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Felicità: a
ciascuno il suo risultato elettorale!
di Carlo Bertani
“Quale
errore disvia i nostri occhi e i nostri orecchi? Finché non abbia fatto
luce su questa sicura incertezza, voglio prestarmi all'illusione che mi
si offre.”
William
Shakespeare – La commedia degli
errori
Che tristezza – ad ogni
appuntamento elettorale – osservare gli sconfitti! Facce truci o di
circostanza: “Salvare il salvabile!” sembra l’imperativo, cosicché
il gran mestiere dei politici (soprattutto i nostrani) è quello
d’azzeccare qualche garbuglio nelle vagonate di numeri che i TG
sciorinano per riuscire a dimostrare che in fondo non si è proprio
perso…che si tratta di un “aggiustamento”, di una
“riconversione” di voti…insomma…gli altri non possono proprio
cantare vittoria.
L’altra parte, invece, gongola e distribuisce battute al vetriolo: più
che di democrazia, verrebbe quasi la voglia di mandarli tutti allo
stadio con i loro striscioni a rilanciarsi i coretti di sfottò l’un
l’altro. Non è quello che fanno usualmente dal Vespone o da
Hulk-Ferrara?
La storia delle elezioni
italiane non si discosta molto dall’andazzo generale dello Stivale: né
commedia e né tragedia, solo farsa.
S’iniziò con il referendum monarchia/repubblica, sul quale nessuno
– ancora oggi – può mettere la mano sul fuoco per il risultato:
l’unico potentato internazionale che sostenne i Savoia fu
Più interessante fu invece il
risultato delle elezioni del 1948, vinte da De Gasperi contro il fronte
unito delle sinistre: qui non è tanto in discussione il risultato,
quanto una serie di “precauzioni” che
L’ex presidente della Repubblica Cossiga ha tranquillamente affermato
che trascorse la notte precedente alla proclamazione dei risultati
insieme a molti “amici” nei pressi di una caserma dei Carabinieri
– nella natia Sardegna – i quali custodivano un consistente arsenale
da consegnare ai molti “amici” nel malaugurato caso le sinistre
avessero vinto. Bel concetto di democrazia per una persona che è stata
assisa per sette anni sul più alto scranno della Repubblica.
Il “piatto forte” della
democrazia italiana, però, è sempre stata la legge elettorale: veri
capolavori di diritto costituzionale, alchimie raffinate scritte dalle
migliori penne del diritto italiano. Se riflettiamo che l’ultima
l’ha scritta Calderoli, riusciamo a comprendere quanto siamo caduti in
basso.
Per molti anni votammo con una legge scritta per il sistema
proporzionale: cosa c’è di più democratico del sistema
proporzionale? Tante teste, tanti voti, tanti rappresentanti.
Sorvolando sulle varie “leggi truffa”, sui “premi di
maggioranza” e sulle infinite compravendite di parlamentari che sono
avvenute nei decenni – quando abitavo a Torino, Giuliano Ferrara era
il segretario cittadino del PCI e Bondi il sindaco comunista di un paese
della Garfagnana – sembra che tutti abbiano scordato il sistema delle
“preferenze”, mediante le quali venivano eletti i nostri
“dipendenti”, come li chiama Grillo. E non solo.
Il sistema delle preferenze
era così basato: ad un voto di lista potevano essere aggiunte quattro
preferenze tratte dalla lista dei candidati. Cosa c’è di male?
Nulla…aspettate. La preferenza poteva essere espressa sia scrivendo il
cognome, sia il cognome e nome oppure il numero di lista: cosicché,
“Giulio Andreotti” poteva essere indicato ,come “Andreotti”,
“Andreotti Giulio”, oppure il numero 1 se quello era il suo posto
nella lista.
Potevano esserci così schede votate per
Questo – per decenni – fu
il metodo per controllare i voti: come funzionava?
Semplice: volevi una pensione d’invalidità? Eccola, ma alle prossime
elezioni vogliamo trovare nell’urna una scheda votata “1, Bibbini,
14, Deretti”. E se non la troviamo? Eh, mio caro, sai che le visite
fiscali delle commissioni mediche – talvolta – diventano
minuziose…pignole…cavillose…
Per decenni – indebitando lo Stato oltre ogni ragionevole limite (per
questa ragione Francia e Germania hanno un rapporto deficit/PIL intorno
al 60%, mentre l’Italia supera il 110%) – i voti furono assicurati
da un minuzioso controllo del territorio, e lo Stato elargiva in cambio
dei voti pensioni, prebende e posti nell’apparato.
Mafia? Sì, forse, ma non era
necessario giungere a tanto: il “proconsole” democristiano del
Sannio – Remo Gaspari – fu “pizzicato” mentre eseguiva il solito
tour pre-elettorale fra le poverissime popolazioni del luogo con
l’elicottero dei Vigili del Fuoco. Fu “beccato” perché – dopo
aver distribuito coscienziosamente posti da bidello e pensioni d’ivalidità,
raccomandazioni per i concorsi e quant’altro in cambio dei soliti
“pizzini” elettorali – s’era fatto condurre in elicottero alla
partita di calcio. Che sfiga: “pizzicato” per il pallone.
Si giunse così ai famosi 7,5 milioni di pensioni d’invalidità, che i
democristiani dell’epoca – oggi – giustificano come una forma
“primordiale” di stato sociale. Paolo Cirino Pomicino giunse ad
affermare: “Qualcosa dovevamo pur dare loro, no?”. Peccato che
nessuno riconosca mai cosa chiedevano in cambio.
Cari italiani: tutte le
elezioni che si sono svolte dal 1948 fino agli anni ’90 hanno seguito
questo copione. Democrazia? Chi era costei?
Quella pratica perversa fu alla base di profonde tensioni fra Nord e
Sud, quando il Nord votava prevalentemente a sinistra ed il Sud era la
solida ancora del potere democristiano ed anticomunista, ma non si
preoccupavano troppo del problema: dividi
et impera.
L’aspetto curioso della vicenda è che tutti continuano a parlare di
“democrazia”, mentre di democratico – per più di quarant’anni
– l’Italia non ha avuto un bel cazzo di niente. E lo sanno tutti
benissimo.
Erano così sicuri del loro
sistema che – quando qualche “smagliatura” s’evidenziava –
cadevano come birilli: la giunta di sinistra che vinse le elezioni
comunali a Torino nel 1976 (ricordi Ferrara?) trovò nella Mole
Antonelliana un deposito di vini pregiati. Gli assessori democristiani
dell’epoca la usavano come “cantinetta” personale.
La giustificazione di tante malversazioni era sempre la stessa:
proteggere l’Italia dall’Orso Sovietico, dai cosacchi che avrebbero
abbeverato i loro cavalli nel Tevere. Non sia mai che
Anche la cosiddetta “sinistra” conosceva il giochetto, ma non poteva
farci nulla perché le risorse dello Stato le gestivano altri: ad ogni
modo, cercò di copiare il modello nelle regioni che governava e –
siccome hanno sempre avuto migliori amministratori – migliorarono
ancora il modello democristiano.
Prima delle elezioni del 1976,
chiesero ad Enrico Berlinguer cosa sarebbe successo se il PCI avesse
vinto le elezioni. Risposta: “L’Italia si schiererà con il Patto di
Varsavia”. Poteva permettersi quella ed altre affermazioni, tanto
sapeva benissimo che non sarebbe mai potuto avvenire.
Giunsero infine gli anni ’90 ed il crollo dell’Orso Sovietico:
adesso sì che possiamo permetterci una democrazia compiuta! Finora –
ragazzi – abbiamo scherzato, ma da oggi in avanti…
Con un travolgente referendum furono abolite le preferenze e si giunse
al sistema bipolare: contenti? Siamo diventati anche noi come gli
americani e gli inglesi.
C’era da fidarsi di quella
sinistra uscita dall’ultimo congresso del PCI alla “Bolognina”?
Qualcuno sospettava che la sinistra “sdoganata” avrebbe comunque
chiesto troppo. Indennità di disoccupazione? Veri assegni familiari? Ma
dove credete di vivere: negli USA, in Francia od in Germania? Oh,
ragazzi, siamo in Italia: siamo un paese povero, pieno di debiti, senza
un sistema industriale solido…
Il solito pianto antico. Il debito lo avevo fatto loro comprando i voti
per decenni, mentre al sistema industriale pensavano personaggi come De
Benedetti (informatica) e Gardini (chimica), che – difatti – ci
hanno condotti all’anno zero sia per l’informatica e sia per la
chimica. In cambio, hanno conservato ingenti patrimoni che oggi
investono sui mercati orientali: oh, sono soldi miei, voi che cosa
volete? Vorremmo sapere quanti di quei soldi “tuoi” sono stati
creati dagli operai della Olivetti o da quelli della Montedison,
compresi quelli che si sono beccati il cancro.
Insomma, la “gioiosa
macchina da guerra” messa insieme da un povero e maldestro Occhetto si
trovò di fronte ad una spavalda, nuova formazione aziendal-televisiva
che in poco tempo era stata creata da monsignor Berlusconi da Arcore,
sconosciuto ai più, molto, ma molto conosciuto invece da quelli che
contano.
Giunsero al Cavaliere in quegli anni montagne di soldi – denari dei
quali Berlusconi si è sempre rifiutato di parlare ai giudici – erano
centinaia di miliardi che provenivano dal PSI? Dalla mafia? L’ex
procuratore elvetico Carla del Ponte – stranamente assunta in cielo al
Tribunale Penale Internazione dell’Aia – è ancora là che li cerca.
Travaglio qualche idea ce l’ha, ma lo stanno facendo diventare un
fenomeno da baraccone.
Nel frattempo, quella sinistra massimalista e – diciamolo – troppo
attenta alle istanze degli operai e troppo poco sensibile alla classe
media, fu “sdoganata” da un Prode cavaliere bolognese e portata in
Paradiso. Barche, stipendi da favola e mogli parlamentari comprese.
Il resto è storia dei nostri
giorni: date queste premesse, possiamo affermare che sia esistita e che
esista una “democrazia” italiana?
Se abbiamo votato inutilmente per decenni, se in seguito il consenso è
stato ottenuto a suon di miliardi da una persona che controllava quasi
l’intera editoria italiana, che senso hanno quei numeri?
Forse per disperazione, ma dopo cinque anni di Finanziarie
“creative” di Tremonti – che ci hanno condotto al disastro nel
rapporto deficit/PIL – e di leggi pazzesche come la riforma della
giustizia contro i giudici e quella della scuola contro gli insegnanti,
gli italiani s’affidarono ancora una volta a Prodi. Il meno peggio.
L’ultima trovata – sembra
– sia stata quella di “rimodellare” i risultati elettorali, come
Nanni Moretti lasciò capire nel film “Il portaborse”: «Ricordi
quante notti abbiamo passato a ri-votare le schede bianche?»
Fantasie? Fantapolitica? Perché, allora, nel terzo millennio si
continua a votare con una matita? Forse perché si può cancellarla
facilmente?
La giustificazione ufficiale è puerile: poiché con altri tipi di penna
l’inchiostro potrebbe trapassare il foglio e rendere visibile il voto.
Oh: facciamo subito una colletta ed inviamo loro un mazzo di penne a
biro cinesi da pochi euro, indelebili e che non “trapassano” nemmeno
la carta velina. Compiamo questo sforzo economico per la nostra
democrazia: se vogliamo bene al nostro paese non possiamo voltarci
dall’altra parte.
L’ultima frontiera è il
voto elettronico: cosa c’è di più sicuro dell’elettronica e dei
computer? Tutto, dal sigillo imperiale alla firma, è più sicuro di una
qualsiasi comunicazione elettronica.
Chi, di noi, darebbe peso ad una comunicazione via e-mail dove viene
assunto, licenziato, promosso, condannato…
Tutti sanno che ciò che un programmatore scrive può essere cambiato da
un altro, al punto che Microsoft non è mai riuscita a proteggere il suo
principale prodotto, il software.
Nel caso delle elezioni italiane, un Ministro dell’Interno sparì dal
Viminale la notte delle elezioni per due ore e si recò (pare) da
Berlusconi, dov’era presente (pare) anche il Ministro per
l’Innovazione Tecnologica Stanca (ex direttore di IBM Italia). Qui
prodest?
L’ultima baggianata che
tentano di spacciarci è che non sia possibile intervenire sui flussi di
dati in arrivo al Viminale: troppo poco tempo…è una cosa
complicata…ci vorrebbero complicatissimi programmi…
Noi, che siamo persone generose, vogliamo regalare agli italiani un
piccolissimo programma mediante il quale potranno cambiare in un amen
i risultati elettorali di una serie di comuni così, semplicemente con
un clic, seduti comodamente in poltrona.
Quanto ci ho messo a farlo?
Eh…è stato un lavoro gravoso…dunque: ho aperto la porta dello
studio mentre suonavano le campane di mezzogiorno, poi…ah, già…quando
mia moglie mi ha chiamato per dirmi che il pollo era in tavola era già
finito.
Per gli amanti degli arzigogoli informatici, ricordiamo che per chi
aveva sott’occhio il flusso dei dati la cosa sarebbe stata ancora più
facile: invece delle macro, potevano usare una semplice routine in
linguaggio SQL, che sui database funziona velocemente e con precisione.
Una bellezza.
Divertitevi, e tanti auguri
alla grande democrazia italiana!
Carlo Bertani bertani137@libero.it
www.carlobertani.it