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Gas,
napalm, torture, bombe al fosforo in un film i crimini di guerra
americani a Falluja
Sabina Morandi - tratto da
http://www.liberazione.it/notizia.asp?id=3704
Un cane lupo con la
bocca contratta in un ultimo tentativo di respirare. Un bastardino
bianco, buttato al margine della strada, che sembra addormentato. E poi
gatti, colombe, conigli… Morti nelle loro gabbie, nei recinti, nel
giardino di fronte a casa. Morti, tutti, senza un filo di sangue. Non si
sa cosa può averli uccisi ma, di certo, non erano né bombe né
pallottole. Forse gas?
Le immagini dei filmati girati a Falluja che scorrono davanti agli occhi
dei pochi giornalisti presenti alla conferenza stampa organizzata dalle
parlamentari Elettra Deiana (Prc) e Silvana Pisa (Ds) nelle sale della
Fnsi sono tutte molto eloquenti, e molto, molto peggiori del piccolo
esercito di animali addormentati che ti ritrovi davanti in apertura.
Perché nei video ci sono donne, uomini, bambini. Ci sono esseri umani
resi irriconoscibili da qualche oscuro rogo chimico, armi capaci di
staccare la pelle dal corpo in un istante, visto che questi anonimi
resti umani sono congelati nell'atto di alzarsi dal letto o di ripararsi
il viso con il braccio. Una mano stringe ancora una catenina. Qualcosa
che assomiglia a una donna tiene fra le braccia qualcosa che assomiglia
a un bambino.
I filmati "amatoriali", riorganizzati con un faticoso quanto
presumibilmente straziante lavoro da Barbara Romagnoli, sono stati
realizzati il 18 novembre 2004 nella città ribelle di Falluja, a
conclusione dell'operazione Al-Fajr (letteralmente, l'alba) che, secondo
la Us Army, avrebbe dovuto distruggere definitivamente la resistenza
irachena. A operazione conclusa, come di consueto gli americani hanno
passato la mano agli iracheni: una squadra di medici volontari è stata
autorizzata a entrare per "ripulire" la città e per cercare
di dare un nome ai numerosi corpi sepolti in modo approssimativo durante
il violentissimo attacco cominciato l'8 novembre. Del gruppo facevano
parte anche gli autori delle riprese, Maher Rajab Abdullah
(dell'ospedale Yarmouk di Baghdad), Mohammad Hadeed (del Falluja general
hospital), che si sono dati da fare per riesumare i corpi e dare un nome
alle migliaia di vittime civili che, fino a questo momento, nessuno s'è
ancora degnato di contare. Secondo gli americani i dieci giorni di
bombardamenti ininterrotti che hanno raso al suolo 36 mila case -
praticamente una piccola città - avrebbero prodotto non più di 1.200
vittime, «quasi tutti insorti», rassicurano i generali, mentre secondo
fonti non ufficiali i morti sarebbero fra i tre e i cinquemila, dei
quali hanno ricevuto riconoscimento e sepoltura soltanto in 700.
Resta il fatto che i dottori Abdullah e Hadeed, una volta dentro la città
proibita, hanno pensato bene di filmare l'orrore sia per facilitare i
riconoscimenti che per spezzare la pesante censura che argina qualsiasi
informazione proveniente dall'Iraq, in particolare le notizie
provenienti dalle città rase al suolo nell'ambito di una strategia di
punizioni collettive tanto barbara quanto inefficace. Ma, una volta
dentro, i medici non si sono soltanto ritrovati di fronte alle immagini
della carneficina che si aspettavano - del resto cos'altro può accadere
in una città di 350 mila abitanti, chiusa dentro un cordone vietato
perfino agli operatori sanitari e bombardata ininterrottamente per
giorni? - ma sono stati costretti a porsi una domanda estremamente
disturbante, soprattutto per un professionista dotato della formazione
scientifica adeguata: di che cosa è morta tutta questa gente? Quali
armi possono uccidere nel sonno senza ferire o, come testimoniano i
resti carbonizzati, bruciare la pelle di un essere umano senza dargli
nemmeno il tempo di contorcersi per il dolore? Gas come quelli che
Saddam aveva impiegato contro i curdi? Bombe al fosforo o nuovi tipi di
napalm, entrambi proibiti dalle convenzioni internazionali?
Nessuna spiegazione richiede invece il filmato girato a Baghdad che
ritrae un altro morto, anch'esso mostrato ai parlamentari italiani da
Mohi Al Din Al Obeidi, il rappresentante del consiglio degli Ulema che
ha accompagnato i due medici all'incontro organizzato alla Camera da
Silvana Pisa e Elettra Deiana, - a cui hanno aderito anche Francesco
Martone (Prc), Gianfranco Pagliarulo (Pdci), Pietro Folena (Prc),
Famiano Crucianelli (Ds), Roberto Sciacca (Pdci), Giovanni Russo Spena (Prc)
e Alfiero Grandi (Ds). Il cadavere è ancora ammanettato, e anche un
profano capisce subito cosa significa. Se alle manette si aggiungono le
evidenti tracce di tortura, ovvero ferite da trapano sulle spalle e
sulla nuca - uno strumento molto in uso, pare, durante gli interrogatori
condotti dal nuovo esercito iracheno addestrato dagli americani - le
conclusioni sono devastanti quanto inaccettabili. In più l'uomo era un
imam - autorità religiosa sunnita - sparito nel nulla da qualche
settimana e restituito ai familiari già cadavere. E non si tratta
affatto di un caso isolato: altri ottanta imam sono stati prelevati
nelle loro case e nelle moschee per sospetta complicità con gli
insorti, e di loro non si sa più nulla. Proprio per ottenere la
liberazione, o almeno qualche informazione sulla sorte dei desaparecidos,
le autorità religiose sunnite hanno indetto un'iniziativa senza
precedenti: tre giorni di sciopero di tutte e moschee.
La delegazione composta dai due medici e dal religioso, portata in
Italia dall'Associazione Italia-Iraq, sta cercando di dare maggiore
diffusione possibile alle raccapriccianti immagini di Falluja e di
Baghdad. Tutto il materiale visionato dai parlamentari italiani - gli
animali gasati, le persone carbonizzate nella città distrutta e le
riprese della ricomposizione del corpo martoriato dell'imam - è stato
consegnato a una rappresentante del governo inglese, che non ha
rilasciato dichiarazioni. Tornando a Baghdad la delegazione cercherà di
parlare con i pochi rappresentanti delle Nazioni Unite ancora presenti
nel paese per sollecitare ancora una volta, filmati alla mano,
un'indagine indipendente che faccia luce sul tipo di armi impiegate -
sperimentate? - contro la popolazione di Falluja. Nel frattempo la
ricostruzione della città tarda a partire e i risarcimenti, che secondo
i prudentissimi calcoli di Washington, dovrebbero aggirarsi sui 493
milioni di dollari sono ancora soltanto virtuali. A sei mesi di distanza
ne sono stati stanziati appena cento milioni, ma le 31 mila persone che
aspettano cercando di sopravvivere fra le macerie, non hanno ancora
visto niente.
E' questa la guerra di liberazione in cui sono impegnati i nostri
soldati? E' questa la missione sul cui ri-finanziamento i parlamentari
italiani sono chiamati a pronunciarsi? E su quali informazioni, su quali
notizie, su quali rassicuranti immagini, dovrebbe basarsi la loro
decisione? «Pensiamo che nell'attuale contesto caratterizzato dal più
totale black out sulla vicenda irachena, dall'assenza di notizie da quei
luoghi e mentre perdura una drammatica situazione di guerra» conclude
Elettra Deiana «ogni occasione che consenta di raccogliere informazioni
e materiale documentario sia da considerare positivamente, fermo
restando che tutto debba essere vagliato e verificato quando la cortina
di ferro che la coalizione anglo-americana ha imposto su quel paese si
sarà alleggerita». Peccato che all'agghiacciante proiezione di queste
immagini fossero presenti così pochi giornalisti, evidentemente troppo
impegnati a partecipare attivamente alla caccia all'immigrato per
occuparsi di simili quisquiglie. Peccato perché, anche se le immagini
sono troppo agghiaccianti per essere pubblicate, la loro visione sarebbe
davvero utile per capire a quale inesauribile sorgente d'odio possono
attingere le cosiddette "centrali del terrore" per arruolare i
propri martiri, oggi e per gli anni a venire