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Epatite
C
Peter
Duesberg, «Speculazioni e Abusi in campo sanitario», Macro
edizioni
Secondo la teoria
ufficiale l’epatite C è una malattia infettiva che si contrae
contaminandosi con sangue positivo per l’antigene C attraverso
trasfusioni o interventi chirurgici. Difficilmente per via sessuale.
Peter
Duesberg, il grande virologo noto per le sue ricerche sul cancro e
l’AIDS, non la pensa nello stesso modo e lo spiega nel suo libro: «Aids.
Il virus inventato», sentiamo come.
«Un
terzo tipo di epatite fu scoperta negli anni Settanta e anch’essa
riguardava per lo più drogati, alcolizzati e persone che hanno ricevuto
trasfusioni di sangue. La maggior parte degli scienziati ritennero in un
primo tempo che si trattasse di epatite A o B, finché ripetuti esami di
laboratorio non riuscirono a trovare il virus nel sangue delle vittime.
Circa 35.000 americani muoiono ogni anno per questa malattia, una parte
di questi per «epatite non-A, non-B», come la si è definita per anni.
Oggi si chiama epatite C. Questa forma di epatite non si comporta come
una malattia infettiva, perché colpisce persone che appartengono a
gruppi a rischio ben definiti, invece di diffondersi fra larghi strati
della popolazione o anche fra medici che curano gli epatitici. Tuttavia
i virologi hanno continuato a tener d’occhio la malattia
dall’inizio, sperando di trovare un giorno il virus che la provoca.
Quel giorno arrivò
nel 1987. Scena dell’evento fu il laboratorio di ricerca della Chiron
Corporation, un’azienda di biotecnologie che si trova nelle vicinanze
di San Francisco. Avendo a disposizione le tecniche più avanzate, un’équipe
di scienziati iniziò la ricerca nel 1982 iniettando a degli scimpanzé
il sangue prelevato a malati di epatite non-A non-B. Nessuna delle
scimmie si ammalò, anche se comparvero vaghi sintomi di infezione o
arrossamento. Il passo successivo fu quello di cercare il virus nel
tessuto del fegato. Ricerca vana. Al limite della disperazione, gli
scienziati si misero a cercare anche tracce piccolissime di virus e alla
fine trovarono, e ingrandirono parecchio, un microscopico frammento di
informazione genetica, codificato in una molecola nota come ribonucleic
acid (acido ribonucleico) o RNA, che non sembra appartenere al codice
genetico dell’ospite. Questo frammento di RNA presumibilmente
estraneo, ragionarono i ricercatori, deve costituire l’informazione
genetica di qualche virus non identificato. Qualunque cosa fosse, il
tessuto epatico ne contiene quantitativi rintracciabili a stento. Solo
la metà circa di tutti i malati di epatite C hanno il raro RNA
estraneo. E in quelli che lo hanno c’è solo una molecola di RNA ogni
dieci cellule epatiche: difficile credere che, in simile quantità,
possa causare la malattia.
I
ricercatori della Chiron si servirono della nuova tecnologia per
ricostruire pezzi del virus misterioso. Ora erano in grado di
controllare se i pazienti avevano nel sangue gli anticorpi contro questo
virus ipotetico e scoprirono presto che solo una risicata maggioranza di
soggetti affetti da epatite C li aveva. Il primo postulato di Koch,
naturalmente vuole che un virus davvero pericoloso si trovi in notevoli
quantità in ogni singolo paziente. Il secondo postulato richiede che le
particelle virali siano isolate e coltivate, anche se questo ipotetico
virus dell’epatite non è mai stato trovato intatto. Il terzo
postulato, infine, prescrive che gli animali da laboratorio, come gli
scimpanzé, si ammalino quando viene loro iniettato il virus. Nessuno
dei tre postulati è soddisfatto da questo fantomatico virus, eppure gli
scienziati della Chiron annunciarono nel 1987 di aver finalmente trovato
il virus dell’epatite C.
Oggi l’ipotesi virale si trova a fare i conti con altri paradossi.
Moltissime persone che risultano positive al virus dell’epatite C non
sviluppano mai alcun sintomo della malattia, anche se il virus non è
meno attivo in loro rispetto ai malati di epatite. E da un recente
studio su larga scala che ha seguito i pazienti per 18 anni risulta che
i sintomatici vivono quanto quelli asintomatici. Nonostante questi
fatti, gli scienziati difendono ancora il loro virus elusivo
attribuendogli un periodo di latenza che si estende per decenni.
Paradossi del genere non intimidiscono più i virologi. Anzi qualsiasi
nuova ipotesi virale, non importa quanto bizzarra, di solito riceve una
pioggia di riconoscimenti. La Chiron non ha passato invano i cinque anni
occorsi a creare il suo virus.
Dopo aver brevettato il test per la ricerca del virus l’azienda lo ha
messo in produzione e ha montato una campagna pubblicitaria per
accaparrarsi potenti alleati. Il primo passo è stato un articolo
pubblicato su «Science» e curato dalla sezione di biologia molecolare
dell’Università della California a Berkeley, molto vicina alla
multinazionale Chiron… La grande occasione si presentò alla fine del
1987 sotto forma di richiesta speciale da parte dei medici curanti
dell’imperatore giapponese Hirohito. Il monarca stava morendo e aveva
bisogno di continue trasfusioni: poteva la Chiron fornire un test sicuro
per accertarsi che il sangue non contenesse il virus dell’epatite C?
L’azienda non si lasciò sfuggire l’occasione e si fece un nome tale
in Giappone che il sindaco di Tokyo approvò la commercializzazione del
prodotto nel giro di un anno. L’imperatore nel frattempo morì, ma
l’interesse per il test aumentò quando le autorità giapponesi misero
l’epatite C ai primi posti delle priorità sanitarie.
Il
kit della Chiron rende oggi circa 60 milioni di dollari l’anno…»