La scienza piange Emilio Del Giudice
di Furio Stella – dal blog www.effervescienza.com
Se n’è andato uno dei più grandi fisici italiani. Il professor Emilio Del Giudice è morto il 31 gennaio scorso a Milano. Nato a Napoli nel 1940, aveva da poco compiuto 74 anni. Scienziato con la esse maiuscola, spirito innovatore, aveva lavorato negli anni Ottanta con i pionieri della “via italiana” alla fusione fredda. Famoso il suo sodalizio con Giuliano Preparata. I suoi interessi non si fermavano alla ricerca energetica, bensì spaziavano su un vastissimo orizzonte che andava dall’elettromagnetismo alla biologia, al ruolo dell’acqua nel corpo umano, la sua memoria e dunque l’omeopatia, e alla medicina. Ecco, su tutti questi argomenti, qual era il suo rivoluzionario pensiero nell’ultima intervista che gli avevamo fatto a dicembre 2011.
Emilio Del Giudice non vuol più parlare di fusione fredda. Lui, lo scienziato dell’INFN, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, uno dei cervelli italiani che alla fine degli anni Ottanta, dopo l’annuncio choc di Fleischmann e Pons, si era buttato a capofitto nella nuova avventura («Ho collaborato con Giuliano Preparata, ma personalmente non sono un pioniere»), ora preferisce occuparsi di dinamica biologica. O meglio, da fisico qual è, «della fisica che sta sotto alle dinamiche biologiche». All’età di 70 anni, professore in pensione, ma con un’attività in cui non mancano incarichi accademici e consulenze scientifiche, dice che «la biologia è molto più affascinante». E, rivelando subito la sua anima di ricercatore antidogmatico, aggiunge subito il secondo e più importante motivo della sua scelta: «Perché non voglio collaborare a mettere in giro nuove fonti di energia quando il problema, il problema dell’energia intendo, non è quello di produrne di più, ma di farne un uso più accorto ed efficiente. Paradossalmente bisogna produrre meno energia, non più energia».
Niente male come inizio, no? E difatti qui, nel tema energetico primo passo della nostra intervista, Del Giudice, napoletano ma trapiantato da anni a Milano, non ci va tanto per il sottile. «La tecnologia - spiega il professore - consentirebbe in principio di avere motori di automobile che con un litro fanno cento chilometri. Però, dato che bisogna consumare il petrolio, si fanno dei motori che nella migliore delle ipotesi fanno 5-6 litri per cento chilometri, cioè con un consumo cinque volte maggiore. Prima di andare a scavare nuove fonti di energia, che alimentano questo spreco, bisogna rimodellare la tecnologia in modo di ridurre, a parità di consumi o meglio di bisogni soddisfatti, l’uso di energia. Quindi nessun savonarolismo, nessun amore della povertà. Quando questo sarò fatto, allora il problema dell’energia sarà drasticamente sdrammatizzato».
Qui, proprio nel discorso sulle energie, o meglio sul loro uso più razionalizzato («Bisogna drasticamente tagliare i fabbisogni energetici che soddisfano interessi ben definiti – è il suo atto di accusa - Il mondo dell’economia tende a fare come le oche di Strasburgo: a ingozzarle il più possibile in modo da guadagnare di più»), qui, dicevamo, s’innesta l’interesse per la biologia. Nel senso che: «E’ proprio la biologia a darci l’esempio: l’essere vivente consuma una quantità molto ridotta di energia. Se noi, invece che esseri viventi, fossimo delle macchine, a parità di movimento ce ne farebbero consumare molta di più». Interesse tutt’altro che nuovo, in verità, perché Del Giudice fin dal tempo del suo sodalizio con Preparata aveva formulato la teoria del dominio di coerenza dell’acqua, cioè del fatto che gli scambi biochimici nell’organismo avvengono non per incontri casuali ma attraverso la frequenza emessa dal campo elettromagnetico dell’acqua di cui è composto il corpo umano. Da cui, per esempio, la spiegazione rigorosamente scientifica sul perchè i campi elettromagnetici esterni (reti elettriche, elettrodotti, antenne, telefonini cellulari, etc.) facciano male.
Giusto, professore?
«Voglio aggiungere: possono fare male. Non è che fanno automaticamente
male. Come ogni fenomeno interattivo, se l’interazione è costruttiva
(cioè risonante) c’è un accordo, sennò no. La dinamica biologica è
questa: gli aggregati risonanti delle molecole d’acqua producono un
campo elettromagnetico che guida i movimenti delle biomolecole, le
molecole che formano il corpo, e le fa incontrare, dopodiché si
modificano di loro volta in conseguenza delle reazioni chimiche che
accadono, eccetera. C’è questa dinamica complessa in cui l’omeostasi,
cioè una situazione che mantiene una stazionarietà di questo regime,
richiede che a ogni segnale elettromagnetico ci sia una molecola che
risponda e che per ogni molecola ci sia un segnale elettromagnetico che
la governi e la faccia muovere. Qua c’è l’omeostasi. Se questo sistema
viene immerso in un flusso esterno di campi elettromagnetici con
frequenze arbitrarie, come succede nell’ambiente, è come quando c’è una
conversazione in corso e a un certo punto arrivano degli estranei.
Questi estranei possono sia inserirsi nella conversazione, e quindi
avere un effetto positivo, ma possono anche disturbare. Queste sono le
due possibilità. Quindi un campo elettromagnetico applicato dall’esterno
può avere sia funzioni positive, difatti si può usare in terapia, sia
aspetti negativi se entra in modo distruttivo all’interno del corpo.
Resta da studiare nel futuro quando avviene il primo tipo e quando il
secondo. In principio bisogna essere attenti perché un campo
elettromagnetico applicato dall’esterno su un organismo vivente non è
privo di conseguenze Queste conseguenze non sono necessariamente
negative però possono esserlo, per questo motivo è necessario studiare
di più e non negarne l’esistenza a priori».
Chiaro il meccanismo: possiamo dire, dunque, che gli effetti non sono
fissi e uguali per tutti ma dipendono da persona o persona?
«Certo. Le persone possono anche, diciamo così, difendersi dalle
influenze esterne, dipende dalle persone. Bisogna tener conto però che
nell’epoca moderna, a causa della “corrosione” delle nostre forze
vitali dovute agli stress eccetera, le persone sono molto poco difese
per cui le capacità di autodifesa degli organismi, nelle civiltà
avanzate, sono piuttosto modeste e invece prevale la fragilità. Difatti
il numero per esempio di allergie a campi elettromagnetici esterni, che
è una patologia che recentemente è stata messa in evidenza, e che erano
rare tempo fa, è in numero crescente».
Parliamo di telefonini cellulari: nonostante l’Oms abbia assegnato alle
loro emissioni una pericolosità di livello 2B, dunque “potenzialmente
cancerogene”, il mese scorso è stata data molta enfasi a uno studio
danese, pubblicato sul prestigioso BMJ (il British Medical Journal),
secondo cui non c’è invece alcun rischio per la salute. Cosa ne pensa?
«Eh no. Ho sentito proprio su questo studio una relazione di una
ricercatrice francese molto brava che si chiama Annie e il cognome non
me lo ricordo bene, qualcosa come Fastrò o roba del genere, che ha fatto
notare che nel campione su cui si basava lo studio danese erano incluse
anche persone che usavano il telefonino una volta alla settimana. In
sostanza hanno diluito il campione mettendoci persone che insomma non
erano in condizione di ricevere danni dal telefonino, per cui
chiaramente il numero delle patologie osservate era drasticamente
ridotto».
A proposito di telefonia: stiamo assistendo all’esplosione della
tecnologia Wi-fi, sembra quasi che una città non sia “moderna” se non ne
ha una rete sufficientemente estesa. Lei, parlando della pericolosità,
come la considera?
«E’ abbastanza pericolosa. Non vuol dire che queste tecnologie vanno
bandite. Significa che vanno progettate tenendone conto. Per esempio,
adoperare delle frequenze fisse rende evidentemente più facile il lavoro
degli ingegneri, però una frequenza fissa interferisce in un modo
costante, quindi con il tempo dà luogo da effetti duraturi
sull’organismo. Mentre - è una mia fantasia, eh? - se si adoperassero
delle frequenze variabili nel tempo, cosa che renderebbe più difficile
il lavoro degli ingegneri ma non è impossibile, si porrebbe uno stress
molto minore alla materia vivente».
Fin qui abbiamo parlato degli effetti negativi dei campi
elettromagnetici. E quelli positivi? Come si domanda Renzo Mazzaro che
l’ha intervistata nel bel libro “Viviamo tutti sulla cresta dell’onda”
(Aliberti Editore): perché siamo fatti al 99 per cento di acqua e la
medicina si interessa solo al rimanente 1 per cento?
«Eh bè, la ragione principale è il peso degli interessi dell’industria
farmaceutica. Siccome l’industria farmaceutica fabbrica molecole, è
interessata a diffonderne l’uso il più possibile. Il problema è questo:
il paradigma dominante della biologia, da molti decenni a questa parte,
è che gli avvenimenti biologici sono prodotti da incontri tra molecole.
Siccome le molecole d’acqua prese da sole non hanno una particolare
reattività chimica, vengono trascurate nonostante siano il 99% . E’ come
in uno stadio di calcio dove ci sono 22 giocatori più l’arbitro e due
segnalinee e poi ci stanno 50-60 mila persone sugli spalti. Per l’esito
della partita le 50-60 mila persone contano poco - va be’ contano per
l’incoraggiamento che danno ai giocatori - ma gli attori sono i
giocatori. Allora, in questo senso, se uno immagina che è la reattività
chimica il motore della dinamica biologica, solo le molecole capaci di
fare reazioni chimiche vengono prese in considerazione. Ne consegue che
la patologia è vista come un disturbo nelle catene di reazioni
chimiche, e quindi la terapia sta nell’immettere in questo giro un certo
numero di molecole strane chiamati farmaci i quali intervengono negli
accadimenti biologici e “sperabilmente” li raddrizzano. Se questo è il
paradigma, si costruiscono delle industrie che producono questi farmaci
è loro interesse è venderli il più possibile».
Mentre invece…
«La dinamica è un po’ diversa, e cioè che le molecole si incontrano
guidate dai campi elettromagnetici prodotti dalla dinamica collettiva, e
non individuale, delle molecole d’acqua. Il ruolo dell’acqua non è
quello di fare in proprio delle reazioni chimiche, ma quello di guidare
le reazioni chimiche che fanno le altre molecole, producendo i campi
elettromagnetici aventi un opportuno segnale. Se per qualche disguido
questi campi, o alcuni di essi, non vengono prodotti allora si
manifesta un disordine nel traffico delle molecole, nelle loro reazioni
chimiche. Il disturbo che si vede, che appare a livello chimico è
prodotto in realtà da un disturbo nella rete di segnali elettromagnetici
prodotti dall’acqua. In definitiva la radice della patologia non sta
nelle molecole ma sta nell’acqua. O meglio: può stare anche nelle
molecole ma c’è un grosso contributo dell’acqua. E se è così, allora i
criteri di intervento diventano tutti diversi e quindi l’industria deve
fornire altri tipi di prodotti e non quelli che attualmente fornisce. E
questa non è una buona notizia per chi ha investito un sacco di soldi
nella produzione».
Ripigliando il filo di Mazzaro: una strada in positivo, cioè la
possibilità di effettuare terapie usando gli stessi campi
elettromagnetici, l’ha indicata Getullio Talpo. Qual è attualmente lo
stato dell’arte?
«C’è un problema anche qua di controlli clinici perché non si possono
applicare tout court gli stessi controlli usati per i farmaci, ma
bisogna trovarne di più adeguati. Mi spiego: il paradigma corrente
non considera la globalità dell’individuo. Il disturbo - dicono - è
un disturbo specifico che richiede un farmaco specifico
indipendentemente dalla persona a cui è applicato, da cui tutti i
criteri di randomizzazzione, eccetera, come se l’individuo non contasse
niente. Il tipico controllo è questo: si prende il supposto rimedio, lo
si dà a un certo numero di persone che ha uno specifico disturbo e si
controlla poi il numero di casi positivi rispetto agli altri. Questo, al
diverso tipo di terapia di cui parliamo, non funziona così. Il rimedio
da dare è diverso da persona a persona. Facciamo l’esempio del traffico:
il disturbo è che una certa automobile non arriva dove deve arrivare. Il
rimedio convenzionale sarebbe quello di dire al guidatore un'altra
automobile che gli consente di arrivare. Ma se invece ci rendiamo contro
dell’influenza del traffico, l’auto in questione può non essere arrivata
perché è stata bloccata da un semaforo rosso in una certa strada, o da
un fosso in un’altra strada, insomma per tutta una serie di motivi
diversi. Il numero di possibilità è ampio, per cui il rimedio da
applicare non è necessariamente lo stesso per tutti i malati che
presentano lo stesso sintomo. Il paradigma ufficiale, quello secondo cui
dato uno specifico sintomo esiste un unico rimedio, è semplicemente
sbagliato».