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Fiat
AVIO al clan dei Bush
di Francesco
Piccioni da «Il Manifesto» del 23 maggio 2003
Il
ramo aeronautico e aerospaziale della Fiat finisce al Carlyle Group, mentre
Finmeccanica partecipa come partner di minoranza. Un altro pezzo pregiato
dell'industria italiana finisce all'estero, in mano a un gruppo specialista nei
business a cavallo tra governi e mercato.
E'ormai
questione di ore. Anche Umberto Agnelli, a margine dell'assemblea di
Confindustria, ha confermato che l'accordo per vendere Fiat Avio al fondo
americano Carlyle è ormai concluso. «C'è ancora qualche piccolo problema da
definire», ha chiosato il presidente Pier Francesco Guarguaglini, ma la
chiusura del contratto «avverrà presto; se non questa settimana, la prossima».
Parola di Umberto. Molti hanno giustamente storto il naso all'idea che uno dei
pezzi tecnologicamente più avanzati dell'industria italiana - con brevetti
proprietari sia nel settore aeronautico che in quello aerospaziale - finiscano
nelle mani di un fondo di investimento, «per vocazione» chiamato a operare sul
piano strettamente finanziario. A compensare questa (presunta) «incompetenza»
industriale provvederà il socio italiano, Finmeccanica (ancora in mano al
governo italiano tramite il 32,447% detenuto dal ministero dell'economia). Ma la
sua sarà una quota di assoluta minoranza (il 30%), che le impedirà di metter
bocca sulle strategie commerciali e industriali della Fiat Avio del futuro.
Il Carlyle Group non è però un «fondo» qualsiasi, ma una macchina da soldi
che investe in operazioni mirate «all'intersezione tra governo [degli Stati
uniti] e mondo degli affari». Ed è perciò non a caso diretta e amministrata
da ex ministri e presidenti (Frank Carlucci, James Baker III, John Major, George
Bush padre, ecc) che erano stati precedentemente capitani d'industria abili
nell'alternare la presenza in prestigiosi consigli di amministrazione con quella
alla testa di agenzie governative (sia Bush padre che Carlucci sono stati
direttori della Cia). Il Carlyle è insomma una società che fa affari con e
grazie alle relazioni politiche garantite dai suoi «boss» più noti, specie
nei settori interessati dalle privatizzazioni di beni pubblici (è appena il
caso di ricordare che, come governanti, i dirigenti del Calyle sono stati tutti
dei «liberisti» duri e puri, che hanno imposto l'estromissione dello stato
dall'economia sia nel loro paese che, tramite le istituzioni internazionali, in
tutto il pianeta).
In Italia, oltre alla Fiat Auto, hanno già ingurgitato immobili per 290.000
metri quadrati, pagando 230 milioni di dollari. Una parte rilevante del bottino
- finora, ma soprattutto nei prossimi mesi - è costituita dagli immobili
pubblici che il governo ha «cartolarizzato», mettendoli all'asta tramite una
società appositamente costituita e dal nome programmatico (Scip). Queste
dismissioni stanno interessando sia gli appartamenti non acquistati dagli
inquilini degli enti (Inpdap, Inail, ecc), sia immobili a vocazione commerciale
o direzionale, ospedali compresi. Solo che gli appartamenti messi all'asta
vengono poi venduti quasi al prezzo di mercato - vista l'alta domanda di
edilizia residenziale inevasa - mentre per i palazzi «amministrativi» le aste
vanno spesso deserte fino a ottenere il massimo sconto, a tutto vantaggio
dell'acquirente e a danno dello stato. Il Carlyle, per fare un esempio concreto,
ha comprato tre palazzi dell'Inail di Bari a un prezzo inferiore del 32,5%
rispetto a quello di mercato.
Un gruppo maestro nel fare affari grazie alla politica,
insomma; pieno di politici che sanno come piegare la politica del mondo nel
senso «coerente» con i loro affari. Inevitabile che con il governo italiano si
capissero al volo. Non è forse vero che gli Usa - chissà perché - godono fama
di aver affrontato nel modo migliore il problema dei «conflitti di interesse»?