamenti, chiamate Emendamenti.
Tali Emendamenti entrano a far parte integrante della Costituzione: i
primi dieci, approvati in blocco nel 1791, sono chiamati il Bill of
Rights.
La Costituzione degli Stati Uniti non è la Costituzione di uno
Stato, ma di una federazione di Stati, ognuno dei quali ha una sua
propria Costituzione.
Anche oggi ognuno dei 50 Stati della federazione ha una sua
Costituzione.
Al momento dell’adozione della Costituzione federale tali Stati erano
tutti delle oligarchie basate sulla ricchezza, funzionanti con un
sistema politico repubblicano e un sistema economico liberista. Tutti
nelle loro Costituzioni prevedevano requisiti minimi di ricchezza per
poter votare, che erano all’incirca quelli già visti.
La
Costituzione federale non fa altro che cristallizzare tale sistema negli
Stati, impedirgli che nel futuro possa evolvere in quel senso che oggi
viene chiamato “democratico” (la parola “democrazia” non è mai
citata nella Costituzione, né lo era stata nella Dichiarazione di
Indipendenza).
Molte sono le agevolazioni per la classe mercantile messe al sicuro
nella Costituzione: la proibizione di porre tasse sulle merci esportate
(Art. I, Sez. 9, par. c) ; la proibizione per uno Stato di diminuire il
valore dei debiti contratti (Art. I, Sez. 10, par. a) ; la proibizione
di porre barriere tariffarie a merci provenienti da altri Stati (Art. I,
Sez. 10, par. b); il divieto di porre tasse federali sul reddito, ma
solo pro capite (Art. I, Sez. 9, par. d). Benjamin Franklin, che era
anche uno scrittore e inventore, approfittò per far riconoscere (Art.
I, Sez. 8, par. h) i diritti d’autore e di brevetto.
La
proibizione di porre tasse federali sui redditi ha resistito per 126
anni, e cioè sino al 1913, quando già da decenni si erano formati
colossali monopoli posseduti da una sola persona fisica (i vari
Carnegie, Colgate, Rockfeller, Vanderbilt, Schiff, Morgan ecc., per gran
parte della loro vita non pagarono mai un dollaro di tassa sul reddito).
Ancora oggigiorno alcuni Stati non prevedono tasse statali sui redditi
ma solo excise taxes, tasse indirette sul venduto (una specie di
IVA; sono però basse, mediamente del 7%).
Gli Stati Uniti erano diventati così una spaventosa plutocrazia:
l’economia era dominata da alcuni privati, titolari degli enormi
monopoli formatisi negli anni a cavallo del secolo in tutti i settori
(acciaio, petrolio, alimentazione, farmaceutica, ecc.) tranne che in
quello delle Poste, riservato dalla Costituzione al governo federale.
Secondo Charles Austin Beard (1874-1948), il più grande storico
americano di tutti i tempi: «Il movimento per la Costituzione degli
Stati Uniti fu originato e realizzato principalmente da quattro gruppi
di interessi corporati che erano stati danneggiati dagli Articoli della
Confederazione: denaro, titoli pubblici, manifatture, commercio ed
armatoria navale.
La Costituzione del 1787 - che alle multinazionali diede il via - è
un documento antidemocratico prodotto da qualche decina di portatori di
grandi interessi corporati e di già multinazionali.
La Guerra di Secessione
si stava già profilando in
quel periodo il grande contrasto intestino che avrebbe portato alla
Guerra di Secessione: quello fra il grande capitale liquido del Nord-Est
puritano e il grande latifondismo negriero del Sud.
L’Emendamento più importante è il X, di grande valenza politica. Il
sistema politico americano non si regge sulla Costituzione del 1787, ma
sui poteri che quella silenziosamente lascia alle legislature degli
Stati.
Ottenuta l’indipendenza, il Mercato dell’Oriente fu dunque subito il
grande obiettivo della politica estera americana; occorreva raggiungere
la costa del Pacifico.
L’Ovest costituiva un’occasione di per sé: dal punto di vista
economico (enormi estensioni a disposizione degli americani) da quello
politico (le nuove colonizzazioni sarebbero servite come valvola di
sfogo per le masse di disoccupati e diseredati).
All’Ovest, dunque. Il primo passo fu l’apertura dell’Ohio
Territory alla, colonizzazione.
La
Guerra di Secessione non era stata provocata dal problema dello
schiavismo che scandalizzava il Nord puritano: i motivi erano economici,
seppur intrecciati con lo schiavismo.
Dal 1840 al 1860 giunsero nel New England 4 milioni di immigrati
(Gran Bretagna e Irlanda), nel Sud invece la rivoluzione industriale non
arrivò, non ne aveva bisogno, era il regno del latifondismo schiavista.
Il vero problema era che Nord e Sud avevano due economie completamente
diverse: il capitalismo del laissez faire al Nord, ed il
latifondismo agrario del Sud, per di più basato sulla schiavitù. I due
tipi di economia non potevano coesistere!
Un
problema non secondario era l’immigrazione, invocata dal Nord ma
avversata dal Sud. Comportava costi federali che non gli competevano e
il Sud temeva una immigrazione secondaria dal Nord, che avrebbe portato
masse di mano d’opera non necessaria con conseguenti probabili
contraccolpi sociali interni.
Il problema fra Nord e Sud era davvero lo schiavismo del Sud, alla fin
fine, ma non per ragioni morali: bensì per le ragioni economiche che
implicava I politici e i capitalisti del Nord non scatenarono la
campagna antischiavista allo scopo preciso di provocare una guerra
civile, essi semplicemente volevano esercitare una pressione sul Sud per
convincerlo ad allinearsi alla loro politica economica federale.
Il Sud credette che il Nord facesse sul serio con lo schiavismo, che non
fosse solo una questione di tariffe, e prese l’iniziativa di secedere
dall’Unione.
Fu la guerra più sanguinosa in assoluto per gli Stati Uniti, con il suo
milione di morti, metà dei quali civili (nella Seconda Guerra Mondiale
i morti saranno 407.316, quasi tutti militari).
Dopo
le prime vittorie sudiste, caratterizzate dalle loro cavallerie, la
dovizia di uomini e mezzi del Nord ebbe alla fine la meglio.
Durante la guerra su iniziativa del Segretario al Tesoro Salmon P. Chase,
poi fondatore della Chase Manhattan Bank ed eminente membro della
Chiesa Episcopale, si iniziò a stampare sulla moneta la frase In God
We Trust.
Il mondo del Sud fu dunque distrutto nel 1865.
L’esito della Guerra Civile del 1861-1865 accentuò la colonizzazione
culturale puritana, soprattutto al Sud dove, finita la guerra, si
precipitarono orde di commercianti e imprenditori provenienti dal New
England.
I Puritani così cambiavano nome:
diventavano gli americani.
Indiani e neri
Ottenuta
l’indipendenza, le 13 ex colonie americane avevano subito affrontato
il problema indiano. Era chiaro che gli indiani dovevano scomparire.
Il Congresso scelse una tattica strisciante e attendista: non bisognava
lasciare capire agli indiani le intenzioni finali; le tribù andavano
messe le une contro le altre sfruttando le loro ataviche rivalità; i
loro mezzi di sussistenza andavano erosi lentamente ma costantemente; le
tribù dovevano essere illuse di poter contrattare la loro sorte con
trattati che in realtà non si aveva alcuna intenzione di rispettare.
Gli indiani erano costantemente provocati: i coloni sterminavano la
selvaggina, avvelenavano le sorgenti nascondendo sul fondo carogne di
animali, assoldavano individui senza scrupoli perché uccidessero gli
indiani.
Finita la Guerra Civile il generale Sherman fu nominato capo delle
operazioni militari all’Ovest e la sua prima decisione fu di affamare
gli indiani delle pianure sterminando i bisonti. Egli invitò «tutti
i cacciatori dell’America del Nord e di Gran
Così
si estinsero gli indiani americani: nel 1630 erano almeno 5 milioni e al
censimento generale dell’anno 1900 se ne calcolarono 250 mila.
Nel periodo della tratta degli schiavi, compreso fra il 1600 circa e il
1860, scomparvero dall’Africa fino a 50 milioni di persone
Il periodo di schiavitù dichiarata, durato nel Sud fino al 1865, fu
tremendo: lavori forzati, punizioni con la frusta, morìe, selezioni
della razza, smembramenti dei gruppi familiari, padroni che in caso di
bisogno faceva strappar loro i denti, assai ricercati per le dentiere
Il fondamentalismo americano
Le
Chiese protestanti americane si possono raggruppare in una cinquantina
di correnti: Avventisti, Battisti, Luterani, Metodisti, Pentecostali,
Presbiteriani, Riformati. Altre Chiese protestanti americane, portando
così il numero delle congregazioni indipendenti a circa 140.
I membri attivi delle confessioni protestanti sono 80 milioni, dei quali
70 bianchi.
I Mormoni sono 4 milioni; i Testimoni di Geova sono 700 mila; i membri
dell’Esercito della Salvezza 430 mila; gli aderenti a Worldwide
Church of God alcune migliaia.
Il maggior raggruppamento protestante è rappresentato dai Battisti, 26
milioni di membri in 90 mila chiese; i Metodisti, 13 milioni e 52 mila
chiese; i Luterani, 9,5 milioni di e 19 mila chiese; i Pentecostali, 3,5
milioni di membri e 25.500 chiese; i Presbiteriani, 3,4 milioni di
membri con 14 mila chiese; i Riformati, 600 mila membri in 5 con 1660
chiese.
Il numero totale delle chiese protestanti è di 275 mila.
Sono detti Fundamentalists gli americani protestanti che credono
nell’interpretazione letterale della Bibbia, cioè del Vecchio
Testamento. Sono attualmente circa 20 milioni e sono trasversali a tutte
le congregazioni.
Il sistema oligarchico
Gli
Stati Uniti non sono uno Stato: sono una federazione di Stati. Tutti gli
Stati membri sono oligarchie basate sulla ricchezza,
Il nocciolo duro dell’elettorato, quello che dirige le sorti del
paese, è il 25-30% che vota alle elezioni locali: esso vota anche a
tutte le altre elezioni e ne determina l’esito. É costituito in
grande maggioranza dai cosiddetti W.A.S.P.
Esistono sulla carta una ventina di partiti negli Stati Uniti,
all’atto pratico ci sono solo due partiti, il Repubblicano e il
Democratico.
Il duopolio non si può rompere. Infatti i partiti repubblicano e
democratico esprimono l’establishment oligarchico americano in
modo necessario e sufficiente.
Questo accade dal 1787.
Il
partito repubblicano è il partito del capitale statico, o soddisfatto
è votato da persone abbastanza soddisfatte e sicure della propria
situazione materiale. Si tratta in genere di piccoli e medi imprenditori
di tutti i settori, di artigiani costruttori e riparatori, di
professionisti, negozianti, agricoltori e allevatori, dipendenti fidati
di vecchie e solide aziende manifatturiere di dimensioni piccole e
medie, con mercato locale o al massimo nazionale. Esso raccoglie inoltre
la maggioranza dei pensionati.
Il partito democratico è
invece il partito del capitale dinamico, insoddisfatto, fluttuante.
Sono
favorevoli al partito democratico generalmente i titolari di redditi
altissimi e quelli dei più bassi. Da una parte abbiamo le grandi società
per azioni americane (multinazionali) e dall’altra la moltitudine
degli operai e dei salariati vari, fra i quali certamente la maggioranza
dei dipendenti pubblici.
In effetti tutti i conflitti più gravi nei quali gli Stati Uniti si
sono impegnati hanno avuto inizio con presidenti democratici. Il Lincoln
della Guerra Civile, il Wilson della Prima Guerra Mondiale, il Roosevelt
della Seconda, il Truman della Guerra di Corea e i Kennedy e Johnson
della Guerra del Vietnam erano democratici.
Il politica estera
Gli Stati Uniti sono sempre
stati il paese più “interventista” dello scenario internazionale.
Prima Guerra Mondiale
All’epoca
era presidente Woodrow Wilson, un Presbiteriano, l’“uomo di Wall
Street” e cioè del grande capitale. a Wilson faceva comodo
pronunciarsi a favore della neutralità; così fece e fu rieletto nel
1916 con lo slogan “He kept us out of war” (“ci
ha tenuto fuori dalla guerra”). Le cose cambiarono nel 1917 in
conseguenza dell’improvvisa debolezza mostrata dalla Russia, che stava
entrando nelle doglie della rivoluzione.
Gli americani amano dire che entrarono in guerra perché un sommergibile
tedesco aveva affondato il piroscafo inglese Lusitania, provocando
la morte di 1.198 persone. C’era una guerra e ogni nazione affondava
le navi dirette verso l’avversario. Prima della partenza del Lusitania
il consolato tedesco a New York aveva fatto pubblicare annunci sui
giornali avvisando
C’è invece la quasi certezza che il governo americano fosse alla
ricerca di episodi del genere per giustificare un’ipotetica necessità
dell’entrata in guerra nei confronti di una opinione pubblica molto
intimorita dall’idea di una guerra in Europa contro gli europei. Il
motivo della partecipazione americana alla Prima Guerra Mondiale fu
soltanto la preoccupazione che venisse pregiudicata la Balance of
Power in Europa continentale, con la conseguente fine del sogno
americano per il Mercato dell’Oriente.
Seconda Guerra Mondiale
Per
gli americani le cose cominciarono a mettersi male a partire dalla fine
degli anni Venti. Il Giappone si era industrializzato con una velocità
e un successo sorprendenti e già dalla fine dell’Ottocento aveva
cominciato a reclamare per sé lo status di potenza dominante
nella regione sia dal punto di vista militare sia, naturalmente,
commerciale. Nel 1931 il Giappone occupò la Manciuria, regione chiave
della e nel 1937 iniziò l’invasione del resto della Cina. Questa era
una minaccia mortale alle secolari mire americane sul Mercato
dell’Oriente.
Contemporaneamente all’attacco giapponese alla Cina, in Europa
cominciava a ripresentarsi con la Germania di Hitler il solito pericolo:
la formazione di un Super-Blocco europeo continentale fortissimo dal
punto di vista sia commerciale sia militare. In un primo momento, visto
il profondo anticomunismo dei nazionalsocialisti, Stati Uniti, Gran
Bretagna e Francia cercarono di dirigere la Germania solo verso la
Russia, uno scontro che secondo loro si sarebbe risolto con un nulla di
fatto. Era questo, come tutti sanno, il senso degli Accordi di Monaco
del 1938. Ma il piano non riuscì e poco dopo in Europa scoppiò la
guerra.
Che fare? Intervenire subito su tutti e due i fronti, contro Germania e
Italia da una parte e contro il Giappone dall’altra. Franklin Delano
Roosevelt lo capì subito, e si adoperò per far entrare il paese in
guerra. Non era così facile perché il presidente americano aveva due
ostacoli, l’opinione pubblica e una parte del Congresso.
Il senatore Harry Truman: «Se vediamo che la Germania sta
vincendo la guerra, allora dovremmo aiutare la Russia; e se la Russia
sta vincendo, dovremmo aiutare la Germania, e così fare in modo che si
ammazzino fra loro il più possibile»82.
Poco dopo Roosevelt scelse Truman come vicepresidente!
Gli
Stati Uniti dovevano intervenire in Europa come in Asia, sperare che
vincesse la parte cui si erano legati e cercare di controllare le
condizioni di pace affinché in Europa permanesse la situazione
precedente, e in Asia il Mercato dell’Oriente venisse lasciato loro.
L’unica soluzione era l’entrata in guerra al fianco di Gran Bretagna
e Francia, e purtroppo anche della Russia.
Così, mentre si dichiarava neutrale, Roosevelt si adoperava per
provocare i belligeranti della parte scelta come avversa. L’11 marzo
del 1941, diciotto mesi dopo l’inizio della guerra in Europa, riuscì
a far approvare il Lend-Lease Act, che destinava agli avversari
di Germania e Italia aiuti per 7 miliardi di dollari (per il Piano
Marshall di dieci anni dopo saranno stanziati 12 miliardi di
dollari, neanche il doppio e in moneta già inflazionata dalla guerra).
Nel
1940 gli Stati Uniti avevano vietato l’esportazione in Giappone di
kerosene per aviazione, petrolio e rottami di ferro; fu questo ad
indurre il Giappone alla firma del trattato di mutua difesa con Germania
e Italia. Nel 1941, inoltre, in seguito all’occupazione giapponese
dell’Indocina, gli Stati Uniti congelarono i beni giapponesi nel loro
territorio e bloccarono tutto l’interscambio commerciale. I giapponesi
non volevano una guerra con gli Stati Uniti perché abbisognavano delle
loro merci, così il 20 novembre 1941 si dichiararono disposti a
lasciare l’Indocina e altre posizioni nel Pacifico, e ad abrogare il
trattato con Germania e Italia.
L’attacco di Pearl Harbor non fu affatto una sorpresa per
Roosevelt. Alle ore 8 di quella domenica l’ufficio OP/20/G di
Washington era
già a conoscenza dell’attacco programmato a Pearl Harbor per le ore
13.
Inutilmente:
il generale Marshall autorizzò l’invio di un messaggio di
avvertimento alla base di Pearl Harbor solo alle ore 13 esatte, quando
cominciavano a cadere le prime bombe. Furono affondate almeno una
ventina di navi (fra cui otto corazzate) e morirono 2.300 uomini, mentre
altri settecento circa rimasero feriti.
Gli Stati Uniti entravano finalmente in guerra.
Gli
Stati Uniti sono un paese che, in poco più di duecento anni di storia
ufficiale, ha compiuto un uguale numero di guerre e interventi armati
all’estero, un fenomeno mai documentato prima nella Storia.
Ha provocato centinaia di milioni di morti
Gli
indiani furono sterminati (circa cinque milioni); i neri furono non solo
schiavizzati, ma trattati come animali. In conseguenza dello schiavismo
americano furono sterminati in Africa circa 40 milioni di individui.
Con i bombardamenti di civili durante la Seconda Guerra Mondiale
uccisero tre milioni di persone, in Europa e Giappone. Provocarono poi
la morte di un milione di prigionieri di guerra tedeschi, su un totale
di tre milioni. Sempre con i bombardamenti sterminarono quattro milioni
di persone in Corea e probabilmente sei milioni di persone in Vietnam,
Laos e Cambogia.
Il totale di queste vittime, come si è detto in precedenza, è da
valutare intorno ai 30 milioni.
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Tratto da “Gli
ebrei e la vita economica” di Werner Sombart*, vol. I, 1911
Gli
ebrei hanno preso parte molto attiva alla fondazione di tutte le
colonie.
Questo è normalissimo, dato che il Nuovo Mondo offriva loro maggiori
prospettive di felicità che non la vecchia e tetra Europa.
Si trovano impegnati in tutti i tipi di operazioni nei possedimenti
olandesi dell’Oriente. Una parte considerevole del capitale azionario
della Compagnia Olandese delle
Indie Orientali era in mano agli ebrei e li ritroviamo anche fra i
direttori della Compagnia delle
Indie Orientali.
Da un capo all’altro l’America si rivela un paese ebraico.
Risultano
coinvolti in maniera straordinaria intima nella scoperta dell’America:
si direbbe che il Nuovo Mondo sia stato scoperto unicamente in loro
onore, con la loro assistenza, che i Colombo siano stati semplicemente
gli incaricati d’affari di Israele.
Il denaro ebraico rese possibile le prime due spedizioni di Colombo. Il
primo grazie alle sovvenzioni fornite dal consigliere reale Luois de
Santangel, il vero protettore della spedizione di Colombo.
Molti ebrei sono imbarcati sulla nave di Colombo e il primo europeo i
cui piedi toccano il suolo americano è un ebreo: Luis de Torres.
“Ma lo stesso Colombo (il
cui vero nome sarebbe Cristobal Colon)
è stato di recente rivendicato dagli ebrei come uno di loro”
Non
appena le porte del Nuovo Mondo si dischiusero agli europei, gli ebrei
vi si precipitarono in massa. Non a caso, la scoperta dell’America
ebbe luogo lo stesso anno in cui gli ebrei vennero espulsi dalla Spagna!
I primi mercanti sono ebrei e i primi stabilimenti industriali nelle
colonie americane sono stati fondati da loro.
Nella prima metà del XVII secolo tutte le grandi piantagioni di
zucchero sono nella mani di ebrei e difficilmente possiamo avere idea
dell’enorme importanza che allora assumeva l’industria e il
commercio dello zucchero.
Il
presidente Roosevelt parlando dei servigi resi dagli ebrei agli Stati
Uniti: “Gli ebrei hanno concorso
ad edificare il paese” e l’ex presidente Grover Cleveland
affermava: “Tra le nazionalità di cui si compone il popolo americano poche ve ne
sono - ammesso che ve ne siano - che abbiamo esercitato maggiore
influenza, diretta o indiretta, sulla formazione dell’americanismo
moderno”[1]
Gli
ebrei assistono allo svegliarsi dello spirito capitalistico sulle rive
dell’Oceano Atlantico, nelle foreste e nelle steppe del Nuovo
Continente. Il 1655 viene considerato l’anno del loro arrivo: una nave
carica di ebrei provenienti dal Brasile giunge nella baia di Hudson e
chiedono di essere ammessi alla Compagnia Olandese delle Indie
Occidentali.
Durante
il XVII e XVII secolo il “commercio ebraico era la fonte che
permetteva all’economia nazionale delle colonie americane di vivere.
Dato che l’Inghilterra obbligava le sue colonie ad acquistare nella
madrepatria i prodotti manufatti , la bilancia commerciale delle colonie
si chiudeva sempre in negativo. Se non avessero ricevuto dall’estero
un afflusso continuo di metallo prezioso, vi sarebbe stato il
deperimento dell’economia. Era appunto il commercio ebraico a far
affluire dall’America Centra e del Sud alle colonie inglesi del Nord.
Durante
l’intera fase di formazione degli Stati Uniti l’immigrazione degli
ebrei è stata intensa e ininterrotta.
L’influenza dell’alta finanza giudaico-olandese supera i confini del
paese, poiché durante il XVII e il XVIII secolo l’Olanda rimane il
serbatoio che alimenta le casse di tutti i sovrani europei a corto di
denaro.
*
Werner Sombart (1863-1941) economista e sociologo tedesco, docente
all’Università di Berlino che all’epoca era una delle più
prestigiose del mondo
[1]
“The 250 anniversary of the Settlement of the Jew in the USA”,
1905, p.18