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Felicità: a ciascuno il suo risultato elettorale!
di Carlo Bertani - 27 novembre 2006

“Quale errore disvia i nostri occhi e i nostri orecchi? Finché non abbia fatto luce su questa sicura incertezza, voglio prestarmi all'illusione che mi si offre.”
William Shakespeare – La commedia degli errori

Che tristezza – ad ogni appuntamento elettorale – osservare gli sconfitti! Facce truci o di circostanza: “Salvare il salvabile!” sembra l’imperativo, cosicché il gran mestiere dei politici (soprattutto i nostrani) è quello d’azzeccare qualche garbuglio nelle vagonate di numeri che i TG sciorinano per riuscire a dimostrare che in fondo non si è proprio perso…che si tratta di un “aggiustamento”, di una “riconversione” di voti…insomma…gli altri non possono proprio cantare vittoria.
L’altra parte, invece, gongola e distribuisce battute al vetriolo: più che di democrazia, verrebbe quasi la voglia di mandarli tutti allo stadio con i loro striscioni a rilanciarsi i coretti di sfottò l’un l’altro. Non è quello che fanno usualmente dal Vespone o da Hulk-Ferrara?

La storia delle elezioni italiane non si discosta molto dall’andazzo generale dello Stivale: né commedia e né tragedia, solo farsa.
S’iniziò con il referendum monarchia/repubblica, sul quale nessuno – ancora oggi – può mettere la mano sul fuoco per il risultato: l’unico potentato internazionale che sostenne i Savoia fu la Corona Britannica , ma i grandi vittoriosi della guerra mondiale erano stati gli USA, che di re non volevano sentire parlare. Per i sovietici non faceva gran differenza: abbattere un re dispotico oppure un governo capitalista affamatore della classe operaia era la stessa cosa. Inutile stare qui a parlarne: nessuno saprà mai la verità, quella vera.

Più interessante fu invece il risultato delle elezioni del 1948, vinte da De Gasperi contro il fronte unito delle sinistre: qui non è tanto in discussione il risultato, quanto una serie di “precauzioni” che la DC aveva preso in caso di sconfitta.
L’ex presidente della Repubblica Cossiga ha tranquillamente affermato che trascorse la notte precedente alla proclamazione dei risultati insieme a molti “amici” nei pressi di una caserma dei Carabinieri – nella natia Sardegna – i quali custodivano un consistente arsenale da consegnare ai molti “amici” nel malaugurato caso le sinistre avessero vinto. Bel concetto di democrazia per una persona che è stata assisa per sette anni sul più alto scranno della Repubblica.

Il “piatto forte” della democrazia italiana, però, è sempre stata la legge elettorale: veri capolavori di diritto costituzionale, alchimie raffinate scritte dalle migliori penne del diritto italiano. Se riflettiamo che l’ultima l’ha scritta Calderoli, riusciamo a comprendere quanto siamo caduti in basso.
Per molti anni votammo con una legge scritta per il sistema proporzionale: cosa c’è di più democratico del sistema proporzionale? Tante teste, tanti voti, tanti rappresentanti.
Sorvolando sulle varie “leggi truffa”, sui “premi di maggioranza” e sulle infinite compravendite di parlamentari che sono avvenute nei decenni – quando abitavo a Torino, Giuliano Ferrara era il segretario cittadino del PCI e Bondi il sindaco comunista di un paese della Garfagnana – sembra che tutti abbiano scordato il sistema delle “preferenze”, mediante le quali venivano eletti i nostri “dipendenti”, come li chiama Grillo. E non solo.

Il sistema delle preferenze era così basato: ad un voto di lista potevano essere aggiunte quattro preferenze tratte dalla lista dei candidati. Cosa c’è di male? Nulla…aspettate. La preferenza poteva essere espressa sia scrivendo il cognome, sia il cognome e nome oppure il numero di lista: cosicché, “Giulio Andreotti” poteva essere indicato ,come “Andreotti”, “Andreotti Giulio”, oppure il numero 1 se quello era il suo posto nella lista.
Potevano esserci così schede votate per la DC che riportavano – oltre alla croce sul simbolo – “Andreotti, Bibbini, Cacacci e Deretti”, oppure “Giulio Andreotti, Carlo Cacacci, Bruno Bibbini e Dario Deretti”. Ancora: Andreotti, 12, Cacacci, 23” , oppure “1, 12, Cacacci, Deretti”. Attenzione: il voto andava ai soliti quattro, ma poteva essere espresso in una miriade di combinazioni diverse.

Questo – per decenni – fu il metodo per controllare i voti: come funzionava?
Semplice: volevi una pensione d’invalidità? Eccola, ma alle prossime elezioni vogliamo trovare nell’urna una scheda votata “1, Bibbini, 14, Deretti”. E se non la troviamo? Eh, mio caro, sai che le visite fiscali delle commissioni mediche – talvolta – diventano minuziose…pignole…cavillose…
Per decenni – indebitando lo Stato oltre ogni ragionevole limite (per questa ragione Francia e Germania hanno un rapporto deficit/PIL intorno al 60%, mentre l’Italia supera il 110%) – i voti furono assicurati da un minuzioso controllo del territorio, e lo Stato elargiva in cambio dei voti pensioni, prebende e posti nell’apparato.

Mafia? Sì, forse, ma non era necessario giungere a tanto: il “proconsole” democristiano del Sannio – Remo Gaspari – fu “pizzicato” mentre eseguiva il solito tour pre-elettorale fra le poverissime popolazioni del luogo con l’elicottero dei Vigili del Fuoco. Fu “beccato” perché – dopo aver distribuito coscienziosamente posti da bidello e pensioni d’ivalidità, raccomandazioni per i concorsi e quant’altro in cambio dei soliti “pizzini” elettorali – s’era fatto condurre in elicottero alla partita di calcio. Che sfiga: “pizzicato” per il pallone.
Si giunse così ai famosi 7,5 milioni di pensioni d’invalidità, che i democristiani dell’epoca – oggi – giustificano come una forma “primordiale” di stato sociale. Paolo Cirino Pomicino giunse ad affermare: “Qualcosa dovevamo pur dare loro, no?”. Peccato che nessuno riconosca mai cosa chiedevano in cambio.

Cari italiani: tutte le elezioni che si sono svolte dal 1948 fino agli anni ’90 hanno seguito questo copione. Democrazia? Chi era costei?
Quella pratica perversa fu alla base di profonde tensioni fra Nord e Sud, quando il Nord votava prevalentemente a sinistra ed il Sud era la solida ancora del potere democristiano ed anticomunista, ma non si preoccupavano troppo del problema: dividi et impera.
L’aspetto curioso della vicenda è che tutti continuano a parlare di “democrazia”, mentre di democratico – per più di quarant’anni – l’Italia non ha avuto un bel cazzo di niente. E lo sanno tutti benissimo.

Erano così sicuri del loro sistema che – quando qualche “smagliatura” s’evidenziava – cadevano come birilli: la giunta di sinistra che vinse le elezioni comunali a Torino nel 1976 (ricordi Ferrara?) trovò nella Mole Antonelliana un deposito di vini pregiati. Gli assessori democristiani dell’epoca la usavano come “cantinetta” personale.
La giustificazione di tante malversazioni era sempre la stessa: proteggere l’Italia dall’Orso Sovietico, dai cosacchi che avrebbero abbeverato i loro cavalli nel Tevere. Non sia mai che la FIAT diventi la Fabbrica cooperativa Italiana Automobili Torino.
Anche la cosiddetta “sinistra” conosceva il giochetto, ma non poteva farci nulla perché le risorse dello Stato le gestivano altri: ad ogni modo, cercò di copiare il modello nelle regioni che governava e – siccome hanno sempre avuto migliori amministratori – migliorarono ancora il modello democristiano.

Prima delle elezioni del 1976, chiesero ad Enrico Berlinguer cosa sarebbe successo se il PCI avesse vinto le elezioni. Risposta: “L’Italia si schiererà con il Patto di Varsavia”. Poteva permettersi quella ed altre affermazioni, tanto sapeva benissimo che non sarebbe mai potuto avvenire.
Giunsero infine gli anni ’90 ed il crollo dell’Orso Sovietico: adesso sì che possiamo permetterci una democrazia compiuta! Finora – ragazzi – abbiamo scherzato, ma da oggi in avanti…
Con un travolgente referendum furono abolite le preferenze e si giunse al sistema bipolare: contenti? Siamo diventati anche noi come gli americani e gli inglesi.

C’era da fidarsi di quella sinistra uscita dall’ultimo congresso del PCI alla “Bolognina”? Qualcuno sospettava che la sinistra “sdoganata” avrebbe comunque chiesto troppo. Indennità di disoccupazione? Veri assegni familiari? Ma dove credete di vivere: negli USA, in Francia od in Germania? Oh, ragazzi, siamo in Italia: siamo un paese povero, pieno di debiti, senza un sistema industriale solido…
Il solito pianto antico. Il debito lo avevo fatto loro comprando i voti per decenni, mentre al sistema industriale pensavano personaggi come De Benedetti (informatica) e Gardini (chimica), che – difatti – ci hanno condotti all’anno zero sia per l’informatica e sia per la chimica. In cambio, hanno conservato ingenti patrimoni che oggi investono sui mercati orientali: oh, sono soldi miei, voi che cosa volete? Vorremmo sapere quanti di quei soldi “tuoi” sono stati creati dagli operai della Olivetti o da quelli della Montedison, compresi quelli che si sono beccati il cancro.

Insomma, la “gioiosa macchina da guerra” messa insieme da un povero e maldestro Occhetto si trovò di fronte ad una spavalda, nuova formazione aziendal-televisiva che in poco tempo era stata creata da monsignor Berlusconi da Arcore, sconosciuto ai più, molto, ma molto conosciuto invece da quelli che contano.
Giunsero al Cavaliere in quegli anni montagne di soldi – denari dei quali Berlusconi si è sempre rifiutato di parlare ai giudici – erano centinaia di miliardi che provenivano dal PSI? Dalla mafia? L’ex procuratore elvetico Carla del Ponte – stranamente assunta in cielo al Tribunale Penale Internazione dell’Aia – è ancora là che li cerca. Travaglio qualche idea ce l’ha, ma lo stanno facendo diventare un fenomeno da baraccone.
Nel frattempo, quella sinistra massimalista e – diciamolo – troppo attenta alle istanze degli operai e troppo poco sensibile alla classe media, fu “sdoganata” da un Prode cavaliere bolognese e portata in Paradiso. Barche, stipendi da favola e mogli parlamentari comprese.

Il resto è storia dei nostri giorni: date queste premesse, possiamo affermare che sia esistita e che esista una “democrazia” italiana?
Se abbiamo votato inutilmente per decenni, se in seguito il consenso è stato ottenuto a suon di miliardi da una persona che controllava quasi l’intera editoria italiana, che senso hanno quei numeri?
Forse per disperazione, ma dopo cinque anni di Finanziarie “creative” di Tremonti – che ci hanno condotto al disastro nel rapporto deficit/PIL – e di leggi pazzesche come la riforma della giustizia contro i giudici e quella della scuola contro gli insegnanti, gli italiani s’affidarono ancora una volta a Prodi. Il meno peggio.

L’ultima trovata – sembra – sia stata quella di “rimodellare” i risultati elettorali, come Nanni Moretti lasciò capire nel film “Il portaborse”: «Ricordi quante notti abbiamo passato a ri-votare le schede bianche?»
Fantasie? Fantapolitica? Perché, allora, nel terzo millennio si continua a votare con una matita? Forse perché si può cancellarla facilmente?
La giustificazione ufficiale è puerile: poiché con altri tipi di penna l’inchiostro potrebbe trapassare il foglio e rendere visibile il voto.
Oh: facciamo subito una colletta ed inviamo loro un mazzo di penne a biro cinesi da pochi euro, indelebili e che non “trapassano” nemmeno la carta velina. Compiamo questo sforzo economico per la nostra democrazia: se vogliamo bene al nostro paese non possiamo voltarci dall’altra parte.

L’ultima frontiera è il voto elettronico: cosa c’è di più sicuro dell’elettronica e dei computer? Tutto, dal sigillo imperiale alla firma, è più sicuro di una qualsiasi comunicazione elettronica.
Chi, di noi, darebbe peso ad una comunicazione via e-mail dove viene assunto, licenziato, promosso, condannato…
Tutti sanno che ciò che un programmatore scrive può essere cambiato da un altro, al punto che Microsoft non è mai riuscita a proteggere il suo principale prodotto, il software.
Nel caso delle elezioni italiane, un Ministro dell’Interno sparì dal Viminale la notte delle elezioni per due ore e si recò (pare) da Berlusconi, dov’era presente (pare) anche il Ministro per l’Innovazione Tecnologica Stanca (ex direttore di IBM Italia). Qui prodest?

L’ultima baggianata che tentano di spacciarci è che non sia possibile intervenire sui flussi di dati in arrivo al Viminale: troppo poco tempo…è una cosa complicata…ci vorrebbero complicatissimi programmi…
Noi, che siamo persone generose, vogliamo regalare agli italiani un piccolissimo programma mediante il quale potranno cambiare in un amen i risultati elettorali di una serie di comuni così, semplicemente con un clic, seduti comodamente in poltrona.

Scaricatelo qui (42 K)

Quanto ci ho messo a farlo? Eh…è stato un lavoro gravoso…dunque: ho aperto la porta dello studio mentre suonavano le campane di mezzogiorno, poi…ah, già…quando mia moglie mi ha chiamato per dirmi che il pollo era in tavola era già finito.
Per gli amanti degli arzigogoli informatici, ricordiamo che per chi aveva sott’occhio il flusso dei dati la cosa sarebbe stata ancora più facile: invece delle macro, potevano usare una semplice routine in linguaggio SQL, che sui database funziona velocemente e con precisione. Una bellezza.

Divertitevi, e tanti auguri alla grande democrazia italiana!

Carlo Bertani bertani137@libero.it www.carlobertani.it

 
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