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Dio
esiste e paga in dollari (per ora)
di Simone
Santini - tratto da www.clarissa.it
Alcuni
segnali di politica economica testimoniano che è in corso uno scontro
di grado altissimo a livello planetario, e le grandi manovre che si
stanno svolgendo, benché sotterranee, definiranno i modelli di vita e
di sviluppo per i prossimi decenni. Due notizie su tutte, passate
piuttosto inosservate, sono il riflesso di queste dinamiche.
Da un lato la decisione della Banca centrale russa di aumentare del 10%
il peso dell’euro nel calcolo del tasso nominale di scambio del rublo,
portandolo al 20%, a danno del dollaro. La Banca di Russia avrebbe
altresì intenzione di aumentare progressivamente il peso dell’euro
fino ad ottenere un tasso di cambio in linea coi movimenti di mercato.
Si allude cioè, e in maniera nemmeno troppo velata, alla possibilità
che in un prossimo futuro gli scambi economici tra Russia e Ue
(specialmente nel settore energetico) potranno avvenire in euro, divisa
che soppianterebbe l’attuale dollaro (fonte: http://www.times.spb.ru/index.htm).
Per altro verso si è assistito, da parte del presidente americano Bush,
alla designazione di Paul Wolfowitz, numero due del Pentagono nella
precedente amministrazione, alla presidenza della Banca Mondiale. Tale
designazione ha destato stupore negli ambienti economici e politici
soprattutto europei, e smentisce il preteso nuovo corso di Bush in senso
più multilaterale. Un falco come Wolfowitz, infatti, il massimo
propugnatore della teoria della “guerra preventiva e unilaterale”
dichiara platealmente con quale prospettiva gli Stati Uniti vogliano
condurre la loro politica economica nel prossimo quadriennio, e segue
tra l’altro la nomina di altri due “falchi” in posti chiave per la
politica Usa, ovvero John Bolton come ambasciatore all’Onu, e
soprattutto John Negroponte (l’organizzatore delle “squadre della
morte” in Centro-America negli anni ’80) quale coordinatore di tutti
i servizi di sicurezza americani (per un ritratto della figura di
Wolfowitz rimandiamo all’articolo “Mr. Wolfowitz, I suppose..”
consultabile nell’archivio del nostro sito nello “speciale guerra e
globalizzazione”).
Ma
su quale situazione si innestano queste due notizie? Lo scenario di
fondo è quello cupo di una gravissima crisi economica che sta
attanagliando gli Stati Uniti. Sempre più spesso gli analisti
prospettano scenari molto preoccupati per l’andamento economico
americano, tali da paventare una crisi epocale che farebbe impallidire
quella storica di Wall Street nel ’29. In sintesi, i fattori
principali di questa crisi sarebbero i seguenti (per un’analisi più
attenta si veda il seguente articolo pubblicato su www.comedonhisciotte.org).
Primo: il deficit degli Stati Uniti ha raggiunto un livello abnorme
(oltre i 40 triliardi di dollari, cioè siamo nell’ordine di grandezza
di milioni di miliardi di vecchie lire) e sarebbe in continua
espansione, pressoché incontrollata.
Secondo: sempre più gli Stati Uniti si stanno trasformando da
produttori in consumatori. L’economia americana produce sempre meno
beni, in virtù delle varie massicce delocalizzazioni e della
sopranazionalità del capitale finanziario, ma al tempo stesso i
cittadini acquistano sempre più beni, necessariamente dall’estero.
Questo fa sì che gli Usa si stiano sempre più indebitando.
Terzo: uno dei maggiori creditori degli Stati Uniti è (udite, udite) la
Cina, ovvero il suo massimo competitore potenziale per il dominio
globale.
Per
comprendere appieno la situazione riferiamo un passaggio di un articolo
di Daniele Scalea sulle ragioni dell’intervento di Iraq apparso su
Nuovi Mondi Media, e che ci pare particolarmente significativo:
“Nel 1971 il presidente Nixon tolse la valuta statunitense dal sistema
monetario aureo, cioè interruppe unilateralmente la convertibilità
della moneta in oro. Da quel momento, la fornitura mondiale di petrolio
è trattata in dollari a corso forzoso. Oltre ad essere la moneta di
scambio energetico, è anche la valuta richiesta dal FMI per estinguere
eventuali debiti. Questo fa sì che tutti i paesi del mondo necessitino
d'ingenti riserve di dollari, e questi si possono ottenere solo dagli
Stati Uniti. Posta l'indipendenza della valuta dall'oro, il dollaro non
è altro che carta, pura carta scarabocchiata dal costo di produzione
infimo, che gli USA cedono però al mondo al loro prezzo nominale. In
breve, tutti i paesi del mondo forniscono agli Stati Uniti energia,
merci e quant'altro, in cambio di pezzi di carta che quelli possono
stampare a proprio piacimento. Non è difficile capire come, in effetti,
l'egemonia mondiale statunitense debba moltissimo a questo sistema di
truffa generalizzata ch'è riuscito ad imporre per il mondo. Ma se
l'euro riuscisse a scalzare il dollaro dalla sua posizione privilegiata
di moneta di scambio internazionale, forse tutto il castello di carte
eretto dagli Stati Uniti crollerebbe miseramente. Sostiene il
giornalista William Clark che "uno dei piccoli sporchi segreti
dell’ordinamento internazionale odierno è che il resto del globo
potrebbe rovesciare gli Stati Uniti dalla loro posizione egemonica, se
solo volessero, con l’abbandono concertato del regime monetario basato
sul dollaro. Questo è il principale e ineluttabile tallone di Achille
dell’America".
Ma,
a fronte di tale situazione disastrosa, gli americani detengono alcuni
strumenti di sperimentata efficacia che ne fanno ancora l’unica
superpotenza imperiale: l’utilizzo dell’economia di guerra, che da
quella di secessione del XIX secolo, passando per i due conflitti
mondiali, fino all’11 settembre, è sempre stata un volano
rivitalizzante per ogni ciclico periodo di recessione; quindi la
detenzione e lo sfoggio della potenza militare a scopo
“intimidatorio”.
Questo secondo aspetto merita di essere sottolineato con attenzione.
Prendiamo come esempio la considerazione già svolta
dell’indebitamento Usa nei confronti della Cina. Qualunque persona
comune riterrebbe, secondo logica, che se un soggetto A (gli Stati
Uniti) fosse debitore di un soggetto B (la Cina), al punto da dipendere
da questi, il vero detentore del potere sarebbe B e non A. Eppure allo
stato attuale delle cose non è così, o quanto meno non lo è ancora.
Com’è possibile?
Il fatto è che il sistema dell’indebitamento è un’arma a doppio
taglio che si può considerare sotto due diverse angolazioni. Certo, la
richiesta di onorare un debito così enorme può suonare come una
terribile minaccia per chiunque, ma, al contempo, se il debitore
dichiarasse di non voler più onorare il suo debito e nessuno avesse la
potenza necessaria per ordinargli di farlo, ecco che improvvisamente la
situazione si ribalterebbe: il creditore si ritroverebbe con un pugno di
mosche in mano e finanziariamente esposto per una cifra spaventosa.
Appare evidente che in queste situazioni internazionali ciò che conta,
in ultima analisi, sono i rapporti di forza.
Tali
rapporti sono a tutto vantaggio, fino ad ora, degli Stati Uniti, e non
sorprende quindi che lo sforzo imperiale attuale sia tutto incentrato
verso il tentativo di mantenere inalterata questa superiorità. Nella
fattispecie, impedire ad ogni costo il passaggio nelle transizioni
commerciali dal dollaro ad un’altra divisa, come avviene sempre più
frequentemente a favore dell’euro, soprattutto nella compra-vendita
dei combustibili. Il segnale della Russia è per Washington inquietante,
così come lo è la decisione dell’Iran di convertire metà delle
proprie riserve valutarie in euro, o le tentazioni in tal senso che,
sembra, serpeggino sempre più insistentemente in seno ai paesi dell’Opec
o alla stessa Cina. La caduta del regime degli ayatollah iraniani
diventa la chiave di volta di un sistema mondiale egemonizzato dagli
americani: una volta normalizzato quel paese, centrale per il definitivo
controllo dell’eldorado del Caspio, la Cina non potrà più
pretendere velleità egemoniche, se non regionali; la Russia sarà
costretta a rivedere i suoi piani e continuare a vendere agli europei il
suo petrolio e il suo gas in dollari; gli europei continueranno a
dipendere dalle decisioni della Banca centrale americana per il loro
sviluppo. L’Impero avrebbe definitivamente vinto.
Quando
l’evangelico rinato George W. Bush si rivolge a Dio al termine di ogni
suo discorso pubblico, probabilmente si rivolge al dio-dollaro, e
l’invocazione “God bless America” probabilmente si riferisce
all’eventualità che il dio-dollaro mai venga spodestato dall’euro o
da qualche altra divinità minore