Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Calcio
e crimine - Le mafie di Eupalla
Alessio Postiglione - tratto dalla
rivista: "La Voce delle Voci", www.lavocedellevoci.it
Eupalla,
la musa protettrice del calcio inventata da Gianni Brera, potrebbe
essersi trasformata in una strega. Il football, infatti, morto de
Coubertin, è diventato, prima, arma di distrazione delle masse e dopo,
campo da gioco d'interessi oscuri e malaffare. Se l'Italia piange, alle
prese con Calciopoli, Messene non ride: ovvero, anche all'estero non si
sta tanto meglio. Partiamo dal discusso numero uno della Fifa, Sepp
Blatter, una vita da mezzapunta, più che da mediano, essendo riuscito a
dribblare le notevoli grane giudiziarie che, copiose, si sono frapposte
sulla sua strada.
I problemi sono iniziati già ai tempi della sua elezione nel 1998,
quando, secondo l'accusa dell'ex presidente Uefa Lennart Johansson,
Blatter conquistò lo scranno più alto della Fifa grazie ai voti
comprati, in suo favore, dall'ex numero uno brasiliano Joao Havelange.
Nel 2002 un nuovo scandalo a seguito del fallimento dell'agenzia di
marketing della Fifa, l'International Sport and Leisure (Isl). I pm
svizzeri del Cantone di Zug accusarono Blatter di frodi sui diritti tv,
riciclaggio su fondi neri e tangenti: alla fine, il presidente ne esce
pulito, mentre la Fifa è ritenuta responsabile degli illeciti.
Nel frattempo, però, è la stessa rispettabilità delle persone che
governano Eupalla, e che siedono attorno a Blatter avendone decretato
l'elezione, a risultare compromessa.
FOK,
ATTACCO A TRE PUNTE
Partiamo
da Henry Fok, il “grande elettore” del presidente svizzero,
procacciato da Havelange a rappresentanza delle federazioni asiatiche.
Fok, come attestano diverse inchieste nei Paesi dove operano le sue
aziende, sarebbe un elemento della Triade cinese 14k.
Essendo anche un personaggio di spicco del Partito comunista cinese, Fok
è sempre rimasto “pulito” in patria. Ma diverso è il trattamento
che ricevono le sue attività imprenditoriali e i suoi uomini
all'estero. Nel 1991, il figlio Thomas viene addirittura arrestato negli
Stati Uniti con l'accusa di aver cercato di contrabbandare 15.000 fucili
verso la Croazia, allora in guerra. Il mese scorso, l'Autorità del
gioco d'azzardo del New Jersey ha imposto all'americana Mgm di vendere
il proprio 50% del Borgata Hotel Casino e Spa di Macao. Il Borgata,
infatti, è di proprietà di Stanley Ho, affiliato alla Triade e socio
storico di Fok nel business dei giochi d'azzardo. L'Authority americana,
quindi, in assenza di provvedimenti del governo cinese contro i propri
prote'ge' Ho e Fok, preferisce addirittura imporre alla Mgm di vendere
coattivamente le partecipazioni americane a Macao.
Nonostante
gli scandali, comunque, i Fok non mollano la palla.
Morto Henry Fok, nel 2006 gli è tranquillamente succeduto il figlio
Timothy, ora presidente della Lega di Hong Kong e membro del Comitato
Olimpico internazionale. La responsabilità penale e' individuale, ne'
si eredita ne' si contrae per contagio ma, al netto di quello che
decidono i tribunali, è evidente che i massimi dirigenti Fifa
dovrebbero poter vantare dei curricula che, come stiamo vedendo, non
sempre hanno.
Presidente della Concaf, ed elettore di Blatter, secondo l'accusa di
Johansson sarebbe stato Jack Warner, altra figura molto discussa in
patria, a Trinidad e Tobago. Nel 2006 è stato accusato dalla Ernst e
Young, i revisori contabili della Fifa, di vendita al mercato nero, ai
mondiali di Germania, di biglietti speciali a lui intestati. O, meglio:
chi effettuava l'operazione criminosa era il figlio Daryan. Così Warner
si è salvato dai procedimenti penali ed e' sempre lì al suo posto.
TEIXEIRA,
CHE FIFA
Altri
personaggi chiacchierati sono Nicolas Leo'z del Conmebol (la Federcalcio
sudamericana), finito al centro del processo Isl, e, soprattutto,
Ricardo Teixeira, presidente della Fifa brasiliana, genero di Havelange,
e accusato con 12 capi di imputazione, che vanno dalla frode alla
corruzione di parlamentari. Anche i 21 presidenti (su 26) delle
Federcalcio regionali brasiliane che lo elessero, sono finiti
sott'inchiesta. Stranamente, le dinamiche presidente-elettori in
Brasile, secondo la commissione senatoriale d'inchiesta che se ne occupò,
erano simili a quelle che Johansson imputava a Blatter. D'altronde il
sistema, secondo Johansson, fu creato proprio da Havelange, patron di
Blatter.
Ritorniamo a Teixeira. Il presidente verde-oro fu, all'inizio, coinvolto
nel caso “bancada da bola”, che svelò la cupola attraverso la quale
Ferdercalcio finanziava parlamentari compiacenti che avrebbero dovuto
impedire le indagini.
Ciò
non di meno, la commissione senatoriale d'inchiesta, alla fine, fu
istituita. E quello che venne fuori e' considerato il più grande
processo sul calcio della storia del Brasile: il caso Nike-Cpi.
Nell'ambito dell'inchiesta sono emerse accuse raccapriccianti:
giocatori-bambini esportati in Europa e obbligati a prostituirsi,
riciclaggio nelle Cayman e in Svizzera, truffe nei diritti tv,
corruzione e frode fiscale. L'inchiesta si e' trasformata, da subito, in
uno shock nazionale, coinvolgendo anche la fondazione del mitico Pelè:
l'ente occultava denaro di provenienza Unicef in un fondo nero delle
Isole Vergini.
Ma
c'e' di più. Per le truffe sui diritti televisivi si utilizzava una
fiduciaria off-shore di proprietà di un texano, Tom Hicks, la cui
storia è molto istruttiva. Hicks, infatti, è amico della famiglia
Bush: entrambe le dinasty hanno messo da parte i primi denari dei loro
imperi attraverso operazioni che ruotavano intorno ai Texas Rangers, di
cui sia gli Hicks che i Bush sono stati proprietari. Alla fine, le due
famiglie texane sono uscite da un processo che è, comunque, terminato
con la condanna della loro fiduciaria, Florita Bell Griffin, a ben 55
anni di prigione.
Teixeira, invece, è sempre lì al suo posto: ma il fisco brasiliano,
intanto, ha condannato la Federcalcio a restituire più di 14 milioni di
dollari di evasione.
Dietro al pallone, quindi, ruota una fitta rete internazionale di
faccendieri, legati anche alla politica e ai “poteri forti”, in
grado di difendersi coi denti, perchè le prove decisive vengono
occultate in Paesi poco trasparenti riguardo alle regole finanziarie.
Rinat Akhmetov incarna l'epitome di questo tipo di capitani
dell'industria del pallone.
RINAT
& RENAT
Ha
vinto l'Europa league l'anno scorso. E' nella lista di Forbes degli
uomini più ricchi del mondo. Appoggia un partito, accusato di contatti
con la mafia e che rivendica l'autonomia di uno Stato, il Donetsk, che
non esiste. Rinat Akhmetov, il presidente dello Shaktar Donetsk, la
squadra di calcio ucraina della capitale della provincia russofona del
Donetsk, è uno e trino. E' l'uomo più ricco d'Ucraina, miliardario del
gas e dell'energia legato a Vladimir Putin e alla Gazprom; e' deputato
del Partito delle Regioni e principale sponsor del neo presidente Viktor
Yanukovych; vanta un patrimonio personale mondiale stimato in circa due
miliardi di dollari; la sua holding SMC, System Management Capital, che
si occupa di acciaio, energia, e telecomunicazioni, ha interessi in
tutto il globo, Italia inclusa, dove possiede la Ferriera Valsider e la
Trametal. Nonostante questi record, il ministero dell'Interno di Kiev
nel 1999 accusò Akhmetov di riciclaggio, costituzione di aziende
fittizie e frodi, e di essere anche il capo della Renat, cioè della
mafia ucraina.
Dopo
un'accusa addirittura di omicidio, Akhmetov fu costretto a rifugiarsi a
Montecarlo, in casa di un amico; un'amicizia che si rivelerà decisiva.
Nel principato il numero uno dello Shaktar è infatti ospite di Paul
Manafort, capo della Davis-Manafort (DeM), un'importante società
statunitense di lobbying vicina a quel ramo del Partito Repubblicano
americano sensibile agli affari del gas e dell'energia. La DeM, inoltre,
aveva già lavorato per dittatori sponsorizzati dagli americani come
Ferdinand Marcos, nelle Filippine, e Mobutu Sese Seko, in Zaire.
Intanto, nel 2004, con la vittoria della Rivoluzione Arancione, in
Ucraina, si crea un grande movimento popolare e politico che punta a
ripulire il Paese dalla corruzione e che persegue una politica
filoeuropea, soprattutto in campo energetico, volta a limitare il potere
degli oligarchi russi. Le enclave russe e i nazionalisti del Donetsk
sono un problema per Kiev. La stella di Akhmetov, in esilio a
Montecarlo, si eclissa.
Ma
i buoni uffici della DeM si rivelano utili. Nonostante gli americani
appoggiassero il movimento filo-occidentale arancione, spalleggiato, ad
esempio, dall'Open Society Institute del multimiliardario George Soros,
il socio di Manafort, Rick Davis, salda gli interessi di Akhmetov a
quelli russi e americani. Davis, infatti, è il campaign manager del
candidato alla Casa Bianca John McCain che vanta personali interessi pro
Putin e capeggia una “fronda filorussa” all'interno dei
Repubblicani, tradizionalmente ostili agli interessi petroliferi di
Mosca. Grazie all'asse Putin-McCain-Akhmetov, accade il miracolo.
Le ultime elezioni ucraine le vince Viktor Yanukovych, pluricondannato
ed indagato per reati che vanno dalle frodi alla violenza privata, e
leader del partito del presidente dello Shaktar, il Partito delle
Regioni, che rappresenta gli interessi del Donetsk. La riabilitazione di
Akhmetov, oramai, è completa.
ALLA
CORTE DI ROMAN
Agli
oligarchi russi, d'altronde, il calcio porta fortuna. E' il caso del
patron del Chelsea, Roman Abramovich, fresco vincitore dell'ultimo
scudetto inglese. Fortunato al gioco ma sfortunato con la giustizia, si
direbbe. Abramovich, infatti, è già finito in prigione per aver
venduto abusivamente petrolio in Lettonia ed ha anche confessato di aver
pagato tangenti per mettere le mani sulle ex aziende di Stato del
petrolio e dell'alluminio. Confessione avvenuta, d'altronde, a seguito
della denuncia di un altro oligarca, Boris Berezovsky, suo ex socio
d'affari, nonché pluripregiudicato, condannato in contumacia e
probabile finanziatore dei terroristi jihadisti ceceni. La Runicom,
inoltre, di proprietà di Abramovich, è stata anche condannata a pagare
17 milioni di dollari per truffa all'Unione europea. Ma i signori del
pallone, nonostante i cartellini rossi, la partita decisiva la giocano
sempre.