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Direttive
europee sui prodotti erboristici
Marcello
Pamio
Facciamo un po’ di
chiarezza nell’ingarbugliato caso della Direttiva europea sugli
integratori e farmaci naturali.
Nel web stanno circolando da mesi notizie allarmanti e decisamente
inquietanti. Dal primo aprile 2011, cioè tra quattro mesi, spariranno
dalla vendita integratori, medicine naturali tradizionali, chiuderanno
le scuole di naturopatia e omeopatia, e verranno date alle fiamme tutti
i libri su argomenti naturali.
Sinceramente, detto tra noi, con un minimo di buon senso, questi allarmi
lasciano il tempo che trovano, anzi, sicuramente rientrano in una
strategia ben precisa. Mi spiego meglio.
Veicolare notizie assurde e soprattutto irrealizzabili (almeno
nell’immediato) rientra in una vera e propria strategia mediatica di
debunking e deviazione delle masse. Chi infatti potrà mai credere che
spariranno libri su argomenti di medicina naturale, o addirittura che
saranno chiuse le scuole pluridecennali di naturopatia?
Siccome ciò è impossibile (nel breve), il risultato è che tutto perde
di significato, per cui si butta via il bambino con l’acqua sporca!
Ma come stanno le cose? Cerchiamo di fare un po’ chiarezza.
Direttiva
2000/13/CE
Prima di affrontare
questo importante argomento, è necessario fare alcuni passi indietro e
andare a Bruxelles il 20 marzo 2000 quando i burocrati del Parlamento
europeo e del Consiglio d’Europa hanno la varato una Direttiva 2000/13/CE
“relativa
al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti
l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la
relativa pubblicità”[1]
In
questa Direttiva, entrata
in vigore il 26 maggio 2000, si
parla dell’etichettatura a livello comunitario.
Articolo 2
1. L'etichettatura e le relative
modalità di realizzazione non devono:
b) (…)
attribuire al prodotto
alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia
umana né accennare a tali proprietà.
Nella
presente Direttiva NON si può “attribuire
al prodotto alimentare
proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né
accennare a tali proprietà”. Cosa
i burocrati intendono per “prodotto alimentare” lo troviamo nella
Direttiva 2002/46/CE.
Direttiva
2002/46/CE
La Direttiva 2002/46/CE,
sancita questa volta in Lussemburgo, “relativa
a ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernente gli
integratori alimentari”[2] è molto
interessante!
Entrata in vigore ufficialmente il 12 luglio 2002, gli Stati membri
hanno dovuto adottare le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative entro il 31 luglio 2003[3].
In Italia è stata recepita con un Decreto legislativo nr. 169 del 21
maggio 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nr. 164 del 15 luglio
2004.
Articolo 1
1. La presente direttiva si applica agli integratori
alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati
come tali.
All’articolo 1 della
Direttiva 2002/46, gli “integratori
alimentari”, sono commercializzati come “prodotti
alimentari”, e in quanto tali, per la Direttiva 2000/13 vista
prima, NON si è possibile attribuire loro alcuna proprietà “atte
a prevenire, curare o guarire una malattia umana” .
All’articolo 2, paragrafo b) invece, si specifica che le vitamine e i
minerali sono considerati “sostanze nutritive” o “nutrienti”,
mentre al paragrafo a) gli “integratori
alimentari” possono essere costituiti da una “fonte concentrata di ‘sostanze nutritive’ ”. Si può per tanto
concludere che anche le vitamine e i minerali sono considerati “prodotti alimentari”!
Articolo 2
Ai fini
della presente direttiva si intende per:
a)
"integratori alimentari": i prodotti alimentari destinati ad
integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di
sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o
fisiologico (…);
b)
"sostanze nutritive" o "nutrienti": le seguenti
sostanze:
i) le
vitamine;
ii) i
minerali.
Ecco il primo passaggio
epocale: trasformare “minerali”,
“vitamine” e “piante”,
prima in “integratori” e quindi in “prodotti
alimentari” (integratori alimentari), specificando anche la dose
raccomandata per l’assunzione giornaliera (la ridicola R.D.A.). Dose
da non superare, ovviamente!
Non è tutto, perché a corredo di tale direttiva, il Ministero della
Salute ha fornito un elenco delle piante permesse (Tabella B: “erbe
impiegabili negli integratori alimentari”) e un elenco delle
sostanze non permesse (circa 400, Tabella A: “erbe il cui uso deliberato non è ammesso”).
Tutte le piante citate in quest'ultimo elenco, sono state tolte dal
commercio, creando confusione tra venditori e consumatori e seri
problemi economici ai produttori!
Tanto per capire la situazione, ci sono numerosi casi in cui una
medesima pianta figura in entrambi gli elenchi, differenziata solo dalla
parte utilizzabile (seme, fiore o corteccia per esempio). Ancora più
confusione e danni economici enormi a quelle piccole o medie aziende che
magari hanno investito soldi su dei prodotti, piuttosto che su una
specifica pianta.
Se teniamo conto che
nella Direttiva 90/496/CEE del 24 settembre 1990, “relativa
all’etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari”[4]
i “prodotti alimentari”
sono, diciamo erano, da intendere quelli “destinati
a ristoranti, ospedali, mense e altre analoghe collettività”[5], cioè solo
alimenti!
Specificando subito dopo, all’articolo 1, paragrafo 2) che tale
Direttiva (90/496/CEE) non si applica alle acque minerali
e agli “integratori di regime/complementi alimentari”[6].
E’ la prima volta dal 1990, che vitamine e minerali vengono
considerati come “prodotti
alimentari”, con le conseguenze che abbiamo visto sopra e che
vedremo anche tra breve.
Adesso veniamo alla Direttiva che più ha scatenato le rivolte nel web.
Direttiva
2004/24/CE
A Strasburgo, capoluogo
dell’Alsazia (Francia Orientale) e sede del Parlamento europeo e
Consiglio d’Europa, il 31 marzo del 2004 è avvenuto qualcosa di
interessante.
La prima precisazione è che la Direttiva europea 2004/24/CE, essendo
stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. L 136 il 30/04/2004, non
entra in vigore, come viene detto nel web, il primo aprile 2011, ma il
mese successivo, e cioè il primo maggio del 2011. Questo elimina dalla
testa dei malpensanti un “pesce d’aprile” di catastrofiche
dimensioni.
La Direttiva 2004/24 modifica “per
quanto riguarda i medicinali vegetali tradizionali, la direttiva
2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso
umano”[7].
L’ormai arcinota Direttiva modifica una precedente Direttiva, la
2001/83 del 6 novembre 2001, che definisce “i
medicinali per uso umano”, per l’esattezza va a modificare i “medicinali
vegetali tradizionali”.
Cosa sono questi
medicinali?
La Direttiva è chiara a tal proposito e definisce “medicinale”,
“medicinale vegetale tradizionale” e “medicinale vegetale”.
Con il termine generico “medicinale”,
la definizione è la seguente:
(Punto
2) comma a) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata avente
proprietà curative o profilattiche delle umane; o
comma b) ogni sostanza o associazione di sostanze che possa
utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo ripristinare,
correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione
farmacologica, immunologica metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi
medica.
Per
“medicinale vegetale
tradizionale”:
29)
medicinale vegetale che risponda ai requisiti di cui all'articolo 16 bis,
paragrafo 1.
Per
“medicinale vegetale”:
30) ogni medicinale che contenga
esclusivamente come principi attivi una o più sostanze vegetali o uno o
più preparati vegetali, oppure una o più sostanze vegetali in
associazione ad uno o più preparati vegetali.
All’articolo
16 bis, paragrafo 1 si dice che è istituita una procedura di
registrazione semplificata per i medicinali vegetali che soddisfano
TUTTI i seguenti requisiti:
a) le indicazioni sono
esclusivamente quelle appropriate per i medicinali vegetali tradizionali
che, in virtù della loro composizione e del loro scopo, sono destinati
ad essere utilizzati senza controllo medico per necessità di diagnosi,
di una prescrizione o per il controllo del trattamento;
b) ne è prevista la
somministrazione solo in una determinata concentrazione e posologia;
c) si tratta di un preparato per uso
orale, esterno e/o inalatorio;
d) è trascorso il periodo di
impiego tradizionale di cui all'articolo 16 quater, parag. 1, lettera
c);
e) i dati relativi all'impiego
tradizionale del medicinale sono sufficienti; in particolare, il
prodotto ha dimostrato di non essere nocivo nelle condizioni d'uso
indicate e i suoi effetti farmacologici o la sua efficacia risultano
verosimili in base all'esperienza e all'impiego di lunga data.
A
parte i paragrafi i primi tre, la lettera d) sancisce un periodo di
tempo tradizionale stabilito dall’articolo 16 quater, paragrafo 1
lettera c).
Articolo 16 quarter, paragrafo 1 lettera c).
“La
documentazione bibliografica o le certificazioni di esperti comprovanti
che il medicinale in questione o un prodotto corrispondente ha avuto un
impiego medicinale per un periodo di almeno trent'anni anteriormente
alla data di presentazione della domanda, di cui almeno 15 anni nella
Comunità. Su richiesta dello Stato membro in cui è stata presentata la
domanda di registrazione per impiego tradizionale, il comitato dei
medicinali vegetali esprime un parere sull'adeguatezza della
dimostrazione dell'uso di lunga data del medicinale in questione o del
prodotto corrispondente. Lo Stato membro presenta la documentazione
rilevante a sostegno della richiesta”;[8]
Un
prodotto che funziona, se non si riesce a comprovare il suo impiego
continuativo per almeno 30 anni, prima della data di presentazione della
domanda, rischia di essere messo al bando e tolto dal commercio.
Ma i punti che più c’interessano, scorrendo la Direttiva del 2004,
sono il 3 e 5.
Punto
3:
“Nonostante una lunga tradizione
d'uso, numerosi medicinali non rispondono ai requisiti relativi
all'impiego medicinale ben noto né presentano una riconosciuta
efficacia e un livello accettabile di sicurezza e non possono pertanto
essere oggetto di un'autorizzazione all'immissione in commercio.
(…)”[9]
Punto
5:
“(…)
Tuttavia, poiché neppure
una lunga tradizione consente di escludere eventuali timori circa la
sicurezza del prodotto, le autorità competenti dovrebbero avere la
facoltà di richiedere tutti i dati necessari per la valutazione della
sicurezza. La qualità di un dato medicinale non è determinata dal suo
impiego tradizionale. Pertanto non dovrebbero essere concesse deroghe
all'obbligo di effettuare le necessarie prove chimico-fisiche,
biologiche e microbiologiche. I prodotti dovrebbero soddisfare le norme
di qualità contenute nelle monografie della farmacopea europea
pertinenti o in quelle della farmacopea di uno Stato membro”[10]
Qui
il caos è voluto. Da una parte dicono che una lunga tradizione di un
medicinale vegetale consente di non dover fare la sperimentazione
preclinica e dall’altra dicono che tuttavia, poiché “neppure
una lunga tradizione consente di escludere eventuali timori circa la
sicurezza del prodotto, le autorità competenti dovrebbero avere la
facoltà di richiedere tutti i dati necessari per la valutazione della
sicurezza”
Ecco il giochetto messo in atto dai burocrati di Strasburgo,
Bruxelles e Lussemburgo.
Le autorità di controllo, completamente fagocitate dalle corporation
della chimica e farmaceutica, dovrebbero richiedere - avendone la facoltà
e autorità - i dati necessari per la valutazione della sicurezza di un
prodotto vegetale tradizionale.
Sapete come si valuta la sicurezza di un prodotto per uso umano? Lo
spiega la stessa Direttiva 2004/24/CE:
“Le domande di autorizzazione
all'immissione in commercio di un medicinale debbano essere corredate di
un fascicolo contenente informazioni e documenti relativi in particolare
ai risultati delle prove chimico-fisiche, biologiche, microbiologiche,
farmacologiche, tossicologiche e delle sperimentazioni cliniche
effettuate sul prodotto e comprovanti la sua qualità, sicurezza ed
efficacia”
Per
tanto, se una azienda vorrà vendere un prodotto erboristico (pianta o
parti di pianta) descrivendone però le caratteristiche
“terapeutiche” e/o “curative” questo verrà considerato alla
stregua di un “farmaco di sintesi”, anche se viene usato da migliaia
di anni.
Per una piccola o media azienda questo è praticamente impossibile!
Per produrre rimedi terapeutici naturali, bisognerà fornire alle
autorità: prove chimico-fisiche, biologiche, microbiologiche,
farmacologiche, tossicologiche e cliniche.
La domanda che sorge spontanea: chi potrà permettersi tutto ciò? E la
risposta purtroppo è sempre la stessa: i soliti noti…
[1]
Direttiva 2000/13/CE http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32000L0013:IT:NOT
[2]
“Integratori alimentari”, http://europa.eu/legislation_summaries/consumers/product_labelling_and_packaging/l21102_it.htm
[3]
Articolo 15, http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32002L0046:IT:NOT
[4]
Direttiva 90/496/CEE http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31990L0496:IT:HTML
[5]
Direttiva 90/496/CEE, articolo 1
[6]
Idem, articolo 1, paragrafo 2
[7]
Direttiva 2004/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31
marzo 2004 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:136:0085:0090:it:PDF
[8]
Direttiva 2004/24/CE http://ec.europa.eu/health/files/eudralex/vol-1/dir_2001_83_cons/dir2001_83_cons_20081230_it.pdf
[9]
Direttiva 2004/24/CE http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:136:0085:0090:it:PDF
[10]
Idem