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DSM e le diagnosi
inventate
Tratto da
“Il marketing della psichiatria” di Marcello Pamio
Come detto, gli
psichiatri hanno da sempre agognato il riconoscimento ufficiale da parte
della medicina affinché la loro fosse considerata vera e propria
scienza. La medicina moderna per effettuare le proprie diagnosi ha esami
quali t.a.c, ecografia, risonanza, ecc., nonché esami di laboratorio
quali analisi di sangue, urine, biopsie che evidenziano, come prova
dell’esistenza di una malattia, degli aspetti materiali.
La psichiatria in realtà non ha nulla di materiale che possa comprovare
una malattia, non ha nessun esame fisico che dimostri o provi
l’esistenza del disagio psichico.
La domanda posta dal mondo accademico rimaneva sempre questa: senza
esami specifici, che possono confermare la presenza o meno di un
disturbo mentale, come può funzionare la diagnosi psichiatrica?
Qui entra in gioco
il valore, accettato oramai come assoluto, del Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali (D.S.M.), il testo pubblicato
dall’A.P.A. (Associazione Psichiatrica Americana) che rappresenta la
bibbia degli psichiatri di tutto il mondo.
Esso é nato dal desiderio degli psichiatri e psicologi dell’epoca per
essere accettati dalla comunità scientifica e solamente come mezzo per
far sembrare il tutto scientifico.
Nonostante il titolo però, il testo non contiene alcuna statistica.
Quasi tutti i
concetti clinici, usati ai giorni nostri, hanno avuto origine in quel
periodo e l’attuale moderno approccio di classificare i disturbi
psichiatrici risale ancora al XIX secolo.
Il padre della cosiddetta classificazione psichiatrica fu lo psichiatra
tedesco Emil Kraepelin, che cercò di classificare gli stati mentali alla
stregua di stati patologici.
All’epoca si ritenevano essere malattie “biologiche” del cervello la
demenza precoce, malattie maniaco-depressive, psicosi paranoide, tre
disturbi che si ritrovano anche nell’odierno D.S.M.
Kraepelin cercò di classificare anche i vari stati mentali alla stregua
di questi tre e tra le malattie psichiatriche da lui individuate
compaiono: il criminale nato i bugiardi,i truffatori patologici e la
masturbazione.
Kraepelin era
direttore della Reale Clinica Psichiatrica di Monaco e fu lui il vero
padre del “morbo di Alzheimer”.
La storia riconosce la paternità al dottor Alois Alzheimer, da cui ha
preso il nome, ma fu Kraepelin a coniare ufficialmente il termine
malattia di Alzheimer (Alzheimer Krankheit).
Inventando di sana pianta l’Alzheimer, Kraepelin aveva conquistato un
territorio diagnostico molto importante e, secondo alcuni storici, nel
consolidare l’esistenza della malattia giocò un ruolo importante la
diatriba tra lui e Sigmund Freud.
A quel tempo la
teoria di Freud rivoluzionò lo studio delle nevrosi attribuendo i
sintomi delle malattie psichiatriche all’inconscio, ipotizzandone la
cura tramite la psicoanalisi. Queste teorie erano però in netto
contrasto con la concezione organicistica delle malattie mentali
sostenuta da Kraepelin e Alzheimer: per loro le malattie avevano una
base organica che poteva essere accertata scientificamente.
Si venne a creare una profonda divisione tra psichiatria a base organica
e psichiatria freudiana poiché ognuna di queste correnti cercava il
proprio riconoscimento medico: la posta in gioco era elevatissima.
La determinazione
di Kraepelin, affinché la malattia di Alzheimer fosse classificata come
patologia organica, è il tentativo strategico di conquistarsi quel
riconoscimento, oltre naturalmente a non perdere il proprio orgoglio di
scienziato e la fama di studioso.
Quando Kraepelin incluse l’Alzheimer nel suo testo Psychiatrie, diede
l’avvio a una storia che, col tempo é diventata molto lunga.
Da un paziente singolo infatti, bollato in modo approssimativo del morbo
di Alzheimer, oggi si é arrivati a contare svariate decine di milioni!
Kraepelin dedicò
l’intera sua vita per dimostrare questa ipotesi senza mai però
riuscirci, tanto che alla fine concluse che “era quasi impossibile
distinguere scientificamente la persona normale da quella malata di
mente”.
Nonostante tale onesta presa di coscienza, il sistema di Kraepelin
divenne molto famoso e prese piede rapidamente in Germania, negli Stati
Uniti e in Gran Bretagna e fu solo grazie a questo, se finalmente fu
possibile parlare di pazienti poiché, fino a quel momento nessuno, in
modo concorde, poteva parlare in questi termini.
Fu nel 1952 che
venne redatto il primo D.S.M. in cui la parola disturbo viene usata
solo come eufemismo per indicare una malattia mentale.
In questo libro vengono catalogate malattie mentali per le quali però
non è mai stata scoperta alcuna alterazione medica biologica.
La prima edizione era composta da 130 pagine ed elencava 112 disturbi
mentali , basati non su esami scientifici riproducibili, ma su voti
apposti in una scheda di votazione inviata per posta al 10% dei soci
psichiatri dell’A.P.A.
Venivano definiti anormali aspetti e comportamenti di vita come:
-
trattenere il fiato
- mangiarsi le unghie
- ciucciarsi il pollice
- sonnambulismo
- scarsa efficienza
- timidezza (definita “S.A.D., Disturbo da Ansietà Sociale”)
- omosessualità.
Osservando tutto ciò si può ben affermare come la psichiatria, classificando un comune comportamento come disturbo mentale, stesse cercando in realtà d’impossessarsi della stessa vita!
Nel 1968 viene
redatto la nuova edizione, il D.S.M. - II, ampliata e aggiornata a 145
disturbi.
Inoltre per elevarla e portarla a livello internazionale, questa
edizione fu allineata all’I.C.D. (Classificazione Statistica
Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Connessi.
Quest’ultima é una classificazione molto usata in Europa e nel mondo,
che, oltre alle diagnosi psichiatriche, elenca reali patologie di natura
medica.
Divenne così il primo importante passo compiuto dalla psichiatria per essere accettata nell’ambito medico in concomitanza, strano caso, con l’ondata di popolarità dei primi psicofarmaci messi in commercio in quel periodo, tra i quali il Miltown e soprattutto il Valium.
Al D.S.M.-II però
mancava ancora la scientificità: non esistevano ancora delle spiegazioni
biologiche…
La soluzione fu trovata tramite la pubblicazione di un manuale che
potesse definire i disturbi mentali in modo ancora più preciso: nacque
così nel 1980 il D.S.M.-III, a cura dello psichiatra Robert Spitzer.
Da questo momento in poi le diagnosi diventarono di natura puramente
biologica e le definizioni vennero gonfiate fino a raggiungere il numero
259.
Ma ancora non bastava.
Per far accettare
al mondo l’idea che la psichiatria fosse una vera scienza medica il
tutto doveva venir arricchito anche tramite una teoria che suonasse
scientifica.
Fu ripresa allora a tale scopo la nozione dello “squilibrio chimico”
(chemical balance), una teoria ipotizzata dallo psichiatra Joseph J.
Schildkraut nel 1965, per cercare di spiegare in tal modo la
depressione.
Per lui la vera causa dei disturbi psichiatrici era causata dallo
squilibrio chimico dei neuro trasmettitori nel cervello.
La realtà è che non esistono squilibri chimici misurabili; non esistono
esami di laboratorio che dimostrano un qualsiasi squilibrio nel
cervello; e quindi non c’è verso di misurare tale squilibrio.
“Nessuno ha mai misurato, dimostrato o creato un test, per mostrare uno squilibrio chimico nel cervello. Punto e basta”. Dottor Thomas Szasz
Schildkraut non fu
mai in grado di provare tale squilibrio chimico ma oramai la comunità
psichiatrica e le lobbies del farmaco avevano adottato la sua teoria
come “plausibile spiegazione medica per i disturbi mentali”.
Nonostante lo squilibrio chimico fosse un termine usato come marketing
pubblicitario, dal D.S.M.-III in poi gli psichiatri e l’industria
farmaceutica hanno iniziato ad adottare e promuovere tale termine perché
suonava “molto scientifico”.
Con questa nuova aura di scientificità la psichiatria poteva iniziare
ora a far parte della medicina.
La glicemia di una
persona può essere misurata mediante uno specifico esame del sangue
assolutamente riproducibile e quindi, per conseguenza é accettabile come
prova scientifica.
Premesso questo, secondo le teorie psichiatriche la depressione sarebbe
causata dalla carenza di una sostanza chimica chiamata serotonina, e per
regolarizzarne il livello, la cura consisterebbe nella somministrazione
di uno psicofarmaco.
Numerosi studi hanno dimostrato invece che il livello misurabile della
serotonina non ha nulla a che vedere con squilibri e depressione.
Rimane allora ancora senza risposta la domanda di quale sia la causa
vera della depressione.
Anche i bambini
etichettati come iperattivi (A.D.H.D.) avrebbero uno squilibrio chimico
nel cervello secondo tale modo di cercare le cause delle malattie in
sostanze chimiche. A tutt’oggi anche tale squilibrio, come per la
depressione, non viene evidenziato da nessun esame conosciuto.
Definire malattia l’A.D.H.D. deriva, come tantissime altre definizioni,
da una arbitraria e totalmente soggettiva interpretazione degli
psichiatri.
La creazione di
nuove malattie prosegue e nel 1994 viene pubblicato il D.S.M.-IV, un
tomo arricchito di quasi 886 pagine del peso di 2 chili e mezzo, che
elenca 374 definizioni di disturbi mentali.
A questo punto da semplice manuale diventa, a tutti gli effetti, una
vera e propria industria.
Non tutti però
sono d’accordo con tali creazioni.
“Non esiste una definizione di disturbo mentale. E’ una str..zata!”.
Così ha dichiarato il dottor Allen Frances, il capo redattore del
D.S.M.-IV.
“Al momento non conosciamo le cause di praticamente nessun disturbo
mentale.”, rincara Darrell Regier, direttore delle ricerche
dell’A.P.A. e presidente della Task Force per il D.S.M.-V.
Due tra le massime autorità a livello mondiale della psichiatria
affermano che “non esiste una definizione di disturbo mentale” e
che “non conosciamo le loro cause”.
Questa affermazione, oltretutto in modo incongruente, viene confermata
dallo stesso D.S.M. che nell’introduzione riporta: “Sebbene in questo
manuale venga definita una classificazione dei disturbi mentali, si deve
ammettere che nessuna definizione specifica adeguatamente i confini
precisi del concetto del disturbo mentale”.
Nonostante questa
ammissione, rimane il fatto che quanto maggiori sono le definizioni di
disturbi mentali riportate nel D.S.M., quanto maggiori sono le
etichettature, cioè le cosiddette diagnosi, tanto maggiori diventano le
prescrizioni di farmaci.
Per ogni comportamento che potrebbe essere considerato al massimo come
strano, la psichiatria ha un nome, una definizione e dietro al nome di
una diagnosi ci sarà, sempre pronta, una pillola per quel disturbo.
I D.S.M. hanno lo
scopo dunque di fornire una diagnosi e quindi una giustificazione per
poter somministrare uno psicofarmaco al paziente. Grazie al D.S.M. ogni
anno vengono compilate quasi 600 milioni di ricette di psicofarmaci.
I dati parlano da soli: nel 98-99% dei casi, le persone entrate in uno
studio psichiatrico, riceveranno una diagnosi specifica che
giustificherà l’uso di uno psicofarmaco, che é una vera e propria droga.
Ma tutto questo ancora non basta.
La prossima
edizione del manuale, la quinta, uscirà entro maggio 2013.
Agli attuali 374 disturbi ne saranno aggiunti, senz’altro, ancora alcuni
nuovi che allargheranno gli orizzonti delle diagnosi e delle
prescrizioni e andranno a rimpinguare le sempre più floride casse delle
lobbies farmaceutiche.
Ecco qualche anticipazione di definizione proposta per il nuovo manuale:
-
“Disturbo da accumulo”: si è malati quando qualcuno ha qualche
difficoltà ad eliminare e/o buttare via le cose, gli effetti personali.
- “Disturbo da abbuffata compulsiva”, se qualcuno mangia troppo.
- “Disturbo di stuzzicarsi la pelle”, se qualcuno si gratta e/o
graffia la pelle.
- “Disturbo del temperamento irregolare”. Questo comportamento
include tutti quei bambini i cui capricci non rientrano nel disturbo
bipolare, condizione questa di buona parte dei giovani.
- “Disturbo da dipendenza da internet”, presentato come una
spiritosaggine nel 1997. Oggi circa 25 milioni di navigatori incalliti
rischiano la pillola.
- “Sindrome di rischio di psicosi” o anche “Sindrome di sintomi
psicotici attenuati”. In questo caso si vogliono includere tutte quelle
persone, in realtà assolutamente equilibrate, le quali secondo la
psichiatria potrebbero essere in futuro a rischio di sviluppare una
malattia mentale.
Cosa significa
questo?
Significa che gli psichiatri sanno anticipatamente che una persona sana
avrà un grave disturbo mentale e senza bisogno di alcun tipo di esame.
Risulta più che mai evidente come il fatto di poter addirittura
identificare persone pre-psicotiche, sia un’industria enorme e
soprattutto illimitata.
-
“Disturbo dello shopping compulsivo”.
- “Disturbo dell’apatia”.
- “Sindrome di estraniazione da genitori ”.
- “Disturbo delle relazioni”.
- “Disturbo dell’esplosione intermittente”.
...............
Questo però é solo
parte dell’elenco delle nuove categorie di malattie in attesa di essere
curate, naturalmente, con psicofarmaci.
Secondo lo psichiatra Allen Frances, l’introduzione di nuovi disagi
psichiatrici potrebbe includere tutta la popolazione mondiale.
Solo in Italia potrebbero essere classificati nella categoria di ansia
mista e depressione, almeno 3 milioni di potenziali pazienti grazie al
D.S.M.-V.
Si pensi che perfino un “dolore da lutto”, quindi una reazione del tutto
normale, potrebbe essere diagnosticata come depressione.
Al pari di
una vorace piovra ad ogni edizione il D.S.M. allarga a dismisura il
proprio mercato di potenziali pazienti-clienti
(...)