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Chi
controlla Hollywood?
Tratto
da “Dietro il sogno americano” di Giantonio Valli
Se da una parte tutte le
maggiori case di produzione hollywoodiane sono strettamente in mani
ebraiche (ma lo sono anche catapecchie cinematografiche come
la Producers Releasing
Company, del ragioniere Leon Fromkess), ebraiche sono anche le
prime banche che finanziano l'industria filmica.
L'unica, parziale eccezione è rappresentata dalla Bank
of Italy, fondata nel
1904 a
San Francisco da Amedeo Peter Giannini, un immigrato italiano nato nel
1870 a
San Josè. Dotato di un talento e di una forza d'animo eccezionali, dopo
il praticantato bancario egli ottiene i primi capitali per la sua
impresa dai fratelli Herman Wolf ed lsaiah Wolf Hellman, due dei più
potenti banchieri della California (il secondo è inoltre il fondatore,
nel 1872, della prima sinagoga del Bnai B'rith di San Francisco).
Fattosi largo a forza in uno
estab1ishment ostile, allora dominato dai banchieri anglosassoni,
l'italiano si appoggia agli ebrei, stipulando, attraverso il produttore
Sol Lesser, un'alleanza con i produttori di Hollywood e con i banchieri
di New York interessati allo sviluppo dell'industria cinematografica.
Il propulsore di tale impegno non è però direttamente Amedeo, ma suo
fratello Attilio, detto «Doc» per via di una sua laurea in medicina.
Quando
la Bank
of Italy rileva la fallita Bowery
and East River Bank di New York, è ancora Sol Lesser a consolidare
la banca di Giannini attraverso il coinvolgimento di Attilio nelle
attività finanziarie delle compagnie di produzione. In tal modo «Doc»
diviene la prima fonte di capitale per Marcus Loew, Lewis Selznick,
Florenz Ziegfeld e dozzine di altri impresari ebrei, sia teatrali che
cinematografici: «una collaborazione tra outsiders», la definisce Neal
Gabler.
Fondata nel 1919,
la Loews Incorporated
vede l'interessamento anche di altri banchieri. Come abbiamo accennato
parlando della M.G.M., è per questo motivo che nella direzione della
Loew compaiono i «gentili» W.C. Durant, dirigente della General Motors,
e H. Gibson, presidente della Liberty
National Bank.
Un altro banchiere perno dello sviluppo dell'industria cinematografica
americana è Otto Hermann Kahn. Nato nel
1867 a
Mannheim dal banchiere Bernard, Otto, dopo un periodo di lavoro nella
filiale londinese della Deutsche
Bank, nel 1893 è nominato direttore della filiale newyorkese della Speyer & Co. Tre anni più tardi egli sposa Addie Wolff, figlia
di Abraham, socio nella Kuhn, Loeb
& Co., nella quale banca viene assunto l'anno seguente - «verosimilmente
per il fatto che era stata fondata da ebrei come lui», ci informa
piamente il Gabler - divenendone un'autorità.
In tempo rimarchevolmente breve,
da impiegato Otto diviene alto dirigente e socio. Dal 1903 al 1917 è
presidente del Consiglio di Amministrazione della Metropolitan Opera Company. Adolph Zukor, già finanziato da
Pierpont Morgan, lo contatta intorno al 1919 tramite suo fratello Felix
Kahn, proprietario di una delle più estese catene teatrali newyorkesi.
Quando
la Paramount
apre la sua campagna di acquisti di teatri (nel 1921 possiede od ha
costruito ben trecentotre locali di prima visione), Felix cede la sua
catena, venendo cooptato nella casa e divenendone uno dei massimi
dirigenti, oltre che amico intimo di Zukor. Alla fine degli anni Venti,
delle quindicimila sale cinematografiche sparse sul territorio degli
Stati Uniti,
la Paramount
ne controlla un terzo.
Così si esprime ancora il
Gabler: «Zukor aveva una forte
affinità con i Kahn. I due fratelli erano apostati dal giudaísmo,
senza speranza di assimilazione, sebbene essi fossero in proposito più
decisi che non Zukor. Otto aveva completamente rigettato il giudaismo e
si era fatto episcopaliano. Essi affettavano uno stile di vita
"imperiale", pensando di consolidare in tal modo il loro
status di gentlemen. Ed ancora credevano nelle arti come mezzo di
mobilità sociale. In effetti, sembra che Otto Kahn si riferisse a Zukor
quando, pochi anni più tardi notificò ad un gruppo di soggettisti e
produttori che ‘nell'arte come in ogni cosa il popolo americano ama
essere guidato in alto e in avanti’, continuando poi a riferirsi
‘alla grande importanza ed alla potenzialità del cinema come
industria, influenza sociale ed arte’».
Un gustoso aneddoto sul suo
conto merita a questo punto di essere riportato. Fattosi protestante,
Kahn cerca per anni di ignorare e di far ignorare la sua origine
ebraica. Passando un giorno per
la Quinta Strada
in compagnia dell'umorista ebreo Marshall Wilder, affetto da una gobba
pronunciata, egli indica al compagno la chiesa della quale è assiduo
fedele, dicendogli: «Marshall, sai che una volta ero ebreo?». «Sì,
Otto» - è la risposta di Wilder, evidentemente memore del fatto che olim
haebreus semper haebreus - «e anch'io una volta ero gobbo».
Come
la Kuhn
, Loeb & Co. per
la Triangle
(insieme a Rockefeller) e per Zukor, così altri banchieri ebrei
finanziatori dei tycoons hollywoodiani sono S.W. Straus per Carl Laemmle
e Goldman, Sachs & Co. per i fratelli Warner.
Solo William Fox avrebbe «osato» accordi con banchieri «gentili» non
legati alla finanza ebraica, e subito l'AT&T, Halsey, Stuart &
Co. ed altri finanzieri avrebbero cospirato per sottrargli il potere di
controllo sulla filmografia sonora, campo nel quale Fox si trovava
allora all'avanguardia e nel quale essi avevano investito considerevoli
mezzi finanziari.
La crisi dell'ottobre 1929
costringe le grandi case a fare ricorso alla Chase National Bank di Rockefeller, oppure alla Atlas
Corporation di Morgan, che impongono una drastica politica di
organizzazione e sottomettono alla fine la produzione al loro diretto
controllo.
«Il 1935» - scrive Sadoul -
«è l'anno in cui le conseguenze della crisi economica e della nuova
‘guerra dei brevetti sonori’ portano ad un rafforzato controllo dei
grandi gruppi finanziari sulla città del cinema. Otto Grandi regnano
ormai su Hollywood; cinque "maggiori":
la Paramount
,
la Warner
,
la Loew-MGM
,
la Fox
e
la RKO
insieme con tre "minori”:
la Universal
,
la Columbia
e
la United Artists.
Le cinque case maggiori totalizzano l'88 per cento del giro d'affari,
sono proprietarie di 4.000 grandi cinematografi-chiave e producono l'80
per cento delle superproduzioni. Insieme con le tre case minori,
monopolizzano il 95 per cento della distribuzione. Questi Otto Grandi
sono consociati nella Motion
Picture Producers ofAmerica (MPPA) e a loro volta sono controllati -
il più spesso a due o tre mandate - dal gruppo Rockefeller o dal gruppo
Morgan. Per di più, alcune di esse sono legate a W. Randolph Hearst, a
Du Pont De Nemours, alla General Motors, alla General Electric e a varie
grandi banche. L'alta finanza americana, direttamente proprietaria di
Hollywood, sceglie attraverso i suoi fiduciari i soggetti dei film, che,
prima di venir realizzati da un cineasta, debbono piacere ad una
manciata di finanzieri».
I veri padroni degli oligopoli
cinematografici rappresentati dalle maggiori case di produzione sono
ancor oggi i grandi finanzieri di Wall Street (anch'essi nella maggior
parte di ascendenza ebraica). I maggiori trust finanziari e bancari
statunitensi, le «Big Three», sono ancor oggi i gruppi Rockefeller,
Morgan, e
la Kuhn Loeb
&Co.
Come continua Georges Sadoul, l'attività dei monopoli cinematografici
di Hollywood sarà da allora prevalentemente diretta da fini
commerciali: «I dirigenti, che sono praticamente i delegati dell'alta finanza,
stabiliscono con precisione quanto deve rendere ogni film e se il
bilancio risulta in deficit tutti quelli che hanno concorso a crearlo
(attori, directors e producers) si troveranno presto o tardi licenziati.
I finanziatori americani padroni di Hollywood liquidano spietatamente
questi executives, che sembrano tanto potenti, non appena il bilancio
delle grandi case da essi dirette si rivela passivo».
Tuttavia, nota sempre Sadoul, in
talune circostanze i finanzieri di Wall Street autorizzano delle spese
«disinteressate». Uno degli esempi più chiari si manifesta nel primo
decennio del dopoguerra.
Nel 1948
la Fox
è la prima a lanciare un film anticomunista, «La
cortina di ferro», in appoggio alla guerra fredda. Con una
contemporaneità significativa, la manovra propagandistica viene ripresa
largamente dalla stampa, dalla televisione e dalle case editrici. Film
senza alcuna qualità artistica, «La
cortina di ferro» provoca subito, sia negli USA che all'estero,
vive proteste. E suo mancato successo commerciale non impedisce tuttavia
ad Hollywood di continuare a produrre per sei o sette anni numerose
pellicole anticomuniste - con eguale insuccesso.
«Per
la Fox
,
la MGM
,
la Wamer
,
la RKO
,
la Paramount
questa serie costituì certamente un deficit di molti milioni di
dollari. Ma lo sforzo delle cinque majors fu disinteressato soltanto in
apparenza, poiché queste grandi case erano in effetti legate anima e
corpo agli interessi dei gruppi Morgan e Rockefeller, alle grandi
fabbriche di armi e di forniture militari o di bombe atomiche che
gravitano intorno alle ditte Kodak, Du Pont de Nemours, General Motors,
General Electric, etc.».
I film anticomunisti
contribuiscono a creare nell'opinione pubblica il panico della guerra
fredda e pertanto a determinare commesse militari, atomiche o di altro
genere, a tutto vantaggio delle grandi ditte e degli interessi che
controllano anche le maggiori case cinematografiche di Hollywood.
Pertanto il bilancio complessivo è largamente attivo.
I legami che uniscono Hollywood al mondo del big business risultano
quanto più chiari nella pittoresca figura del multimiliardario «gentile»
Howard Hughes.
Nato nel 1905 (e deceduto nel 1976), questo figlio di un milionario
californiano si interessa ben presto, come abbiamo visto, al cinema (nel
1932 è tra l'altro produttore di Scarface).
Fin dall'età di venticinque anni finanzia, e talvolta anche dirige,
numerose pellicole nelle quali ha gran parte l'aviazione, attività tra
l'altro a lui cara anche dal punto di vista sportivo. Mentre conquista
alcuni record come aviatore, egli consolida così la fama di talune dive
che godono dei suoi favori.
Nel 1948 il Nostro acquista per parecchi milioni di dollari, dal gruppo
finanziario Rockefeller,
la RKO. Per
sette anni la società resta apparentemente in deficit, e nel 1955
Hughes la rivende ad un gruppo di grossi industriali della gomma.
«Si disse allora - scrive Sadoul - che
la RKO
era stata per lui un capriccio da miliardario che accoppiava a quella
aviatoria la passione per le dive. Ma il settimanale Time ricorda, il 17
ottobre 1955, da dove vengono i miliardi di Hughes. La fonte della
notizia ne garantisce la veridicità, dato che questa pubblicazione
americana opera nell'ambito degli interessi Morgan e, assieme alle
rivelazioni, pubblica anche due pagine di pubblicità pagate da Hughes».
In breve, secondo la rivista,
Hughes è uno dei dieci maggiori proprietari di industrie belliche
americane. Nel bilancio militare degli USA
la Howard Hughes
Aircraft Co. (i cui
stabilimenti occupano un'area di trenta ettari in California e in
Arizona) incide ogni anno per duecento milioni di dollari sulla
fornitura di missili teleguidati fabbricati da una delle aziende
affiliate,
la CSTI. Oltre
a queste due società, il Nostro domina anche
la Hughes Tool
Co. e
la TWA
, la più grande compagnia aerea internazionale americana. Queste
aziende impiegano complessivamente cinquantamila persone ed il loro giro
d'affari annuo raggiunge i settecento milioni di dollari (tutti i dati
sono ovviamente da riferire al 19 5 5).
La RKO
, durante il periodo in cui è di proprietà
privata di Hughes, moltiplica la produzione di film anticomunisti e di
film di guerra che si svolgono in Corea od altrove, e dove l'aviazione
ha un posto di primo piano. Citiamo, per tutti, The
Bridges at Toko-ri (1954).
(…)
E’ dunque difficile
considerare la grande produzione filmica americana indipendentemente dai
grandi gruppi industriali e finanziari che la controllano!
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