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La
farsa delle energie alternative
di Eugenio Benetazzo - 16 luglio 2007
Tanto
per iniziare sappiate che non possiamo chiamarle energie alternative, ma
caso mai derivative, in quanto non rappresentano assolutamente una
alternativa, quanto piuttosto una fonte di energia che deriva
anch’essa da un diverso utilizzo del petrolio.
Se qualcuno pensa di poter avere i pannelli fotovoltaici senza poter
disporre di greggio in abbondanza ed a buon mercato, è il caso che si
sintonizzi su Italia Uno per guardare i provini del Grande Fratello.
Per spiegare a tutti la reale portata dell’impatto delle energie
derivative mi è necessario soffermarmi sulla evoluzione
storica della civiltà umana: non vi preoccupate cercherò di
essere il meno noioso possibile.
Come
si è arrivati al petrolio ? Semplice: da un progressivo processo di
sostituzione di una risorsa con un’altra a causa dell’esaurimento
della prima e del lievitare del suo costo di approvvigionamento.
Così è successo quando si passò dal legno al carbone. Inizialmente il
legno era disponibile in quantità impensabili, era abbondante ed a buon
mercato: basti pensare che la copertura forestale in Europa agli inizi
del 1600 era quasi del 90 %. La
necessità di avere terreni da coltivare unita alla richiesta di legna
per il riscaldamento provocò un lento e progressivo disboscamento in
tutta Europa. Quando anche la legna cominciò a diventare molto costosa
(a causa della sua diminuita abbondanza), venne individuato il carbone
come un interessante sostituto: interessante perché vista
l’abbondanza iniziale era decisamente poco costoso.
Il
carbone era conosciuto sin dai tempi dell’impero romano, ma non veniva
utilizzato perché sporcava sia quando bruciava e sia quando veniva
trasportato: per questo motivo si preferiva la legna molto più
rassicurante per gli usi casalinghi.
All’inizio del diciassettesimo secolo il carbone diventa il vero e
proprio componente energetico volano di un primo gradiente evolutivo: la
nascita della civiltà industriale.
Il carbone trova ottima applicazione anche nel funzionamento delle prime
macchine a vapore che rappresenteranno
la chiave di svolta per la trasformazione delle società da
economia rurale a economia di mercato.
Il successivo passo ci porta allo svuotamento delle campagne:
milioni di contadini in tutta Europa
abbandonano la coltivazione della terra (lavoro molto pesante, ma
al tempo stesso molto salutare e gratificante) per spostarsi nei grandi
sobborghi industriali per lavorare come operai. Il capitalismo nasce e
si evolve grazie ad una risorsa energetica allora abbondante ed a buon
mercato: il carbone.
L’industria
tessile per prima si fa portavoce di questo sensazionale mutamento: non
si vive più per lavorare, ma si lavora per vivere. Le grandi metropoli
iniziano a trasformarsi, sia dal punto di vista urbano che dal punto di
vista socioeconomico: nascono i primi quartieri ghetti e nasce la lotta
di classe.
Il carbone consente di riscaldare le abitazioni (un tempo sempre molto
fredde), consente di far funzionare fucine e macchine a vapore per
tenere in movimento telai, motori e rotative.
L’uomo non si alza più quando canta il gallo all’alba, ma con la
sirena delle fabbriche che lo sveglia per ricordagli che tra poco inizia
il turno di lavoro.
Si è abbandonato una vita
incontaminata a stretto contatto con la natura, per scegliere di passare
la propria vita dentro uno stabilimento industriale, al buio, in mezzo
alla confusione di macchine e rumori di ogni sorta. Già allora, città
come Londra apparivano all’occhio del viandante forestiero, città
invivibili, corrotte dai costumi, dall’alcol, dalla prostituzione e
dall’inquinamento.
Nel
frattempo i giacimenti di carbone smettono di essere convenienti in
quanto il carbone in superficie si era esaurito ed era necessario
iniziare ad estrarlo: nascono le prime miniere di carbone.
La risorsa energetica che ha consentito quanto abbiamo esposto finora
comincia tuttavia a diventare costosa: qualcuno in America si accorge
che si può ottenere altrettanta energia dalla sfruttamento di un
liquido nero, che sembra carbone liquefatto. Inizia l’era del
petrolio.
In un primo tempo viene utilizzato per illuminare le strade nelle grandi
città metropolitane. Alla
fine del 1800 in città come Francoforte, Parigi e Londra vi erano
milioni di cavalli che venivano utilizzati per trascinare carrozze,
diligenze, carri merci e via così. Mantenere un cavallo era costoso,
pochi se lo potevano permettere, inoltre ognicavallo sporcava
abbondantemente con le sue naturali deiezioni. Qualche decina di
migliaia di cavalli in città come New York o Londra possono creare un
vero e proprio problema per l’igiene e la salute pubblica.
Si
intuisce l’importanza di poter spostare uomini e merci velocemente ed
a costi ragionevoli: dal petrolio nascono moltissimi derivati, gli
idrocarburi ed i composti sintetici.
Nasce l’era dell’industria per eccellenza, quella dell’automobile
ed al suo fianco quella della petrolchimica: vengono inventati materiali
assolutamente rivoluzionari, poco costosi ed indistruttibili, come il
nylon. Siamo nella seconda metà del secolo appena passato.
L’era della petrolchimica apre le porte ad una seconda rivoluzione
industriale: quella dei personal computer che consentiranno in meno di
vent’anni di sostituire l’uomo in molteplici mansioni di routine.
Ma il contributo maggiore che ha dato il petrolio all’evoluzione umana
non lo troviamo nell’industria automobilistica, quanto in quella
agroalimentare.
Tanto per iniziare in meno di 100 anni la fertilità e produttività dei
terreni è spaventosamente aumentata di circa il 5 % all’anno, proprio
di pari passo all’aumento dell’offerta petrolifera.
Per farvi un esempio lampante un secolo fa, da un ettaro coltivato a
mais si ottenevano circa 20 quintali per ettaro, oggi si arriva ad oltre
120 quintali (stranamente nello stesso tempo la popolazione umana è
passata da un milardo agli oltre sei attuali) !
Questo
strepitoso aumento di disponibilità alimentare al pari della superficie
coltivata è stato possibile solo grazie al greggio ed a tutte le sue
invenzioni collegate: i trattori, le mietitrebbiatrici, le pompe di
irrigazione, i fertilizzanti sintetici ed i pesticidi, che per quanto
possano essere denigrati, hanno consentito di soddisfare il fabbisogno
alimentare della civiltà umana, man mano che questa cresceva
esponenzialmente.
E perché cresceva così tanto la popolazione mondiale ? Per diretta
conseguenza del cambiamento di vita sia alimentare che salutare: in
quanto abbiamo avuto la possibilità di nutrirci con una varietà e
ricchezza ed abbondanza alimentare che nessun’altra generazione prima
di noi ha potuto avere. Questo ha consentito all’organismo di essere
più forte contro gli attacchi esterni e di procreare con una
progressione esponenziale impensabile fino a qualche secolo fa.
Grazie al petrolio abbiamo potuto avere le coltivazioni intensive che a
cascata alimentano gli allevamenti intensivi di bestiame (bovini, suini
ed ovini). Pensate a quante volte mangiate carne durante il giorno: fino
a 70 anni fa la carne si mangiava una volta ogni 15 giorni, in occasioni
di feste e ricorrenze popolari.
Senza
greggio questa catena alimentare (artificialmente sovralimentata) non
potrebbe continuare a sostenersi, in quanto non potremmo avere raccolti
abbondanti per alimentare la crescita, l’ingrasso ed il riciclo degli
animali di allevamento.
Non dimentichiamo inoltre il prolungamento della vita media provocato
dalla capillare diffusione e produzione di farmaci da banco (pensiamo
solo alla volgare aspirina o al paracetamolo).
Capite quindi da questo sintetico excursus storico come sia
assolutamente fuori luogo pensare di poter sostituire una risorsa che ci
ha trasformato e ha trasformato le nostre vite.
Non mi devo chiedere se in futuro ci sarà benzina per mettere in moto
il mio suv, quanto piuttosto se il supermercato sotto casa verrà
rifornito di ortaggi e alimenti preconfezionati, oppure se alcune aree
metropolitane troveranno i mezzi per sostenersi dal punto di vista
alimentare.
Le
fonti di energia alternativa, anche se sono energie derivative, non
risolveranno MAI totalmente e PER TUTTI i problemi e le difficoltà a
cui stiamo andando incontro.
In futuro l’energia, specialmente quella elettrica, ci sarà ancora,
ma non per tutti e soprattutto non ai prezzi che conosciamo ora. Avrà
una erogazione a singhiozzo, con periodi molto frequenti di blackout: ma
questo solo per chi sarà molto ricco.
Per gli altri si ritornerà indietro: molto indietro, la candela
sarà già un lusso. Se
qualcuno sta pensando ai pannelli solari, è meglio che se li scordi:
non si potrà mai avere pannelli fotovoltaici per tutti.
E perché ? Perché per fabbricarli, assemblarsi e trasportarli
occorre petrolio, proprio quello che dovrebbero sostituire in toto !
Un pannello fotovoltaico è costituito di svariati elementi minerali:
silicio, rame, cadmio, indio, gallio. Solo per estrarre una tonnellata
di rame servono 8 barili di petrolio !
Spero non penserete di spostare un trattore John Deere del peso
di 10 tonnellate con i pannelli fotovoltaici sul tetto della cabina di
pilotaggio !
E i fertilizzanti ed i pesticidi con che cosa li sostituite ? Gli aerei
e le navi traghetto con cosa li spostate ? Con l’idrogeno ?
Una
delle più grandi bugie che vi hanno raccontato sulla circolazione delle
automobili è che i carburanti come la benzina ed il gasolio verranno
sostituiti dalle cosi dette celle a idrogeno.
Per chi non lo sapesse, sono una sorta di pila a vita eterna che produce
energia elettrica dalla catalisi dell’idrogeno.
Celle a combustibile ce ne saranno in futuro: alcuni milioni,
forse.
Ma di certo non li avrete voi, ma solo come ho detto prima, le persone
più ricche, proprio come avveniva 70 anni fa quando l’automobile era
un lusso per pochi.
La nostra specie si è straordinariamente trasformata in meno di 100
anni, cambiando abitudini, stili di vita e regime alimentare. Sempre in
questo lasso di tempo è esponenzialmente proliferata passando da un
miliardo di persone a oltre i sei: tutto questo è stato possibile
grazie ad un impareggiabile prodotto, il petrolio,
che adesso sta iniziando a diminuire nella sua disponibilità.
Come uno stupido sciame di locuste abbiamo depredato la terra di questo
bene, riproducendoci senza limiti e consumandolo per ogni insensato uso
(pensiamo ai suv).
Le conseguenze saranno senza precedenti storici, perché con NULLA è
possibile sostituire quello che ha fatto per noi e per il nostro stile
di vita questo straordinario prodotto del nostro pianeta.
Eugenio
Benetazzo
www.eugeniobenetazzo.com/tour.html
www.youtube.com/eugeniobenetazzo
Con
stima e simpatia
di Carlo Bertani - 16 luglio 2007
Fa
piacere polemizzare con persone intelligenti, e rispondere
all’articolo di Eugenio Benettazzo fa parte di questa pratica: come si
potrebbe polemizzare sull’energia con Sgarbi o con Ripa di Meana?
Tempo fa avevo buttato lì a Benettazzo di scrivere un articolo a
quattro mani, sull’energia e sui risvolti economici ad essa collegati:
continuo a credere che ne uscirebbe un buon lavoro, ma non se ne fece
nulla. Purtroppo, entrambi abbiamo mille cose da fare.
Il pregio dell’articolo di Benettazzo – che, è vero, fa a pugni con
il titolo “La farsa delle energie alternative” – è che non si
perde nei mille rivoli della tecnologia, ma cerca d’inquadrare
storicamente il fenomeno. Perché, rendiamocene conto, il problema
dell’energia troverà soluzioni soltanto se sapremo allontanare la
prospettiva da oggi e dall’esistente, per osservare il fenomeno per
almeno un paio di secoli, dal 1900 al 2100, tanto per porre dei paletti.
In
questo senso, l’articolo di Benettazzo è ben impostato ma, la sua
prospettiva storica, è troppo pessimista.
E’ pur vero che io stesso ho sposato, nel mio libro “Mutamenti Climatici: la rivolta di Gaia”, la tesi “catastrofista”,
ma l’ho fatto soltanto perché scorgo troppo, pericoloso ottimismo.
Si va da chi sostiene che la soluzione di tutto è il nucleare – e
dimentica di comunicare che il prezzo dell’Uranio continua a correre
come una Formula1, ogni sei mesi, praticamente, raddoppia[1]
- a chi crede di salvare il mondo con le lampadine a basso consumo.
La
“bufala” dell’Uranio non è una novità: la stessa IEA[2],
ha stigmatizzato il mercato dell’Uranio per il prossimo secolo, ossia
40 anni con un incremento simile a quello attuale, e poi altri 40 anni a
prezzi sensibilmente più alti. Il tutto, dipende dal semplice fatto che
l’Uranio non è una fonte rinnovabile: come il Rame o lo Stagno.
La “corsa” del prezzo dell’Uranio dipende soprattutto dal
programma nucleare cinese, che punta a soddisfare il futuro energetico
del paese principalmente con due fonti, ripartite equamente al 50%,
nucleare ed eolico. Qui, è la semplice legge della domanda e
dell’offerta a chiudere ogni spiraglio: l’Uranio potrà fare ancora
il “supplente” per qualche anno, poi, finito.
Altra
“bufala” – questa volta sotto l’aspetto dei gas serra – è la
peregrina idea di stivare l’anidride carbonica sotto terra,
“mineralizzandola”. Se si vanno a spulciare i dati[3],
si scopre che – utilizzando tutte le caverne che riusciremo a scovare
– potremmo trovar posto per la produzione di CO2, derivante
dall’industria energetica, di circa 6 anni. E per gli altri 40, 60,
100?
E i costi? Perché, appena qualcuno cerca di proporre soluzioni sul
fronte delle energie naturali, scattano immediatamente (e giustamente) i
censori dei costi? Perché, invece, se si va in giro a raccontare che si
risolve tutto con l’Uranio, oppure stivando l’anidride carbonica
sotterra, nessuno chiede niente?
Quanto costa stivare e controllare le scorie delle centrali nucleari per
20.000 anni? Mi raccomando: non dimenticate la bolletta del telefono del
Gennaio 18567 e gli assegni familiari del personale per l’intero
18298.
Non
voglio, però, dimenticare che eravamo partiti da una prospettiva
storica, e qui – caro Benettazzo – non è che hai preso in pieno la
boccia. Sei andato diligentemente a punto, questo sì, ma nemmeno poi
troppo vicino al pallino.
Non entro nella disquisizione semantica fra energie rinnovabili,
derivate e naturali. Personalmente, mi sembra che i termini rinnovabili
o naturali vadano benissimo, mentre “derivate” mi sembra un poco
tirato per i capelli.
In fin dei conti, qualsiasi energia è “derivata”.
Se
il carbone è stato il re dell’Ottocento, il petrolio ha regnato per
l’intero Novecento; domanda: con quale energia fu creato l’apparato
di produzione petrolifero?
Siccome i trasporti – ben oltre la metà del Novecento – hanno
utilizzato più carbone che petrolio (fino alla Seconda Guerra Mondiale,
la maggioranza del naviglio utilizzava il carbone, mentre la locomotiva
era quasi la regola e non l’eccezione), possiamo tranquillamente
affermare che il “sistema” petrolio nacque grazie all’energia del
carbone.
Alcuni dati? La battaglia navale dello Jutland – 1916, quando volavano
già molti aerei a benzina e tanti camion viaggiavano con il motore a
scoppio – avvenne fra navi propulse esclusivamente dal carbone.
Addirittura,
Ragionare
sulle energie sotto il profilo storico è senz’altro utile, ma
sostenere che una fonte non è – in qualche modo – “autonoma”,
è un’assurdità: tutte le fonti sono state tributarie, nel loro
affermarsi, di quelle precedenti. Paradossalmente, potremmo ricordare
che, per parecchi decenni, le infrastrutture petrolifere furono
costruite – fuse negli altiforni a carbone coke, lavorati su torni che
funzionavano con l’energia delle cascate e trasportati su navi a
carbone – proprio con le altre energie.
E’ allora ovvio che, qualsiasi apparato d’approvvigionamento
energetico andremo ad impostare, nascerà anche grazie all’energia che
oggi ricaviamo dal petrolio, dal carbone, dall’Uranio. Non c’è mica
da scandalizzarsi: è sempre stato così!
Altra
cosa è affermare che non sarà possibile utilizzare le energie
rinnovabili per il sistema dei trasporti: per pura curiosità, ricordo
che è già stato sperimentato un locomotore con una pila a combustibile
da 1 MW, alimentato ad idrogeno[4].
Il sistema dei trasporti, però, ha bisogno di riforme strutturali:
l’essenza del risparmio energetico è tutta qui.
Da un lato abbiamo dei flussi d’energia disponibili, dall’altro dei
modelli sui quali li riversiamo: il problema, dialettico, è proprio
l’indagine sul rapporto fra questi due fenomeni, sulle loro
interazioni e modificazioni valutate man mano che il tempo scorre. E si
torna alla prospettiva storica: qualche esempio?
Non
possiamo continuare a spostare le merci con il mezzo meno efficiente che
esiste, ossia il camion! A fronte di una tonnellata spostata, la nave
(fluviale e marina) consuma circa il 35% dell’energia rispetto alla
strada, ed un buon 15% in meno rispetto al treno. I costi di personale,
poi, sono sensibilmente minori: perché, nel Nord Europa, usano i
canali? Perché risparmiano, e tanto.
Da noi non esistono? Sbagliato. Torniamo alla prospettiva storica:
esistevano, ma sono stati dimenticati!
Per secoli, il sistema di trasporto della valle padana furono il Po ed i
canali collegati (Navigli, ecc), mentre l’Italia peninsulare sfruttava
il cabotaggio. Alcuni dati? Il primo mercantile – in qualche modo
“italiano” – spinto dal vapore fu una nave napoletana, ed a
comandarla, nel 1848, fu il C.te Giuseppe Libetta di Peschici (FG).
Il
trasporto fluviale italiano, è passato dalle 16 milioni di tonnellate
del dopoguerra alle attuali 1,5: un bel progresso! Non abbiamo fiumi e
canali navigabili? Errore: c’erano ma, a differenza del resto
d’Europa, ce ne siamo dimenticati e non li abbiamo più curati.
Nemmeno il grande Danubio, senza costanti opere di manutenzione, è
navigabile! Forse, da noi, si preferisce puntare sul bilancio della
Società Autostrade? Probabilmente così è, ma allora non tiriamo in
ballo l’energia se i trasporti costano troppo!
Insomma, la prospettiva storica ci può aiutare, e parecchio, ma non
dimentichiamo che ciò che conta è il futuro: la storia ci può
aiutare, questo è verissimo, ma solo se sposiamo un’ottica di
maggiore ottimismo, che guarda al domani.
Non
esistono flussi d’energia in grado di sostituire gli attuali 10
miliardi di TEP[5],
necessari per far funzionare il pianeta? E chi lo ha detto?
Non cito
La
stessa Enelgreenpower – l’italiana ENEL – afferma che la fonte
eolica, nel pianeta, è in grado di fornire 4 volte l’intero
fabbisogno mondiale del 1998, ossia più di tre volte (approssimativo)
di quello attuale.
Se qualcuno ha ancora dei dubbi, rifletta che il sole – ogni anno –
invia sulle sole aree desertiche del pianeta l’equivalente di 5.500
miliardi di tonnellate di petrolio: una quantità d’energia pazzesca,
pari a circa 500 volte l’intero consumo mondiale. Sui soli deserti.
Inoltre, ci sono ancora ampi margini di captazione per il piccolo e
medio idroelettrico: l’esempio del piccolo comune di Varese Ligure è
esplicativo. Dopo l’installazione di quattro aerogeneratori (ed aver
ripianato i conti del comune grazie alla vendita d’energia), è stata
installata una turbina sulla conduttura dell’acquedotto, che ha una
caduta di
Questo,
in un piccolo comune dell’entroterra ligure con circa 2.000 abitanti.
Oggi, stiamo scoprendo – dopo aver cementato anche le tazze dei cessi
– che i grandi fiumi avevano le loro, naturali protezioni contro le
alluvioni: le aree di barena e le lanche.
Ebbene, con un uso intelligente delle acque dei fiumi, si possono
cogliere due risultati, entrambi importanti sotto il profilo energetico:
il trasporto fluviale e la generazione d’energia elettrica da basse
cadute, mediante le turbine Kaplan. Non erano forse in funzione, cent’anni
or sono, i “mille mulini del Po” di Bacchelli? Se non basta la
storia, anche la letteratura ci può aiutare ad aprire gli occhi: i
mulini del Po non erano sul fiume, ma nelle lanche.
I
russi – che, riconosciamolo, hanno ben altri fiumi – hanno una
potenza massima installata, sulle centrali dei fiumi, di 50.000 MW[6].
E’, all’incirca, il massimo che riesce ad erogare la rete italiana.
Ancora: le correnti sottomarine. Riflettiamo che un metro cubo d’acqua
pesa una tonnellata e si sposta, nei passaggi obbligati (stretti, ecc),
ad una velocità prossima ai 3-5 nodi, ossia 5-
E
la geotermia? Gli islandesi, da sempre attenti al settore, hanno
iniziato a sfruttare – oltre ai letti caldi ed ai geyser – le
caldere dei vulcani in attività, ossia cercano d’incanalare
l’energia termica presente nelle caldere. Anche qui, però, siamo ai
primi passi.
Invece di perderci nelle mille diatribe per stabilire se il fotovoltaico
è conveniente (paragonandolo al petrolio), cerchiamo di stabilire se un
diverso sistema d’approvvigionamento energetico è fattibile.
Oggi, siamo abituati a considerare l’energia come qualcosa che si crea
(Uranio a parte) bruciando qualcos’altro. E’ proprio questo retaggio
storico, radicato da millenni, che dobbiamo modificare.
L’energia,
scorre intorno a noi: basta attrezzarsi per raccoglierla e convogliarla.
Questa è la novità che gran parte dei commentatori “tecnicisti"
non riesce a cogliere: perché? Poiché non amplia la prospettiva
storica. Sull’altro versante, una prospettiva storica troppo
pessimista è influenzata proprio dai detrattori delle nuove energie i
quali, invece di scervellarsi per trovare soluzioni praticabili
ben oltre il nostro secolo, non fanno altro che cercare di demolire le
altre ipotesi. Quasi avessero dimenticato che la parola ingegnere deriva
da ingegno, che è quasi
sinonimo di fantasia.
Toccherebbe a loro il compito, invece di criticare.
Non
ci credete?
Quando, in Gran Bretagna, apparvero i primi tratti di strada ferrata,
gli allevatori di cavalli osservarono con sufficienza quei primi mostri
sbuffanti. Come sarebbe stato possibile, si chiesero, sostituire tutti i
carri trainati dai cavalli?
Dopo pochi decenni, le stesse persone allevavano mucche e maiali.
Addirittura, un solerte fisico francese, avvertì che la ferrovia non
aveva futuro giacché, appena i passeggeri fossero entrati in una
galleria, l’aumento della pressione atmosferica li avrebbe uccisi
all’istante. Alla folle velocità di
Un
mondo alimentato dalle energie naturali è perfettamente possibile e,
anzi, auspicabile: manca, però, il denominatore comune, ossia una forma
d’energia che sia conservabile nel tempo.
L’unica soluzione finora trovata è l’idrogeno, che non è una
fonte, ma un vettore energetico, ossia energia cinetica trasformata in
un composto chimico a più alto valore potenziale.
In altre parole, se ricavo energia dal sole o dal vento, posso
trasformarla in Idrogeno, stivarlo in gasometri (come per il metano) ed
utilizzarlo quando mi occorre mediante le celle a combustibile.
Le rese non sono altissime? A parte che le celle di tipo alcalino
rendono già un buon 75% dell’energia immessa, non è questo il punto.
Non
ricordiamo forse che l’energia non va mai perduta, bensì si
trasforma?
Quando un sistema energetico ha un rendimento, ad esempio, del 50%,
significa che il rimanente 50% prende forma in qualcos’altro: in
genere, calore.
Ebbene: chi ci proibisce d’imparare a recuperare anche l’altro 50%?
Le acque di raffreddamento delle centrali termoelettriche, sono un vero
scandalo: a Vado Ligure, il torrente che esce dalla centrale ha una
temperatura di circa
Come mai nessuno ha mai pensato d’utilizzare quelle acque per il
teleriscaldamento? Perché, qualora non fosse possibile, non si cercano
soluzioni per recuperare l’energia termica di grandi masse d’acqua
mediante scambiatori, dove circolano fluidi a basso punto
d’ebollizione? Non si potrebbe agire con lo stesso principio per
recuperare l’energia dei grandi impianti di climatizzazione?
Qui
ci sarebbe da analizzare un altro aspetto del problema: chi dovrebbe
fare queste cose? Lo Stato? Il mercato?
Il primo, inteso come stato nazionale di classica memoria, quasi non
esiste più: è soffocato dagli input dei potentati economici, delle
strutture sopranazionali, della finanza internazionale. In aggiunta, gli
stati si sono “liberati” delle industrie pubbliche; della serie:
quelle che rendono (Autostrade, oggi la cantieristica), ai privati,
quelle in rosso allo Stato (Ferrovie, Alitalia).
A parte queste miserie, che spesso sottendono pura e semplice
corruzione, c’è da chiedersi come potrebbe uno Stato promuovere una
rivoluzione epocale, come il passaggio dal petrolio alle rinnovabili.
Chi dovrebbe farlo? Difatti, si fa poco o nulla: per questo, anch’io,
sono pessimista.
Il
mercato guarda alla remunerazione del capitale a breve termine, e lo
Stato non ha mezzi propri per farlo: l’unica soluzione, che dov’è
stata tentata funziona, è affidare agli Enti Locali – con
l’appoggio dei pool bancari – la gestione degli impianti. Ci
vorrebbe però una legge, un Testo Unico sull’energia, che è da
sempre latitante.
Di qui, lo stallo e l’inerzia.
Non dimentichiamo, inoltre, che il gran difetto (per i grandi potentati
internazionali) delle energie naturali è che sono gratuite: è pur vero
che necessitano di tecnologia per captarle, ma non consentono un rigido
controllo politico come gli oleodotti ed i gasdotti. Con il petrolio, è
possibile fare una guerra (Iraq) impossessarsi della risorsa e
trasformarla in denaro, che viene speso per mantenere l’enorme
apparato militare, il quale a sua volta cerca di controllare il paese.
Ci sono i morti? E chi se ne frega, risponde Bush: l’importante è
trasformare quel petrolio in utili per gli azionisti dell’industria
armiera americana!
Non
mi dilungo oltre, perché ci sarebbe tanto, tantissimo da fare e da
sperimentare, se solo qualcuno iniziasse a farlo.
La vicenda della centrale di Priolo Gargallo – il primo impianto
termodinamico – è invece sintomatica per comprendere come vanno le
cose: a colpi di ritardi epocali, nonostante l’ENEA abbia oramai
concluso la fase di ricerca sul termodinamico. Non dimentichiamo che il
termodinamico è la vera, nuova scommessa per l’Italia: se non ci
riusciremo, saremo completamente fuori dal novero delle nazioni che
sperimentano le nuove tecnologie energetiche.
Gli stupidissimi italiani, invece, che non hanno certo i mezzi culturali
(sic!) della loro classe dirigente, praticano il risparmio energetico
installando doppi vetri alle finestre perché, quando arriva la bolletta
del gas, bisogna stare seduti e fare un bel respiro prima d’aprirla.
Gli stessi, ignorantissimi italiani, con percentuali bulgare dell’80%,
ritengono che la ricerca sulle energie rinnovabili sia la prima necessità
del paese. Al secondo posto, mettono le biotecnologie e le
nanotecnologie. Quanto sono fessi ‘sti italiani! Meno male che ci
pensa lo loro classe politica!
Infine,
voglio ricordare a Benetazzo una cosa che lui sa benissimo e che, anzi,
so essere un suo cavallo di battaglia. Quali sono i rapporti fra il
mercato dell’energia ed il dollaro? Non è, per caso, che se non
esistesse più il mercato petrolifero, se ne andrebbe anche il dollaro?
Eh sì, perché gran parte dei dollaroni verdi circolano sempre fuori
degli USA e, se rientrassero, trasformerebbero gli Stati Uniti nella
Repubblica di Weimar.
Per questa ragione, i due aspetti – l’energia e l’economia –
viaggiano a braccetto e so che lui è bravo, anzi, bravissimo a cogliere
questi aspetti. Perché, Eugenio, non ne parli? Lo
sapresti senz’altro fare meglio di me.
Carlo
Bertani articoli@carlobertani.it
www.carlobertani.it
[1]
Fonte: Centrofondi.it, 28/6/2007.
[2]
International Energy Agency
[3]
Fonte: Qualenergia, Gen-Feb 2006.
[4]
Fonte: Italian
Hydrogen Association.
[5]
TEP: Tonnellata di Petrolio Equivalente. Si usa questa pratica unità
di misura, al posto del canonico Joule, che considera tutte le
energie (carbone, idroelettrico, nucleare, ecc) come se fossero
tonnellate di petrolio.
[6]
La potenza massima installata non corrisponde a quella costantemente
erogata: è, in altre parole, il massimo che si potrebbe ricavare se
i flussi d’acqua fossero sempre alle portate ed alle pressioni
ideali. In ogni modo, si tratta di considerevoli flussi d’energia.