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Tenetevi
forte, il dollaro crolla e non si ferma
Maurizio Blondet - tratto da www.effedieffe.com
In una tempesta di vendite,
che ha sta facendo precipitare il dollaro ai minimi storici contro tutte
le monete, il Fondo Monetario sta organizzando riunioni segrete fra USA,
Cina ed altri Paesi maggiori, in un tentativo d'emergenza di scongiurare
il collasso globale.
I mercati finanziari sono nel panico.
«Ci troviamo in un clima da
grande crollo», ha detto David Brown, capo economista per
l'Europa alla Bear Stearns.
Ed ora si aspetta la «fase due», che colpirà i mercati
azionari, fra volatilità e incertezza estrema.
In gran parte, la causa del disastro sono le banche asiatiche che, prese
dal panico, si stanno liberando dei dollari che avevano in eccesso,
guadagnati con l'export.
Le avvisaglie s'erano avute la settimana scorsa.
Mercoledì a Mosca, Putin dice: «finiremo
per aprire una borsa in Russia per trattare greggio, gas ed altre merci
contro rubli»: rubli, non dollari.
Poche ore dopo a Pechino un economista della Banca Centrale cinese, di
nome Tan Yaling, invita il proprio governo a quadruplicare le riserve
d'oro che ha in cassaforte: «maggiori
riserve auree aiuteranno ad affrontare emergenze in caso di turbolenze
possibili nella situazione economica e politica».
I due grandi Paesi hanno un problema in comune:
hanno in cassa troppi dollari americani.
La Russia, grazie ai rincari del greggio, ha raddoppiato le sue
riserve da novembre 2004: oggi sono a 226 miliardi di dollari, le
quarte riserve mondiali.
E siccome il dollaro ha perso valore (del 2,5% sul rublo in
un solo mese), a perdere valore è quella loro montagna di risparmi.
Il viceministro delle Finanze cinesi, Yong Li, pochi giorni fa ad una
riunione della Banca Asiatica di Sviluppo ad Hyderabad in India, ha
messo in guardia contro certe «voci» secondo cui «il dollaro potrebbe
deprezzarsi del 25 %» sospettando di questa volontà gli Stati Uniti.
Ad un incontro del Fondo Monetario, il ministro russo delle
Finanze Alexei Kudrin ha avvertito: «il dollaro sta perdendo la sua
posizione di stabile moneta di riserva mondiale».
Subito dopo, la moneta americana è calata ancora.
Così mercoledì
Persino
Per non parlare dell'Iran, che sta aprendo una borsa petrolifera in
euro.
Magari lo fa per pura ostilità verso Washington.
«Ma in realtà i
produttori petroliferi constatano che i loro migliori clienti sono gli
europei, e che dall'Europa comprano la maggior parte delle loro
importazioni», dice Chris Cook, ex capo dell'International Petroleum
Exchange di Londra, ed ora impegnato ad allestire la futura borsa di
Teheran: «dunque non hanno bisogno di tanti dollari».
Il fatto è che gli USA importano a man bassa pagando con dollari che
stampano a volontà; ma i venditori si accorgono che, con quei dollari,
hanno ben poco da comprare in America.
Quanto agli Stati del Golfo,
accettano ancora dollari, ma solo perché temono di rovinarsi i rapporti
con Washington.
Se vendessimo il greggio in euro, ha detto Yussef Ibrahim,
direttore dello Strategic Energy Investment Group, «gli USA lo vedrebbero come una dichiarazione di guerra economica, che
provocherebbe il crollo del dollaro e una concatenazione di eventi che
avrebbero effetti enormi sull'economia mondiale. Certo che se accade, si
entra in una partita completamente nuova».
D'altra parte, i detentori di dollari temono di vedere squagliarsi la
loro riserva, perché ogni volta che annunciano di voler diversificare
il dollaro si deprezza.
I sospetti che Washington voglia lasciar cadere la sua
moneta sono forti, sintomo di una sfiducia mondiale verso il governo
Bush.
E la sfiducia aggrava la crisi del dollaro e aumenta le ansie dei
creditori, in un circolo vizioso.
Così
Se quadruplicasse i suoi possessi in lingotti, passerebbe da
Perché l'oro in questi giorni è carissimo: sta superando i 710 dollari
l'oncia (nel 2001 ne valeva 260).
Dunque, se Pechino si deciderà a comprare a questo prezzo, è
segno che teme che l'oro vada a 1000, ossia che il calo del dollaro stia
per mutarsi in tracollo.
Del resto,
proprio il rincaro rapidissimo delle materie prime -
l'oro balza di una ventina di dollari al giorno, il rame di
Ci sono in giro troppi dollari, il governo USA ne ha stampati troppi per
pagare i consumi e le guerre, e tutti vogliono ormai liberarsene.
Specie perché gli USA promettono di stamparne ancora, visto che il
limite dell'indebitamento federale, posto dal governo americano a se
stesso, viene alzato continuamente.
E sta sfondando ormai i 10 mila miliardi, dieci trilioni.
I creditori, sempre più nervosi, temono che il debitore dichiari
bancarotta.
Da qui i litigi.
Il ministro Yong Li accusa Washington di star meditando di deprezzare il
dollaro del 25% (tagliando di altrettanto il proprio debito, e insieme
il valore delle riserve cinesi); Washington rimbecca che è
Insomma, il succo dell'alterco internazionale è: «voi
non provatevi svalutare», contro «e
allora rivalutate voi».
Alla fine, tra i litiganti s'è intromessa una voce: «lasciate
cadere il dollaro, o si rischia il caos economico globale».
Il grido viene dal Financial Times, per la precisione dal
suo direttore Martin Wolf, che è anche - e soprattutto - membro del
Bilderberg Club, la madre di tutti i salotti buoni, il consesso segreto
dei capitalisti occidentali.
Martin Wolf è stato il moderatore di un seminario dei governatori delle
Banche Centrali asiatiche ad Hyderabad.
Ed ha rivolto a Cina e Giappone un paio di domande.
«Siete d'accordo che
gli USA hanno un deficit enorme dei conti correnti? Pensate che sia
sostenibile?».
Risposta obbligata: no, l'enorme debito americano non è sostenibile.
E dunque, domanda Wolf, si può ridurre il deficit USA senza lasciare
che gli USA svalutino?
Per potere, si può «ma ad un
prezzo catastrofico per tutti, perché richiederebbe una recessione
profondissima in America».
Con una caduta del prodotto lordo americano del 7 %, gli americani
smetterebbero di consumare ai loro insaziabili ritmi attuali, dunque di
comprare merci da Cina e Giappone: cadrebbe una gelida deflazione sul
Paese debitore, e inflazione esplosiva nei Paesi creditori.
E il direttore del Financial Times conclude con un
avvertimento:
«i Paesi in attivo
[Cina, Giappone e Russia] non
devono credere che l'attuale corso delle cose sia benigno. Al contrario,
è molto pericoloso politicamente ed economicamente. Pone una grave
minaccia su un sistema di libero commercio che è già minato».
Quei Paesi «che
accumulano montagne sempre più alte di titoli di debito americano
stanno giocando d'azzardo con la ricchezza dei loro cittadini, e contano
troppo che le pressioni protezioniste in USA siano contenibili».
Ma al Congresso già pende un progetto di legge per schiaffare dazi del
27 % sulle merci cinesi.
Se si pensa che viene da un uomo-Bilderberg, quest'avvertimento
è una minaccia: lasciate crollare il dollaro quanto vuole Bush,
altrimenti anche voi sarete tutti rovinati.
La vittima sarà l'euro e i suoi detentori, cioè noi, perché la moneta
europea si apprezza - forse fino a 1,40 entro l'anno - e rende meno
competitive le merci continentali.
La crisi è invece benvenuta dalla Banca Centrale americana, che forse
la sta provocando, perché più si deprezza il dollaro, più calano gli
astronomici debiti e deficit USA.
E' una forma pilotata di bancarotta.
Ma naturalmente, ciò rende sempre più vicina la crisi sistemica
globale prevista e temuta dall'ente francese di anticipazione politica,
LEAP.
Già a febbraio questo istituto di analisi sosteneva
che la crisi mondiale era già in fase di «accelerazione», e che sarebbe passata alla fase
di «impatto» quando si verificheranno almeno quattro degli eventi
seguenti (1).
2. Une crise socio-politique interne aux Etats-Unis
3. Un conflit militaire Iran/Usa/Israel
4. Une inflation mondiale accrue
5. La rupture du processus de globalisation commerciale et économique
7. Un rééquilibrage de la valeur relative des actifs
mondiaux
Almeno tre di queste condizioni sono già presenti: caduta
del dollaro, inflazione mondiale (rincaro dell'oro e dei metalli),
l'emergere accelerato di blocchi continentali o regionali
(l'avvicinamento di Germania-Russia e Russia-Cina).
La crisi interna degli Stati Uniti diventa ogni giorno più probabile.
La guerra all'Iran, più vicina.
In che consiste dunque la prossima fase, l'«impatto»?
Nella «transformation radicale du système lui-même (implosion et/ou
explosion) sous l'effet des facteurs cumulés, et qui affecte simultanément
l'intégralité du système», ossia del capitalismo globale
ultraliberista dominato dai profitti finanziari.
Tenetevi forte.
Note
1) «Juin 2006, entrèe dans la phase 2 de la crise sistèmique globale, l'accelèration»,
Europe 2020, 12 maggio 2006