Dall'ultimo eccezionale libro di Domenico de Simone: "Un Altra Moneta. I Titan, la rivoluzione della finanza"
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Il fallimento del monetarismo

Nonostante la produzione del mondo sia stata in sostanziale crescita, il tenore di vita medio delle popolazioni è rimasto stabile se non si è
ridotto negli ultimi dieci anni. Il risparmio, un tempo motore dell’economia poiché determinante per gli investimenti, si è ridotto se non azzerato per effetto delle difficoltà crescenti delle famiglie a fare fronte con i propri redditi alle spese correnti.
Anche in altri periodi della storia del capitalismo moderno ci sono stati momenti in cui il risparmio non si riusciva a creare, periodi in cui la crescita ristagnava o era negativa. Nei periodi in cui la produzione nazionale cresceva, invece, corrispondeva anche una crescita del risparmio e questo confortava le teorie di allora.
Invece, da circa un decennio, in tutto il mondo occidentale assistiamo ad una caduta del risparmio unita ad una caduta dei redditi, nonostante il prodotto nazionale continui a salire. 
Per la verità, in alcuni paesi fortemente industrializzati, come il Giappone ad esempio, la crescita del sistema da molti anni sembra essersi arenata poiché oscilla tra momenti di stagnazione ed altri di lieve recessione.
In Europa e negli Stati Uniti, invece, i dati statistici danno una complessiva crescita del PIL, decisamente più marcata nel continente americano, e allo stesso tempo una grave crisi della formazione del risparmio.
Negli USA, il risparmio è da anni diventato negativo, nonostante tassi di crescita che per effetto della new economy hanno superato il tasso del 6% all’anno, mentre in Europa il risparmio si è di molto ridimensionato fino a raggiungere la crescita zero in alcuni paesi.
Che cosa è successo? Gli occidentali sono diventati improvvisamente scialacquatori, e dopo aver ottenuto la sicurezza alimentare spendono tutto quello che guadagnano in consumi?
Questa non sembra essere la risposta corretta, poiché in effetti anche la domanda di beni di consumo ristagna o cresce in misura ridotta da molti anni. Oltretutto, è  notorio che le famiglie dal principio degli anni novanta hanno visto ridurre il proprio reddito ed hanno difficoltà crescenti a sostenere il peso delle spese correnti. Nello stesso periodo le famiglie povere sono aumentate e quella che sembrava una società opulenta per tutti (e oggettivamente lo è ancora rispetto al tenore di vita medio del XIX secolo), è diventata estremamente opulenta solo per pochi.
Altro dato noto, è che larghe fasce di classe media stanno scivolando verso il basso in condizioni di crescente difficoltà.
Le difficoltà della domanda di beni di consumo, ovviamente si riflettono sulla domanda di beni strumentali e le politiche fiscali adottate in occidente non sembrano avere alcuna efficacia.
Politiche diversissime tra di loro se, mentre in Europa si aumentavano in maniera sostanziosa le imposte e si spingeva la gente a fare sacrifici, negli USA è stata adottata la politica opposta di ridurre le imposte e liberalizzare il più possibile il sistema economico.
Ebbene, sia in Europa che negli USA, con una certa sfasatura temporale dovuta alle differenti condizioni economiche e politiche dei due continenti, l’economia ha dapprima rallentato e poi, con l’inizio del nuovo millennio, è entrata in una crisi di grave portata e dall’esito assolutamente incerto, sia per il profilo economico che per quello politico.
Questa situazione non si riesce ad affrontare efficacemente con i tradizionali strumenti di intervento elaborati dal pensiero e dalla pratica economica e finanziaria dopo Keynes. La sensazione sempre più diffusa è che gli strumenti di intervento abbiano del tutto perduto la loro capacità di incidere sull’economia.
Da un lato, la spesa pubblica è fortemente ridotta in Europa dai limiti imposti dall’accordo di Maastricht che impone ai paesi aderenti di raggiungere il pareggio di bilancio entro una data prefissata e comunque di tenere in costante ribasso il deficit annuale.
Negli Stati Uniti, dopo due anni straordinari di gestione in avanzo di bilancio, a seguito di una congiuntura favorevole, che ha visto la riduzione delle spese pubbliche sommarsi ad una stagione eccezionale di guadagni borsistici e di crescita dell’economia, il deficit ha ripreso a salire e con esso il debito pubblico, né questo è valso a far riprendere l’economia statunitense.
D’altra parte, sull’economia americana grava un pesante disavanzo della bilancia dei pagamenti alimentata anche dalla scarsa competitività delle merci statunitensi per effetto della debolezza dell’euro.
Gli interventi sui tassi delle banche centrali europea ed americana, non hanno parimenti prodotto alcuni risultato tangibile. Negli USA, il Presidente della FED, Alan Greenspan, ha tagliato i tassi in rapida successione portandoli dal 6,5% del gennaio 2000 all’1,50% dell’ottobre 2002. Nonostante ciò, l’economia non solo non si è ripresa, ma continua a dare segni sconfortanti agli operatori finanziari ed economici e ad aggravare il clima di sfiducia che si è creato circa la ripresa dell’economia e intorno alle sue istituzioni.
Le peggiori previsioni sull’andamento dei corsi borsistici si sono realizzate nello sconforto generale, e non sembra affatto che si sia raggiunto il fondo della discesa.
Insomma, né gli interventi monetari, né le iniezioni di liquidità possibili per effetto della spesa pubblica in deficit, hanno portato ad alcun risultato tangibile.
La BCE, per sostenere il deprimente corso dell’euro, ha tenuto i tassi ad un livello decisamente più elevato del dollaro, e anche questo, oltre ai vincoli portati dall’accordo di Maastricht non ha favorito la ripresa dell’economia europea che ogni anno viene rinviata a quello successivo, tra l’imbarazzo (si fa per dire) delle autorità responsabili, lo sconforto degli operatori economici, e l’irritazione crescente della gente comune, che comincia seriamente a dubitare dell’attendibilità di governi, economisti e persino di istituzioni tradizionalmente attendibili come l’ISTAT.
L’effetto più evidente della crisi è proprio quello della debolezza cronica della domanda. Così come nel ’29, le aziende hanno i magazzini pieni, ma mancano i soldi per acquistarle, nonostante le favorevoli condizioni cui molte merci sono offerte.
In molti settori dell’economia di produzione si sta verificando una situazione di grave deflazione, insieme ad una accelerazione dei prezzi di altri beni, in genere di beni durevoli o di investimento come gli immobili.
Gli investimenti in borsa, dopo la sbornia speculativa dell’inizio del secolo, hanno subito un drastico ridimensionamento in tutto il mondo che in alcuni settori ha assunto la dimensione del crollo.
Insomma chi ha i soldi se li tiene o al più li investe in immobili, con questo contribuendo al rallentamento della velocità di circolazione della moneta.
Ogni tanto si assiste a fiammate speculative in un settore o in un altro, ovvero da un paese all’altro, subito seguite da rapidissime fughe degli investitori speculatori. Alla fuga, segue il disastro economico del settore o del paese.
E’ una nuova specie di quella trappola della liquidità che fu lucidamente analizzata da Keynes. I soldi ci sono, ma non vengono spesi e il clima di sfiducia che genera la mancanza di investimenti produce altra sfiducia ed altra tesaurizzazione con conseguente aggravamento della crisi.
Ovviamente la liquidità esistente è concentrata in poche mani ed è essenzialmente generata nel debito, poiché lo strumento principale per la creazione di moneta nel nostro sistema è appunto il debito.
La situazione è apparentemente senza via d’uscita. Da un lato le autorità monetarie non possono creare troppa moneta perché questa genererebbe un’ondata di inflazione, e dall’altra senza denaro in circolazione le imprese non possono fare investimenti e creare nuova ricchezza. Il denaro esistente o viene “bruciato” in attività speculative che si risolvono in una brusca caduta dei prezzi degli strumenti finanziari (come in borsa) oppure alimenta ondate inflattive gonfiando i prezzi in determinati settori dell’economia [24] . Senza gli investimenti le imprese sono costrette a ridimensionarsi e a ridurre il personale e questo produce una ulteriore contrazione della domanda ed aggrava la crisi economica.

[24] Come nel settore immobiliare o in quello dell’energia, dove si assiste a violenti rialzi di prezzi non giustificati dal mercato.

Tratto dall'ultimo libro di Domenico de Simone: "Un Altra Moneta. I Titan, la rivoluzione della finanza", scaricabile gratuitamente.


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