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La
grande fabbrica della menzogna arruola anche parte della sinistra
di
Giulietto Chiesa - tratto da “Avvenimenti” 6 febbraio 2005
visto su http://triburibelli.org
Dobbiamo
a internet la riscoperta dell’articolo del New York Times del 4
settembre 1967, intitolato così: “Il voto in Vietnam rincuora gli
Stati Uniti”. Il sommario che lo accompagnava era questo: “Affluenza
alle urne dell’83%, nonostante il terrorismo dei vietcong”.
L’autore si chiamava Peter Grose e possiamo considerarlo
l’antesignano del giornalismo di punta contemporaneo, embedded, delle
Lucia Annunziata e Monica Maggioni che imperversano sui nostri schermi,
raccontandoci la guerra dei vincitori...
Il voto dell’Irak ha rincuorato Bush, Blair, Berlusconi, e ha messo in
ginocchio, letteralmente, la sinistra italiana, la quale (salvo lodevoli
e sparse eccezioni) ha creduto alla stessa favola del New York Times di
Peter Grose. Favola che il New York Times ha ripetuto, pari pari, il 31
gennaio 2004, seguito a ruota da tutti i maggiori giornali del mondo
occidentale, e da tutti i maggiori giornali italiani.
I
quali hanno creduto alle cifre, fumosamente e contradditoriamente rese
note dalla Commissione Elettorale Indipendente irachena. Si noti
l’aggettivo “indipendente”, excusatio non petita posta a suggello
di elezioni che di indipendente non hanno avuto nulla.
Fassino,
dalla tribuna del Congresso dei DS, tuona che otto milioni di iracheni
sono andati a votare. Il dato è, più che falso, inesistente.
Chi
glielo ha detto? Nessuno. O forse ha fatto una media ponderata di quello
che ha letto dai giornali della grande stampa “indipendente dalla
verità”. E ha aggiunto che “sono loro i veri resistenti”. Come
dire che il popolo iracheno è andato a votare in massa e, quindi, è
contro la resistenza armata all’occupazione americana. Cioè il popolo
iracheno sta con gli americani ed è contento della democrazia che loro
gli hanno portato.
Così
agli esultanti Bush, Blair, Berlusconi possiamo aggiungere l’esultante
Piero Fassino.
Ora
noi non sappiamo se finirà come in Vietnam (temo che finirà peggio),
ma possiamo avanzare qualche preliminare osservazione. I dati sono tutti
falsificati. Le elezioni irachene sono state tutt’altra cosa rispetto
a ciò che ci hanno fatto vedere. Un buon terzo del paese sicuramente
non ha votato. Lo si sapeva fin dall’inizio e queste elezioni farsa
sono state organizzate da Washington proprio per isolare i sunniti, cioè
per spaccare il paese.
La
stessa Commissione Elettorale (lasciamo perdere l’”indipendente”)
ha comunque detto che ha votato il 57% degli “elettori iscritti”.
Quanti erano gli elettori iscritti? Il dato preciso non è mai stato
fornito. Per la banale ragione che non ne esisteva uno. Il punto di
riferimento erano gli “elenchi russi”, cioè le tessere annonarie
per il cibo che erano state distribuite nel programma “Oil for Food”
(petrolio per cibo) ai tempi di Saddam. Ma quanti si sono iscritti al
voto? Quelle tessere (e io le ho viste nei seggi di Nassirya) erano
spesso illeggibili. Altre invece apparivano nuovissime. Da dove
venivano? Insomma nulla ci è stato detto circa il tasso di iscrizione
alle liste elettorali, per cui quel dato, l’unico ufficiale, non ci
dice assolutamente nulla sul numero dei votanti.
Non
si sono iscritti perché avevano paura dei terroristi?
Sicuramente
in parte è stato così. Ma questo conferma clamorosamente l’invalidità
di queste elezioni. Di nuovo parla il testimone. A Nassirya e Bassora,
maggioranza sciita schiacciante, il voto è avvenuto in un clima di
stato d’assedio generalizzato. Il traffico automobilistico è stato
bloccato per tre giorni. Ogni seggio era presidiato da decine di uomini
armati – la nuova milizia irachena – con fucili e divise nuovi di
zecca, cecchini sui tetti, blocchi stradali a distanza, gimkane di
cemento armato etc. Le truppe straniere (a Nassirya italiani, portoghesi
e rumeni, a Bassora gl’inglesi) erano state poste a difesa delle
stazioni di polizia). Di quale consenso si può parlare in queste
condizioni? Ma c’è un altro dato assai significativo: nei seggi
aperti all’estero, dove i problemi di sicurezza non esistevano, solo
il 25% degl’iracheni si sono iscritti alle liste. Eppure non c’era
nessun pericolo!
Certo
che c’erano le file ai seggi: al sud, nelle zone sciite, e al nord,
nelle zone curde. Il resto chi l’ha visto? Dobbiamo fidarci della
Commissione Elettorale, composta da persone selezionate da Allawi e dai
consiglieri di Bremer? E nei seggi di Nassirya la gente c’era solo la
mattina. Nel pomeriggio tutti i seggi erano deserti. E le urne
trasparenti che ho visto (tredici seggi in tutto) erano piene solo per
metà sebbene le schede elettorali, con 111 partiti, fossero grandi come
sei fogli protocollo, e quasi sempre molto mal piegate.
Noi
abbiamo visto in tv le file ai seggi delle zone sciite, ma
nient’altro, salvo pochi scorci – qualche secondo - dei seggi di
Baghdad deserti. Ho chiesto più volte alla gente nei seggi se
trovassero difficile votare, con tanti partiti sulla scheda, molti dei
quali senza nemmeno un simbolo di riferimento. Tutti rispondevano che
“era molto facile”. E io pensavo che una scheda come quella avrebbe
creato grossi problemi di comprensione perfino in Italia, dove
l’esperienza elettorale è ormai secolare. Ma questi sono dettagli
tecnici secondari. Il più importante dei quali è che quegli iracheni
sono andati a votare senza sapere chi erano i candidati. I partiti
ammessi al voto erano stati resi noti in anticipo, ma le liste dei
candidati erano rimaste segrete per motivi di sicurezza!
Il
tutto senza osservatori internazionali (io ci sono arrivato
privatamente, usando l’invito rivoltomi dal ministero degli esteri
britannico, insieme a Emma Nicholson, anch’essa deputata europea. E
abbiamo viaggiato a bordo di auto blindate, ciascuno accompagnato da
otto guardie del corpo private, armate fino ai denti). Sulla pratica
degli osservatori internazionali ci sarebbe da fare un intero discorso.
Ma in qualche caso essi sono stati utili per difendere gli elettori
dalla prepotenza dei poteri. In ogni caso la consuetudine internazionale
prevede che osservatori esterni imparziali possano all’occorrenza
controllare le cifre ufficiali e seguire il procedimento di voto. Ma
l’Onu aveva deciso di non mandare nessuno. La stessa cosa hanno fatto
l’Osce e l’Unione Europea: “per l’assenza delle condizioni
minime di sicurezza” E’ fallito anche il tentativo del governo
canadese di costituire una missione speciale per il controllo elettorale
in Irak. La riunione, tenutasi il 19 e 20 dicembre scorsi, a Ottawa, a
porte chiuse, si era conclusa con un doppio fallimento: dei venti paesi
invitati solo sette, tra cui Gran Bretagna e Albania, avevano
partecipato. E la conclusione era stata sconsolante (per loro):
impossibile mandare osservatori all’interno. In alternativa fu deciso
di aprire un ufficio ad Amman, Giordania, in cui avrebbero lavorato
“da sei a dodici analisti”, per studiare i dati provenienti
dall’interno dell’Irak.
La
comunità internazionale, dunque, aveva proclamato, implicitamente, alla
vigilia del voto, la sua palese invalidità. A parte tutto il resto di
questa invereconda storia della propaganda moderna, adesso sapremo
ancora meno: la raccolta delle schede, la loro custodia, la conta dei
voti assegnati a partiti fantasma, misteriosi e ambigui, pompati (come
il risorto partito comunista, che perfino Berlusconi potrebbe affiliare
a Forza Italia e che sarà certamente usato per condizionare il potere
dell’ajatollah Al Sistani), finanziati dall’esterno.
Ma
tutto il movimento contro la guerra non se n’è accorto e ha atteso
passivamente che arrivasse la tempesta propagandistica, il “trionfo
della democrazia” americana, la legittimazione postuma
dell’aggressione.
Di
fronte a questo tsunami propagandistico – cosa che dovrebbe farci
riflettere – perfino a sinistra, e perfino nella sinistra più a
sinistra, abbiamo assistito a balbettii di scusa, a penose e fumose
richieste di autocritiche. Siamo entrati (ci entrammo con la guerra del
Kosovo) nell’era dei “sentimenti obbligatori”: quando l’opinione
di massa, già formata dai media, costringe tutti ad assentire, pena la
squalifica, il cartellino rosso, l’esclusione.
Noi
non ci stiamo. La guerra irachena rimane illegale come lo fu
all’inizio e le menzogne che la prepararono rimangono menzogne. Nella
conta dei voti bisogna mettere anche i centomila morti innocenti di
questa guerra, che la Commissione Elettorale “indipendente” (insieme
ai suoi esegeti occidentali) intende seppellire una seconda volta.
Infine
un’ultima notazione, a futura memoria. Sarà utile tenere conto che i
padroni dei media si accontentano di vincere ai punti, e a mani basse,
vista l’inconsistenza nostra su questo terreno decisivo. Ma sono
pronti a organizzare la caccia alle streghe e la caccia all’uomo, ove
e quando dovessero temere una reazione popolare. Quanti di noi se ne
rendono conto?
di
Giulietto Chiesa