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Capitolo
XIX
La
fabbrica dell'inflazione
Maurizio
Blondet dal libro: “Schiavi delle banche”
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Quando
una categoria di lavoratori produttivi chiede un aumento di salario, dal
sistema si leva sempre qualche voce - di solito quella di autorevoli
economisti - che mettono in guardia dall'inflazione che questi aumenti
possono provocare. Quando la massaia scopre al mercato che le zucchine
sono rincarate, i giornali denunciano l'avidità dei fruttivendoli che
col loro egoismo provocano inflazione, e invocano il controllo dei
prezzi, e punizioni esemplari; i fruttivendoli additano i grossisti, i
veri colpevoli; ma costoro lamentano le alte spese di trasporto e
distribuzione. Infine la colpa ricade sui contadini - e questi,
poveretti, dimostrano che loro hanno venduto le loro zucchine a prezzi
calanti, mentre hanno dovuto pagare di più i concimi chimici, i
diserbanti, le sementi. Allora il marito della massaia chiede un aumento
- non da solo, ma come categoria, perché la vita rincara e lui non ce
la fa ad arrivare a fine mese: e l'economista di turno lo accusa. Ecco
chi accende l'inflazione.
Quante volte abbiamo visto inscenare questa commedia? Questo teatrino
del circolo vizioso, in cui le categorie produttive e consumatrici si
accusano l'un l'altra di provocare l'inflazione, di fare ingiusti
profitti?
Non c'è da escludere che, temporaneamente e in modo parziale, una o
l'altra categoria davvero speculi, incameri profitti non dovuti,
approfittando di momentanei intoppi del mercato, di certe aree di
privilegio, di parassitismo. Ma in linea generale, nel gran litigio
recitato sulla scena sociale, il vero colpevole non appare mai. E' per
questo che il teatrino viene inscenato.
Il
colpevole dell'inflazione è il sistema bancario.
Il trucco richiede una spiegazione abbastanza lunga. Ma non vi annoierà:
finalmente, non è il teatrino.
Tutto comincia quando voi mettete nel vostro conto corrente 100 euro,
diciamo, che avete risparmiato. Grazie a questo deposito, la banca può
prestare all'industriale che ne ha bisogno, mille euro: è il meccanismo
del credito frazionale, di cui abbiamo già parlato. Il miracolo
consiste in questo: la banca presta denaro che non ha, che crea dal
nulla, e ci lucra gli interessi.
La banca può scrivere quei mille euro, nei suoi libri contabili, come
attivo, perché ci guadagna gli interessi, e un giorno, magari, se lo
vedrà ripagare. Nello stesso tempo, la contabilità le impone di
segnare una cifra identica, mille euro, come passivo. Ciò perché la
moneta creata dal nulla è ora in circolazione, l'imprenditore
indebitato emette assegni su quel fido, e questi assegni saranno
presentati all'incasso: la banca dunque ha un debito potenziale uguale
al suo attivo. Questa passività viene coperta dal debitore con i suoi
versamenti periodici per servire il debito che ha contratto.
Di fatto, accade qualche volta - accade tutti i giorni - che
l'indebitato non possa pagare, fallisca, diventi insolvente. In quel
caso, la banca è costretta a registrare quel prestito andato a male
alla voce perdite. Non è, diciamolo subito, una tragedia: poiché il
90% del denaro scritto nel fido è stato creato dal nulla, e non costa
niente alla banca a parte le spese di tenuta della contabilità, ben
poco valore reale è realmente perduto. E' soprattutto una voce di
contabilità.
Ma
una perdita contabile è pur sempre un male per la banca, perché il
prestito andato a male deve essere sottratto dalla colonna degli attivi,
senza una corrispondente sottrazione alla voce passivi. Il passivo
rimane, e la moneta creata dal nulla è in circolazione, e gli assegni
vengono via via all'incasso, anche se il debitore è fallito. E la banca
ha il dovere di onorare quegli assegni.
Il solo modo di pagarli, è prendere denaro dal capitale della banca -
quello che ci hanno messo i suoi azionisti - o dai suoi profitti.
Nell'uno e nell'altro caso, sono i padroni della banca a perdere quei
mille euro. E per loro, la perdita è reale. Anzi se la banca ha fatto
troppi prestiti avventati, e troppi dei suoi debitori risultano
insolventi, può accadere che il passivo superi l'intero capitale che i
suoi azionisti hanno investito nella banca. In quel caso, la banca
fallisce.
E' un vero dolore, per i padroni. Un dolore così forte, che l'intero
sistema bancario è collegato per scongiurarlo. No, i padroni non
possono perdere. La banca non può fallire. Per questo esiste la Banca
Centrale: prestatore di ultima istanza, garanzia che nessuna banca
soffra il fallimento, e i suoi padroni una perdita. La Banca interviene,
se c'è questo rischio. A noi si dice: interviene per assicurare che i
risparmiatori non perdano i loro depositi.
Il
fatto è che ogni banchiere sa che non gli sarà permesso fallire, e
perciò non dovrà rendere conto dei suoi prestiti più folli. E' per
questo motivo che le banche, severissime quando si tratta di prestare 50
mila euro al bottegaio dell'angolo o al lavoratore come mutuo per la
casa, sono generosissime quando si tratta di prestare milioni di euro,
anzi miliardi, a Parmalat, alla Fiat, allo Stato. Aprire un piccolo
prestito costa come avanzare un miliardo di dollari dall'Argentina o
dalla Fiat, e fa guadagnare meno interessi. E se la Fiat non paga, se
rimane in arretrato l'Argentina, è l'intervento della Banca Centrale a
salvare il banchiere improvvido, con la scusa che bisogna salvare il
sistema; se diventa insolvente l'operaio col mutuo, nessun intervento
pubblico lo soccorrerà.
Così, la banca presta volentieri agli Stati, allo Stato, a Parmalat,
pur sapendoli insolventi. Per capire come mai, bisogna ricordare una
cosa: alla banca non interessa che il grande debitore estingua il
debito, che restituisca rata su rata tutto il capitale. Quel capitale è
al 90 per cento denaro creato dal nulla, e al 10% sono soldi vostri, il
vostro deposito. Non è della banca, è vostro, e alla banca non
interessa nulla. Quando un debitore estingue il suo debito e restituisce
il capitale, per la banca è una noia: ora deve trovare qualcun altro da
indebitare. Quel che conta, per la banca, è che il debitore continui a
pagare gli interessi, magari in eterno.
Perché
la banca lucra lì. Perché finché il debitore paga gli interessi, la
banca può mantenere il prestito che gli ha fatto alla voce attivi.
In questo senso, il debitore ideale è lo Stato, gli Stati. La
banca presta allo Stato comprandone i Buoni del Tesoro, che sono
cambiali, promesse di pagamento. Ma nessuno si aspetta mai che lo Stato,
alla scadenza dei Bot, paghi se non con l'emissione di nuovi Bot, di
pari ammontare, a scadenza più lontana. Questo è l'eterno debito dello
Stato; non risulta che nessuno Stato sia mai, nella storia, uscito
dall'abisso del debito perpetuo. E' proprio questo a rendere felice la
banca: perpetuamente lucra gli interessi sui Bot, e del resto può in
ogni momento rivenderli al pubblico.
Accade che gli Stati non
riescano più nemmeno a pagare gli interessi. Accade sempre più spesso,
nel terzo mondo. Ma i tempi non sono più quelli di re Edoardo
d'Inghilterra, che ripudiò il debito coi banchieri fiorentini e li
rovinò. Oggi, agli Stati decotti non è consentito ripudiare il debito,
non è consentito fallire. Non è più permesso loro di rovinare i
banchieri.
Quando l'Argentina o la Costa d'Avorio, debitori eterni, non ce la fanno
proprio nemmeno a pagare gli interessi, la banca li soccorre nel proprio
interesse. Se il debitore si dichiara insolvente, la banca dovrà
cancellare il prestito dai suoi libri contabili, e pagare con i soldi
dei suoi azionisti e padroni la perdita corrispondente. In fondo, basta
che il debitore continui a pagare gli interessi su quel debito (non le
quote-capitale), sicché la voce continui ad essere un attivo nei libri
della banca, e il lucro della banca continui a piovere. Non ha soldi per
gli interessi? Ma ci pensa la banca: apre al debitore un altro prestito,
creando dal nulla il nuovo denaro necessario perché quello paghi gli
interessi. E' il miracoloso prestito-ponte, tanto praticato verso il
terzo mondo. Il denaro fresco non entra nemmeno nel paese; passa da una
all'altra scrittura contabile della banca creditrice. Miracolo: il
vecchio prestito andato a male resta nei libri come attivo, anzi
l'attivo è addirittura accresciuto dal nuovo prestito, e produce
ulteriori interessi per la banca.
Ma,
prima o poi, il debitore comincia ad entrare in affanno. Si accorge che
non può costruire una scuola o un ospedale, perché tutto quel che
riceve dalle tasse va a pagare gli interessi alle banche creditrici. A
quel punto, Argentina o Costa d'Avorio smettono di pagare gli interessi.
I banchieri si stracciano le vesti. Fanno la faccia feroce. Minacciano
il debitore insolvente: d'ora in poi nessuna banca gli farà più
credito. Le due parti s'incontrano, l'autorità politica interviene (lo
Stato delle banche creditrici), interviene il Fondo Monetario; alla fine
della sceneggiata, immutabilmente, viene raggiunto un compromesso. Il
debitore riceve un altro prestito (e sono tre), non solo per pagare
gli…
Continua