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Occhio al Grande Orecchio, gli americani ci spiano così
Riccardo Staglianò – «Venerdì» di Repubblica

Intercetta tutto e tutti. Col consenso del governo. E’ la NSA, l’agenzia per la sicurezza nazionale che controlla mezzo mondo (ricordate Echelon?) e dopo Ground Zero s’è ridestata.
Come l’uomo che sui suoi segreti ha scritto due libri qui rivela .

Ascoltare tutto ma non, cristianamente, per comprendere. Piuttosto, per prevenire le intenzioni altrui. Dei terroristi, sì, ma non solo. Perché nell’ottica della National Security Agency i nemici possono annidarsi dappertutto. Basta intercettare il maggior numero di conversazioni, telefonate, e-mail, e le affermazioni sospette verranno al pettine, attivando la reazione dell’intelligence. Del funzionamento di questa sempre più invadente centrale d’ascolto si occupa il monumentale libro di James Bamford, giornalista investigativo statunitense, che già nell‘82 scrisse sullo stesso tema il bestseller «The Puzzle Palace». E oggi torna all’attacco con «L’orecchio di Dio» (Fazi, editore), frutto di anni di lavoro, fonti confidenziali e decine di migliaia di documenti desecretati.

Qual è la missione della Nsa?
«Intercettare la maggior quantità possibile di comunicazioni internazionali. E’ un grande orecchio drizzato su ogni tipo di scambio di dati, nel tentativo di sventare piani terroristici, traffici di droga o di armi, criminali. Un compito che si sovrappone in parte a quello dell’FBI che, però, agisce in prima battuta sul territorio nazionale e necessita di mandati più stringenti. La Nsa ottiene autorizzazioni dal governo e procede poi nella più assoluta segretezza».

La sua attività sembra molto aumentata negli anni…
«Enormemente. E’ un organismo ormai grande tre volte la Cia, che ha diramazioni ovunque, Italia compresa (a Brindisi c’era una centrale). Dà lavoro a 35 mila persone, matematici indispensabili per rompere i codici di cifratura, ma anche informatici, linguisti, analisti di ogni genere. I loro strumenti sono grandi antenne con le quali si inseriscono sulle comunicazioni satellitari, puntando sempre più all’intercettazione della telefonia cellulare e della fibra ottica, il più delle volte in collaborazione coi governi esteri».

Mai come dopo l’11 settembre l’America ha rinunciato a tanta privacy per la sicurezza.
«C’è stata una reazione spropositata agli attacchi. E tanta propaganda sulle paure intorno al terrorismo hanno sopito le lamentale dei cittadini, che vedevano violati molti diritti individuali. L’americano medio, d’altra parte, è più sensibile alla sicurezza – spesso un’illusione – sugli aerei che ai diritti delle minoranze quotidianamente calpestati . E’ dura capire le vessazioni di un immigrante, dei musulmani soprattutto, e di chiunque abbia un nome dal suono strano o una carta di credito sbagliata».

Quest’ossessione nel controllare la privacy aiuta davvero contro il terrorismo?
«Spesso lo sforzo è sproporzionato. Ci sono tante altre cose banali che minacciano più da vicino gli USA: il cancro, la guida in stato di ebbrezza, gli infarti. Salveremmo molte più vite spendendo in ricerca contro i tumori: ma non sarebbe un investimento politicamente vantaggioso. C’è in gioco la rielezione di George W. Bush e quella della sicurezza nazionale è la sua carta migliore. In Iraq muoiono in media 1-2 marine al giorno, ma per la maggior parte dell’opinione pubblica sembra un prezzo da pagare. Almeno finora»

Per prevenire possibili attentati terroristici è stato introdotto un codice a colori di rischio per i passeggeri dei voli. Ed è successo che, per errore, una bimba di 6 anni risultasse molto pericolosa…
«Di fronte a episodi del genere qualcuno comincia a brontolare, ma si tratta ancora di una minoranza. I cittadini intervistati al telegiornale il più delle volte rispondono “meglio questo rischio che quello di un altro attacco”. Anche perché, ripeto, sono le minoranze quasi sempre a farne le spese.  Con esiti spesso fallimentari, come dimostra il caso di Richard Reid, che aveva un passaporto e un nome inglesi e nelle scarpe nascondeva abbastanza esplosivo da poter far saltare in aria un aereo…»

Anche la rete Echelon, di cui a lungo gli USA hanno negato l’esistenza, è gestita dalla Nsa. Come funziona?
«Funziona che Fbi, Cia e le altre agenzie di intelligence sottopongono alla Nsa delle liste di nomi, frasi e numeri telefonici sospetti. Queste parole chiave vengono immesse nel sistema computerizzato e ritrasmesse a tutte le postazioni d’ascolto, che le ricercano all’interno di milioni di messaggi che passano attraverso le antenne delle intercettazioni. In maniera molto dissimile da come fanno i motori di ricerca su internet».

Il progetto Terrorism Information Awareness, che puntava a creare una banca dati unica delle più disparate informazioni elettroniche, è stato bloccato proprio in seguito alle polemiche. Ma molti altri vanno avanti nella stessa direzione: in questi casi la Nsa che ruolo ha?
«La Nsa aveva nette restrizioni nell’operare all’interno degli Stati Uniti, ma dopo l’11 settembre la condivisione delle informazioni tra le diverse agenzie è stata resa più agevole. Per capire la divisione dei compiti, l’Fbi è quella che mette le cimici nei singoli telefoni mentre la Nsa controlla tutto il sistema telefonico. Se il tuo nome finisce nelle loro liste sei intercettato sempre: in teoria dovrebbe avvenire solo quando parli con persone all’estero, in pratica è più difficile distinguere».

Sembra di capire che la Nsa sia più «pericolosa» per il resto del mondo che per gli americani.
«E’ pericolosa per entrambi. In effetti le restrizioni riguardano i cittadini statunitensi sul suolo americano, ma basta che la comunicazione abbia luogo altrove e si può tranquillamente intercettare. E poi, se è vero che tendenzialmente è pensata per spiare i cittadini stranieri, costoro non possono poi essere arrestati dalle autorità USA, mentre i nostri sì. Negli anni ’50, quando è nata, è stata commessa ogni sorta di abuso perché nessuno sapeva della sua attività. Negli anni ’70 alcune leggi hanno parzialmente rimediato. Ma oggi, dopo l’attacco alle Torri, la tendenza è quella di giustificare il ritorno all’arbitrio».

Lavorando al libro ha scoperto anche un progetto di terrorismo di Stato…
«Sì, da documenti venuti in mio possesso sono risalito alla cosiddetta Operazione Northwoods, un piano risalente ai primi anni ’60 che prevedeva la realizzazione, da parte dei servizi deviati, di atti di terrorismo contro cittadini e città americane da attribuire poi a Fidel Castro per giustificare una guerra contro Cuba.
Un’idea agghiacciante, che dite?»

 
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