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Destino manifesto
Dottor Eugenio Benetazzo
http://www.eugeniobenetazzo.com/event/destino_manifesto.htm
Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna ormai stanno diventando il
leitmotiv delle riflessioni delle comunità finanziarie internazionali,
come se l'unica preoccupazione su cui ci dovremmo soffermare fosse la
tenuta nel breve dei conti pubblici di questi paesi. Il cosa scegliere
ed il dove posizionarsi a livello di investimento è stato da me
ampiamente trattato in svariate occasioni e contesti mediatici, tuttavia
l'interrogativo principe cui ci dovremmo porre in questo momento non è
se il tal titolo di stato è a rischio default, ma piuttosto quale non
lo sarà. Cercherò di trasmettervi questo mio pensiero nel modo più
comprensibile possibile.
La
crisi del debito sovrano in Europa è una crisi di natura strutturale (e
non congiunturale) dovuta a fenomeni macroeconomici che hanno espresso
tutto il loro potenziale detonante attraverso un modello di sviluppo
economico turboalimentato da bassi tassi di interesse e costi irrisori
di manodopera che porta il nome di globalizzazione. Quest’ultima non
nasce dalla naturale evoluzione del capitalismo classico, quanto
piuttosto è una soluzione studiata a tavolino da potenti lobby di
interesse sovranazionale per risolvere l'angosciante diminuzione dei
profitti e degli utili aziendali in USA ed in Europa, causa un
progressivo ed inarrestabile processo di invecchiamento della
popolazione unito ad una decadente natalità dei nuclei familiari.
Le
grandi multinazionali vedranno infatti costantemente contrarsi sia i
fatturati che i livelli di profitto in quanto ormai quasi tutti i
mercati occidentali sono maturi, saturi o addirittura in declino
(pensate al mercato automobilistico, non sono casuali le recenti
esternazioni di Sergio Marchionne). Tra quindici anni le persone
anziane, gli over sessanta, rappresenteranno una quota sempre più
consistente delle popolazioni occidentali (in Italia saranno stimati
quasi al 40%). Una persona anziana purtroppo non rappresenta il clichè
del consumatore ideale, infatti contribuisce marginalmente poco al
livello dei consumi rispetto ad un trentenne (quest’ultimo infatti si
trova appena all’inizio del suo progetto di vita: si deve sposare,
deve comprare un’abitazione, fare figli, acquistare un’autovettura,
divertirsi nel tempo libero, andare in vacanza, vestirsi alla moda e così
via).
Se
da una parte infatti diminuirà il livello dei consumi, dall’altra
aumenterà invece il peso angosciante del welfare sociale (ricoveri,
degenze, assistenza medica e pensioni di anzianità) andando a pesare
sempre di più in percentuale ogni anno sul totale della ricchezza
prodotta. In buona sostanza stiamo parlando di paesi (USA, Germania,
Regno Unito, Francia, Italia, Spagna & Company) il cui destino è
piuttosto ben delineato: inesorabile invecchiamento della popolazione,
costante aumento dell’indebitamento pubblico, lenta
deindustrializzazione e brutale impoverimento. Non so quanto
potranno effettivamente servire i cosiddetti programmi di austerity
sociale, a meno di drastici e drammatici tagli alla spesa sociale ed
alla pubblica amministrazione. Chi ha concepito la globalizzazione
ha pensato proprio a questo ovvero come salvaguardare i livelli di
profitto aziendali (e magari anche come farli aumentare) a fronte di un
mutamento epocale della geografia dei consumi mondiali.
In Asia, con in testa Cina ed India, il 75% della popolazione ha un’età
inferiore ai trent’anni ed un reddito procapite in costante ascesa: si
trattava pertanto di creare le premesse e le modalità per far aumentare
il numero di persone che in queste regioni potessero iniziare a
consumare a livelli similari a quelli occidentali. Grazie ad il WTO si
è riusciti ad implementare un fenomenale trasferimento di posti di
lavoro attraverso le “opportunità” delle delocalizzazioni
produttive, spostando letteralmente fabbriche e stabilimenti, che
avrebbero consentito di far nascere con il tempo una nuova classe media
borghese disposta a spendere per le mode e le tendenze di consumo del
nuovo millennio. Non bisogna essere economisti per rendersi conto
di quanto esposto sopra: nel 2000 l’Asia contribuiva ad appena il 10%
dei consumi mondiali, nel 2030 salirà a quasi il 40%. Come potenziale
di crescita, ai mercati orientali si stanno affiancando anche i mercati
dell’America Latina con la locomotiva Brasile in testa.
Stiamo pertanto assistendo ad un mutamento epocale: il baricentro
economico e geopolitico del mondo si sta spostando verso Oriente ed
anche verso il Sud del Pianeta. La crisi del debito sovrano in
Europa è tutto sommato di portata inconsistente rispetto ai problemi
che emergeranno nei prossimi cinque anni a fronte di oggettive difficoltà
di approvvigionamento alimentare, soprattutto in Oriente che detiene
superfici arabili decisamente incapaci a far fronte alla crescente
domanda sia di cereali che (purtroppo) di carni da allevamento. Tra
ventanni l’attuale modello economico dovrà essere in grado di fornire
abitazioni, automobili, carburanti, acqua e cibo ad almeno 600 milioni
di nuove persone: pertanto cominciate a chiedervi chi potrà ancora
permettersi di avere il frigorifero pieno o i banchi del supermercati
colmi e riforniti per accontentare lo scellerato e sfrenato consumismo
del nuovo millennio. Destino manifesto per dirla alla Stewie Griffin