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Storia
Ebraica e Giudaismo: il peso di tre millenni
Prefazione
di Gore Vidal
"Shahak è il più recente, se non l’ultimo, dei
grandi profeti"
Alla fine degli Anni Cinquanta, quel grande pettegolo e
storico dilettante che era John F. Kennedy mi disse che nel 1948 Harry
Truman, proprio quando si presentò candidato alle elezioni
presidenziali, era stato praticamente abbandonato da tutti. Fu allora
che un sionista americano andò a trovarlo sul treno elettorale e gli
consegnò una valigetta con due milioni di dollari in contanti. Ecco
perché gli Stati Uniti riconobbero immediatamente lo Stato d'Israele.
A differenza di suo padre, il vecchio Joe, e di mio nonno, il senatore
Gore, né io né Jack eravamo antisemiti e così commentammo quell'episodio
come una delle tante storielle divertenti che circolavano sul conto di
Truman e sulla corruzione tranquilla e alla luce del sole della politica
americana.
Purtroppo, quell'affrettato riconoscimento dello Stato
d'Israele ha prodotto quarantacinque anni di confusione e di massacri
oltre alla distruzione di quello che i compagni di strada sionisti
credevano sarebbe diventato uno stato pluralistico, patria dei
musulmani, dei cristiani e degli ebrei nati in Palestina e degli
immigrati europei e americani, compreso chi era convinto che il grande
agente immobiliare celeste avesse dato loro, per l'eternità, il
possesso delle terre della Giudea e della Samaria. Poiché molti di
quegli immigrati, quando erano in Europa, erano stati sinceri
socialisti, noi confidavamo che non avrebbero mai permesso che il nuovo
stato diventasse una teocrazia e che avrebbero saputo vivere, fianco a
fianco, da eguali, con i nativi palestinesi.
Disgraziatamente, le cose non andarono così. Non intendo
passare ancora una volta in rassegna le guerre e le tensioni che hanno
funestato e funestano quella infelice regione. Mi basterà ricordare che
quella frettolosa invenzione dello Stato d’Israele ha avvelenato la
vita politica e intellettuale degli Stati Uniti, questo improbabile
patrono d'Israele. Dico improbabile perché, nella storia degli Stati
Uniti, nessun'altra minoranza ha mai estorto tanto denaro ai
contribuenti americani per Investirlo nella "propria patria".
E’ stato come se noi contribuenti fossimo stati costretti a finanziare
il Papa per la riconquista degli Stati della Chiesa semplicemente perché
un terzo degli abitanti degli Stati Uniti sono di religione cattolica.
Se si fosse tentata una cosa simile, ci sarebbe stata una
reazione violentissima e il Congresso si sarebbe subito opposto
decisamente. Nel caso degli ebrei, invece, una minoranza che rappresenta
meno del due per cento della popolazione ha comprato o intimidito
settanta senatori, i due terzi necessari per nullificare un comunque
improbabile veto presidenziale, e si è valsa del massiccio appoggio dei
media.
In un certo senso, ammiro il modo in cui la lobby ebraica è riuscita a
far sì che, da allora, miliardi e miliardi di dollari andassero ad
Israele "baluardo contro il comunismo". In realtà, la
presenza dell'URSS e il peso del comunismo sono stati, in quelle
regioni, men che rilevanti e l'unica cosa che noi americani siamo
riusciti a fare è stato di attirarci l'ostilità del mondo arabo che
prima ci era amico.
Ancora più clamorosa è la disinformazione su tutto quanto
avviene nel Medio Oriente e se la prima vittima di quelle sfacciate
menzogne è il contribuente americano, all'opposto lo sono anche gli
ebrei degli Stati Uniti che sono continuamente ricattati da terroristi
di professione come Begin o Shamir. Peggio ancora, salvo poche onorevoli
eccezioni, gli intellettuali ebrei americani hanno abbandonato il
liberalismo per stipulare demenziali alleanze con la destra politico
religiosa cristiana, antisemita, e con il complesso militare-industriale
del Pentagono. Nel 1985, uno di quegli intellettuali dichiarò
apertamente che quando gli ebrei erano arrivati negli Stati Uniti
avevano trovato «più congeniali
l'opinione pubblica e i politici liberali ma che, ora, è interesse
dell'ebraismo allearsi ai fondamentalisti protestanti perché, dopo
tutto, 'Vè forse qualche ragione per cui noi ebrei dobbiamo restar
fedeli, dogmaticamente e con l'ipocrisia, alle idee che condividevamo
ieri?».
A questo punto, la sinistra americana si è divisa e quelli
di noi che criticano i nostri ex-alleati ebrei per questo loro insensato
opportunismo vengono subito bollati con i rituali epiteti di
"antisemita" o di "odiatori di se stessi".
Per fortuna, la voce della ragione è ancora viva e forte e viene
proprio dalla stessa Israele. Da Gerusalemme, Israel Shahak, con le sue
continue e sistematiche analisi, smaschera la sciagurata politica
israeliana e lo stesso Talmùd, in altre parole l'effetto che ha tutta
la tradizione rabbinica sul piccolo Stato d'Israele che i rabbini di
estrema destra di oggi vogliono trasformare in una teocrazia riservata
ai soli ebrei.
Shahak guarda con l'occhio della satira tutte le religioni
che pretendono di razionalizzare l'irrazionale e, da studioso, fa
risaltare le contraddizioni contenute nei testi. E’ un vero piacere
leggere, con la sua guida, quel grande odiatore dei gentili che fu il
dottor Maimonide!
Inutile dire che le autorità israeliane deplorano l'opera di Shahak ma
non possono far nulla contro un docente universitario di chimica in
pensione, nato a Varsavia nel 1933 che ha passato alcuni anni della sua
infanzia nel campo di concentramento nazista di Belsen. Nel 1945 Shahak
andò in Israele; ha prestato servizio nell'esercito israeliano e non è
diventato marxista negli anni in cui essere marxisti era di gran moda.
Shahak era, ed è, un umanista che detesta l'imperialismo sia che si
manifesti come il Dio di Abramo che come la politica di George Bush e,
con lo stesso vigore, la stessa ironia e competenza, si oppone al
nocciolo totalitario del giudaismo.
Israel Shahak è un Thomas Paine più colto che continua a
ragionare e, di anno in anno, ci rivela le propsepttive che abbiamo e ci
dà gli strumenti per chiarirci la lunga storia che sta alle nostre
spalle.
Coloro che si preoccupano per lui saranno forse più saggi o, - devo
proprio dirlo? - migliori, ma Shahak è il più recente, se non
l’ultimo, dei grandi profeti.